10748 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 27 luglio 2013

20130727 18:42:00 guglielmoz

ITALIA . La beffa atlantica
VATICANO. La visita di Papa Bergoglio è costata 82 milioni di dollari
EUROPA. LONDRA – Morire di Taser – Li chiamano anche manganelli elettronici ma non c’è bisogno del contatto fisico per tenere a bada il "nemico".
AFRICA & MEDIO ORIENTE. DUBAI – Norvegese stuprata a Dubai, condannata 16 mesi carcere la pena, 13 per stessi reati allo stupratore
ASIA & PACIFICO. Giappone. Vittoria per il premier Abe. Controlla entrambe le camere
AMERICA CENTROMERIDIONALE. RIO DE JANEIRO – UN PAPA «LIBERATORE» – di Leonardo Boff
AMERICA SETTENTRIONALE. WASHINGTON – Il primo presidente nero fa “ coming out”.

ITALIA
MILANO / NYC – Agenzia americana taglia rating a 18 banche italiane. Salve solo UniCredit e Intesa Sanpaolo – Il Pil dell’Italia, dopo il -1,9% previsto per il 2013, ”avra’ segnato un calo in termini reali del 9% negli ultimi sei anni” con un -25% per gli investimenti e un prodotto pro-capite inferiore ai livelli del 2007. Lo scrive Standard & Poor’s, aggiungendo: ”non ci aspettiamo che questa tendenza si inverta significativamente nel 2014”.
Standard & Poor’s taglia il rating di lungo periodo di 17 banche italiane salvando pero’ Intesa Sanpaolo e UniCredit. E’ quanto si legge in una nota, in cui si precisa che la decisione segue il downgrade dell’Italia. L’agenzia taglia di due gradini da (BB+ a BB-) il rating di Agos Ducato e facendo salire a 18 il totale dei downgrade decisi dall’agenzia di rating. Le altre 17 banche hanno subito invece il taglio di un solo ‘notch’. Sotto la scure dell’agenzia di rating finiscono quindi Ubi Banca, Credem che scendono a livello ‘BBB-‘; Fga Capital, Iccrea e Mediocredito a ‘BB+’; Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Banco Popolare a ‘BB’; infine Unipol Banca a ‘BB-‘. D’altro canto, tra le banche che si salvano, oltre a UniCredit e Intesa Sanpaolo, S&P’s segnala l’Istituto per il Credito Sportivo, Banca Fideuram, Mediobanca, Banca Popolare dell’Alto Adige e l’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane, i cui rating restano confermati. Per l’agenzia internazionale, le banche italiane operano in un ambiente con alti rischi economici, lasciando le banche più esposte a una recessione più profonda e lunga di quanto pensavamo. S&P’s mantiene l’outlook negativo su tutto il comparto bancario italiano. E’ quanto si legge in una nota dell’agenzia, in cui viene precisato che le due eccezioni sono Banca Carige e Dexia Crediop, i cui rating restano in ‘Creditwatch’ negativo, ovvero sotto osservazione per un possibile taglio

ROMA – 385MILA / I migranti disoccupati nel Belpaese: il 14% dei lavoratori stranieri. Un fenomeno «allarmante», secondo il rapporto annuale del Cnel che denuncia condizioni «più svantaggiate» per gli immigrati. Come la retribuzione netta mensile, più bassa di oltre 300 euro rispetto a quella degli italiani
ROMA / WASHINGTON – la beffa atlantica. di Tommaso Di Francesco / Il nuovo scandalo internazionale che coinvolge l’Italia, quello fuga da Panama organizzata dal governo americano di Robert Seldon Lady, l’ex capo della Cia in Italia all’epoca delle extraordinary rendition, è se possibile più grave della cattura, estradizione e consegna della famiglia kazaka al regime di Astana.
Il caso kazako ha infatti coinvolto i poteri italiani in una connivenza vergognosa ma che potremmo definire contingente, legata all’episodio e su esplicita pressione del regime kazako. Un livello basso e spregevole che ha visto praticamente la messa a disposizione del nostro apparato di polizia al servizio di una ambasciata amica straniera per una cattura in qualche modo politica. Tanto che l’Onu ha denunciato la «puzza della rendition». E con immancabile seguito di scaricabarile di responsabilità, all’oscuro del ministero degli esteri, con il silenzio-assenso di quello degli interni che fa capo al vicepremier Alfano, suggello berlusconiano del governo Letta, salvato ogni giorno da un Pd che nessuno sa più che cosa sia diventato quanto a legittimità democratica. Insomma che altro ci si poteva aspettare da un governo e da uno stato che perdono così vistosamente ogni dignità e autonomia? C’era di peggio. Il nuovo episodio infatti mostra un coinvolgimento più strutturale, più organico e perfino più consapevole sia del Pdl che del Pd. E riguarda l’epoca oscura delle extraordinary rendition, la pratica di arresti internazionali illegali in funzione della edificazione di carceri speciali e del sistema concentrazionario di Guantanamo, fuori da ogni diritto internazionale e dalle stesse leggi statunitensi, messa in piedi dall’intelligence Usa come risposta al terrorismo dell’11 settembre 2001. Una pratica che, è bene ricordare, è stata il corollario penitenziale delle varie guerre che dal 2001 si sono succedute, dall’Afghanistan all’Iraq, senza che poi nessuno abbia avuto l’onestà di verificarne i sanguinosi risultati. Una pratica che ha fatto dell’Italia «atlantica», insieme a molti paesi subalterni dell’Est, un vero e proprio terreno di caccia come ha dimostrato il caso dell’ex imam di Milano Abu Omar, perseguitato e catturato in Italia come sospetto terrorista islamico e consegnato clandestinamente nelle mani del regime di Mubarak che lo ha torturato e incarcerato ingiustamente.
Contro questo sistema illegale, che pure ha mosso inziative, movimenti e tante coscienze nel mondo, in Italia sono stati davvero in pochi a mobilitarsi. E concretamente solo la Procura di Milano che ha incriminato per il caso Abu Omar, fra l’altro, l’intero staff della Cia in Italia ordinando la cattura di 19 agenti. Ma sull’operato della magistratura ha pesato l’imposizione prima di Prodi e poi di Berlusconi, del segreto di stato. Presentato come necessario «per salvaguardare interessi strategici» dell’alleato statunitense. Inoltre, come un macigno sulla verità, arrivò due anni fa la concessione della grazia data dal presidente Napolitano – dopo un incontro con Obama a Washington – al comandante dell’aeroporto Nato di Aviano Joseph Romano che rese possibile la rendition. Macigni e segreti di stato che non hanno fermato la ricerca dei responsabili, al punto che, individuato il capo della Cia italiana a Panama, l’ordine di cattura ha fatto il suo corso ed è stato controfirmato dal ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri. Robert Seldon Lady, che in Italia dovrebbe scontare 9 anni di carcere, è stato fermato dalle autorità panamensi pronto per essere consegnato alle autorità italiane. In meno di 48 ore l’Amministrazione Usa dopo avere premuto su Panama (il cortile di casa) per il rilascio, lo ha prelevato e portato in salvo in patria. Davvero l’immagine speculare di quello che potrebbe accadere con il caso Snowden, la spia «talpa» delle rivelazioni segrete a WikiLeaks, che Washington vuole a tutti i costi catturare e del quale chiede perentoriamente la consegna. Alla faccia della legalità internazionale.
Il fatto è che l’Italia, nonostante siano passati 24 anni dall’89, è per l’ «alleato» statunitense solo un territorio militare di frontiera buono per ogni illegalità, costose spese militari e sanguinose imprese belliche. A che serve l’Alleanza atlantica se non a questa sudditanza? Se non a confermare, come per la strage del Cermis del 1998 e il caso del marine Mario Lozano che nel marzo del 2005 uccise Nicola Calipari e ferì la nostra Giuliana Sgrena nella fase più delicata della sua liberazione a Baghdad, che i militari americani godono di immunità e nessun paese può processarli anche se responsabili di crimini efferati?
Uno smacco per l’iniziativa della Guardasigilli italiana e un calcio in faccia al governo italiano. Che però, come per il caso kazako, intanto si divide e soprattutto tace. Il ministro degli esteri Bonino «prende atto» dell’accaduto a Panama e dichiara comunque di «non essere stata informata» dell’iniziativa del ministro della giustizia. E Palazzo Chigi, connivente, tace. E pensare che proprio ieri, mentre ci si aspettava una presa di posizione sul nuovo affare panamense, il ministro Alfano sinistramente tuonava che invece «lo Stato c’è, lo Stato non arretra». Ma altro che dichiarazione di indipendenza verso l’alleato Usa. Era la dura, quanto fantozziana minaccia contro il Movimento No Tav della Val Susa che anche in piena estate scende in piazza per protestare e viene duramente represso. Una costante c’è nei governi italiani: deboli con i prepotenti, violenti con i deboli.

ONU / ITALIA – RAZZISMO . Nazioni unite contro il senatore leghista per gli insulti a Kyenge L’Onu: «Calderoli choc» – Giuseppe Grosso . «Parole assolutamente scioccanti». Così l’Onu ha definito gli insulti di Roberto Calderoli al ministro Cécile Kyenge, riportando sulla ribalta internazionale l’increscioso episodio di razzismo di cui, nei giorni scorsi, si è reso protagonista il vicepresidente del Senato. L’ennesima censura alle offese di Calderoli è arrivata da un portavoce dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Rupert Colville, che oltre a richiamare l’attenzione sulla gravità dell’episodio in sé, ha voluto rimarcare l’assurdità del fatto che l’autore delle frasi ingiuriose fosse un rappresentante delle istituzioni: si tratta di «un insulto ancora più scioccante se a formularlo è una persona che è stata ministro del governo in passato e che riveste un ruolo importante», ha aggiunto.
Nonostante le dure critiche, Colville ha voluto rilevato la positività del «grande dibattito» che ha scatenato in Italia l’accesso razzista di Calderoli e ha definito «incoraggianti» i messaggi di solidarietà arrivati da più parti nei confronti del ministro per l’Integrazione e le condanne piovute (quasi) unanimemente sul senatore del Carroccio. La reprimenda dell’Onu non è tuttavia bastata ad un completo ravvedimento dei leghisti. Maroni, intervenuto ancora una volta in difesa del compagno di partito, ha cercato di minimizzare, ribaltando i ruoli e cucendosi addosso i panni della vittima: «Non è l’Onu. Lo sappiamo chi è, sono quelli che continuavano a criticare il sottoscritto per la lotta all’immigrazione clandestina. Per noi il caso è chiuso», ha troncato il governatore della Lombardia.
Non è esattamente così, invece: dal Financial Time arriva un esplicito invito ad una purga antirazzista in seno al governo: «L’Italia deve cacciare i suoi politici razzisti» si legge come titolo ad un commento apparso sul quotidiano economico. Kyenge, come al solito, prova a stemperare le polemiche, dando prova di un buon senso evidentemente mal ripartito tra gli esponenti del governo: «quello con Calderoli – ha dichiarato ieri il ministro – «non è stato un caso personale. Questa vicenda va oltre Calderoli. Bisogna capire – ha spiegato Kyenge – che ruolo ha la comunicazione per una persona che vive all’interno delle istituzioni. Le parole hanno un peso – ha ribadito il ministro – e anche quando si esce dal ruolo istituzionale credo sia possibile mantenere lo stesso comportamento. Questo è il punto – ha proseguito. Noi siamo responsabili sia dentro che fuori dalle istituzioni, almeno per tutto il periodo che rivestiamo una carica di rappresentanza, e probabilmente l’Onu si è richiamato a questo». Parole sacrosante che colpiscono nel centro di questa triste vicenda. «Le parole sono importanti» diceva Nanni Moretti in un suo famoso film. Se le pronuncia un rappresentante dello stato lo sono mille volte di più.
ROMA – Il tagliando di Epifani agita larghe intese / Franceschini a Epifani: ‘L’esecutivo si rafforza andando avanti con i punti programmatici’ / Il Pd alza nuovamente il tiro su Angelino Alfano e il governo, mettendo altra benzina sul fuoco della tensione con i Pdl. Dopo l’ipotesi di un ‘tagliando a settembre’, il segretario dei democratici Guglielmo Epifani evoca un esecutivo ‘più forte’ e con ‘un profilo più autorevole’ ovvero, si traduce dal Pdl, un ‘rimpasto’ senza Alfano. Uno scenario che, al momento, non sembra rientrare in quello che Enrico Letta sta disegnando. Tant’é che, tramite il ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, fa sapere che all’orizzonte non è previsto alcun rimpasto. "In molti – spiega Franceschini – a cominciare dal Segretario del Pd Epifani, hanno giustamente parlato di un’esigenza di rafforzare il governo. Questo lo vogliamo soprattutto noi che ne facciamo parte ma l’obiettivo si raggiunge lavorando sui punti programmatici che governo e maggioranza insieme si sono dati, a cominciare dalla conversione dei 6 decreti legge già in parlamento e dalle norme in preparazione su Imu, Iva, ammortizzatori sociali e esodati". Il premier, dopo il voto di ieri al Senato ( che considera come una nuova fiducia al suo esecutivo) lascia trapelare di essere sereno, preferendo ‘andare avanti’, e di volersi concentrare sulla attuazione del programma di governo che – spiegano fonti a lui vicine – ha intenzione di "elaborare con il massimo coinvolgimento dei gruppi parlamentari". Si infuria, invece, il Pdl contro i Dem. I parlamentari danno vita ad una batteria di dichiarazioni durissime nei confronti di Epifani per difendere il ‘proprio’ segretario: "Mettersi a parlare a luglio di un ‘tagliando’ o di ‘rimpasto’ – minaccia Fabrizio Cicchitto – significa sbagliare strada e infilarsi in un vicolo cieco". Gli fa eco Brunetta: ‘No a rimpasto ma volare alto’. Sullo sfondo ci sono sempre le tensioni interne al Partito Democratico. Le parole di Epifani, infatti, avevano anche l’obiettivo di far rientrare i malumori di chi, tra i democrat, auspica un passo indietro di Alfano dal ministero dell’Interno. ‘Troppi avvoltoi svolazzano sopra Letta, ma non c’è più tempo per furberie. Ci sono molti che di giorno fanno finta di sostenere il governo ma cercano in realtà di indebolirlo. Così Pier Ferdinando Casini all’assemblea Udc. Il leader politico ritiene sia sbagliato parlare di tagliando, verifiche, vertici di maggioranza, perché ‘così si indebolisce il governo. E a Pd e Pdl dice che ‘si sta in questo governo perché ci si crede’.
Zanonato, in autunno annuncio, no Imu né aumento Iva – "Penso che all’inizio dell’autunno sarà possibile annunciare che non ci sarà un punto di Iva in più e non ci sarà l’Imu sulla prima casa". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, spiegando al Tg1 che il governo sta lavorando per "stabilizzare" le misure prese prima dell’estate. Zanonato ha ricordato che il governo "non ha fatto scattare il punto di Iva in più" e ha rinviato anche la prima rata dell’Imu sulla prima casa. "Stiamo lavorando per stabilizzare queste misure", ha aggiunto, e anche grazie all’impegno del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, "stiamo raggiungendo questo obiettivo". Riguardo all’Imu, il ministro ha quindi ricordato che la sua volontà è quella di abolire la tassa non solo sulla prima casa ma anche su capannoni e edifici industriali.
Crocetta-show in direzione, tensione partito-governo – Duro affondo di Rosario Crocetta alla direzione regionale del Pd riunita a Palermo. Il governatore ha fatto irruzione a riunione in corso e prendendo la parola ha sparato a zero. Dopo avere difeso il suo movimento, il Megafono, ricordando che "furono Maurizio Migliavacca e Davide Zoggia a volere che presentassi una mia lista alle regionali", Crocetta, maglietta e giacca con una vistosa spilla col simbolo del ‘Megafono’, ha attaccato i dirigenti del partito che gli chiedono di scegliere tra il Pd e il suo Movimento (la questione è finita sul tavolo della commissione di garanzia). "Io sono e resto un dirigente del Pd – ha detto il governatore – Il Megafono non è un partito, ma una idea".
"Sfidare Renzi? Vediamo…". A dirlo è Rosario Crocetta, che sta meditando di candidarsi alla segreteria del Pd per il dopo-Epifani. Non vuol dire altro il governatore della Sicilia, che intanto, durante il suo intervento alla direzione del Pd siciliano, ha lanciato la candidatura alla segreteria regionale di Nelli Scilabra, giovane assessore alla Formazione nella sua giunta, in prima linea nella battaglia contro gli sprechi nel settore, finito al centro di una inchiesta della Procura di Messina che coinvolge il deputato democratico Francantonio Genovese (indagato), alcuni suoi familiari, e diversi esponenti del Pd, sospesi dal partito.

ROMA – Venerdì Grasso – di Marco Bascetta / Si dice che il maligno si nasconda nei dettagli. Ma nei dettagli soprattutto si rivela. Non tanto negli insulti o nelle diffamazioni che occupano le prime pagine dei giornali o la sfera dell’indignazione istituzionale, quanto in qualche parola che, piovuta dal galateo della politica, ne mette in evidenza i lati più oscuri. Uno dei quali è la sacralizzazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la cui natura divina si era già rivelata nella sua miracolosa resurrezione politica. La seconda carica sacerdotale dello stato, il presidente del senato Grasso, ci diffida ora non solo dal pronunciare il suo nome invano, ma dal pronunciarlo punto e basta. Il blasfemo di turno, un senatore del Movimento 5 stelle, nel corso di un intervento pacato fino alla noia, aveva osato niente meno che riferire piattamente di un intervento del presidente, riportandone addirittura tra virgolette le parole. Per ben due volte Grasso lo ha interrotto per ricordare l’impronunciabilità del sacro nome. Napoleone si voleva imperatore per «grazia divina e volontà della nazione». A più di due secoli da allora è solo la prima ad essere rimasta decifrabile. In fondo il carattere del sacro è di non avere alternative che non coincidano con il Male. NULLA SALUS EXTRA ECCLESIAM, che tradotto nella neo lingua della politica italiana vuol dire «nessuna salvezza fuori dalle larghe intese» e contro papa Giorgio che le benedice e le guida.

VATICANO
CITTA DEL VATICANO – ANONYMOUS RIO DE JANEIRO / La visita di Papa Bergoglio è costata 82 milioni di dollari / In occasione della visita di papa Bergoglio – dal 22 al 28, per le giornate mondiali della Gioventù – sulla sua pagina Facebook, il gruppo Anonymous Río ha invitato a manifestare lunedì contro gli sprechi di denaro pubblico (82 milioni di dollari). Il vicesindaco della città di Niteroi, Axel Grael, ha per parte sua protestato contro il taglio di oltre 300 alberi secolari in un parco nazionale, deciso per consentire a 800 pellegrini di assistere a una prevista messa del pontefice argentino.
Una manifestazione contro «la criminale deforestazione», che si è svolta davanti alla residenza del governatore di Rio de Janeiro, Sergio Cabral, è stata dispersa dalla polizia. All’inizio del mese, le autorità di Rio hanno ricevuto una richiesta per eliminare 11 alberi di cocco nella spiaggia di Leme, dov’è prevista un’altra funzione papale. Il permesso è prima stato concesso e poi ritirato per la protesta del sindaco Eduardo Paes.

DEMOCRAZIA – L’appello di un teologo della liberazione ai movimenti e alle forze politiche per i beni comuni / La chiesa di strada ascolta le città ribelli del Brasile – di Marcelo Barros / Istituire un’anarchia in parte spontanea non eviterà il rischio di cadere sempre più in basso Perché i manifestanti hanno ignorato la proposta di una consultazione popolare? Stretto collaboratore del teologo Hélder Câmara, Marcelo Barros chiede al governo federale, agli stati e ai municipi la creazione di «strumenti per il dialogo con la popolazione organizzata» Per chi desidera una società più giusta, è bello vedere i brasiliani occupare le strade non solo per celebrare il carnevale o commemorare le vittorie del calcio, ma anche per manifestare scontento per gli aspetti negativi che affliggono il paese. Nessuna persona sensata è comunque a favore del vandalismo e della violenza. E sembra che questi abusi siano stati commessi da individui e gruppi che non facevano parte delle manifestazioni.
La polizia ha reagito con estrema violenza, e questo ha provocato ancor di più il sentimento di rivolta dei manifestanti, che hanno più motivi per protestare. È ancora prematuro trarre conclusioni e comporre un’analisi completa di tutte le manifestazioni che si sono succedute. Ma si può dire che la società ha il diritto di manifestare la sua insoddisfazione ed esigere cambiamenti concreti per tutto quello che riguarda gli interessi della collettività. Chi governa ha ricevuto il mandato per dirigere questo paese, e deve al contempo informare in modo trasparente gli elettori. Rappresentarli non significa sostituirsi a loro e tanto meno ignorarli o disprezzare il sentimento popolare.
Le grandi manifestazioni in quasi tutte le città del Brasile rappresentano i livelli d’insoddisfazione che alcuni settori della società intendono esprimere nei confronti del governo del PT, del potere legislativo – sempre invischiato in casi di corruzione – e del potere giudiziario che è fin troppo compromesso con l’élite economica dominante. Lasciando da parte i programmi politici dei partiti e le posizioni ideologiche, è evidente che una gran parte della gioventù desidera che l’esercizio dell’autorità sia fatto in altri modi, mentre pretende coordinare tutto quello che è pubblico per amministrare il bene comune.
Le attuali istituzioni devono essere modernizzate per creare un tipo di democrazia più profonda e soprattutto popolare. In America latina, alcuni paesi come per esempio il Venezuela, l’Ecuador e la Bolivia hanno introdotto nuove costituzioni, con le quali la partecipazione popolare e l’esercizio della democrazia diretta sono stati legittimati senza escludere l’attuale sistema parlamentare. In questi paesi, la popolazione più povera ha capito che l’amministrazione pubblica ha creato meccanismi per aprire le strade della partecipazione oltreché per considerare le problematiche dei più poveri una priorità. Invece nel Brasile i progetti sociali realizzati sono sempre stati di emergenza. Motivo per cui la struttura del paese non è mai cambiata e per questo motivo il Brasile è una nazione dove le disuguaglianze sono le maggiori al mondo.La presidente Dilma Rousseff ha proposto la realizzazione di una Consultazione Popolare sulla possibilità di realizzare una nuova Assemblea Costituente con cui preparare la riforma politica, che è necessaria e urgente. I politici dell’opposizione hanno reagito con forza e le rivendicazioni dei manifestanti hanno in pratica ignorato questa proposta. Il che è abbastanza strano anche perché i manifestanti che hanno occupato le strade e le piazze del Brasile non accettano la partecipazione dei partiti politici e anche quella dei movimenti sociali organizzati. Oggi le istituzioni della democrazia brasiliana sono fin troppo fragili e, anche, imperfette. Motivo per cui distruggerle per sostituirle con un’anarchia, in parte spontanea, non ci darà buoni risultati oltre a farci correre il rischio di cadere sempre più in basso.
In India, Mahatma Gandhi affermava che «coloro che rinnegano la politica hanno il diritto di escluderla, però costoro saranno sempre governati dai peggiori politici». Le manifestazioni realizzate in Brasile fanno ricordare quelle che, in passato, si sono sviluppate nell’Africa del Nord, in Spagna e altri paesi del mondo e che per non avere una coordinazione dei movimenti sociali con progetti chiari sono stati manipolati dalla destra. Per esempio, in Spagna, la protesta di migliaia di indignados ha avuto come risultato il ritorno della destra al potere. Nell’Africa del Nord, la primavera araba ha determinato la formazione di governi fondamentalisti e con una profonda fisionomia militarista. Sarà differente in Brasile? I giornali e le reti televisive brasiliane che hanno sempre ostracizzato qualsiasi tipo di manifestazione popolare, all’improvviso, hanno cominciato ad appoggiare e a fare aperta pubblicità delle manifestazioni e dei cortei che si svolgevano nelle differenti città del Brasile. Perché questo cambiamento?
È evidente che qualcosa di strano sta realmente succedendo, poiché ancora non è il tempo il cui il lupo va al pasto con l’agnello o il leone mangia l’erba con il vitello. Dio ha sempre voluto che le persone di buona volontà fossero anche attente a quello che succede. Infatti, tutti hanno il diritto di manifestare la propria insoddisfazione per le cose sbagliate che ancora esistono in questo paese. È giusto esigere che il governo federale, quelli degli stati e dei municipi creino strumenti per il dialogo con la popolazione organizzata. È opportuno mostrare la forza della mobilitazione, non solo per criticare quello che non si vuole, ma, soprattutto per affermare quello che si propone. Non si deve però scambiare una democrazia – anche se imperfetta e con difetti – con il caos.
Non lasciatevi strumentalizzare dai politici di sempre, i movimenti sociali organizzati e i rappresentanti della società civile, le associazioni di quartiere fino ai partiti politici devono considerarsi convocati per fare parte e promuovere l’evoluzione delle proposte per la costruzione di un Brasile più giusto ed egualitario. Per chi è cristiano, quanto più ampio è l’esercizio della cittadinanza, maggiore sarà la testimonianza per la realizzazione del progetto divino nel mondo: un amore divino che non rimane chiuso in noi stessi, ma che si riflette nelle strade e nelle piazze del paese quando lottiamo per la pace e la giustizia in modo pacifico.
* Monaco benedettino brasiliano, autore de Il Vangelo che libera (Emi, 2012). traduzione H. De Figuereido

EUROPA
GRAN BRETAGNA
LONDRA – Morire di Taser – Li chiamano anche manganelli elettronici ma non c’è bisogno del contatto fisico per tenere a bada il "nemico". Con il Taser è sufficiente mirare e premere per immobilizzare il soggetto. Ma un’inchiesta del Guardian rivela che la polizia britannica, nonostante sia sconsigliato, continua a puntare il Taser direttamente al petto, con il rischio di arresto cardiaco. La stessa ditta produttrice consiglia di «evitare di mirare alla zona del torace vicino al cuore, per ridurre il rischio di potenziali lesioni gravi o morte». Eppure nel 57 per cento dei casi i hobby preferiscono puntare al petto, e nel caso della polizia di Gwent la percentuale di colpi al cuore è dell’82 per cento. Dal 2004 a oggi sono dieci i decessi correlati all’uso di Taser. L’ultimo, lo scorso 10 luglio: la vittima, Jordan Begley, aveva 23 anni.
LONDRA – CASO MANNING / Assange fonda «Wikileaks 5 stelle» . Confinato a Londra nell’ambasciata dell’Ecuador Julian Assange ha lanciato ieri il «Wikileaks Party», che si basa su uno spirito antipolitico, un uso spregiudicato di internet e delle nuove tecnologie e su candidati agguerriti scelti fra attivisti, giornalisti e accademici. Qualcosa di abbastanza simile al movimento 5 stelle di Grillo. Negli Stati uniti invece l’uomo che ha svelato al mondo la verità sui conflitti in Iraq e Afghanistan e le relazioni come minimo «torbide» di Washington con vari paesi del mondo rischia il carcere a vita.
Nel momento in cui passava migliaia di documenti segreti a Wikileaks, il soldato Bradley Manning sapeva «esattamente» quello che faceva e sapeva che stava «aiutando il nemico». L’arringa del processo militare contro il soldato americano di 25 anni che passò al sito di Assange i cablo top secret sulle guerre e la diplomazia Usa termina con la richiesta del carcere a vita per l’accusa più grave: «intelligenza col nemico». Cresce però negli Stati uniti un timido movimento a sostegno del soldato. Tanto che proprio ieri sul «New York Times» è apparsa una pagina pubblicitaria che chiedeva la liberazione del militare.

BRUXELLES – L’Europa sceglie ancora l’austerity / Bilancio UE: un ulteriore passo falso. di Sergio Cofferrati. Credo che l’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento europeo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 sia insoddisfacente e inadeguato alla situazione di estrema difficoltà di molti cittadini europei. Di fronte a una situazione che richiederebbe risposte straordinarie, fatte soprattutto di investimenti nell’economia reale per far ripartire la crescita, ci si limita all’ordinaria amministrazione. Anzi, a qualcosa in meno. Con il risultato di aggravare la situazione innescando una spirale recessiva inevitabilmente contagiosa. Ho più volte sostenuto che dalla crisi si potesse uscire solo con un maggiore ruolo dell’Europa ed evidentemente di segno diverso. In questo senso un accordo al ribasso sul quadro finanziario dei prossimi anni rappresenta la più grande occasione sprecata per quella netta inversione di tendenza che sarebbe stata necessaria. Per questo ho deciso di non sostenerlo. Il bilancio pluriennale concordato è anzitutto di dimensione complessiva assolutamente insufficiente: non è stato infatti aggiunto un euro al bilancio che il Consiglio europeo aveva concordato a febbraio e a cui il Parlamento aveva negato la sua approvazione.
in fondo a sinistra
Per quanto riguarda la possibilità per l’Unione europea di finanziarsi autonomamente senza dipendere dal trasferimento di risorse da parte degli Stati membri, l’iniziale proposta coraggiosa della Commissione è stata svuotata e rimandata ad un incerto futuro. Certamente sono presenti nell’accordo anche elementi migliorativi come l’impegno del Consiglio a risolvere il rischio di deficit per il bilancio dell’Unione, che derivava dalle risorse insufficienti messe a disposizione per i pagamenti del 2013.0 la possibilità di anticipare l’utilizzo di alcuni fondi e maggiore flessibilità nei pagamenti, per assicurare che le risorse non spese possano essere utilizzate. Ma questi elementi non possono cambiare la valutazione complessiva dell’accordo che resta decisamente negativa. Questo quadro finanziario pluriennale rappresenta ancora una volta l’incapacità delle istituzioni europee a maggioranza conservatrice di prendere quelle scelte coraggiose che la difficilissima situazione economica richiederebbe. Aggiunge austerità ad austerità e ci allontana da una auspicata maggiore integrazione. Un ulteriore pericoloso passo falso nel difficile percorso per uscire dalla crisi economica.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
Bahrain / SI RADICALIZZA LA MOBILITAZIONE CONTRO LA MONARCHIA ASSOLUTA / Stretta repressiva in un paese sull’orlo della sollevazione – di Michele Giorgio / Arresti e attentati nell’emirato. Timore per un nuovo intervento della guardia speciale Si radicalizza la lotta dei bahraniti. Cresce di intensità anche la repressione attuata dalla monarchia assoluta. Ieri il raggruppamento che include i principali partiti dell’opposizione – Al Wefaq, Waad, Al Qawmi e Wahdawy – ha diffuso un comunicato di forte condanna delle nuove gravi restrizioni alla libertà di manifestazione pubblica del dissenso contro re Hamad bin Isa al Khalifa. «Non ci viene più consentito di scendere in strada a Manama. Il 19 luglio il regime ha vietato due raduni pacifici nella capitale senza alcun motivo. Il diritto a protestare è garantito dalle leggi internazionali e non può essere vietato da qualsiasi autorità», denunciano le principali formazioni dell’opposizione. Tuttavia questo linguaggio morbido non soddisfa più il movimento giovanile bahranita, deluso dai leader dell’opposizione che hanno creduto alle promesse di riforme o fatte dalla monarchia di fronte all’accampamento di protesta a Piazza della Perla, nel febbraio-marzo 2011 (simile a quello di Piazza Tahrir al Cairo), spazzato via dalla polizia con l’aiuto delle unità speciali inviate dall’Arabia saudita.
Lo scontro, comunque, si fa più acceso, assumendo sempre più il carattere di un conflitto settario tra la minoranza sunnita al potere e la maggioranza sciita, da sempre discriminata in economia e in politica. Ad alimentare il settarismo è proprio re Hamad che descrive le manifestazioni come «un progetto di Tehran volto ad espandere lo sciismo iraniano nella regione». Tesi che convince gli altri petromonarchi del Golfo schierati contro l’Iran e offre un appiglio agli Stati Uniti che si guardano dal fare pressioni sul fedele alleato re Hamad che in Bahrain ospita l’importante base della V Flotta americana.
Domenica la polizia ha arrestato i tre presunti responsabili del lancio (senza danno) di una bomba contro una moschea sunnita, l’ultimo di una serie di attacchi con bottiglie molotov e ordigni rudimentali che prendono di mira soprattutto i commissariati e le forze di sicurezza nei centri abitati sciiti. Qualche giorno fa è stata colpita per la seconda volta in pochi giorni la casa dell’influente deputato Abbas Isa al-Madi. Non ci sono state vittime ma i segnali sono inequivocabili. «È sempre più arduo tenere sotto controllo giovani che non vogliono vivere come i loro padri e nonni, discriminati e privati di diritti fondamentali. La repressione sta aggravando il clima», spiega al manifesto la giornalista e attivista dei diritti umani Reem Khalifa.
Tutti ora attendono il 14 agosto, data della «chiamata» alla sollevazione popolare da parte del neonato movimento «Tamarod», analogo a quello egiziano che il 30 giugno ha organizzato al Cairo e in altre città gigantesche manifestazioni contro il presidente islamista Mohammed Morsi, sfociate poco dopo nel colpo di stato militare. Il 14 agosto è anche l’anniversario della partenza dei britannici dal Bahrain, nel 1971, ma i sovrani al Khalifa, in omaggio ai colonizzatori loro storici protettori, hanno invece scelto come data del Giorno dell’Indipendenza il 16 dicembre.
Il Bahrain però non è l’Egitto. Nel piccolo arcipelago le forze armate e di sicurezza sono composte in buona parte da mercenari sunniti di vari Paesi (persino del Pakistan) pagate per servire la monarchia. Senza contare che l’Arabia saudita è pronta ad intervenire di nuovo per spazzare via qualsiasi sogno di libertà e uguaglianza. Governo e polizia hanno ammonito la popolazione dal prendere parte alla sollevazione chiesta da Tamarod-Bahrain. «Reagiremo nella maniera idonea a qualsiasi piano volto a mettere a rischio la sicurezza e la stabilità del Paese», ha avvertito il ministero dell’interno. Ma il sostegno a Tamarod-Bahrain cresce sia tra le forze di opposizione moderate, come al Wefaq, che tra quelle più radicali che chiedono l’instaurazione della Repubblica, come sostiene al Haq di Hassan Mushaimeh (arrestato due anni fa e condannato all’ergastolo)

DUBAI – Norvegese stuprata a Dubai, condannata 16 mesi carcere la pena, 13 per stessi reati allo stupratore / Aveva subito violenza sessuale da un collega di lavoro durante una missione a Dubai e, malgrado l’avessero sconsigliata dal farlo, lo aveva denunciato alla polizia. Risultato: è stata condannata a 16 mesi di reclusione per rapporti sessuali fuori dal matrimonio dalla giustizia degli Emirati arabi uniti. L’incredibile vicenda è quella di una donna norvegese di 24 anni, Marte Deborah Dalelv, che dal 2011 lavora come designer d’interni nel Qatar. Attualmente è a piede libero, su interessamento dell’ambasciata norvegese, ma dopo la sua denuncia in marzo era stata anche arrestata. La condanna risale a mercoledì, ma solo oggi la donna è uscita allo scoperto per denunciare l’assurdità della sua vicenda e anche per mettere in guardia gli occidentali, turisti o lavoratori residenti. L’atmosfera rutilante, favorevole agli affari che fanno di Dubai una delle città più cosmopolite del Medio Oriente nasconde una legislazione fra le più conservatrici e fedeli ai dettami dell’Islamo. Il codice penale prevede che per dimostrare uno stupro siano necessari o una piena confessione dell’imputato oppure la deposizione di almeno quattro testimoni maschi presenti ai fatti. Non sospettando questa realtà, Marta racconta ai media di essersi subito rivolta al personale dell’albergo chiedendo di chiamare la polizia perché era stata violentata. Lo stupro denunciato era avvenuto durante un party serale coi colleghi al termine di una riunione di lavoro. "E’ sicura di voler coinvolgere la polizia?" le avrebbe chiesto il portiere di turno, secondo quanto riportato dal sito Usa dell’ Huffington Post. "Certo che voglio chiamare la polizia. Questo è quello che si fa dalle mie parti", ha replicato lei. Nei tre giorni successivi si è ritrovata in stato di fermo, sottoposta ad una visita ginecologica, ad analisi del sangue per verificare la presenza di alcool – la legislazione lo proibisce, anche se la prassi quotidiana lo tollera se consumato lontano dagli occhi delle autorità – e a un lungo interrogatorio. Nel frattempo, dopo una sua disperata telefonata al patrigno in Norvegia l’ambasciata di Oslo negli Emirati l’ha fatta rilasciare, a patto che restasse confinata presso il Centro per i marittimi norvegesi a Dubai, che l’ha ospitata. Mercoledì il tribunale ha emesso la sentenza: 16 mesi per "adulterio, spergiuro e consumo di alcol" per lei, mentre l’uomo da lei denunciato ha avuto 13 mesi per le stesse accuse. "Questa sentenza è un pugno in faccia alla nostra nozione di giustizia" ed è "altamente problematica dal punto di vista dei diritti umani", ha dichiarato il ministro degli esteri norvegese, Espen Barth Eide, mentre le associazioni di difesa dei diritti umani si sono mobilitate. Il Centro degli Emirati per i diritti umani, con base a Londra, ha denunciato la legge del Paese del golfo che "impedisce alle donne di ottenere giustizia nei casi di violenza sessuale". Da mercoledì lei è anche ufficialmente ricercata, anche se "mi hanno assicurato – racconta – che non mi stanno cercando". Ora dovrà aspettare settembre per il processo d’appello

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
Otto argomenti contro Rudd /Klaus Neumann, Inside Story. I provvedimenti annunciati da Kevin Rudd sono criticabili per almeno otto ragioni. Primo, l’Australia accoglie solo una piccola frazione degli sfollati del mondo e ora intende sottrarsi alle responsabilità che si è assunta con la convenzione dell’Orni sui rifugiati scaricando i richiedenti asilo su un paese afflitto dalla povertà. Secondo, non c’è garanzia che la Papua Nuova Guinea possa offrire assistenza e una sistemazione a un gran numero di persone che per cultura, lingua, etnia e religione hanno poco in comune con i suoi abitanti. La Papua Nuova Guinea, attualmente al 156° posto nella graduatoria dello sviluppo umano stilata dalle Nazioni Unite (154 posizioni sotto l’Australia), non ha le risorse necessarie per farlo. Terzo, accogliendo i richiedenti asilo dell’Australia, la Papua Nuova Guinea aggraverebbe il suo annoso problema dei rifugiati, arrivati a migliaia dalla Papua Occidentale negli anni ottanta. Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, Ih stragrande maggioranza di loro non e riuscita a integrarsi.
Quarto, i richiedenti asilo dissuasi dal raggiungere l’Australia potrebbero tentare la sorte altrove. La nuova politica di Rudd chiude una via d’accesso ma non impedisce di intraprendere rotte rischiose come la traversata dall’Indonesia a Christmas island. Quinto, la Papua Nuova Guinea chiede molto in cambio. Ma questa grande iniezione di denaro nella sua economia non andrà necessariamente a vantaggio dei cittadini. Quindi la tesi secondo cui l’accordo con l’Australia servirà a migliorare la sanità e l’istruzione in Papua Nuova Guinea fa acqua. Sesto, la reputazione dell’Australia, soprattutto nella regione, ne soffrirà, non da ultimo perché sarà accusata di venir meno agli obblighi contratti in base al diritto internazionale. Settimo, la politica adottata dal governo australiano incoraggerà i cittadini a pensare di avere ogni diritto e ragione di temere l’arrivo dei boatpeople. Infine, a giudicare dall’esperienza degli ultimi dodici mesi, questa nuova politica rischia di non raggiungere l’obiettivo, cioè fermare gli sbarchi.

CINA
PECHINO . ordigno esplode in aeroporto / Un uomo, disabile, ferito in modo non grave, avrebbe fatto esplodere un ordigno rudimentale – Secondo la tv di Stato Cctv, l’esplosione al terminal 3 dell’aeroporto di Pechino sarebbe frutto d’un attentato compiuto da un uomo di 34 anni della provincia dello Shandong, di nome Ji Zhongxing. L’ uomo sarebbe rimasto ferito e sarebbe ricoverato in ospedale. L’esplosione si è verificata alle 18,40 locali (le 12,40 in Italia). L’attentato non avrebbe fatto altre vittime. La polizia di Pechino ha confermato che l’uomo ha fatto esplodere un ordigno rudimentale costruito con materiale usato di solito per i fuochi d’ artificio. Ji è ferito ma non in modo grave. Un testimone oculare ha affermato che l’ uomo è rimasto a lungo vicino ad una delle uscite dell’ aeroporto ma che nessuno sembrava dargli ascolto. Ji, un disabile, si sarebbe lamentato dei maltrattamenti subiti da parte della polizia locale di Dongguan, nel sud del Paese.

GIAPPONE
TOKYO – VITTORIA PER IL PREMIER ABE. CONTROLLA ENTRAMBE LE CAMERE / La coalizione che sostiene il presidente del Consiglio ha ottenuto almeno 74 dei 122 seggi in palio. "La dei loro effetti". Fra gli obiettivi anche la modifica della Costituzione. Rieletto anche l’ex stella del wrestling giapponese Antonio Inoki – La coalizione del premier giapponese, Shinzo Abe, ha vinto in modo netto le elezioni per metà della Camera alta. In base a un exit poll della NHK, il Partito liberaldemocratico e gli alleati del New Komeito hanno ottenuto 74 dei 122 seggi in palio. Questo permetterà a Abe di potere far approvare la sua agenda di riforme economiche. Secondo le previsioni il partito liberaldemocratico ha vinto 64 seggi, che uniti ai 50 che aveva già prima delle elezioni porta a un totale di 114. Secondo le previsioni il partito di opposizione Partito democratico perde circa 30 seggi.
Entrerà in parlamento anche l’ex stella del wrestling giapponese Antonio Inoki, 70 anni, famoso in Italia anche per essere stato tra i protagonisti della serie di cartoni animati ‘Uomo Tigre’. E’ stato rieletto senatore nella quota proporzionale per il Restoration Party. "Sono felice, mi occuperò di energia e agricoltura, temi che conosco", ha detto durante i festeggiamenti. Inoki ha fatto già parte della Camera Alta nel 1989, in rappresentanza del Sports Peace Party, formazione politica ora scomparsa. Durante il suo mandato parlamentare, si adoperò nel 1990 per il rilascio degli ostaggi giapponesi in Iraq, durante la Guerra del Golfo.
"E’ un voto per la stabilità e per il rilancio – ha detto Abe, commentando in un’intervista alla tv Nhk l’esito del voto – . La priorità è dare rapida efficacia alle politiche economiche in modo che le persone possano beneficiare dei loro effetti, col miglioramento del tenore di vita, l’aumento dei consumi e degli investimenti da parte delle società".
Per Abe si presenta l’occasione per accelerare l’attuazione della Abenomics, le ‘tre frecce’ delle misure studiate per spingere il paese fuori dalla deflazione quasi ventennale, grazie alla politica monetaria espansiva, alla politica fiscale e alle riforme strutturali per la crescita sostenibile sul lungo termine.
Il premier ha anche l’intenzione di affrontare il nutrito dossier dei rapporti con Cina, Corea del Sud e del Nord, nonché dei propositi di modifica della riforma della costituzione e della riapertura delle centrali nucleare, malgrado la gravissima crisi irrisolta di Fukushima. Sul cambio della Costituzione, il primo passo è cambiare l’art.96, allentando le rigide procedure da seguire sui progetti di riforma. "Cercheremo di discutere, a partire dal Restoration Party (ndr quello co-guidato dai nazionalisti-populisti Toru Hashimoto, sindaco di Osaka, e Shintaro Ishihara, ex governatore di Tokyo) che ha idee simili alle nostre", ha osservato il premier, in merito al proposito di dare, tra l’altro, alle Forze di Autodifesa la dignità di Forze armate vere e proprie.
La coalizione al potere Liberaldemocratici-New Komeito ha ottenuto la maggioranza alla Camera Alta, ma non quella dei due terzi per intervenire sulla Costituzione in autonomia. Quanto alle visita al santuario Yasukuni, in occasione del 15 agosto, il giorno in cui si ricorda la sconfitta del Giappone alla Seconda guerra mondiale, Abe ha spiegato che "è normale onorare i propri caduti, ma sulla questione pendono questioni diplomatiche e non intendo dare alcuna indicazione ora

AMERICA CENTROMERIDIONALE
BRASILE
RIO DE JANEIRO – UN PAPA «LIBERATORE» – di Leonardo Boff / È azzardato fare un bilancio del pontificato di Francesco, è passato ancora troppo poco tempo per averne una visione d’insieme. In una sorta di lettura braille, che coglie solo i punti rilevanti, potremmo qui elencarne alcuni.
1. DALL’INVERNO ECCLESIALE ALLA PRIMAVERA: veniamo da due pontificati che sono stati caratterizzati da un ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine. Tale strategia ha dato luogo a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative. Con Papa Francesco, venuto da fuori della vecchia cristianità europea, dal Terzo Mondo, è arrivata una ventata di speranza, di sollievo, di allegria di vivere e pensare la fede cristiana. La Chiesa è tornata ad essere una casa spirituale.
2. DA FORTEZZA A CASA APERTA: I due Papi precedenti avevano lasciato l’impressione che la Chiesa fosse una fortezza, accerchiata da nemici dai quali avremmo dovuto difenderci, in particolare il relativismo, la modernità e la post-modernità. Papa Francesco ha detto chiaramente: «Chi si avvicina alla Chiesa deve trovare porte aperte, non dei doganieri della fede»; «Preferisco una Chiesa incidentata perché è uscita in strada a una Chiesa malata perché chiusa». Più fiducia, quindi, e meno paura.
3. DA PAPA A VESCOVO DI ROMA: tutti i Pontefici precedenti si consideravano Papi della Chiesa universale, portatori del supremo potere su tutte le altre chiese e su tutti i fedeli.
Francesco preferisce definirsi vescovo di Roma, recuperando la memoria più antica della Chiesa. Vuole presiedere nella carità e non come previsto dal diritto canonico, considerandosi solo il primo tra uguali. Rifiuta il titolo di Sua Santità, ricordando che «siamo tutti fratelli e sorelle». Si è spogliato di tutti i titoli di potere e onorifici. Il nuovo Annuario Pontificio appena uscito, sulla cui pagina iniziale dovrebbe esserci il nome del Papa con tutti i suoi titoli, reca semplicemente: Francesco, vescovo di Roma.
4. DAL PALAZZO AL CONVITTO: il nome Francesco è più che un nome, sta a indicare un altro progetto di Chiesa sulle orme di San Francesco d’Assisi: «Una Chiesa povera per i poveri», come ha detto, umile, semplice, con «l’odore delle pecore» e non dei fiori dell’altare. Per questo ha lasciato il palazzo apostolico per andare a vivere in un convitto, in una camera semplice, e mangia alla mensa con gli altri ospiti.
5. DALLA DOTTRINA ALL’ESPERIENZA: Francesco non si presenta come dottore, ma come pastore. Parla partendo dalla sofferenza umana, dalla fame nel mondo, dagli immigrati africani sbarcati a Lampedusa. Denuncia il feticismo del denaro e il sistema finanziario mondiale che martirizza interi Paesi. Con questi atteggiamenti riprende le basi della teologia della liberazione, senza bisogno di citarla. Dice: «Oggi come oggi, se un cristiano non è un rivoluzionario, non è cristiano; deve essere rivoluzionario per la grazia». E continua: «Coinvolgersi in politica è un obbligo per il cristiano, perché la politica è una delle forme più alte di carità». E alla Presidente Cristina Kirchner ha detto: «È la prima volta che abbiamo un Papa peronista», non ha infatti mai nascosto la sua simpatia per il peronismo. I Papi precedenti gettavano una luce sospetta sulla politica, adducendo un’eventuale ideologizzazione della fede.
6. DALL’ESCLUSIVITÀ ALL’INCLUSIONE: i Papi precedenti, e in particolar modo Benedetto XVI, hanno enfatizzato l’esclusività della Chiesa Cattolica, unica erede di Cristo, al di fuori della quale si è a rischio di perdizione. Francesco, il vescovo di Roma, preferisce il dialogo tra le Chiese in una prospettiva di inclusione anche con le altre religioni, per rinsaldare la pace mondiale.
7. DALLA CHIESA AL MONDO: I Papi precedenti davano centralità alla Chiesa, rafforzandone le istituzioni e le dottrine. Per Papa Francesco i punti cardine sono: il mondo, i poveri, la tutela della Terra e l’attenzione nei confronti della vita. La questione è: come le Chiese aiutano a difendere la vitalità della Terra e il futuro della vita?
Come si percepisce, sono un nuovo vento, una nuova musica, nuove parole per i vecchi problemi, che ci permettono di pensare ad una nuova primavera della Chiesa.
LEONARDO BOFF è teologo, autore di Francisco de Assis e Francisco de Roma, Editora Mar de Ideias, Rio 2013. Traduzione di Flora Misitano

BRASILIA – WELFARE «Dilma parla poco con i movimenti, le sinistre ascoltino i giovani»
INTERVISTA Vera Masagao Ribeiro (Associazione delle Ong brasiliane)- di Geraldina Colotti «Dobbiamo creare un nuovo modello di cooperazione orizzontale», dice al manifesto Vera Masagao Ribeiro, direttrice esecutiva dell’Associazione delle Ong brasiliane. Un organismo che riunisce tutte le organizzazioni senza fini di lucro «che lottano per cause umanitarie, per i diritti civili o per l’ambiente». Ribeiro è venuta in Italia per partecipare al seminario italo-brasiliano «Un’altra economia, un altro Welfare», organizzato a Roma dalla vicepresidente della Camera, Marina Sereni. Per l’occasione è stato presentato il programma Brasil Proximo che vede impegnate cinque regioni italiane – Umbria, Marche, Toscana, Emilia Romagna e Liguria.
COSA INTENDE PER "COOPERAZIONE ORIZZONTALE"? CHE PESO HANNO LE ONG NELLA REALTÀ DEL PAESE?
Secondo un ultimo censimento, vi sono 290.000 Ong sparse su tutto il territorio. Il 70% è composto da volontari, una parte svolge lavoro filantropico negli ospedali, negli asili, poi c’è un gruppo più attivo: organizzazioni di cittadini che fanno un lavoro più partecipativo, hanno anche una funzione di controllo del governo rispetto all’uso del denaro pubblico. Sono nate durante la dittatura militare con il supporto della cooperazione internazionale, anche di quella italiana. Ora, però, con lo sviluppo economico del paese questa cooperazione internazionale inizia a uscire di scena e noi dobbiamo fare un lavoro diretto. E questo tipo di organizzazioni ha difficoltà perché non ha mezzi propri. Per questo abbiamo bisogno di creare una legislazione appropriata che consenta di unire conoscenze e risorse di paesi ricchi e poveri in un nuovo modello di cooperazione.
QUAL È IL RUOLO DELLE CHIESE?
Il Brasile è prevalentemente cattolico, il peso della chiesa cattolica resta preponderante rispetto alle altre religioni che si vanno espandendo. La sua influenza nel sociale – soprattutto nel campo filantropico e della solidarietà – è forte, per via del ruolo speciale che ha svolto durante la dittatura militare, alleandosi alle forze progressiste per lo sviluppo di politiche sociali. La nostra associazione difende però la laicità dello stato e i diritti civili – come quelli dei gay o delle prostitute – e per questo un po’ di conflitto c’è.
IL TERZO SETTORE IN ITALIA HA AVUTO ANCHE UN RUOLO DI SUPPLENZA NELLA DISMISSIONE DELLO STATO RISPETTO AL WELFARE. PENSA CHE SIA UN MODELLO DA SEGUIRE?
C’è una discussione in corso anche da noi. Io penso che non si debba esternalizzare, il servizio dev’essere pubblico. I gruppi autonomi possono intervenire, ma la gestione di determinati settori, come la cultura o le carceri, deve rimanere completamente dello stato. Alcune esperienze realizzate dalle ong in piccola scala, per esempio quelle per sperimentare nuove tecnologie sociali, possono poi diventare pubbliche ed essere prese in carico dallo stato al 100%. Un sistema di raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana che ha funzionato molto bene nel nord-est è stato trasformato in politica pubblica dal governo Lula. Il problema si situa spesso a livello dei governi federali. Noi agiamo con molta forza anche a livello internazionale per la difesa dell’ambiente, cerchiamo di farci sentire in occasione dei Forum mondiali, esigiamo trasparenza nella gestione dei soldi pubblici.
IL BRASILE È ATTRAVERSATO DALLA PROTESTA SOCIALE. QUAL È LA SUA LETTURA?
Dilma non ha il carisma di Lula, è un’amministratrice, una tecnica, parla poco con i movimenti sociali, ha puntato più sull’efficienza che sul dialogo. Le manifestazioni sono state un grido della società contro la politica tradizionale, contro l’esecutivo e il legislativo che viene visto malissimo (un po’ meno il potere giudiziario). Tutti siamo rimasti molto sorpresi da questo movimento saltato fuori dal nulla: sono tutti molto giovani, hanno pensato e forse capito molto prima di noi adulti e hanno agito. Le sinistre hanno seguito il movimento, ma ora si tratta di interpretare il senso di questo scontento. C’è una richiesta di partecipazione orizzontale. Le ong possono avere un ruolo molto importante nel lubrificare il rapporto tra governo e società civile.

VENEZUELA
DATAGATE / Caracas non ascolta gli Usa: «Snowden è benvenuto» – di Geraldina Colotti . Il caso Snowden agita ancora le acque tra Europa, Washington e America latina. Il governo Usa ha smentito di aver negato il visto d’ingresso a diversi funzionari e imprenditori venezuelani e di aver pensato a sanzioni commerciali nei confronti di Caracas, intenzionata ad accogliere l’ex consulente Cia. Ha ammesso, però, di aver effettuato due telefonate la settimana scorsa, per convincere il governo bolivariano a estradare la talpa del Datagate. «Non accettiamo pressioni da nessuno, continueremo la tradizione di accoglienza a tutti i perseguitati politici», aveva risposto il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua. E aveva confermato la disponibilità del suo paese a dare asilo politico a Edward Snowden, che ha rivelato il gigantesco piano di intercettazioni illegali messo in campo dall’Agenzia nazionale per la sicurezza Usa (Nsa). Jaua aveva ribadito la ferma condanna del suo governo contro «le criminali violazioni» commesse da alcuni paesi europei, su indicazione Usa, nei confronti del presidente boliviano Evo Morales. A Mosca per partecipare a un vertice, Morales aveva manifestato la sua disponibilità ad accogliere Snowden, al pari dei suoi omologhi venezuelano, nicaraguense e ecuadoregno. Al ritorno, il 2 luglio, il suo aereo era stato dirottato a Vienna e costretto a rimanervi per oltre 11 ore: perché Spagna, Francia, Italia e Portogallo gli avevano impedito di sorvolare il proprio spazio.
Un serio avvertimento per Snowden, che lo ha convinto a chiedere asilo temporaneo alla Russia per poter lasciare senza rischi il terminal dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo. Una vicenda senza precedenti che ha provocato una crisi diplomatica ancora in corso. I paesi progressisti dell’America latina non hanno considerato sufficienti le timide scuse rivolte da Francia e Spagna e poi da Portogallo e Italia: tanto più dopo le rivelazioni di Snowden circa l’esistenza di basi clandestine del Pentagono in 5 paesi dell’America latina. Ieri, Morales ha chiesto a Mercosur e Unasur l’istituzione di una commissione giuridica per indagare sulle violazioni internazionali commesse dagli Usa con lo spionaggio e ha esortato i paesi europei a dire apertamente chi ha imposto loro di vietargli lo spazio aereo. Giovedì, il parlamento ecuadoregno – con 92 voti su 136 – ha approvato una risoluzione di condanna «contro l’impiego illegale e indiscriminato dello spionaggio, e specialmente quello condotto dal governo degli Stati uniti in America latina con la complicità di multinazionali e di altri paesi». I deputati hanno anche respinto le pressioni Usa per l’estradizione di Snowden e le minacce di ritorsione, considerandole «attentati alla sovranità nazionale». In compenso, il vicepresidente Usa, Joseph Biden, ha telefonato alla presidente brasiliana Dilma Rousseff dicendo di essere «dispiaciuto» per lo spionaggio e ha invitato una delegazione brasiliana a verificare i programmi di vigilanza realizzati da Washington.
Ieri il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, si è nuovamente riferito alle «persecuzioni», alle «pressioni» e alle «violazioni del diritto internazionale» compiute dagli Usa dopo il caso Snowden: per chiedere «una immediata rettifica» a Samantha Power, futura ambasciatrice di Washington all’Onu, la quale ha promesso di impegnarsi a fondo contro «la repressione» a Cuba e in Venezuela. Le dichiarazioni di Power – ha detto Maduro – sono «ingiuste e fuori luogo» e spezzano il filo di dialogo che sembrava essersi aperto con gli Usa. Il presidente socialista ha anche annunciato che nel suo paese verrà installato il sistema antiaereo «più potente del mondo» per far fronte alla minaccia degli Usa, accusati di appoggiare i piani destabilizzanti della destra venezuelana.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA/WASHINGTON – Il primo presidente nero fa “ coming out”. /La svolta black di Barack Obama / il discorso su TRAYVON – di Luca Celada / Fino a sabato scorso Barack Obama aveva scrupolosamente evitato di affrontare apertamente la questione razziale che è parte così fondamentale dell’esperienza americana, e ovviamente della sua stessa presidenza. La lampante omissione da parte del primo presidente afroamericano si spiega inizialmente con un calcolo strategico e la necessità elettorale di proiettare una immagine quantopiù possibile «ecumenica». Era infatti dato per scontato che il primo candidato nero non sarebbe stato eleggibile se percepito come «leader nero», concetto implicitamente ansiogeno per l’elettorato bianco. La presidenza «post-razziale» in un nazione così evidentemente polarizzata lungo linee di razza ed etnicità è stato per anni l’elefante nella stanza, come dicono gli americani, o meglio nello studio ovale di Obama: un paradosso da tutti ignorato come per tacito accordo, in primis da una Casa bianca oltremodo sensibile alle accuse di fomentare la divisione sociale che la destra è pronta a scagliare al minimo segno di «favoritismo».
D’altro canto lo stesso rapporto di Obama con la politica afroamericana non è sempre stato senza difficoltà, sia con la militanza «storica» che non si è mai identificata nella famiglia «mista» e nell’esperienza internazionale e privilegiata del presidente, sia con l’ala religiosa (e omofobica) della comunità nera che non gli ha perdonato l’apertura ai gay. Al di là degli occasionali screzi non c’è comunque dubbio che le vittorie di Obama abbiano costituito un trionfo per la popolazione più disagiata d’America che si è stretta attorno al «suo» presidente, come dimostrano i murales onnipresenti nei quartieri neri delle grandi città, le t-shirt vendute agli angoli delle strade dei ghetti, le foto-ritratto del presidente immancabilmente appese a mo’ di santino ai muri delle case di Harlem, South Central o la South Side di Chicago. Semmai finora era stato lui a minimizzare l’identificazione e proporsi sempre attentamente come presidente «di tutti gli Americani». Ma il caso Trayvon Martin ha infine convinto il presidente «post-razziale» a scendere in campo apertamente e per la prima volta anche come «black american» e usare lo scranno presidenziale per offrire al paese la sua interpretazione del caso Martin come uomo afroamericano.
Nel suo discorso Obama ha ribadito di rispettare il verdetto di innocenza emerso dal processo a George Zimmerman perché «il sistema ha avuto il suo corso» ma ha ricordato che ai fatti specifici corrisponde un contesto storico e sociale, quello di un endemica ed oggettiva discriminazione razziale. Obama, che in precedenza aveva già detto che se avesse avuto un figlio questi avrebbe avuto l’aspetto di Trayvon Martin, è stato più specifico, spiegando che «avrei potuto essere io 35 anni fa», e come un professore di liceo ha fornito alla nazione alcune nozioni sul «prisma di esperienze centenarie» che formano la percezione dei neri americani: «Ci sono pochi uomini neri – ha affermato – che non conoscono la sensazione di essere controllati mentre fanno la spesa in un negozio. È capitato anche a me. Anch’io come molti ho sentito i lucchetti delle casse chiudersi mentre ci passavo vicino, ho visto le signore stringere più strette le borse e trattenere il respiro quando salivo in ascensore con loro». Trasformato per una volta in portavoce della sua «razza» ha aggiunto: «I neri conoscono bene la storia di ineguaglianze razziali nell’applicazione della legge, dalla pena di morte alle sentenze per droga così iniquamente emesse».
Verità che hanno trovato un nuovo peso nelle parole di un presidente, il primo, che le ha potute profferire con cognizione di causa. È vero, ha aggiunto. che esistono «livelli di violenza effettivamente più alti nella comunità nera, ma questa violenza ha precise radici storiche: il passato violento degli Afroamericani in questo paese, la povertà e una disfunzione sociale che può essere tracciata a quella difficile storia».
Che un presidente sia stato in grado di dar voce in prima persona alle frustrazioni dei diseredati del suo paese ha innegabilmente sottolineato il dato storico della sua presidenza. Un dato di grande valore, quantomeno simbolico, nel momento in cui i neri hanno assistito all’ennesimo episodio di violenza e ingiustizia, l’ultimo di una lunga serie che scandisce la loro storia di oppressione-emancipazione. In questa afosa estate americana, in cui al cinema si proietta Fruitvale Station, la vera storia di Oscar Grant, il ragazzo nero ammazzato dalla polizia sulla metropolitana di San Francisco, in cui il congresso ha abolito la legge sul diritto al voto nel Sud ottenuta da Martin Luther King, in cui la «black city» per eccellenza, Detroit con la sua popolazione nera all’82%, ha fatto bancarotta, Barack Obama ha fatto il suo coming out come presidente nero di un paese e una società che, ha ammesso, «non è post razziale», almeno non ancora.
Obama ha tuttavia scelto di concludere su una nota ottimista, chiamando in causa la componente fondamentale della sua coalizione politica, i giovani, affermando che al di là del tragico episodio le cose stanno migliorando con ogni successiva generazione e che «quando parlo con Sasha e Malia e coi loro amici e vedo come interagiscono, capisco che loro sono più avanti di noi e di sicuro dei nostri padri e dei nostri nonni su questo cammino». È un dato effettivamente documentabile nei licei di molte città americane, dove ragazzi di ogni etnicità (coi bianchi sempre più spesso in minoranza) condividono una cultura ormai quasi definitivamente post-razziale. Giovani a buon punto forse su quel cammino di cui ha parlato Obama e che in alcuni paesi, dove la convivenza si misura ancora con gli oranghi, non è ancora lontanamente nemmeno segnato sulle mappe

CALIFORNIA – Le detenute delle carceri californiane costrette alla sterilizzazione nell’ultimo decennio. Le prigioni della California sono tra le peggiori negli Usa, a causa del sovraffollamento e del regime di isolamento. Dall’8 luglio è in corso uno sciopero della fame di oltre 30mila detenuti in segno di protesta contro le condizioni degli istituti penitenziario.
( articoli da :, Le Monde, NYC Time, Time, Guardian,, Il Manifesto, Ansa )

 

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