10642 ELEZIONI AMMINISTRATIVE ed AUSTERITY

20130529 09:55:00 guglielmoz

L’ANALISI DEL VOTO I DATI ELABORATI DALL’ISTITUTO CATTANEO PD ( 63%) e PDL (65 %) IN TRE MESI PERDONO PER STRADA PIÙ DEL 60% DI ELETTORI.
E la SINISTRA ( Sel, Rifondazione) CRESCE del 9%. Il salasso delle larghe intese e l’austerity,viene confermato anche dai flussi elettorali di ROMA.
L’ISTITUO CATTANEO ANALIZZA LA VITTORIA DI PIRRO. Presi in esame i voti assoluti in 16 città rispetto alle politiche. Crollo anche per i 5 Stelle

Per capire chi sono i "nuovi astenuti" che si sono aggiunti alla già robusta percentuale delle politiche di febbraio, l’Istituto Cattaneo ha analizzato i flussi elettorali nelle città di BRESCIA, TREVISO, ANCONA E BARLETTA. Da questo campione ridotto ma con ampia distribuzione geografica, l’istituto bolognese registra che la maggior parte di chi ha disertato le urne a febbraio aveva votato il M5S: «A BRESCIA e Ancona circa la metà dei voti dei 5 Stelle del febbraio 2013 sono andati all’astensione, a TREVISO un terzo». Anche dal Pdl è arrivato un contributo rilevante alla crescita dell ‘astensione: soprattutto a BARLETTA ma anche a BRESCIA, TREVISO E ANCONA, dove il partito di Berlusconi perde verso l’astensione valori fra il 4,6 e e il 5,4% rispetto a febbraio. Quanto al Pd, anch’esso lascia qualcosa all’astensione ma in misura inferiore rispetto ai suoi avversari: il 3,4% a Treviso, ancor meno nelle altre città prese in esame.
Dal Cattaneo arriva anche una elaborazione del voto nei 16 comuni capoluogo chiamati alle urne, per capire chi abbia avuto più o meno successo rispetto alle politiche. Un’analisi non in riferimento alle percentuali sui voti validi ma ai voti in assoluto presi dai partiti e dai candidati. Il risultato vede un tracollo del M5S, che raccoglie meno di un terzo dei voti presi alle politiche. Ma perdono molti consensi, oltre il 60% sui voti in assoluto, anche i partiti di centrosinistra e centro-destra. Con questi ultimi -il PDL e la LEGA – che subiscono una contrazione maggiore dei loro tradizionali avversari. Ad aver avuto maggiore successo rispetto a febbraio sono invece le forze che fanno riferimento ai partiti a sinistra del Pd, da Sei a Rifondazione comunista, che hanno incrementato del 8,8% i consensi rispetto alle politiche.
L’istituto fa anche uno scorporo per analizzare il valore del comune di ROMA. Nella capitale, la flessione sui voti in assoluto registrata dal Pd rispetto alle politiche si riduce al -45% rispetto al -63% complessivo dei comuni capoluogo. Viceversa si accentua notevolmente la contrazione del Pdl, che perde oltre il 50% dell’elettorato conquistato alle politiche, e circa i due terzi rispetto alle regionali del Lazio.
I ricercatori Pasquale Colloca, Piergiorgio Corbetta e Rinaldo Vignati premettono che, in linea di massima, non è consigliabile fare confronti fra elezioni di differente livello. Ma osservano che le amministrative del 2008 fanno politicamente parte di un’altra epoca, vista ad esempio l’assenza del M5S. Di qui il confronto sui flussi elettorali più vicini nel tempo. Dai quali il Cattaneo offre que-sta chiave di lettura: «Nei flussi delle politiche di tre mesi fa avevamo notato che gli elettori 5 stelle provenivano soprattutto dai partiti tradizionali e non dall’astensionismo. E’ interessante a questo punto domandarsi se i voti perduti ora dal M5S sono (almeno in parte) di elettori "tornati a casa", ai partiti da cui provenivano. A Brescia e Ancona il responso è coincidente: il M5S, oltre ad aver perduto circa la metà dei suoi voti precedenti verso l’astensione, ha avuto anche perdite di rilievo verso i candidati del centrosinistra e del centrodestra (BRESCIA e ANCONA), delle liste civiche (BRESCIA), o altri candidati (ANCONA). Lo stesso si è verificato a TREVISO. Quindi in parte il M5Se ha svolto il ruolo di ‘piattaforma di transito ‘ verso l’astensione, e in parte c’è stato un ritorno ai partiti d’origine, sia a destra che a sinistra, confermando la natura non ideologica di chi aveva scelto Grillo», di Riccardo Chiari.

L’AUSTERITY. (to, anche i ricchi riescono a ragionare quando vanno di mezzo l loro affari).
La Corte dei conti boccia l’austerity «Ci è costata 230 miliardi di euro». La magistratura contabile non nega però che in Italia non sia facile tagliare le tasse, causa l’alto debito.
NO, L’AUSTERITY PROPRIO NON VA. Ieri un attacco al rigore ferreo che finora ha retto l’Europa (ma che, come si sa, scricchiola) è arrivato dalla Corte dei conti: il presidente Luigi Giampaolino ha accusato l’austerità adottata finora dai governi europei di essere «una rilevante concausa dell’avvitamento verso la recessione». Di più, Giampaolino ha fatto una notazione in qualche modo politica rispetto al governo Letta, rilevando come il «passaggio alla nuova legislatura sembra proporre un primo tentativo di operare in discontinuità da una politica di bilancio che, a partire dall’estate 2011, ha dovuto fare affidamento su consistenti aumenti di imposte, nonostante le condizioni di profonda recessione in cui versava l’economia». Insomma, si sarebbe imboccata una via diversa rispetto a quella – strettissima – scelta allora da Mario Monti. Presentando il rapporto 2013 sul coordinamelo della Finanza pubblica, il presidente della magistratura contabile ha fatto i conti della crisi in Italia tra il 2009 e il 2013: «La mancata crescita nominale del Pil – ha spiegato – ha superato i 230 miliardi e il consuntivo di legislatura ha mancato il conseguimento del programmato pareggio di bilancio per 50 miliardi» come a dire il 3% del Pil (il tetto massimo per il deficit fissato dall’Unione europea). Per questo Giampaolino ha chiesto all’Europa più crescita: «All’Italia serve crescere, servono stimoli. Non deroghe per spendere di più».
Anche perché, ha continuato Giampaolino, «la perdita permanente di prodotto si è tradotta in una caduta del gettito fiscale, ma non in una riduzione della pressione fiscale». Insomma, meno incassi per lo Stato, ma non per questo meno pressione fiscale sui cittadini (è ovviamente l’effetto immediato di una mancata crescita del Pil a pressione fiscale immutata)
«In Europa – ha proseguito il presidente della Corte – l’emergenza della decrescita e della disoccupazione appare oggi acquisire quanto meno un rilievo analogo a quello assegnato al percorso di riequilibrio di disavanzi e debito pubblico». Per Giampaolino, tuttavia, il «livello crescente dello stock di debito pubblico non consente di interpretare in modo men che rigoroso il sentiero di risanamento. Sarebbero gli stessi mercati a punire» questa scelta. In questo senso la riduzione della pressione fiscale è un obiettivo «non facile da coniugare con il rispetto degli obiettivi europei», e però è possibile «l’equità distributiva del prelievo».
«Il 2012 ci consegna un quadro molto fragile non solo in termini di crescita ma anche di finanza pubblica», ha aggiunto Giampaolino: «L’Italia presenta un andamento corrente della propria finanza pubblica nettamente migliore rispetto ai paesi in crisi e anche rispetto alle altre grandi economie europee. Ma la situazione cambia allorché si guardi all’altro parametro di Maastricht, il rapporto fra debito e prodotto: un indicatore che colloca l’Italia tra i paesi in crisi e distante dagli altri grandi paesi, Spagna inclusa».
Infine, per quanto riguarda i pagamenti della Pubblica amministrazione dei propri debiti verso le imprese, la Corte dei conti evidenzia «un comportamento amministrativo, la cui devianza patologica non trova riscontro in altri Paesi europei: negli ultimi anni i tempi di pagamento hanno superato in Italia, mediamente, i 180 giorni, a fronte dei 65 giorni della media europea».

 

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