10763 COSÌ I QUOTIDIANI ITALIANI HANNO RACCONTATO LA CONDANNA DEFINITIVA DI SILVIO BERLUSCONI

20130803 10:32:00 guglielmoz

OGGI ORGOGLIOSO DI DIRE: VIVA LA COSTITUZIONE!. Un uomo ricco, potente, appoggiato e facente parte lui stesso di un esteso sistema politico trasversale, è stato condannato da giudici davvero indipendenti.
LO DICEVA LUI – “Chi è condannato per evasione abbia buon gusto di farsi da parte”
Quei giornali inzuppati di lacrime e saliva. DOLORI E PARADOSSI DELLA STAMPA ITALIANA DAVANTI ALLA CONDANNA DI B. DAL MISTICO “RISORG ERÒ” DI LIBERO AL COMICO SARDO CHE DÀ LA COLPA A GRILLO
Poveretti, come s’offrono
CAPATOSTA. Sul Messaggero, da non perdere il commento di Piero Alberto Capotosti, che è una specie di Napolitanino.
LA NAVE DEI FOLLI
FOGLI UMORISTICI /Per l’angolo del buonumore, ecco il Tempo. La direttora uscente Sarina Biraghi ci spiega perentoria: “Un fatto è certo: Berlusconi resta Berlusconi”.
L’EVERSORE COL CERONE / Siamo ormai all’aperto ricatto nei confronti del presidente della Repubblica, alle minacce contro il moribondo governo Letta, all’eversione nei confronti di un potere dello Stato quale la magistratura
PER LA LEGGE IL CAIMANO NON PUÒ AVERE CLEMENZA, QUINDI L’AVRÀ? / Analfabeti”. Così Napolitano definì il 12 luglio quanti, su Libero, ipotizzarono la grazia a Berlusconi in caso di condanna al processo Mediaset.
L’INGANNO – La caduta del Cavaliere oscuro / Le patetiche bugie dei frodatori di Stato – di Bruno Tinti. D& G e B sono evasori fiscali. Il secondo un pregiudicato; i primi due in attesa di diventarlo, condannati in 2 gradi di giudizio tributari e in primo grado penale. Eppure D & G sono “indignati” e B si fa vittima.
RIVA DESTRA – Ora gli ex An lo ammettono: su B. aveva ragione Fini / di Flavia Perina / Come si dice, il tempo è galantuomo.
È STATA UNA BELLA BATTAGLIA / Dovrebbero scusarsi pubblicamente in massa, ora che non ci sono più scuse, tutti i fiancheggiatori palesi ed occulti del “corrotto e corruttore”.

– LO DICEVA LUI “Chi è condannato per evasione abbia buon gusto di farsi da parte”
QUELLO che viene colto con le mani nel sacco e che subisce una condanna definitiva in cui si dimostra che è stato evasore del fisco, io credo che abbia il buon gusto di mettersi da parte”. È il 13 aprile 1995. Queste parole vengono pronunciate da Silvio Berlusconi, leader del centrodestra, su Raitre in piena campagna elettorale per le elezioni regionali che si sarebbero tenute dieci giorni dopo. Berlusconi è ospite della trasmissione Tempo Reale di Michele Santoro. Il conduttore domanda anche: “Lei dice che è diventato democratico. Ha un bel programma liberista. Ma per quale motivo una persona come lei che ha delle imprese da portare avanti, perché non ritorna a fare il suo lavoro e lascia tutto in mano a Fini?”. Berlusconi risponde: “Per come ho trovato io Palazzo Chigi e i conti dell’Italia, il nostro bilancio, credo che oggi all’Italia faccia molto comodo un imprenditore”.
– QUEI GIORNALI INZUPPATI DI LACRIME E SALIVA. DOLORI E PARADOSSI DELLA STAMPA ITALIANA DAVANTI ALLA CONDANNA DI B. DAL MISTICO “RISORG ERÒ” DI LIBERO AL COMICO SARDO CHE DÀ LA COLPA A GRILLO Poveretti, come s’offrono / di Marco Travaglio
Dopo la lunga veglia funebre nella Camera ardente e nel Senato al dente, dopo la processione a Palazzo Grazioli dei vedovi e delle vedove inconsolabili immortalati in una foto tipo Quarto Stato anzi Quinto Braccio, dopo il monitino sfuso di Sua Maestà re Giorgio I opportunamente villeggiante in Val Fiscalina (si trattava pur sempre di frode fiscale), dopo il coro di prefiche e il torneo di rosari allestiti nella cripta di Porta a Porta da un Bruno Vespa in gramaglie prossimo all’accascio, dopo la faticosa ricomposizione della salma imbalsamata in una colata di fard e cerone modello Raccordo Anulare per il videomessaggio serotino a reti unificate con smorfiette di finta commozione, sono finalmente usciti i giornali del mattino. Da leggersi rigorosamente con i guanti, per non macchiarsi le mani di un ributtante impasto di lacrime, salive e altri liquidi organici.
Il Polito nella piaga. Estratto a sorte da un bussolotto che comprendeva anche i nomi di Ostellino, Galli della Loggia, Panebianco e Pigi Battista (quest’ultimo ammutolito dal giorno della condanna di Del Turco), Antonio Polito ha vinto l’editoriale sul Pompiere della Sera. Avrebbe potuto cavarsela con una sola riga: “Ragazzi, non ci ho mai capito un cazzo. Scusatemi, ora mi ritiro in convento a leggermi i pezzi di Ferrarella, che almeno sa le cose”. Invece, impermeabile ai fatti e perfino al ridicolo, ha partorito tre colonne di piombo all’interno per ricicciare la solita lagna sulle “due troppo forti minoranze che si sono aspramente fronteggiate in questo ventennio”, cioè i berlusconiani e gli antiberlusconiani, che secondo lui sarebbero uguali e avrebbero addirittura impedito all’Italia di “riformarsi”: e pazienza se i berlusconiani han sempre difeso un delinquente e gli antiberlusconiani han sempre detto ciò che l’altroieri la Cassazione ha confermato. El Drito dimentica i berlusconiani mascherati e nascosti nella cosiddetta sinistra “riformista” che han sempre fatto finta di nulla e sponsorizzato ogni inciucio, e ora si meravigliano se la condanna del delinquente (naturalmente frutto dell’“accanimento degli inquirenti”) ha un’“influenza sul governo”. Poi dipinge un paese immaginario, dove la maggioranza degli italiani tifa per il governo Letta che ci sta facendo “tornare con la testa fuori dall’acqua” ed è terrorizzata dal “nuovo attacco del partito giustizialista”. Il finale è una lezione di “separazione dei poteri”: che a suo avviso non significa difendere l’indipendenza della magistratura dagli assalti della politica, ma prendere la sentenza che dichiara B. frodatore fiscale e metterla in un cassetto, onde evitare il terribile rischio di “una crisi di governo”. Lui dice “tracciare una linea nella sabbia”, ma vuol dire mettere la testa sotto la sabbia. Che del resto è lo sport preferito di tutti i Politi d’Italia. Tipo il pompierino in seconda Massimo Franco, che ci spiega come “la sentenza della Cassazione regali a Berlusconi un ultimo, involontario aiuto”. Ma certo, come no: gli han fatto un favore da niente. Se lo gusterà tutto dagli arresti domiciliari. Ah, dimenticavo: il pezzo di Polito s’intitola “Siate seri, tutti”. Lo dice lui, a noi. Fiat voluntas Napo. Anche sulla Stampa impazzano i manutentori del governo Napoletta. Mario Calabresi teme che “a pagare il conto della condanna di Berlusconi” sia “il Paese”: forse dimentica che il conto delle frodi fiscali di Berlusconi l’han già saldato con gli interessi quei fessi di italiani che pagano le tasse. Ma per Calabresi il problema non è un governo sostenuto da un pregiudicato, bensì che Letta possa arrivare incolume “al semestre di presidenza italiana della Ue che inizierà il 1° luglio dell’anno prossimo”: quella sarà la nostra “unica salvezza”, e anche un discreto figurone, visto che potremo finalmente esibire in tutto il mondo un governo appoggiato da un monumentale evasore fiscale.
Del resto, “una sentenza che colpisce un politico nelle sue vesti di imprenditore (mentre frodava era pure presidente del Consiglio e parlamentare, ma fa niente, ndr) non determina il destino di un governo”. Anzi, lo rafforza, soprattutto nella lotta all’evasione fiscale. Marcello Sorgi aggiunge altre acute analisi. Tipo che B. “è consapevole che la sua stagione s’è chiusa” (resta soltanto da avvertirlo). E che il vero problema dell’Italia è “il soccombere del potere politico rispetto a quello della magistratura” ed è “venuto il momento di risolverlo”: in effetti non s’è mai vista nel mondo una magistratura che processi e condanni un evasore fiscale. Dunque bisogna guardarsi dal terribile pericolo che il Pd metta B. alla “gogna” e alla “ghigliottina”: Epifani ha giusto il physique du role del boia assetato di sangue, basta guardarlo. Come no.

– CAPATOSTA. Sul Messaggero, da non perdere il commento di Piero Alberto Capotosti, che è una specie di Napolitanino.
Anche per lui, come per il principale, il guaio non è un politico che froda il fisco, ma “i rapporti fra magistratura e politica che diventano più complessi dopo questa vicenda giudiziaria”. Il processo a un politico per reati comuni diventa per lui “processo politico”, come nelle dittature, e meno male che lui stesso denuncia “una certa carenza di cultura istituzionale” (degli altri, si capisce). Segue il rammarico perché i giudici, stretti “tra Curva Nord e Curva Sud” (cioè tra il partito della legalità e quello dell’impunità, che per lui pari sono), “non possono farsi carico di conseguenze politiche di estremo rilievo, come una crisi di governo o addirittura lo scioglimento delle Camere”: giusto, siccome l’evasore è al governo, dovevano assolverlo. Tutti i guai dell’Italia derivano dall’abolizione dell’immunità parlamentare, a suo dire “predisposta dai nostri Costituenti” come “separazione tra processi penali e attività politico-parlamentare”: balla sesquipedale, visto che l’autorizzazione a procedere della Costituzione originaria non prevedeva affatto l’impossibilità di processare i parlamentari di governo per reati comuni, ma era stata concepita per proteggere parlamentari di minoranza da eventuali accuse per reati politici (non la frode fiscale, ma i blocchi stradali , i comizi troppo accesi, le occupazioni delle terre ecc.). A meno che, si capisce, il Capotosti non pensi che i Costituenti del 1948 volessero proteggere un miliardario entrato in politica per non pagare il fio delle sue corruzioni , dei suoi falsi in bilancio e delle sue frodi fiscali. Ah, dimenticavo: questo Capotosti è presidente emerito della Corte costituzionale. Per dire in che mani era la Corte costituzionale.
– LA NAVE DEI FOLLI
Anche il Sòla-24 ore è quello delle grandi occasioni. Fabrizio Forquet lacrima copiosamente perché “in Italia ci ritroviamo nel momento peggiore di una drammatica crisi economica a discutere delle mille incognite di un’ennesima crisi politica determinata da una vicenda giudiziaria”, mentre “a Berlino e a Washington si può guardare con fiducia al futuro”. Già, forse perché a Berlino e a Washington i politici si dimettono per una tesi copiata o per una colf non in regola. Di fianco, Stefano Folli (“Il sasso che rotola a valle”), noto manutentore di qualunque governo, annuncia che “da oggi entriamo in un’Italia post-berlusconiana”, ma subito dopo auspica che il governo Letta, di cui B. è signore e padrone, resti tale e quale in eterno “nell’interesse superiore dell’Italia” . Che, all’insaputa dell’Italia, è appunto la sopravvivenza dell’inciucio Pd-Pdl. Ma a una condizione, e qui Folli le canta chiare: “la riforma della giustizia”, “messa sul tavolo” nientemeno che da Napolitano . Infatti “la sentenza di Roma parla anche ai democratici e li sfida sul terreno del riformismo”. Siccome la giustizia ha funzionato ed è riuscita a condannare un noto frodatore fiscale, bisogna riformarla perché ciò non accada mai più. E poi adesso vedrete che “l’Italia moderata, l’Italia che ha votato a ripetizione Berlusconi” (dunque è proprio moderata) farà “sentire la sua voce”. Che, siccome ha sempre votato B., “non è mai propensa al populismo e all’estremismo”. Altrimenti votava per un populista e un estremista, e non un moderato come lui che “non si può credere che voglia o possa trascinare l’intero Pdl sulla linea intransigente”. Non sarebbe da lui, che diamine, e sarebbe la prima volta. Se non avete ancora cominciato a scompisciarvi, beccatevi anche questa: “La logica delle larghe intese si ripropone oggi in forme diverse ma non meno cogenti”. Ora che uno dei due partner è un pregiudicato, infatti, l’altro deve stringerglisi vieppiù addosso. Con grande cogenza.
– VOCI DEL PADRONE
Dopo aver annunciato che mai la Cassazione avrebbe potuto condannare quel giglio di campo, quel bocciuolo di rosa, gli impiegati di B. sono lievemente disorientati. Il Giornale incita il padrone come fanno i secondi a bordo ring col pugile suonato: “Berlusconi, non è finita” (è vero, ci sono altri cinque processi in arrivo). Libero è mistico: “Risorgerò” (rivisitazione del canto religioso dei funerali, “Io credo risorgerò”, che fa il paio con il cunnilingus del giorno prima firmato Mario Giordano: “Quel santo che pensa solo a salvare l’Italia”). Belpietro spera nella grazia: non divina, ma napolitana. Invece Sallusti, o quel che ne resta (l’abbiamo visto molto provato in tv), ha scoperto perché B. è stato condannato con una “sentenza politica”: non, come potrebbe pensare qualcuno, perché fosse colpevole, anzi era innocente. La prova è granitica: “L’ha ben spiegato il principe del foro avvocato Coppi”, e come si può dubitare di una fonte super partes come l’avvocato dell’imputato? No, l’hanno condannato perché “Napolitano aveva assicurato una pacificazione nazionale” e adesso “o ha preso in giro il Pdl e i suoi elettori oppure è stato a sua volta preso per i fondelli” dai giudici della Cassazione. I quali pare che abbiano sentenziato senza neppure fargli un colpo di telefono in Val Fiscalina. Comunque Zio Tibia è “orgoglioso di stare da questa parte e che Silvio Berlusconi sia il leader del Pdl”, almeno finché gli paga lo stipendio. Tutto filerebbe liscissimo, se non fosse che a pagina 2   una penna rossa annidata in redazione al Giornale e destinata – temiamo – alla crocifissione in sala mensa ha infilato un titolo che dice testualmente così: “Toghe moderate e di lungo corso: ecco chi ha deciso il destino del Cav”. Toghe moderate che fanno sentenze politiche? Dove andremo a finire, signora mia. Fortuna che il giureconsulto Pitone ha scoperto che “nessuna sentenza, neppure se di Cassazione, è irrevocabile”. Anche il noto giurista Ferrara, sul Foglio, concorda: “Sentenza nulla”, “glossa ininfluente”. Quando i carabinieri andranno a prelevarlo come Pinocchio per condurlo agli arresti, il Cainano potrà sempre obiettare: “Guardate che la sentenza è nulla, è una glossa ininfluente, lo dicono Sallusti e Ferrara”. Potrà sempre sperare in un Tso per infermità mentale.
– FOGLI UMORISTICI /Per l’angolo del buonumore, ecco il Tempo. La direttora uscente Sarina Biraghi ci spiega perentoria: “Un fatto è certo: Berlusconi resta Berlusconi”.
Non solo. Sarina ha pure capito un’altra cosa: “Berlusconi non è Craxi”. Di questo passo, si arriverà prima o poi alle conclusioni tratte a suo tempo da Paolo Panelli in un noto varietà: “Il legno è il legno”. Molto comica anche la fu Unità, dove ancora una volta giganteggia il sempre perspicace direttore Claudio Sardo. Il quale ha un piccolo problema: non l’hanno ancora avvertito che il Pd è alleato col Pdl. Infatti tuona vibrante di sdegno contro B: “In qualunque Paese democratico una condanna simile segna irrevocabilmente la fine di una carriera politica”. In Italia invece no, perché? Perché il Pd se l’è appena portato al governo? No, per colpa “d e l l’insuccesso del Pd alle elezioni, combinato col cinismo di Grillo”. Ecco, se il Pd governa con B. e contro Grillo è colpa di Grillo. E il governo Letta? “È nato senza alleanza”. Sardo non sa che è nato per volontà di Napolitano e su designazione di B. dall’alleanza fra Pd, Pdl e Scelta civica. Lui è ancora convinto che l’abbia portato la cicogna. Ma adesso, avverte, “il Pdl è a un bivio: resterà un partito patrimoniale, interno alla holding della famiglia Berlusconi, o diventerà una forza politica autonoma, capace di pensarsi oltre il fondatore ormai non più spendibile come leader?”. Ah saperlo. Sorge il lieve dubbio che la risposta sia la numero uno, ma Sardo non lo sospetta neppure. Infatti fa notare che B. non può “guidare la destra avendo quasi 80 anni”: chissà come sarà contento Napolitano, che ne ha appena 88. Alla fine l’acuto Sardo implora il Pdl di restare fedele a Letta col suo leader pregiudicato (tanto “il governo Letta è nato senza alleanza”). E intima, con la proverbiale aria furbetta: “Se qualcuno nel Pd pensa di utilizzare strumentalmente la sentenza per destabilizzare Letta, è un avventurista”. Ben scavato, vecchio Sardo: giù le mani da Berlusconi.

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COSÌ I QUOTIDIANI ITALIANI HANNO RACCONTATO LA CONDANNA DEFINITIVA DI SILVIO BERLUSCONI
– L’EVERSORE COL CERONE di Antonio Padellaro / Siamo ormai all’aperto ricatto nei confronti del presidente della Repubblica, alle minacce contro il moribondo governo Letta, all’eversione nei confronti di un potere dello Stato quale la magistratura.
Come definire altrimenti l’adunata di ieri pomeriggio dei parlamentari del Pdl, al termine della quale i capigruppo Schifani e Brunetta (uno indagato per mafia e l’altro noto soprattutto per l’imitazione di Crozza) hanno annunciato la salita al Quirinale per chiedere a Napolitano un provvedimento di grazia a favore del delinquente Silvio Berlusconi. Che non è un insulto gratuito scagliato da questo giornale contro il miliardario di Arcore, bensì la definizione espressa, confermata e ribadita nei tre gradi di giudizio del processo Mediaset riguardo al soggetto in questione, di cui “va considerata – scrivono i giudici – la particolare capacità a delinquere dimostrata nell’esecuzione del disegno delittuoso”. Dunque, deputati e senatori del Pdl rimettono nelle mani del loro datore di lavoro il mandato parlamentare, ricevuto del resto come una livrea da restituire ben stirata, affinché il condannato a quattro anni di reclusione per frode fiscale con sentenza definitiva ne faccio l’uso che più gli aggrada. Qui, per cupidigia di servilismo, la funzione parlamentare viene stesa ai piedi del delinquente, il quale mostrandosi alle folle con il cerone del martirio invita piagnucolando i sottoposti ad agire “non per me ma per il bene del Paese”. Una recita di quart’ordine, se il prezzo del ricatto non fosse: o la grazia al delinquente o facciamo cadere il governo e trasciniamo l’Italia verso scenari da incubo. Subito il Colle ha fatto sapere che il provvedimento di clemenza non può essere richiesto da due capigruppo. Una risposta si spera puramente sarcastica, come lo fu il comunicato del Quirinale quando il direttore di Libero, Belpietro, parlò di una trattativa per graziare B. nel caso di condanna definitiva. Fece rispondere Napolitano che “queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato” erano “un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale”. Ora che il futuro è diventato presente, possiamo solo aspettarci che ai ricatti eversivi si sappia dare la più adeguata risposta e si chiamino i carabinieri per l’esecuzione della sentenza.

– PER LA LEGGE IL CAIMANO NON PUÒ AVERE CLEMENZA, QUINDI L’AVRÀ? di Marco Travaglio / Analfabeti”. Così Napolitano definì il 12 luglio quanti, su Libero, ipotizzarono la grazia a Berlusconi in caso di condanna al processo Mediaset.
E parlò di “speculazioni segno di analfabetismo, sguaiatezza istituzionale e assoluta irresponsabilità politica che può solo avvelenare il clima della vita pubblica”. E aveva ragione: non solo perché B. non era stato ancora condannato in via definitiva; ma anche perché i poteri di grazia del presidente della Repubblica sono circoscritti dal diritto. Ed escludono che B. possa essere graziato, per svariati motivi.
1) Il Cavaliere ha altri 5 processi pendenti in varie fasi, di cui due già approdati a condanna di primo grado (Ruby e telefonata Fassino): basterebbe che uno solo giungesse a condanna definitiva per riportarlo nella situazione di condannato-interdetto da cui la grazia lo libererebbe dopo la sentenza Mediaset. Infatti, per Alessandro Sallusti, pluricondannato per diffamazione e tuttora imputato in altri processi, Napolitano non optò per la grazia, ma commutò la pena da detentiva a pecuniaria. 2) La grazia si concede ai condannati che abbiano già espiato parte della pena, anche perché concederla all’indomani di una sentenza suonerebbe come un’inammissibile sconfessione della decisione dei giudici e una violazione della loro indipendenza. Principio che Napolitano ha già ignorato graziando il colonnello Cia, Joseph Romano, appena condannato in Cassazione per il sequestro di Abu Omar e addirittura latitante. 3) I poteri di grazia sono stati ulteriormente limitati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 3 maggio 2006 sul conflitto Ciampi-Castelli a proposito della grazia a Ovidio Bompressi, condannato anni prima per l’omicidio Calabresi. La grazia è prerogativa del presidente, e il ministro della Giustizia non vi si può opporre, perché è un provvedimento “umanitario” ed “eccezionale” (essendo una deroga al principio di uguaglianza). Non “politico”. Il presidente infatti non è responsabile dei propri atti, che necessitano sempre della controfirma di un membro del governo. Siccome però la grazia è ispirata a una “ratio umanitaria ed equitativa” volta ad ”attenuare l’applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale”, essa “esula da ogni valutazione di ‘natura politica’”, ed è naturale attribuirla “al capo dello Stato ‘quale organo rappresentante l’unità nazionale’, nonché ‘garante super partes della Costituzione’”. Insomma “il potere di grazia risponde a finalità essenzialmente umanitarie” per “attuare i valori costituzionali… garantendo soprattutto il ‘senso di umanità’, cui devono ispirarsi tutte le pene”. Insomma, mira a “mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio per eccezionali ragioni umanitarie”. Napolitano, graziando il col. Romano (latitante e dunque incompatibile con le esigenze umanitarie), se n’è già infischiato una volta. Se ne infischierà anche per B.? Gli darà una grazia “politica” contro i dettami della Consulta? O sosterrà che la grazia è “umanitaria” per “mitigare” una pena che B. non sconterà mai in carcere grazie a una legge (l’ex Cirielli) fatta da lui?

– L’INGANNO – La caduta del Cavaliere oscuro / Le patetiche bugie dei frodatori di Stato – di Bruno Tinti. D& G e B sono evasori fiscali. Il secondo un pregiudicato; i primi due in attesa di diventarlo, condannati in 2 gradi di giudizio tributari e in primo grado penale. Eppure D & G sono “indignati” e B si fa vittima.
Come ha detto Travaglio, la scomparsa dei fatti. Che però sono testardi. Il sistema di frode utilizzato da B è molto diffuso: tutti i giorni gente come lui è condannata per fatti analoghi; e nessuno si indigna o parla di complotti. Come questi, anche B racconta la stessa ridicola favola (che poi è sostenuta con molta serietà dagli avvocati): se costituisco una società con tanto di registrazione e timbri legali, se la utilizzo per acquistare merce da un fornitore e poi per rivenderla a me o a società da me controllate, tutto questo è perfettamente regolare. Il che è vero e non è vero.
IPOTESI A: una società manda in onda numerosi film che sono programmati sia in Italia che in altri paesi. Siccome si tratta di attività complessa, che richiede strutture, personale e risorse, il “padrone” della società costituisce in ognuno di questi paesi altra società (controllata dalla società madre) con il compito di gestire la programmazione. Naturalmente, quando si tratta di comperare i film, la contrattazione è gestita dalla società madre che può spuntare prezzi migliori. Ma le vendite sono effettuate direttamente alle società controllate che contabilizzeranno nei loro bilanci i relativi costi. Tutto confluirà poi nei bilanci della società capogruppo. Questo sistema è perfettamente legale (e tale sarebbe considerato dal Fisco) perché costruito “per valide ragioni economiche”.
IPOTESI B: una società manda in onda numerosi film etc. Questi sono forniti da un produttore americano con il quale il “padrone” della società contratta vantaggiose condizioni: 10 film per 10 milioni di dollari. E si accorda con l’americano affinché i film non siano venduti direttamente alla società madre ma ad altra, sempre da lui controllata. Questa seconda società è costituita in qualche remoto paradiso fiscale, con un amministratore, di solito un commercialista locale; non ha strutture né personale, solo un conto in banca, per il momento vuoto. Il produttore americano, all’inizio, ha qualche perplessità: vendere a una società di fatto inesistente, priva di strutture, personale, patrimonio! Ma il “padrone” lo rassicura: garantisco io, mi serve solo uno schermo contro il Fisco. E così l’operazione viene avviata. I film arrivano alla società schermo che subito li rivende alla società madre (in sistemi più sofisticati gli schermi sono più di uno e più di una sono le finte vendite). Ma c’è una particolarità: il prezzo di vendita è raddoppiato; non più 100 milioni ma 200. La società madre paga e i soldi sono accreditati sul conto della società schermo; da qui 100 milioni vanno al produttore americano; e 100 (ecco uno dei due scopi dell’operazione) su un altro conto di cui è titolare altra società, una off shore di cui nessuno sa nulla, manco a dirlo di proprietà del “padrone” che ha gestito l’intera operazione. In questo modo il nostro dispone di un tesoretto occulto da impiegare per gli scopi più vari, ovviamente illeciti: per dire, può comprarsi un paio di senatori. Ma c’è un altro vantaggio, di almeno pari importanza.

SE LA SOCIETÀ madre avesse comprato i film in prima persona avrebbe potuto scaricarsi costi pari a 100; supponiamo: alla fine dell’anno ricavi per 200, costi per 100, reddito per 100, tasse per 50. Ma se i film li compra dalla società schermo, il risultato di bilancio cambia: ricavi 200, costi 200, reddito zero, imposte… zero. Certo, i bilanci della società schermo sono in utile, si dovrebbero pagare le tasse. Ma chi gliele chiede? Antigua, Santa Lucia? E comunque dopo un paio d’anni la società chiude e avanti un’altra. Questo sistema è illegale (e tale lo considera il Fisco) perché creato “senza valide ragioni economiche”. La società schermo ha curato la messa in onda dei film formalmente acquistati? No. Ha rivenduto questi film a clienti diversi nell’ambito di una normale attività commerciale? No, li ha venduti solo alla società del “padrone”. E, del resto, come avrebbe potuto svolgere una qualsiasi attività? Senza personale, strutture, capitali. Ecco perché schermo, scatola vuota, “inesistente” di fatto. Ecco perché le fatture emesse sono “relative ad operazioni inesistenti”. Ecco perché si tratta di frode fiscale.
Naturalmente c’è l’ultima spiaggia. “Ma io facevo il presidente del Consiglio, che ne so di quello che intanto facevano i miei manager”. A parte le prove raccolte negli atti processuali, chi può credere che impiegati stipendiati costituiscano società finte e capitali all’estero non per sé ma per il padrone che, però, non lo ha mai saputo per più di 20 anni! E che, quando se li spende, non si chiede da dove vengono! Scajola e la sua celebre casa comperata a sua insaputa fa quasi tenerezza.
Tutto questo lo sanno tutti. I politici (PdL e Pd) che si chiedono come fare un governo con un delinquente che ha fregato al paese, mentre era presidente del Consiglio, fra annualità prescritte e no, quasi 500 milioni di euro. E la metà degli elettori di B, quelli che hanno un unico grande ideale: diventare un giorno anche loro delinquenti evasori. Non lo sa l’altra metà perché, affascinata dal gaudente ricco e spregiudicato, non lo vuole sapere. Dimenticavo. Un altro che lo ha sempre saputo è il Presidente della Repubblica. Che ha colto l’occasione della condanna di B per auspicare una riforma della giustizia.

– RIVA DESTRA – Ora gli ex An lo ammettono: su B. aveva ragione Fini / di Flavia Perina / Come si dice, il tempo è galantuomo.
A tre anni dallo strappo che sancì la fine del berlusconismo di governo, la sentenza Mediaset obbliga a riconsiderare l’ultimo atto di dignità della destra italiana: l’addio al Pdl di Gianfranco Fini, che proprio sul tema della legalità e del rispetto della magistratura, nel luglio del 2010, pose fine al sodalizio con il Cavaliere. L’ex presidente della Camera si è ritirato dalla scena, dopo un rovescio elettorale senza appello, in gran parte legato all’insuccesso del terzo polo montiano. Ma la voce che serpeggia tra i suoi vecchi amici, in queste ore, è soltanto una: “Forse aveva ragione lui”. Se lo raccontano sottovoce i luogotenenti della destra sociale di Alemanno, cancellati da Roma e messi alla porta dagli Azzurri. E se lo dicono persino quelli di Fratelli d’Italia, che hanno costruito la loro piccola zattera di salvataggio ma sanno che difficilmente sopravviveranno nella nuova fase che si è aperta.
Già, perché ora che il Cavaliere chiama alla nuova “Guerra dei vent’anni”, non sono immaginabili posizioni terziste: o con lui o contro di lui. L’idea a cui tre anni fa si erano aggrappati gli ex-An, quella di un sistema berlusconiano riformabile dall’interno, è scomparsa all’improvviso. E con essa i mille alibi messi insieme nell’aprile del 2010, dopo la direzione del “Che fai, mi cacci”, per giustificare la scelta di fedeltà al Caimano: prima tra tutte, l’irrilevanza o l’inconsistenza dei suoi problemi con la giustizia e la teoria del complotto delle Procure.
Adesso che non è una procura, un tribunale “semplice”, ma una Corte di Cassazione che ha resistito a pressioni inaudite a decretare la colpevolezza dell’imputato Berlusconi, l’idea che Fini ci avesse visto lungo turba i ragionamenti di quel che resta della destra. E anche quel che resta della sinistra dovrebbe farci i conti.
SE INFATTI l’imputato Berlusconi è arrivato al capolinea della sentenza senza beneficiare degli scudi elaborati a dozzine nel-l’ultima fase della sua permanenza a Palazzo Chigi, lo si deve innanzitutto alla barriera interposta dai finiani, e in particolare da Giulia Buongiorno, nell’ultima e tumultuosa fase del premierato di Berlusconi. Senza il no sui punti sensibili della riforma della giustizia portata in Parlamento nell’ottobre del 2010, e senza l’opera di contenimento dei “finiani” sul Lodo Alfano, forse anche la storia di questo processo sarebbe stata diversa. Lo stesso Berlusconi, d’altra parte, lo ha ripetuto in ogni occasione utile: “I nostri sforzi di cambiare la giustizia sono stati puntualmente vanificati perché Fini e i suoi si sono messi sempre di traverso”.
E allora, forse avevano ragione Fini e i finiani. Che erano tutt’altro che “traditori”: magari kamikaze, magari troppo in anticipo sui tempi, ma di sicuro più coerenti con la loro storia e più avvertiti degli altri nel prevedere il cupio dissolvi del berlusconismo. E forse, il momento giusto per staccare definitivamente la spina era quello, nel-l’autunno del 2010, davanti alla evidenza di un premier proteso solo alla tutela delle sue posizioni processuali, delle sue aziende e del suo improponibile stile di vita. E forse, in quella finestra temporale, si è aperta e chiusa l’ultima opportunità per la destra politica italiana per riconquistarsi un ruolo autonomo sulla scena nazionale.
Oggi, davanti allo stesso bivio c’è il Pd e ci sono le massime istituzioni dello Stato. Devono scegliere se cercare l’estremo compromesso con un leader impresentabile, nel nome di un astratto concetto di “stabilità”, oppure prendere atto dello stato delle cose e pronunciare il non possumus che due terzi del Paese si aspetta da loro. Se sceglieranno la prima strada la storia dovrà registrare l’ennesimo paradosso italiano: a recitare la parte degli ultimi giapponesi nel conflitto nucleare che il Cavaliere si prepara a scatenare non saranno gli alleati o ex-alleati della destra, i nipotini di Almirante e di Romualdi, ma i pronipoti di Berlinguer e di Moro. Che tristezza.

– È STATA UNA BELLA BATTAGLIA / Dovrebbero scusarsi pubblicamente in massa, ora che non ci sono più scuse, tutti i fiancheggiatori palesi ed occulti del “corrotto e corruttore”.
Dovrebbero chiedere scusa prima alla Magistratura e poi a ciascuno dei giornalisti del “F a tto”, a Biagi, a Santoro ed a tutti quelli, noti e meno noti, che hanno subito, anche per viscide complicità, violenza dal protagonista di un’epoca buia, fondata sull’illegalità, la prepotenza e l’incapacità della cosiddetta opposizione di rifarsi ai valori fondanti dello Stato ora messi addirittura in pericolo da un governo assurdo e squalificato come l’attuale. Ma è stata una bella battaglia, a cui ciascuno deve essere orgoglioso di aver partecipato: grazie a tutti. dI Giampiero Buccianti

– OGGI ORGOGLIOSO DI DIRE: VIVA LA COSTITUZIONE!. Un uomo ricco, potente, appoggiato e facente parte lui stesso di un esteso sistema politico trasversale, è stato condannato da giudici davvero indipendenti.
È stato riaffermato un principio Democratico e Repubblicano: un cittadino che froda soldi allo Stato, a tutti gli altri cittadini, commette un reato, e come tale va punito secondo legge, chiunque esso sia.
Gran parte del sistema politico di cui il cittadino in questione è parte ed artefice, però, si appresta ora a riformare la Giustizia e la Costituzione che questo fulgido esempio di correttezza Repubblicana ha appena fornito. Perché? Perché bisogna fargli pagare il non riconoscimento di uno di loro come al di sopra della legge? Ma di questo si avrà modo di riparlare. Come bisognerà riparlare di quegli onesti militanti ed elettori di base del Pd che postano bellissimi pezzi su Facebook, ma seguitano a far parte di un partito che agisce esattamente al contrario. Moltissimi credo siano in buona fede. Altri penso che non lo siano. Per una volta consentitemelo: viva la Costituzione. Oggi mi sento di dirlo Ugo Centi

 

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