10671 “Quale sinistra dopo la sconfitta ?”… di A Grandi

20130618 01:34:00 guglielmoz

Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
14 giugno 2013 – "Quale sinistra dopo la sconfitta ?"
Assemblea promossa dall’Ars nazionale
Introduzione di Alfiero Grandi all’Assemblea nazionale dell’Ars

Roma 14/6/2013 – Il risultato delle elezioni amministrative è importante e positivo, il centrodestra ha perso in tutti i capoluoghi. Candidature credibili e coalizioni di centrosinistra hanno ottenuto la vittoria. Una vittoria ottenuta però in presenza di un astensionismo dilagante. Molti sindaci sono stati eletti in una competizione che ha riguardato meno della metà degli elettori. Non c’è un recupero di fiducia sulle politiche, ma il prevalere del centrosinistra in presenza di una disaffezione che ha colpito molto di più la destra. Infatti le percentuali non dicono tutto: nei comuni dove si è votato il solo Pd ha perso 243.000 voti sulle politiche di 2 mesi fa. Per questo occorre evitare una sindrome da depressione bipolare: prima lo scoramento e ora l’euforia.
Le ultime elezioni politiche sono state una sconfitta per la sinistra, sia di quella presente in parlamento, sia di quella che ne è stata cancellata. Una sconfitta è più difficile da gestire. Per questo va capita e i comportamenti dovrebbero essere coerenti. Non è stato così. La sconfitta è diventata una disastrosa ritirata. Messo alla berlina Marini con un’azione improvvida, il Pd ha bruciato la candidatura a Presidente della Repubblica di Prodi, l’unico ad avere sconfitto Berlusconi 2 volte. Chi l’ha fatto voleva spingere il Pd all’accordo con la destra. Malgrado questo il Pd non ha sentito il dovere di spiegare al paese cosa è accaduto, al punto che c’è chi dice malignamente che metà della segreteria di Epifani sarebbe composta da affossatori di Prodi. Anche dopo questi infortuni il Pd ha continuato ad osteggiare la candidatura di Rodotà, che, se eletto, avrebbe obbligato il M5S a fare i conti con la formazione di una maggioranza e di un Governo. Non si è capito che Grillo è stato costretto a sostenere candidature non sue, come dimostra il suo incredibile voltafaccia contro Gabanelli e Rodotà. Alla fine, in stato confusionale, si è arrivati alla supplica a Napolitano di restare e si è scivolati verso un Governo Pd, Pdl, Scelta Civica, definito, senza senso dell’umorismo, di "larghe intese".
Per tutta la campagna elettorale è stato sostenuto che il centrosinistra è alternativo alla destra, ma si è fatto esattamente il contrario, fino a lacerare la coalizione che aveva ottenuto per un soffio il premio di maggioranza. Le conseguenze non sono affatto finite, se è vero che con una leggerezza irresponsabile si pensa di mettere mano alla revisione della Costituzione, definita la più bella del mondo da Bersani, con questa maggioranza, condizionata da questo Pdl nelle mani di Berlusconi. La disaffezione di massa verso la politica è il frutto di comportamenti come questo. Il M5S si è intestato buona parte della protesta verso una politica senza coraggio, senza idee ed etica nei comportamenti e purtroppo questa critica ha investito anche la sinistra. Attenzione a dare per esaurito il fenomeno. Restano le ragioni di fondo del malessere e della sfiducia (Sai ricorda il rifiuto di ogni rappresentanza) che oggi si manifestano più verso l’astensione, un record alle amministrative.
Il Governo Letta è il risultato di questa incredibile serie di errori. Certo, un Governo era necessario, come ha scritto Macaluso, ma non è vero che questo era l’unico possibile, perfino Veltroni ne ha suggerito uno diverso. Dipingere questo Governo come l’unico possibile ha radice antiche, risponde all’esigenza di non dare spazio ad alternative, un "apres moi le deluge", una variante del pensiero unico. Il Governo è evidentemente attratto dal miraggio di durare, come ha detto apertamente Letta, mentre era stato detto che nasceva per affrontare emergenze come la nuova legge elettorale – per ridare agli elettori la possibilità di scegliere i loro rappresentanti – e per interventi urgenti per l’economia e l’occupazione. Invece ci troviamo di fronte ad un menù di riforme costituzionali, per le quali vengono chiesti almeno 18 mesi di tempo, una sorta di assicurazione sulla vita del Governo. Non a caso la nuova legge elettorale è in coda alla revisione costituzionale, stabilendo un rigida consequenzialità tra i 2 aspetti, con il risultato che se dovesse saltare il Governo ci ritroveremmo a votare con il porcellum. Così le misure economiche di cui si parla richiedono tempo, visto che prima del 2014 non ci saranno nuove disponibilità finanziarie, come ha chiarito il Ministro Saccomanni.
Dopo pochi giorni l’accento è posto sulla durata di questo Governo e di questa maggioranza. Epifani alla direzione ha detto che il Pd reagirà se il Pdl farà saltare il tavolo, forse non si è accorto di dare l’impressione di essere nelle mani di Berlusconi.
Veramente dopo un Governo come questo, con una maggioranza innaturale, tutto tornerà normale ? Anche dopo l’infausta esperienza di Monti era stato detto così, sottovalutando drammaticamente la disaffezione degli elettori, dovuta anche all’anno e mezzo del suo dileggio verso i partiti, oltre che da risultati pessimi nel governo della crisi come: la modifica drastica del patto pensionistico, di cui gli esodati sono un aspetto, l’aggravamento della disoccupazione giovanile per avere costretto a restare al lavoro più a lungo, la crescita esponenziale della disoccupazione, la caduta dei redditi; considerati tributi inevitabili all’altare dell’austerità. Monti è stato una manna per l’affermazione di Grillo, che prima del suo Governo era ben sotto il 10%.
Monti è stata una pagina non positiva per il nostro paese e averlo sostenuto acriticamente come ha fatto il Pd, anziché andare a votare subito sulle macerie del fallimento del Governo Berlusconi, si è rivelato un autogoal, che per di più ha consentito alla destra, prima allo sbando, di riprendere fiato, per l’ennesima volta. Il complesso della resurrezione di Lazzaro di cui parla l’intervento di Bulgarelli. Durante il Governo Monti la sinistra ha dimostrato ancora una volta di non essere in sintonia con i drammi sociali delle persone e in particolare del suo mondo di riferimento.
Per il peso che stanno assumendo, è necessario essere chiari sulle modifiche della Costituzione. Si dovrebbe in premessa chiarire che l’autonomia della magistratura non ha nulla da temere, nemmeno dalle vicende processuali di Berlusconi, che la criminalità è un conflitto di interesse con tutta la nazione, non meno di quello televisivo. Il Pd ha sufficiente peso parlamentare per impedire stravolgimenti e nessuno lo salverà dalla responsabilità di avallare o respingere le misure di riforma della Costituzione. Abbiamo già subito la modifica a passo di carica dell’articolo 81 e poi il Fiscal Compact, su cui prima o poi si dovrà pur ammettere una forzatura ideologica, come quelle che vogliono togliere l’insegnamento di Darwin dalle scuole, visto che una teoria economica fallimentare come l’austerità è diventata non solo opzione politica conservatrice, ma "religione" di stato, scritta nella Costituzione.
La questione non è se modificare o meno l’assetto istituzionale previsto dalla Costituzione, ma come farlo, anzitutto seguendo le regole previste (mentre si vogliono forzare i tempi della doppia lettura parlamentare) e rispettando un assetto in cui è centrale il parlamento, come afferma l’intervento di Di Siena. Un parlamento che deve essere composto da eletti scelti dagli elettori, non nominati dall’alto, come quelli che potrebbero oggi modificare la Costituzione. La "nomina" dall’alto dei parlamentari ha portato al discredito della rappresentanza e sarebbe incredibile che proprio un parlamento nominato si arrogasse il diritto di stravolgere la Costituzione. Ridurre il numero dei parlamentari, superando il bicameralismo, cambiare il Senato in una rappresentanza delle regioni, superare i doppioni di competenza, ridurre i livelli istituzionali, sono modifiche su cui si può ragionare. Il Presidenzialismo invece è un cambiamento radicale della Costituzione, che porta alla personalizzazione esasperata e alla fine dei partiti come rappresentanza dei cittadini. Fa riflettere la tenaglia di Grillo e della destra per liquidare il ruolo del parlamento, fondamentale in un assetto democratico, a cui sembra purtroppo cedere anche una parte della sinistra. La competizione politica non sarebbe più tra proposte politiche, ma tra persone, con il sostegno delle lobbies che ne finanziano la campagna elettorale e ne condizionano ovviamente l’agire politico, la legge sul finanziamento ai partiti dovrebbe tenerne conto. L’aspetto peggiore del Presidenzialismo americano è alti costi e ricchi ipercondizionanti. Il presidenzialismo comporta la modifica di tutto l’assetto istituzionale della Costituzione, perché se il Presidente della Repubblica non fosse più una figura di garanzia sarebbero necessari adeguati contrappesi, che infatti esistono in altri modelli istituzionali. In questo campo il nuovismo non aiuta.
Se innovare a sinistra vuol dire fare proprie le idee della destra non ci siamo. Un discorso è introdurre dei rafforzamenti per il ruolo del Governo, come la possibilità di avere un Governo di minoranza, opportunità negata a Bersani, la sfiducia costruttiva, la possibilità di revocare i Ministri, ma il Presidenzialismo è un’altra cosa, una scelta radicalmente diversa e non basta certo a giustificarla l’esigenza di una parte della maggioranza di far durare il Governo Letta.
Una scelta presidenzialista comporterebbe una rottura politica profonda, come ha detto bene Rosi Bindi, e si formerebbe inevitabilmente un fronte contrario che non potrebbe non affrontare apertamente questa battaglia, fino al No al referendum confermativo, perché questa è questione fondante, dirimente. A questo proposito va ricordato che proprio i referendum su acqua e nucleare nel 2011 sono stati una grande occasione di mobilitazione, poco ascoltata e non compresa dai partiti di sinistra negli effetti di lungo periodo, al punto che è stata regalata al M5S la possibilità di intestarsi il risultato dei referendum, malgrado in realtà questo movimento vi abbia avuto un ruolo non primario. Quella occasione potrebbe ripetersi portando alla mobilitazione un fronte ampio a difesa dell’impianto Costituzionale a base parlamentare, di cui i Comitati Dossetti potrebbero essere un punto di riferimento importante e alla cui iniziativa abbiamo già dato il sostegno dell’Ars.
Non siamo indifferenti agli impegni di Letta per l’occupazione giovanile, dopo l’uscita dell’Italia dalla sorveglianza speciale dell’Europa. La disoccupazione è ormai al 12,5 %, 3 milioni di disoccupati, un livello record. Il Pil nel 2013 scenderà ancora di almeno il 2 % con buona pace degli ottimisti che ancora nel Def parlavano di 1,3 %. Si sprecano i dati che dipingono la gravità della situazione italiana. La luce in fondo al tunnel che vedeva Monti l’ha vista solo lui. L’assenza di prospettive spinge i giovani all’estero per trovare lavoro dopo che l’Italia ha speso ingenti risorse per la loro formazione. Purtroppo mentre il Governo si è impegnato a creare 100.000 nuovi posti di lavoro per i giovani, la Cisl ha denunciato la perdita del lavoro per altri 120.000 lavoratori. Questa rischia di essere un’iniziativa poco più che simbolica. Certo, affronta un tema reale e drammatico, ma in modo del tutto insufficiente per affrontare il dramma della disoccupazione, la Cgil ha giustamente chiesto la garanzia che gli incentivi siano riservati alle nuove assunzioni, aggiuntive e a tempo indeterminato. Per affrontare seriamente una crisi che sta mettendo in ginocchio il nostro paese (e non solo) occorre una svolta, rimettendo in discussione la politica di austerità e le restrizioni volute dal gruppo oggi dominante in Europa. Una svolta che non può esserci fintanto che ci si muove entro i confini della politica di austerità, tradotta in modo un poco banale da Letta con il "non si possono fare nuovi debiti".
Il debito pubblico italiano è aumentato di un quarto per il combinato disposto delle follie del Governo Berlusconi e dei "rimedi" di Monti. L’Italia si sta avvitando nella recessione, tornando indietro di decenni nell’occupazione, nei redditi, nei consumi, ecc. e, non a caso, la data della ripresa viene continuamente spostata nel tempo e nulla garantisce che arriverà nel 2014. La Corte dei Conti ha calcolato in 230 miliardi la perdita di Pil italiano dall’inizio della crisi.
Viene ignorato che il problema per l’Italia non è solo riprendere a crescere ma di quale sviluppo stiamo parlando. L’Ilva è uno spartiacque, continuando così lavoro e salute saranno l’uno contro l’altra. In tutti i settori fondamentali: dall’energia al territorio, dall’innovazione tecnologica agli investimenti pubblici occorre introdurre con forza il tema della qualità dello sviluppo, della compatibilità con l’ambiente, con la condizione di chi lavora, con la salute dei cittadini. La discussione sui parametri per misurare lo sviluppo non è un dibattito astratto, ma ha conseguenze precise. Se gli investimenti in armamenti entrano nel Pil e le ferite sociali e ambientali dovute alla crisi vengono ignorate stiamo andando nella direzione sbagliata.
La cura dell’austerità ha portato ancora più in alto il debito rispetto al Pil. Il Governo Berlusconi cercò di nascondere la polvere sotto il tappeto, aumentando a dismisura il debito pubblico, che il 2° Governo Prodi aveva ridotto al 103 % nel 2007, Monti ha fatto il resto e oggi andiamo verso il 134 %, livello mai raggiunto, e questo essenzialmente perché il Pil è crollato. Questa crisi è ormai più grave di quella del 29.
Va combattuta l’opinione – interessata – che non sia possibile fare altro. Anche questo è pensiero unico. Non è così. La sinistra deve mettere in discussione questa non verità. Occorre anzitutto mettere in discussione l’egemonia conservatrice in Europa. Le critiche all’Europa, la richiesta di prendere iniziative per la ripresa, vengono ora da nuove sponde. Scalfari chiede un colpo d’ala, Squinzi mette in discussione la cecità della linea europea. Letta avrà il coraggio e le condizioni per invertire la rotta ? Vista la sua maggioranza il dubbio è legittimo. E’ stato un grave errore abbandonare i greci a sé stessi, ripetere la litania che l’Italia non è la Grecia. Oggi si parla di un piano Marshall per la Grecia, come se fosse uscita da una guerra. Non è accettabile che di misure per la crescita in Europa si possa parlare solo dopo le elezioni tedesche, per non disturbare la sig.ra Merkel, e forse non solo.
La prima richiesta da porre con forza è impegnare la Bce ad acquistare gradualmente il debito pubblico, sopra il 60%, alle stesse condizioni di prestito (1%) già offerte alle banche, che hanno lucrato la differenza con i tassi più alti dei debiti pubblici degli Stati. In pratica una sovvenzione pubblica alle banche. Secondo Gallino alle banche e alla finanza l’Europa ha dato sostegno per 4.500 miliardi, un terzo del Pil.
Sia il Pd che il Pdl avevano detto di volere forzare i blocchi dell’austerità europea, ma di queste intenzioni non si vede traccia e il Governo frena.
Può essere che occorra tempo per cambiare l’asse politico europeo, ma questo è il primo terreno di iniziativa necessario. Muoversi all’interno dell’attuale linea europea, nella speranza di smuovere alcune briciole, è inadeguato rispetto alla gravità della crisi.
Nel quadro di iniziative per cambiare l’asse europeo ci sono obiettivi che dipendono solo dall’Italia, ma le "larghe intese" sono fatte proprio con chi rema contro. Ad esempio, la lotta all’evasione è troppo in sordina, l’attacco a Equitalia non aiuta; con la Svizzera non si vogliono condoni per i capitali esportati? Bene, ma non si può rinunciare a far pagare gli esportatori di capitali, guardiamo agli Usa, che hanno messo sotto accusa le banche svizzere per il trasferimento illegale dei capitali, al punto che ora il Governo svizzero sta provvedendo per legge a rimettere in causa il segreto bancario ; ci sono spese che potrebbero essere tagliate come gli 800 milioni regalati ai proprietari di case con la cedolare secca sugli affitti che ha portato al recupero di zero evasione e a un risparmio ingente per i proprietari; va cancellato il programma di acquisto degli F35 e di nuovi armamenti, riportando finalmente in un unico bilancio tutte le spese militari, oggi sparse e nascoste; una patrimoniale e la tassazione di tutte le rendite come ogni altro reddito potrebbe consentire di sgravare i redditi da lavoro e pensione. Sono scelte necessarie e non rinviabili, altrimenti si tornerà a tagliare stato sociale, istruzione e investimenti pubblici in omaggio al pensiero unico.
Non si può restare in attesa di novità europee e prigionieri del ricatto della destra. Anche gli investimenti vanno ripensati. Che senso ha insistere con la Tav in val di Susa ? Il cui costo, anche sociale, è già enorme e per di più è finalizzata ad una previsione che si è rivelata fallace. Questa sarebbe una buona spending review, altro che tagli lineari. Si potrebbe inoltre utilizzare la Cdp per costituire fondi a disposizione degli Enti locali, delle Regioni per mettere in sicurezza le scuole, gli ospedali, gli edifici pubblici, dotandoli di energia da fonti rinnovabili, ecc.
In sostanza, in vista dell’indispensabile cambio di rotta dell’Europa, che dovrebbe diventare il punto di convergenza di tutta la sinistra europea, l’Italia potrebbe già prendere iniziative importanti, anche insieme ad altri paesi, anziché restare in attesa di una mitica ripresa, per di più senza qualità, affidata alle mani dei sacerdoti dell’austerità ad ogni costo, che potrebbero perfino impedirci di utilizzare i fondi europei per i quali occorre il cofinanziamento nazionale.
Occorre un cambio di rotta, di fondo, nella consapevolezza della drammaticità della situazione sociale ed economica e non sembra proprio che questo Governo sia in grado di produrle, anzi.
In questo quadro la situazione del lavoro è un disastro, sia dal punto di vista dell’occupazione che da quello dei diritti e delle condizioni di lavoro. La globalizzazione capitalistica in corso sta producendo l’effetto perverso di abbassare le condizioni di lavoro dei paesi sviluppati, in particolare dell’Italia, verso il livello dei paesi emergenti.
Il ricatto occupazionale e l’indebolimento severo del potere contrattuale dei sindacati, i colpi inferti dalle loro divisioni, hanno visto aumentare una flessibilità incontrollata e la frantumazione del corpo sociale dei lavoratori, il venir meno della consapevolezza di sé come corpo sociale. Arrestare questa china è indispensabile, altrimenti la ripresa, se e quando ci sarà, provocherà un’ulteriore divaricazione sociale e come dice Stiglitz la divaricazione è un ostacolo alla ripresa economica. Negli ultimi 20 anni ai lavoratori è andato il 10 % in meno di Pil. Sono 160 miliardi trasferiti ai redditi alti e alle rendite. Va interrotta la compressione delle condizioni di lavoro, dei redditi, altrimenti la ripresa sarà ancora una volta di bassa qualità per l’ambiente e per i lavoratori, rendendo ancora più difficile offrire prospettive adeguate ai giovani scolarizzati.
La bassa qualità dell’occupazione e la precarietà del lavoro sono le prime ragioni del basso livello di produttività e di competitività del nostro paese. Formare un ingegnere e offrirgli come unica prospettiva l’emigrazione è un disastro economico e competitivo. Questo indebolimento, questa frantumazione del mondo del lavoro vanno affrontati, altrimenti il futuro del nostro paese sarà difficile per le classi subalterne.
La ricostruzione di un’identità unitaria del mondo del lavoro è anzitutto un compito delle organizzazioni sindacali. L’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacali è un fatto nuovo e positivo in quanto può consentire un’inversione di tendenza, dopo una fase fin troppo lunga di divisioni sindacali e di discriminazioni verso i settori più combattivi del mondo del lavoro. Ne parla diffusamente Rinaldini. L’applicazione dei punti aperti dell’intesa deve essere coerente con le premesse. In ogni caso una legge sulla materia resta un obiettivo da non accantonare, perché potrebbe fare uscire definitivamente la questione dalle mutevoli condizioni delle relazioni sindacali e dai ripensamenti.
Ricostruire unità e potere contrattuale del mondo del lavoro è anzitutto compito dei sindacati. Tuttavia c’è un ruolo anche politico che può e deve essere svolto in direzione di una moderna e aggiornata legislazione di sostegno. Sarebbe un’occasione per avviare il superamento del distacco tra rappresentanza politica di sinistra e mondo del lavoro. Occorre fermare l’arretramento in atto e individuare nuovi parametri su cui costruire una nuova fase di unità sociale del mondo del lavoro, per favorire la ricostruzione di una nuova consapevolezza di sé dei lavoratori. In questi anni gli arretramenti non si contano, tuttavia non si può pensare di tornare semplicemente a prima, anche se in qualche caso sarebbe necessario anche questo come nel caso dell’articolo 18. La contrapposizione dei giovani, non garantiti, con i lavoratori è stato uno dei cardini di una vera e propria azione controriformatrice. Trappola in cui sono caduti anche settori della sinistra e Renzi sembra non fare eccezione. Troppo tardi ci si è resi conto che questa offensiva era strumentale e che ciò che veniva tolto ai lavoratori non portava alcun vantaggio ai giovani, ai precari, ai disoccupati, ecc. E’ stata un’operazione di segno negativo.
Per questo proponiamo di svolgere un’iniziativa a carattere seminariale, promossa insieme al Crs, per mettere a tema la grande questione di come favorire la ricomposizione del mondo del lavoro attraverso una nuova e moderna legislazione di sostegno e di diritti sociali esigibili. Diritto ad un’occupazione degna, al sostegno al reddito verso il lavoro e nei periodi di non lavoro, ad una retribuzione minima certa, nel quadro di misure reali di sostegno per i figli e per non abbandonare alla povertà settori crescenti della popolazione. Una misura di questo tipo andrebbe definita per legge quando non ci sono i contratti a stabilire una protezione, prescindendo dalla natura del rapporto di lavoro.
Così vogliamo organizzare un’iniziativa di approfondimento seminariale, insieme a quanti sono interessati e disponibili a farlo, sulla riforma dell’assetto istituzionale definito dalla Costituzione, per evitare derive verso forme presidenzialiste (ne parlano Folena e Gianni) e per mantenere al centro del nostro ordinamento una repubblica parlamentare. Nessuna rassegnazione quindi, ma anzi un impegno per una seria e netta battaglia politica. In questo ambito è utile l’esperienza dei referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare, che hanno di fatto determinato una politica positiva. Sarebbe utile potere utilizzare anche referendum propositivi come parte di una nuova e più ampia rete di diritti di partecipazione e di controllo, su cui occorre aprire una nuova stagione culturale e politica, di cui la discussione sui beni comuni è parte.
Il terzo obiettivo che proponiamo è un focus sul futuro dell’Europa, anche in vista delle elezioni nel 2014. Nessun giuramento sull’Europa salverà questa affascinante prospettiva, se non ne verrà recuparata una vocazione sociale, fondata su alcuni diritti inalienabili e l’uguaglianza, che è stata smarrita. Fino a pochi anni fa l’Europa aveva al centro l’obiettivo della buona occupazione, con obiettivi di crescita quantitativa e qualitativa. Ora non più. 20 milioni di disoccupati sembrano un non problema. Il disastro sociale di alcuni paesi, a partire dalla Grecia, sono ignorati o considerati un male inevitabile, quando non il frutto della colpa. Eppure perfino il FMI ha fatto un poco di autocritica e ha scaricato sulla cecità dell’UE la responsabilità delle misure socialmente insostenibili imposte alla Grecia. L’Europa è sempre più vista come arcigna e distante e inevitabilemente crescono movimenti e reazioni antieuropee. Per di più si è determinata una situazione in cui i guai degli uni sono una ricchezza per altri, la Germania ha lucrato sulle difficoltà dei paesi più deboli. Dicevano i socialisti europei che l’Europa o sarà sociale o non sarà, in ogni caso ne siamo molto lontani. Dell’economia sociale di mercato resta solo il mercato. L’Europa non può essere una scatola vuota, con gerarchie fondate solo sulla forza e sul predominio di una parte sugli altri. (Morelli invoca la sinistra europea) Quale Europa, con quale qualità sociale, con quale capacità di garantire ai suoi cittadini un piano di eguaglianza, è il grande tema da affrontare. Le scorciatoie istituzionali come l’elezione diretta del Presidente della Commissione non sono convincenti. Il tema centrale è se fare o no del parlamento europeo un fulcro per tutta la costruzione europea. Se affidare ad un vero Governo europeo materie che oggi sono gelosamente mantenute dagli stati nazionali, per di più in concorrenza tra loro. Se arrivare o no ad un quadro di obiettivi e diritti per la società e l’economia dell’Europa, superando l’asfissia della moneta unica, a fronte di fiscalità diverse e concorrenziali, di incentivazioni diverse e concorrenziali, di progetti europei quanto mai insufficienti anche per l’evidente tentativo di tagliare il bilancio dell’Unione. La crisi del sogno europeo nasce dal fallimento conservatore, che oggi pretende di guidare anche l’uscita dalla crisi che ha contribuito a creare, con risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti. Europa incapace di imporre anche il rispetto di regole democratiche come in Ungheria o di imporre la sparizione dei paradisi fiscali all’interno della stessa eurozona.
In sostanza vogliamo riprendere il metodo aperto sperimentato nell’iniziativa al Cnel, organizzata con la F. Di Vittorio, sulla crisi finanziaria e i suoi effetti sull’economia e sull’occupazione, di cui abbiamo rispolverato le attualissime conclusioni.
L’Ars non ha la velleità di indicare compiti ad altri, né tanto meno di dare voti. Vogliamo contribuire ad una riflessione comune a sinistra che provi a spezzare la coazione a ripetere, che sembra ancora prevalente nei singoli soggetti della sinistra, malgrado brucianti sconfitte e dure repliche della storia. La sinistra è pervasa da confusione, sfiducia, subalternità. Soprattutto le elettrici e gli elettori della sinistra sono scoraggiati. A questo si arriva quando si rinuncia ad avere una propria lettura della crisi, dell’economia, della società, proprie risposte e soluzioni, con l’ambizione di rispondere alle condizioni reali e ai drammi delle persone, dei lavoratori. Condizioni che non possono aspettare che abbiamo concluso la nostra riflessione. Quando si rinuncia ad avere una soluzione alternativa ai problemi, un’idea di società diversa, altra da quella che conosciamo, la sinistra è afona.
Se è vero che per continuare sul sentiero seguito fino ad oggi dovremmo avere almeno altri 3 o 4 pianeti per sopravvivere, vista la rapina e la distruzione delle risorse e dell’ambiente. Se è vero che per forza di cose si dovrà cercare un altro modello di sviluppo e che questo dovrà comportare anche una profonda riforma sociale, la sinistra non può rinunciare a porre al centro della sua iniziativa il tema dell’uguaglianza, insieme alla socialità e al rispetto della libertà, cosa diversa dal liberalismo, e lo deve fare incontrando il meglio delle culture che ragionano sul futuro in modo non subalterno.
Il capitalismo senza regole è quello dei Riva che hanno contrapposto il diritto al lavoro e quello alla salute; dopo abbiamo scoperto che le risorse per risanare e innovare ci sarebbero state se non fossero finite altrove per cupidigia personale come ha dimostrato il sequestro della magistratura di ben 9.3 miliardi di euro.
Il capitalismo senza regole è quello della finanza internazionale che ha costruito per i capitali un mondo senza frontiere, senza controlli e regole che hanno consentito di creare una ricchezza di carta che è 12 volte il Pil mondiale e che ha già ripreso a crescere.
Occorre mettere in campo un disegno economico e sociale alternativo a quello imposto dalle forze della speculazione e del profitto, che aspirano ad essere l’unico motore della convivenza. E’ evidente lo squilibrio tra un capitalismo a dominio finanziario che si muove senza regole su scala mondiale e una sinistra divisa, timida, troppe volte subalterna, per di più chiusa in un ristretto ambito nazionale. Un nuovo modello di sviluppo da realizzare nella democrazia è la scommessa della sinistra moderna, senza complessi di antichi errori.
La sinistra anche in Italia deve decidere se rinuncia alla sua funzione, e sarebbe destinata a sparire, oppure se riesce a ritrovare i fondamenti, i valori, le ragioni fondanti della sua esistenza.
Malgrado la tentazione sia forte, non possiamo essere noi a dire se le formazioni che esistono, a sinistra, siano riformabili oppure no. Lo diranno gli elettori. Ciò che possiamo fare è favorire con le nostre iniziative una riflessione comune, puntando ad individuare valori e fondamenti di una moderna sinistra. Vediamo iniziative interessanti, un ritorno della discussione su come costruire un partito di sinistra, poi c’è chi pensa che debba essere un soggetto nuovo e chi pensa debba essere il risultato dell’evoluzione del Pd. Fare il tifo non ci porterebbe lontano, non aiuterebbe neppure le soggettività che sono in movimento. Per questo puntiamo, in sostanza, ad una iniziativa a rete (ne parla Vita), aperta a tutti ma con l’impegno comune a cercare sintesi su valutazioni e proposte. Possiamo provare a dare una mano (Carra e Sinistra XXI) anche rinnovandoci e rinnovando sul rapporto tra i sessi (Leiss). Non abbiamo interessi diretti nelle competizioni elettorali, a cui l’Ars ha deciso per statuto di non partecipare. Gli errori e i limiti di questi anni hanno portato la sinistra a distinguersi poco e male dalla destra, al punto che anche sotto il profilo dell’etica e dei comportamenti ci sono stati episodi disdicevoli che hanno finito con l’accomunare tutti e tutto in una critica feroce alla rappresentanza politica. Non è casuale se oggi è stato riscoperto il valore dell’insegnamento etico di Enrico Berlinguer.
La sinistra ha senso se è diversa, non subalterna, alternativa alla destra, anche nei comportamenti. La sinistra ha senso e può perseguire i suoi obiettivi se rilancia una proposta di politiche pubbliche, senza timori subalterni sul ruolo dello stato – nella sua evoluzione verso il decentramento regionale e verso l’Europa – che non può essere solo quello di regolare il traffico altrui. Nel momento cruciale della crisi perfino i conservatori hanno lavorato per interventi dello stato, nazionalizzazioni, ecc. Non si capisce perché la sinistra dovrebbe privarsi di uno strumento fondamentale come le politiche pubbliche, necessarie non solo per correggere le disuguaglianze, ma per garantire vera uguaglianza. La destra può non essere interessata alle politiche pubbliche. Anzi può tentare di privatizzare tutto il privatizzabile, come insegna la mercatizzazione dello stato sociale e della vita stessa come risposta alla crisi. La sinistra no, altrimenti i suoi obiettivi non avranno la strumentazione per essere realizzati. Naturalmente non possiamo ignorare i gravi difetti che ha manifestato l’intervento pubblico, il ruolo dello stato e quindi occorre proporre antidoti come forme nuove di partecipazione e controllo sociale (Dettori), riprendendo un filone culturale e di esperienza che si è interrotto. Per quanto più disarticolata che liquida la società ha più che mai bisogno di identificarsi, di avere punti di riferimento, altrimenti populismi e demagoghi prenderanno il sopravvento, nella disperazione di non poter fare valere il proprio contributo, di saperlo ascoltato.
Per questo proponiamo di dare vita ad una rete di ricerca comune di tutti i soggetti che hanno interesse per questa ricerca e proponiamo di lavorare intanto sui 3 capitoli che ho ricordato per avviare questo lavoro, che avrà nei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione un vero e proprio faro, perchè la nostra Costituzione resta un testo avanzato e in gran parte da realizzare, che parla dell’Italia possibile, del nostro futuro

 

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