10638 DOPO GLI ASSALTI AL PATRIMONIO DA PARTE DEGLI ULTIMI GOVERNI, I CITTADINI SI RIBELLANO.

20130527 14:39:00 guglielmoz

15 IDEE PER L’ITALIA. IL mondo della cultura scende in campo. Per cambiare il Paese. L’archeologo della Normale di Pisa affida a left sul " Il manifesto". Che presenterà il 30 maggio al Teatro Eliseo a Roma.
PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE. IN VENT’ANNI SOPRINTENDENZE IMPOVERITE E CARTOLARIZZAZIONI PER FARE CASSA.[b] [/b]

Nel 2013 il bilancio del ministero è sceso del 6,1%. E nei prossimi due anni, ancora tagli
1 – La crisi della democrazia rappresentativa, presente ovunque, è particolarmente grave in Italia, a causa di due peculiarità del suo sistema politico: la legittimazione di un leader (Berlusconi) che non avrebbe titolo a esser tale sia per i conflitti di interesse che per i reati comuni di cui è accusato, e una legge elettorale (il Porcellum) iniqua e anticostituzionale.
2 – Un governo di "larghe intese", che capovolge il responso delle urne, aggrava ulteriormente questa crisi, inseguendo l’impossibile modello di una democrazia senza popolo.
3 – La natura estrema di questa crisi non colloca l’Italia fuori dal contesto mondiale. Al contrario, ne fa un caso-limite (per ciò stesso esemplare) di crisi della democrazia. Quello che accadrà in Italia (la vittoria della casta politica contro l’elettorato, o la riscossa dei cittadini) è perciò di grande rilevanza nel quadro globale. Grande è la nostra responsabilità.
4 – Ingranaggio-chiave della crisi della democrazia è la dominanza dei mercati, cioè di persone, gruppi di interesse, lobby bancarie e finanziarie che determinano il corso dell’economia. Queste oligarchie, in quanto sfuggono ad ogni controllo democratico, sono la vera e sola "antipolitica". L’Europa si è ridotta a essere il territorio di caccia di queste oligarchie e tecnocrazie, e le scelte politiche italiane viaggiano con questo «pilota automatico», secondo la frase di Mario Draghi. Su questa tendenza si sono appiattite in Italia tanto la destra quanto la "sinistra", che ha con ciò rinunciato alla propria missione storica di difensore dei diritti dei cittadini, nascondendosi dietro un passivo "ce lo chiede l’Europa".
5 – La dominanza dei mercati, con la complicità della politica, genera (in Italia come altrove) un’"austerità" che non crea ricchezza, ma la concentra nelle mani di pochi; pone il lavoro e la dignità della persona al servizio del mercato; mortifica libertà e uguaglianza comprimendo la spesa e i servizi sociali; innesca disoccupazione, disagio sociale, emarginazione, povertà.
6 – L’anestesia che ci viene proposta come "pacificazione" o "responsabilità" consiste non solo nell’annientare le differenze fra "destra” e "sinistra", ma anche nel chiudere gli occhi davanti ai problemi dei cittadini in ossequio alla dittatura dei mercati. Questa è stata la base del "governo tecnico", fase di rodaggio delle "larghe intese" oggi all’opera. Ma gli inviti all’amnesia vanno respinti perché sono contro gli interessi dei cittadini e contro la legalità costituzionale.
7 – Il progetto di "democrazia senza popolo" sussiste perché l’antica funzione dei partiti come luogo di riflessione e di progettazione è morta. Quel che resta degli apparati di partito si è trasformato in un macchinario del consenso, fondato sulla perpetuazione dei meccanismi e delle caste del potere.
8 – Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta (fino al suicidio); (c) vasti movimenti che tendono alla rappresentanza parlamentare e alla forma-partito, come il M5s; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milioni di cittadini. È a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.
9 – Queste forme di opposizione "vedono" quel che sembra sfuggire a chi ci governa: il crescente baratro che si è aperto fra l’orizzonte delle nostre aspirazioni e dei nostri diritti e le pratiche di governo. Tuttavia, le associazioni e i movimenti, pur generando anticorpi spontanei alle pratiche antidemocratiche, stentano a trovare un denominatore comune, un manifesto che possa tradursi in azione politica.
10 – Questo manifesto esiste già. È la Costituzione della Repubblica. Essa va studiata e rilanciata come la Carta dei diritti della persona e della collettività, che corrisponde in grandissima parte all’orizzonte delle aspirazioni e agli anticorpi spontanei della protesta.
11 – Costituzione alla mano, l’universo dei movimenti e delle associazioni si può rivelare a un tempo stesso come il sintomo di un malessere e la cura della democrazia italiana. Sintomo, perché mette allo scoperto il carattere anti democratico della politica "ufficiale". Cura, perché i movimenti sono un serbatoio di idee, di elaborazioni, di progetti, di riflessioni, nell’esercizio del diritto di resistenza (che, secondo la Costituzione della Re-pubblica Partenopea del 1799, è «il baluardo di tutti i diritti»).
12 – Questa forma di resistenza civile in nome del bene comune (che la Costituzione definisce "interesse della collettività" e "utilità sociale") va intesa come adversary democracy: e cioè come l’esercizio pieno del¬la cittadinanza, che non si esaurisce nel voto, ma si estende a una continua vigilanza critica e capacità propositiva. Essa non sostituisce la rappresentanza politica, ma si affianca ad essa, la controlla e la stimola. Non è contro la demo-crazia: al contrario, intende salvare la demo-crazia mediante la partecipazione dei cittadini, secondo il disegno della Costituzione.
13 – La Costituzione non va intesa come I una litania di articoli staccati, ma come una salda architettura di principi, coerente e inscindibile. L’adversary democracy va esercitata partendo simultaneamente dalla consapevolezza dei propri diritti e dalla difesa della legalità costituzionale. In nome della Costituzione vanno rimesse in onore le vittime sacrificali della presente dittatura dei mercati: le regole della politica e i pilastri del progresso sociale (politiche del lavoro, welfare state, di-ritto alla cultura e alla salute).
14 – Nel crepuscolo della democrazia, è possibile, desiderabile, necessario ripartire dai movimenti per riformare i partiti e sindacati, per ricreare la cultura politica che muove le regole.
15 – Salvaguardare la Costituzione negando legittimità a qualsivoglia "Costituente" autonominatasi è precondizione necessaria del ritorno a una piena democrazia costituzionale. È urgente, piuttosto, l’alfabetizzazione costituzionale dei cittadini, simile a quella promossa dal ministero per la Costituente (governi Parri e De Gasperi, 1945-46). Perché «ogni legislatore dev’esser guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo ( A.C.Jemolo)
NON avrei proprio mai pensato piccolo libro come Indignatevi potesse avere una tale ripercussione e me così tante persone» si legge nell’ultimo Stéphan-Hessel. Un piccolo, appassionato pamphlet dal titolo Non arrendetevi (Passigli 2013) in cui il vecchio partigiano francese, so lo scorso febbraio, annotava: «Il fatto e che il movimento dei giovani spagnoli del adottato l’indignazione come bandiera fatto un appello per tutti». Dando voce a un movimento dal basso, estraneo al mondo de ti tradizionali e che «ha rappresentato qualcosa di nuovo ed è stato l’espressione di un rifiuto delle manovre di un’oligarchia non solo finanziaria». In nome della democrazia, della difesa dei beni comuni. Un movimento spontaneo di "pezzi" della società civile – ci ricorda Salvatore Settìs nel libro Azione popolare (Einaudi, 2012) – che in Italia ha preso una pluralità di forme dai Movimenti per l’acqua e Se non ora quando, dall’Onda degli studenti alle manifestazioni per i diritti civili. Portando sulla scena pubblica battaglie per quelli che la sinistra tradizionalmente ha sempre chiamato bisogni, ma anche per irrinunciabili esigenze che riguardano la persona da sua complessità. Esigenze di parteciparne, di conoscenza, di formazione, di realizzazione della propria identità professionale e vana, di pieno riconoscimento di diritti civili e <§ autodeterminazione. «Davanti alla sordità dei partiti (tutti) di fronte al grande tema del bene comune - scrive Settìs - alla loro capacità congenita di elaborare una visione lungimirante e democratica del governo del Paese, alla loro alleanza di fatto nel devastare ambiente e paesaggio, la nascita spontanea di movimenti e associazioni di cittadini in Italia (se ne contano almeno 20mila negli ultimi anni) è un segnale positivo di enorme importanza e straordinarie potenzialità». Un manifesto che possa raccogliere queste variegate istanze c'è già secondo l'archeologo e storico dell'arte della Normale: è la Costituzione. Una Carta lungimirante e ancora oggi modernissima che pone fra i doveri della Repubblica (art.9) la difesa del patrimonio d'arte e del paesaggio. Un aspetto che non riguarda solo "la contemplazione estetica" ma essenziale anche per il diritto alla salute come drammaticamente ci mostra il caso di Taranto e dell'Uva Nella Carta «la figura del cittadino e della cittadinanza - prosegue Settìs - intesa sia come comunità che come orizzonte di diritti è definita attraverso calibrate convergenze. L'art. 3 prescrive che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge e nella Carta è scritto che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Ma come ben sappiamo, insieme all'articolo 21 che tutela la libertà di espressione e il diritto di cronaca, questo punto della nostra Costituzione è largamente disatteso. Grazie a una lunga serie di "contro riforme" che hanno riguardato la scuola, l'università, la ricerca. E grazie a ormai ventennali attacchi al nostro patrimonio artistico, messo a rischio dalla mancanza di una adeguata tutela (a causa del depauperamento delle soprintendenze), ridotto a feticcio dal marketing della valorizzazione a opera di manager che hanno trattato le opere d'arte come fossero panini McDonald's, svenduto in operazioni di cartolarizzazione imbastite dai governi di centrodestra per fare cassa. Con la soppressione della Storia dell'arte in molte scuole superiori, inoltre, si è sferrato un attacco frontale alla conoscenza. Quanto al paesaggio, su di esso hanno pesato scellerate politiche di condoni, la cementifica-zione selvaggia, senza nessun disegno urbanistico, mentre le logiche emergenzialisti che messe in campo dopo terremoti o altri eventi naturali hanno finito per intaccare quella straordinaria fusione fra patrimonio artistico e contesto paesaggistico che rende unica l'Italia. Al di là di ogni ridicola enfasi sulla vastità del patrimonio d'arte italiano strombazzata da politici ignoranti e pronti a farne "petrolio" da saccheggiare (De Michelis docet). Su questo punto mettono i puntini sulle "i" Bruno Arpaia e Pietro Greco nel libro La cultura si mangia! (Guanda, 2013) in cui si ricorda utilmente che l’itali è in teta alla classifica mondiale con ì suoi 4o siti archeologici riconosciuti dall'Unesco ma anche che l'Italia ne ha solo 3 in più della Spagna e 5 in più rispetto alla Cina. Un libro, questo scritto a quattro mani da Arpaia e Greco, che tratteggia un quadro efficace del modo a dir poco miope di agire della classe politica italiana di destra (ma anche di centrosinistra) riguardo ai beni culturali. Fin dal titolo che rovescia quel rozzo «con la cultura non si mangia» pronunciato il 14 ottobre 2010 da Giulio Tremonti, che da ministro ha tagliato un miliardo e mezzo di euro all'università e 8 miliardi alla scuola pubblica, per non parlare dei tagli al ministero dei beni culturali e al Fus. Proprio grazie alla "finanza creativa" di Tremonti il bilancio del ministero dei Beni culturali nel 2008 fu praticamente ridotto della metà. Senza che l'allora ministro Sandro Bondi protestasse. Anzi cercò di silenziare Salvatore Settìs allora a capo del Consiglio superiore dei beni culturali, che messo di fronte all'impossibilità di svolgere il proprio compito, fu praticamente costretto a dimettersi. E presto sostituito da Andrea Carandini, attuale presidente del Fai. Nel 2013 - vai la pena di ricordarlo qui - il bilancio del ministero dei Beni culturali è ulteriormente sceso del 6,1 per cento. Anche in questo caso senza che Lorenzo Ornaghi, ministro dei Beni culturali del governo Monti, facesse alcuna opposizione. E se non ci saranno cambiamenti di rotta, sono previsti ancora tagli per 125 milioni nel 2014, e di 135,7 nel 2015, come ha scritto Tomaso Montanari su R Fatto. La crisi picchia duro, si è giustificato il governo dei tec¬nici guidato da Monti. «Ma proprio in momenti di crisi occorre sostenere finanziariamente la cultura», ha sottolineato Settìs intervenendo al Salone del libro di Torino contro quella che il professore chiama «la religione dell'austerità sostenuta dalla destra». Citando il Nobel Krugman a supporto. A noi tornano in mente anche le parole di Martha C. Nussbaum: «Solo i Paesi che hanno continuato a investire in cultura sono riuscite a fronteggiare in qualche modo la crisi, guardando al futuro». A questo tema la filosofa americana ha dedicato un intero libro a cui per brevità rimandiamo. S'intitola Non per profitto (Il Mulino, 2012) e mette in luce, con dovizia di dati, perché le democrazie hanno bisogno della cultura. E di quella umanistica in particola [b][/b][b][/b][b][/b][b][/b]  

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