10630 Un Parlamento incostituzionale

20130520 08:46:00 guglielmoz

[b]Se i nostri governanti, dunque, sono rimasti mentalmente a prima del 1789, sarà allora possibile ipotizzare, prima o poi, un 14 luglio 1789 anche per l’Italia?[/b]

La Suprema Corte di Cassazione, col rinviare alla Corte Costituzionale alcune questioni di costituzionalità relative alla legge elettorale, ha finalmente portato allo scoperto un problema esistente da anni ma che veniva sempre sottaciuto per le convenienze, momentanee e di parte, di ciascuno, ovverosia i difetti dal punto di vista costituzionale della riforma della legge elettorale voluta nel 2005 dal CENTRO DESTRA (IL COSIDETTO PORCELLUM di Calderoli).

Che si trattasse di una porcata era ben evidente. Ma l’ottica tutta politicista sempre di moda in Italia, anche dopo l’esplosione elettorale del M5S, ha impedito un’analisi di quella legge sotto il profilo costituzionale. Nonostante in passato vi fossero stati già dei richiami da parte della Corte Costituzionale riguardo ai profili di incostituzionalità di quella legge, nessuno volle mai ascoltarli tanto che alla fine si è tornati a votare nel 2013 con un simile sistema elettorale.

Vediamo dunque i rilievi operati dalla Corte di Cassazione per poi trarne alcune conclusioni.

A titolo preliminare, va prima di tutto osservato che la Corte di Cassazione ha sottolineato, nella sua ordinanza di rinvio, che l’espressione del voto, attraverso cui si manifestano e la sovranità popolare e la dignità dell’uomo, costituisce un diritto inviolabile e permanente della persona, sicché esso deve poter essere esercitato sempre in modo conforme alla Costituzione. In più, la Suprema Corte di Cassazione ha sollevato indirettamente un problema, che di certo non verrà preso in considerazione dal sistema politico giacché quasi nessuno si sarà minimamente degnato di leggere quanto scritto dalla Cassazione, intorno al problema dell’accesso diretto o meno alla Corte Costituzionale da parte dei cittadini. Ricordiamo difatti che l’accesso alla Corte Costituzionale è consentito in via c.d. incidentale, vale a dire sollevando nel corso di un giudizio una questione di costituzionalità, la quale potrà essere presa in esame dalla Consulta allorché quella questione influisca sì sull’esito del giudizio in cui è insorto l’incidente di costituzionalità ma a condizione che la questione di costituzionalità non esaurisca tutto il giudizio sottostante.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha sottolineato che esistono leggi che possono di per sé creare, come nel caso della legge elettorale, menomazioni di diritti impossibili da rimuovere senza accesso alla Corte Costituzionale. L’esistenza di un filtro di accesso che impedisca di rimuovere situazioni incostituzionali lesive di diritti soggettivi determinerebbe l’insorgere di un dubbio di costituzionalità persino in relazione alla norma (art. 23, Legge n. 87 del 1953) che stabilisce l’accesso alla Corte Costituzionale unicamente in via incidentale.

Ora, sarebbe troppo domandare al sistema politico una riflessione, magari con una soluzione, relativamente a questo problema? Tentare, cioè, di immaginare una revisione delle modalità di accesso alla Corte Costituzionale, al pari di quanto avviene in altri paesi, in via diretta in caso di lesione di diritti soggettivi fondamentali da parte del legislatore o del Governo?

La risposta, con ogni probabilità, è sì. Sarebbe troppo. Quindi, dovremo affidarci, per l’ennesima volta, alla razionalità della magistratura e della Corte Costituzionale per risolvere i problemi che si porranno a mano a mano che essi purtroppo esploderanno a causa dell’invecchiamento del nostro sistema e delle mancate riforme strutturali che la politica non riesce più a produrre, a parte quando si tratta di colpire lavoratori e pensionati.

Occorre aggiungere, poi, che la Corte di Cassazione ha sostenuto, in modo assolutamente corretto, che la materia elettorale, ancorché non disciplinata direttamente in Costituzione, debba comunque essere disegnata in modo coerente con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento, in particolare col principio di eguaglianza e col principio del voto personale, eguale, libero e segreto.

Inoltre, sebbene si tratti di una legge costituzionalmente necessaria, ossia volta a garantire il continuo funzionamento di uno degli organi costituzionali (il Parlamento), non è impossibile che la legge elettorale sia sottoposta a sindacato di costituzionalità. Infatti, un conto è il giudizio di ammissibilità dei referendum.

Un altro conto è il giudizio di costituzionalità. Nel primo caso, la Corte Costituzionale, anche di recente, ha sostenuto che non fosse ammissibile il referendum sulla legge elettorale allorché la c.d. normativa di risulta impedisse di procedere al rinnovo delle camere (ad esempio, non sarebbe ammissibile il quesito referendario finalizzato all’abrogazione tout court della legge elettorale).

Nel secondo caso, invece, non è impossibile che siano eliminati dalla legge elettorale i suoi elementi eventualmente incostituzionali senza peraltro che ne sia pregiudicata la sua costante operatività. D’altronde, la Corte di Cassazione ha sollevato due questioni di costituzionalità che non impedirebbero, una volta terminato in senso positivo il giudizio di costituzionalità, alla legge elettorale di funzionare comunque.

La prima questione riguarda la legittimità costituzionale del premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale sia per la Camera che per il Senato. Con riguardo al premio di maggioranza alla Camera, la mancata previsione di una soglia minima di voti onde far scattare il premio è tale, a parere della Cassazione, da determinare una grave alterazione della rappresentanza democratica tutelata dagli artt. 1 e 67 della Costituzione.

Tra l’altro, il meccanismo premiale prefigurato nel 2005 è suscettibile di causare una grave sproporzione in termini di trattamento fra i voti conseguiti dalla coalizione o lista uscita vincitrice anche per un solo voto e le altre coalizioni o liste in competizione, così da risultare violato il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione. L’effetto che ne segue, nota a buon diritto la Cassazione, è persino peggiore di quello provocato a suo tempo dai premi disciplinati dalla c.d. Legge truffa del 1953 o dalla Legge (fascista) Acerbo del 1923.

Oltretutto, un simile meccanismo premiale non garantisce la stabilità delle coalizioni, dal momento che resta sempre possibile che la coalizione uscita vincitrice dalle urne si sciolga dopo aver beneficiato del premio di maggioranza. Ne deriva una difficoltà ulteriore nella formazione di governi nel corso della legislatura, oltre a un’alterazione degli equilibri istituzionali poiché la maggioranza in tal modo “premiata” può eleggere, grazie appunto al premio, gli organi di garanzia che restano in carica per un tempo più lungo della legislatura.

Quanto al premio di maggioranza al Senato, a parte anche qui la mancata previsione di una soglia minima di voti per farlo scattare, la Cassazione nota che il meccanismo dei premi regionali è irrazionale, in quanto contraddice l’esigenza di assicurare la governabilità.

Con un premio diverso per ogni regione, il risultato è una sommatoria del tutto casuale di premi regionali che finiscono per elidersi tra loro, essendo possibile addirittura che venga rovesciato il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni su base nazionale.

Per questa via si compromette il funzionamento della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere (art. 94 della Costituzione) e in cui l’esercizio della funzione legislativa spetta a ciascuna delle due Camere (art. 70 della Costituzione).

In aggiunta, la violazione dei princìpi di ragionevolezza ed eguaglianza del voto è ancor più palese nel voto al Senato perché l’entità del premio varia regione per regione, essendo maggiore nelle regioni più popolose.

Così, il peso del voto, che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo ai fini dell’attribuzione dei seggi, risulta essere diverso in funzione della collocazione geografica del cittadino elettore.

Il fatto che l’art. 57 della Costituzione dica che il Senato è eletto a base regionale non vuol dire affatto che il legislatore ordinario possa introdurre un meccanismo premiale che non rispetti il principio di eguaglianza dei cittadini.

Quanto al voto di preferenza e alla possibilità di votare esclusivamente liste c.d. bloccate, la Corte di Cassazione ha ipotizzato, nel rinviare la questione alla Corte Costituzionale, che il legislatore del 2005 abbia elaborato una sorta di voto indiretto in contrasto col principio di voto diretto stabilito dagli artt. 56 e 58 della Costituzione, stante che il corpo elettorale non può scegliere direttamente i propri rappresentanti, tale funzione venendo così assegnata dal Parlamento ai partiti, i quali invece secondo la Costituzione devono sì concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale, ma né si identificano con le istituzioni né possono scegliere i rappresentanti del popolo in sostituzione del popolo stesso.

Si verrebbe in questo modo a violare l’art. 67 della Costituzione in base al quale ogni parlamentare rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, ciò che presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dall’elettore.

La Corte Costituzionale valuterà se i quesiti sollevati dalla Corte di Cassazione sono fondati e se la legge elettorale del 2005 meriti di essere censurata in punto di costituzionalità. Sbilanciandosi, pare legittimo affermare che molto probabilmente questo sarà il risultato finale della vicenda.

Se così stanno le cose, sarebbe allora bene che un Parlamento così eletto, su cui grava una pesante ombra di elezione incostituzionale, si astenesse dall’effettuare riforme della Costituzione che aggraverebbero ulteriormente la crisi politica in Italia.

Ciò perché quelle riforme non sarebbero legittime costituzionalmente, casomai la Corte Costituzionale accogliesse i rilievi della Cassazione, essendo scaturite da maggioranze parlamentari fondate su equilibri alterati dalla legge elettorale.

È estremamente preoccupante invece che la nuova/vecchia maggioranza Monti/Letta non si sia minimamente preoccupata di questo “piccolo dettaglio”, che viceversa è estremamente significativo.

Sono allora ben evidenti un paio di aspetti da mettere in rilievo:

1) qualunque riforma che verrà fatta passare (e non come nel caso del pareggio di bilancio) meriterà di essere contrasta duramente con tutti gli strumenti possibili, anche se del caso nel quadro del Consiglio d’Europa;

2) il ceto politico continua a dimostrare di essere sordo e cieco rispetto alla necessità che l’azione politica sia improntata ai dettami dello stato di diritto costituzionale.

Se i nostri governanti, dunque, sono rimasti mentalmente a prima del 1789, sarà allora possibile ipotizzare, prima o poi, un 14 luglio 1789 anche per l’Italia?

(Karl gz)

FONTE. [url]http://cambiailmondo.org/2013/05/20/un-parlamento-incostituzionale/[/url]

Un Parlamento incostituzionale

 

Views: 2

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.