10629 Notizie 18 maggio

20130517 19:37:00 guglielmoz

AFRICA & MEDIO ORIENTE
ASIA & PACIFICO
AMERICA CRENTRO MERIDIONALE
AMERICA SETTENTRIONALE
EUROPA

AFRICA & MEDIO ORIENTE
TURCHIA – Gli attentati in Turchia / In Turchia sono state arrestate nove persone in relazione al duplice attentato che ha causato la morte di 46 persone, sia turchi sia rifugiati siriani, a Reyhanh (nella foto, un edificio distrutto), vicino alla frontiera con la Siria. Il quotidiano Asharq al Awsat scrive che gli arrestati appartengono a un gruppo legato agli alawiti (la setta religiosa del presidente Bashar al Assad) controllato dai servizi segreti di Damasco, che avrebbero organizzato l’attentato per minare il sostegno turco all’opposizione siriana. La Siria ha negato ogni responsabilità e si è detta disposta a creare una commissione d’in-chiesta congiunta con Ankara. Nei giorni successivi all’attacco i rifugiati siriani di Reyhanh sono stati vittime di rappresaglie.
La Turchia accoglie 33omila profughi siriani. Il 14 maggio l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’ong con sede nel Regno Unito, ha rivisto la stima dei decessi causati dal conflitto siriano (dal 15 marzo 2011), che sarebbero saliti a 94mila.

SIRIA – Al Qaeda uccide soldati in video Un video diffuso ieri dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo mostra un gruppo di uomini del Fronte al-Nosra, un’organizzazione legata agli islamisti radicali di al Qaeda, mentre uccidono sostenitori del presidente siriano Bashar al Assad, nell’est del paese. Dopo aver pronunciato una condanna a morte «contro i soldati apostati», il jihadista uccide i prigionieri inginocchiati e bendati. Dietro, due bandiere nere con simboli islamici. Secondo i siti jaidisti, si tratterebbe di un’esecuzione avvenuta nel 2012. Il gruppo, formato da combattenti siriani e da volontari stranieri, si è fatto conoscere attraverso diverse azioni suicide e intende instaurare uno stato islamico dopo la caduta di Assad, ma non sembra incontrare il favore dell’Esercito siriano libero (Esl), principale forza dei ribelli. Le milizie dell’Est e i gruppi jaidisti – ha dichiarato ieri l’arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo alla Fides – «fanno pagare pedaggi a tutti i mezzi provenienti dalle aree di Damasco e di Aleppo che trasportano merci. Dicono che quei soldi servono per comprare armi. Per questo i prezzi dei viveri nelle nostre città e nei villaggi sono quasi decuplicati». Ieri, testimoni hanno raccontato alla Bbc di un raid governativo, il 29 aprire, durante il quale sarebbero stati sganciati ordigni contenenti gas letale a sud-ovest di Aleppo. Una denuncia che fa seguito a quella di Carla del Ponte, della Commissione Onu per i diritti umani: ma contro i ribelli.

LIBANO – Mercoledì mattina un amico mi ha telefonato per informarmi di una manifestazione a El Bireh, in Cisgiordania, per creare un unico stato democratico nei confini della Palestina storica. Erano presenti venti uomini di mezza età e due donne. L’iniziativa è stata lanciata due anni fa da alcuni dirigenti di Al Fatah, il partito che negli anni novanta aveva sostenuto la soluzione dei due stati e la firma degli accordi di Oslo. Gli organizzatori dell’evento sostengono che Israele abbia ormai reso impraticabile la soluzione dei due stati, e quindi sia necessario riproporre la vecchia idea di un unico stato. Questo garantirebbe tutti gli abitanti, senza discriminazioni etniche, religiose, di genere, linguistiche, razziali e politiche, e concederebbe ai rifugiati palestinesi il diritto di ritorno. O almeno, è quello che vorrebbero i promotori dell’iniziativa. Unica giornalista presente, ho chiesto ai partecipanti se i cittadini del nuovo stato sarebbero stati palestinesi ed ebrei. Uno di loro mi ha spiegato che i dettagli sono ancora in discussione, ma che personalmente era favorevole a uno stato per due popoli. Qualche minuto dopo è entrato in sala un importante dirigente di Al Fatah. Dopo l’in-contro si è fermato a parlare con me: "Non siamo riusciti a creare uno stato accanto a Israele", mi ha detto (anche perché Israele non l’ha mai vo-luto, ho aggiunto io). Gli ho chiesto se potevo citare la sua ammissione di fallimento. "No, è troppo presto", ha risposto. Di

ISRAELE – II 9 maggio il governo ha dato il via libera alla costruzione di 296 case nell’insedia-mento di Beit El, in Cisgiordania.

LIBIA – II 13 maggio tre persone sono morte e 14 sono rimaste ferite nell’esplosione di un’auto-mobile a Bengasi. Secondo le autorità si è trattato di un incidente.
LIBIA – Autobomba esplode a Bengasi, 9 vittime / A Bengasi, nei pressi dell’ospedale di Al Jalaa, nell’est della Libia, almeno 9 persone sono morte e 20 sono rimaste ferite per l’esplosione di un’autobomba. Una folla furiosa ha circondato il luogo dell’attentato accusando le milizie armate – che imperversano dopo l’uccisione di Muammar Gheddafi e i rovesci del 2011 – di essere all’origine degli attacchi. Nelle scorse settimane, le tensioni tra il governo di Tripoli e le milizie ha prodotto l’assedio di diversi giorni ai ministeri degli Esteri e a quello della Giustizia e degli Esteri.

CIPRO – I ministri delle finanze dell’eurozona hanno sbloccato la prima tranche del pacchetto di salvataggio da dieci miliardi di euro concesso a Cipro a marzo. Il governo di Nicosia riceve-rà subito due miliardi. Un altro miliardo dovrebbe arrivare entro il prossimo 30 giugno.

BAHRAIN – Scompare in carcere attivista per i diritti umani / Si sono perse le tracce in prigio¬ne di Nabeel Rajab, il presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain condannato a due anni di carcere per aver partecipato a manifestazioni di protesta contro la monarchia (assoluta) al Khalifa. Colleghi e amici di Rajab, uno degli esponenti di punta della società civile bahranita, hanno de-nunciato ieri che da quattro giorni la moglie, Sumaya, non ha più avuto notizie dell’attivista. Secondo quanto riferito da altri detenuti politici, Rajab sarebbe stato messo in isolamento per avere protestato per le molestie che subiva da giorni dalle guardie carcerarie. Il ministero dell’Interno si è limitato a comunicare sul suo sito web che Rajab «non è scomparso» e che sta scontando «regolarmente» la sua con-danna. Crescono i timori anche per la sorte di un altro attivista dei diritti umani, Naji Fateel, della Società del Giovani del Bahrain, arrestato il 2 maggio e che sarebbe stato torturato sotto interrogatorio.
La monarchia al Khalifa, stretta alleata degli Stati uniti, è tornata ad usare il pugno di ferro dopo aver promosso nei mesi scorsi il «dialogo nazionale» con alcune formazioni dell’opposizione. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati soprattutto gli arresti di blogger e attivisti della rete. A ciò si aggiunge il permesso negato dalle autorità di Mana-ma all’ingresso nel Paese del Rap-porteur dell’Orni sulla tortura luan Mendez, atteso in Bahrain questa settimana. «È stato un colpo durissimo per tutte quelle realtà della società civile che volevano presentare a Mendez un quadro preciso delle violazioni e degli abusi che sono commessi nel Paese», ha detto al manifesto la giornalista Reem Khali¬fa. «Purtroppo – ha aggiunto Khalifa – dobbiamo constatare la scarsa attenzione del mondo verso la lotta che il popolo del Bahrain porta avanti da anni in nome della democrazia e dei diritti», ( di michele giorgio il manifesto 17 05 2013 )

NIGERIA – Boko Haram rivendica attacchi nel Nord-est / Abubakar Shekau, comandante del gruppo armato islamico nigeriano Boko Haram, ha rivendicato alcune «azioni di rappresaglia» contro le forze di sicurezza, avvenute tra il 19 e il 20 aprile a Baga e il 6 maggio a Bama, località dello Stato nord-orientale di Borno. Bilancio, oltre 240 vittime.

SUDAFRICA – Sindacati in lotta / Almeno quattromila lavoratori hanno partecipato il 14 maggio a uno sciopero spontaneo alla miniera di platino della Lonmin, a Marikana, scrive The Times. È la stessa miniera dove nell’agosto del 2012 la polizia ha ucciso 34 minatori e che è ancora teatro di violenze a causa di una "guerra spietata tra sindacati rivali". L’n e il 12 maggio almeno tre persone, tra cui un sindacalista, sono stati uccisi nei dintorni di Marikana. Queste morti, secondo il quotidiano, hanno spinto i lavoratori a scioperare.
SUDAFRICA / CAPE TOWN – Alta tensione nella cintura di platino di Rustenburg dopo massicci licenziamenti. UCCISO SINDACALISTA TESTIMONE di Rita Plantera
Anche quest’anno, come negli scioperi selvaggi del 2012, si temono violenze a seguito del taglio di seimila posti di lavoro annunciato venerdì dall’impresa Anglo American Platinum
Sale la tensione nella cintura di platino di Rustenburg. Domenica un rappresentante sindacale dell’Association of Mineworkers and Constraction Union (AMCU) è stato ucciso con quattro colpi di pistola da un gruppo di uomini con il passamontagna a poca distanza dalla miniera di Khomanani, dell’Anglo American Platinum (AMPLATS). Steve Khululekile, 46 anni ed ex sostenitore del National Union of Mine Workers (NUM), avrebbe dovuto testimoniare proprio ieri davanti alla commissione d’inchiesta sul massacro di Marikana dell’anno scorso, quando circa 34 persone vennero uccise in scontri con la polizia.
A dare prova degli attriti tra i due sindacati, le dichiarazioni del tesoriere nazionale di AMCU, Jimmy Gama, il quale ha già puntato il dito contro i sostenitori del NUM. Dopo gli scioperi selvaggi del 2012, anche quest’anno si temono forti disordini a seguito del taglio di 6 mila posti di lavoro annunciato venerdì da Amplats. Furiosa nei giorni scorsi la reazione dell’African National Congress (ANC) – partito di governo dal 1994 – che ha accusato il primo produttore mondiale di platino di comportarsi in modo infantile. «La società ritiene che sia eticamente accettabile l’accaparramento delle risorse minerarie e il privare il Paese della crescita economica e i lavoratori dei loro mezzi di sussistenza», ha tuonato il ministro delle risorse minerarie Susan Shabangu.
Amplats ha assestato un colpo durissimo al governo sudafricano già alle prese con un tasso di disoccupazione più alto del 25%. Almeno un lavoratore sudafricano su quattro attualmente non ha lavoro e la crescita economica del Paese annaspa a ritmi anemici rispetto a quella del resto degli altri Paesi africani che si stima dovrebbe aumentare del 5% quest’anno. Peraltro, a rendere più imbarazzante la situazione c’è il fatto che la mazzata arriva mentre Cape Town ospita IL WORLD ECONOMIC FORUM’S "AFRICAN DAVOS". Forte anche la reazione del Congress of South African Trade Unions (Cosatu) affidata al suo portavoce, Patrick Craven: «Migliaia di famiglie rischiano di perdere il loro unico mezzo di sostentamento e le comunità saranno devastate dall’impatto di perdite così pesanti di posti di lavoro. Questo spiega perché Cosatu ha chiesto ripetutamente la nazionalizzazione del settore minerario, in modo che possa essere gestito per il bene dei lavoratori e non per il profitto degli azionisti».
Il nuovo piano di risanamento ha scatenato poi l’ira del National Union of Mineworkers (NUM) – il sindacato storico del settore – che attraverso il segretario generale Frans Baleni ha fatto sapere che si opporrà a qualunque piano di ridimensionamento, indipendentemente dal numero di lavoratori coinvolti, e di essere pronto a tutto per contrastare, in un quadro legale, il taglio dei posti.
«Il sindacato è fortemente turbato dalla decisione dell’Anglo American Platinum di bypassare le riunioni delle parti interessate in programma per la prossima settimana», ha dichiarato Frans Beleni, aggiungendo come Amplats abbia deciso in questo modo di mostrare «il dito medio» a chi tra gli azionisti aveva sostenuto posizioni critiche verso i tagli.
Il National Union of Mine Workers (NUM), è un alleato politico fondamentale dell’ANC. Ma nel 2012 durante una sanguinosa guerra per il controllo del territorio, nel periodo degli scioperi, ha subito una massiccia perdita di minatori che sono andati ad ingrossare le file dell’AMCU.
La consapevolezza che alla base del malcontento ci fosse l’incapacità dei suoi leader di mantenere il contatto con i lavoratori e una strategia troppo vicina a quella dell’ANC e dello stesso management aziendale, l’ha portato, la scorsa settimana, a fondare la lega giovanile del sindacato nel tentativo di recuperare potere.
L’età media dei minatori infatti si sarebbe abbassata e le migliaia che sono passate nei ranghi dell’AMCU avrebbero tra i 20 e i 30 anni. «Abbiamo bisogno dei giovani. I più vecchi sono fedeli al NUM perché sono venuti con noi attraverso la lotta contro l’apartheid. I ragazzi sono più militanti e dobbiamo guardare ai loro interessi», sostiene Lesiba Seshoka portavoce di NUM.
La "NUM Youth Forum", questo il nome della sezione giovanile, sarà modellata sulle linee della ANC Youth League. La sua fondazione avviene a ridosso dei prossimi negoziati salariali nel settore minerario, che saranno probabilmente più difficili di altre volte data l’inflazione – arrivata al 6 per cento a febbraio portando i prezzi alimentari a un aumento del 6,1 per cento – lo forte militanza dei lavoratori e la contrazione dei margini aziendali.
Salari bassi, diseguaglianza sociale e una media di circa otto famigliari a carico sono alcuni dei fattori che aiutano a capire perché decine di migliaia di ex sostenitori di NUM siano traghettati verso il più radicale Association of Mineworkers and Constraction Union (AMCU)

ASIA & PACIFICO
PAKISTAN – LEGISLATIVE, ALTA PARTECIPAZIONE, 22 MORTI / Oltre 86 milioni di cittadini erano chiamati alle urne, ieri, in Pakistan per eleggere 342 deputati all’Assemblea nazionale e i loro rappresentanti nelle quattro assemblee provinciali; 272 deputati vengono eletti direttamente e altri 70 sono nominati in base a una lista proporzionale. Secondo i sondaggi, dopo quella conseguita dai partiti progressisti e laici nel 2008, la vittoria dovrebbe andare ora al centrodestra e al magnate dell’acciaio Nawaz Sharif, a capo della Lega musulmana (Pml-N), due volte primo ministro negli anni ’90. La giornata elettorale, segnata dagli attentati dei taleban che hanno provocato 22 morti, ha registrato una «forte» affluenza, secondo la commissione elettorale. Numerose le denunce di brogli, soprattutto a Karachi, metropoli economia del paese, dove il Muttahida Qaumi Mouvement (Mqm) è stato accusato di aver terrorizzato la popolazione. Gli islamisti della Jamaat-e-Islami (Ji) hanno boicottato le elezioni a Karachi e in diversi bastioni dell’Mqm. I taleban del Threeke-Taliban Pakistan (TtP)hanno rivendicato gli attacchi al processo elettorale che considerano «non islamico». Una giornata, invece, considerata storica perché consente a un governo civile di passare la mano a un altro analogo, dopo aver concluso un intero mandato di 5 anni: una prima volta nel paese, creato nel 1947, e costellato da colpi di stato militari
PAKISTAN – Una faccia antica e più di una novità / Record di affluenza malgrado minacce e attentati. Exploit di Imran Khan, sinistra in difficoltà Il voto premia l’ex premier Nawaz Sharif e punisce la dinastia Bhutto. Una svolta a destra, La vera novità delle elezioni pachistane è che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Il nuovo premier è una faccia antica che premier è già stato e che calca le scene della politica pachistana da decenni. Ma al di là della battuta, della longevità politica e della controversa caratura di Nawaz Sharif, a capo della fazione della Lega musulmana che porta il suo nome (Pakistan Muslim League-Nawaz), queste elezioni per il rinnovo del parlamento di Islamabad e del potere provinciale hanno rappresentato più di una novità.
Per la prima volta nella storia del Pakistan, un governo civile porta a termine la legislatura e, nonostante minacce, attentati e 150 morti durante la campagna elettorale, il 60% degli aventi diritto è andato a votare: un record e un 20% in più rispetto alla passata consultazione. La terza novità è che il Partito popolare della dinastia Bhutto (Ppp) ha subito la sua confitta più clamorosa, evidenziando la fine di un’era e forse di quella stessa dinastia. La quarta è l’affermazione del Pti, il partito di Imran Khan, un partito che si basa più sugli slogan e sul carisma del suo leader – un ex campione di cricket – che su un vero programma. Aveva un seggio e ora ne ha una trentina. Ha fatto man bassa nelle aree tribali, tradizionale base elettorale del partito laico Awami (praticamente scomparso e questa è la quinta, triste, novità) e dei partiti islamisti che, tutto sommato, tengono la posizione. L’ultima novità è forse che, anche in Pakistan, la sinistra, o almeno i partiti che tradizionalmente si ispirano a principi secolari e socialisti, è in difficoltà (il Ppp e appunto il partito Awami).
UN LEADER CHIACCHIERATO
Il Pakistan dunque svolta a destra: sceglie un leader conservatore, chiacchierato quand’era al potere per i suoi rapporti con gli islamisti e nemico dell’esercito più per una questione personale (furono i militari con un golpe e cacciarlo nel 1999) che non perché sia poi un così ferreo baluardo del potere civile. Come ogni nuovo premier ha promesso aperture all’India e agli Stati uniti (sia Delhi sia Washington si sono calorosamente congratulati) ma fu il suo governo a fare i test atomici del 1998 che impaurirono Delhi con cui, qualche mese, dopo scoppiò l’ennesimo confitto (Musharraf, che poi lo rovesciò, era allora capo di Stato maggiore). Quanto agli americani, Nawaz Sharif ha bisogno dei loro quattrini ma dovrà vedersela con l’amara politica dei droni (omicidi mirati con aerei senza pilota) tanto cara a Obama. Avrà però una freccia al suo arco: il ritiro americano deve per forza passare dal porto pachistano di Karachi.
I risultati, non ancora ufficiali, gli danno almeno 125 seggi nell’Assemblea nazionale e una maggioranza schiacciante in quella del Punjab, la provincia ricca che ha finanziato la sua campagna elettorale. Ha tre settimane per mettere assieme l’esecutivo e basterà dunque un po’ di scouting tra gli "indipendenti" che, con una trentina di seggi, si contendono il primato di secondo partito con circa gli stessi scranni di Ppp e Pti. Oltre a loro qualche vecchio compagno di governo è già in corsa: Ishaq Dar ad esempio, non a caso già suo ex ministro delle Finanze., in linea con la scelta di Nawaz di puntare le sue carte sulla ripresa. Il Pakistan è in recessione e cinque anni di fragilità politica del governo Ppp non hanno aiutato. La borsa di Karachi ha premiato il risultato di Sharif proprio in omaggio alla stabilità, a quella «confortevole maggioranza» sbandierata dai suoi portavoce: primo partito a livello nazionale e primissimo in Punjab (due terzi dell’assemblea provinciale).
MOLTI PROBLEMI IN PROGRAMMA
I problemi non gli mancheranno: in politica interna, oltre alla crisi economica, c’è l’emergenza talebana e quella baluchi (vedi l’altro articolo in questa pagina). Sul fronte internazionale invece ci sono gli atavici problemi coi vicini: l’India tanto per cominciare ma anche l’Iran e, di converso, gli Stati uniti che vorrebbero bloccare il famoso "gasdotto della pace" che porta dall’Iran a India e Pakistan il gas di cui Islamabad ha un dannato bisogno. Gli americani osteggiano da anni il progetto ma Nawaz Sharif ha già fatto sapere che non lo bloccherà. Poi c’è la Cina, vecchio alleato che per ora non ha mai creato problemi ma che spinge per una soluzione alla ribellione islamista troppo vicina alle sue frontiere meridionali. Infine l’Afghanistan. C’è chi dice che il neo premier potrebbe essere più pragmatico del Ppp che si limitava ad attaccare Karzai a ogni occasione.
Ma su quella frontiera intricata e porosa potrebbe non bastare quest’uomo buono per tutte le stagioni ma che in passato non ha brillato sul fronte afgano: nel 1997 l’emirato di mullah Omar venne riconosciuto dal Pakistan. Era il 26 maggio: il giorno dopo toccò ad Arabia saudita ed Emirati. A Islamabad, da febbraio, era premier per la seconda volta Nawaz Sharif. Lettera22 – di Emanuele Giordana

BANGLADESH – LA VERGOGNA DEL CAPITALISMO GLOBALE e LA LEZIONE DEL RANA PLAZA.
1. Il 13 maggio il governo del Bangladesh ha approvato la bozza di una proposta di legge che dovrebbe migliorare i diritti dei lavoratori e tutelare la loro sicurezza. Tra le altre cose, la proposta di legge prevede la registrazione de Woutsourcing per evitare lo sfruttamento degli operai; l’assicura-zione di gruppo per i lavoratori sarà obbligatoria nelle aziende con più di cento dipendenti e in caso di morte di un dipendente il datore di lavoro dovrà occuparsi di incassare l’indennizzo e consegnarlo ai familiari del deceduto; la spesa per la realizzazione di uno stabilimento dovrà essere adeguata al progetto e nelle aziende di export dovranno essere costituiti dei fondi previdenziali.
2. Dopo il disastro del 24 aprile, alcune aziende europee che fanno affari con il Bangladesh – tra cui Benetton, Mango, H&M, Marks&Spencer, El Corte Inglés e Carrefour- si sono impegnate a firmare un accordo sulla sicurezza nelle fabbriche. Secondo il patto, che durerà cinque anni e che è stato concordato con i difensori dei diritti dei lavoratori e con i sindacati, le aziende firmatarie eviteranno gli stabilimenti che non garantiscono gli standard di sicurezza e pagheranno per gli interventi di ristrutturazione necessari. Sarà costituito un consiglio con tre rappresentanti dei lavoratori, tre dei rivenditori e un presidente scelto dall’Organizzazione internazionale del lavoro. Le aziende statunitensi come Walmart, Gap e molte altre non firmeranno l’accordo. The Wall Street Journal
BANGLADESH – NON È STATO UN INCIDENTE/ LE ISTITUZIONI NON DIFENDONO LA VITA DEI LAVORATORI. SERVONO LEGGI NUOVE SU CORRUZIONE E SICUREZZA – L’opinione di Ali Houssain Mintu, del New Age.
Finora dalle rovine del Rana Plaza sono stati estratti i corpi senza vita di quasi 1.200 persone. I sopravvissuti sono circa 2.400. Ci sono ancora molti dispersi. Di chi è la colpa di questa tragedia? È uno sventurato incidente o un crudele omicidio? Il 23 aprile, alla vigilia del crollo, il Rana Plaza presentava diverse crepe nei pilastri: quel giorno alcune reti televisive le hanno mostrate e hanno cercato di intervistare Sohel Rana, il proprietario dell’edificio. La polizia ha visitato la struttura e ha chiesto a Rana di tenerla chiusa, ma gli avvertimenti delle autorità sono stati ignorati. Il giorno dopo l’edificio è crollato.
Nonostante il primo ministro e altri membri del governo abbiano (tristemente) cercato di rifugiarsi dietro frasi come "gli incidenti capitano", il crollo del Rana Plaza non è stato un incidente. Come ormai sappiamo tutti, il palazzo era stato costruito su un terreno instabile, senza l’approvazione del governo. I cosiddetti permessi ottenuti dalle autorità locali prevedevano un edificio di cinque piani. Al momento del crollo i piani del Rana Plaza erano sette, e un altro era in costruzione. Evidentemente Rana, da uomo legato al partito al potere, ha pensato di essere al di sopra della legge e di non aver bisogno di ottenere i permessi. L’edificio ha rischiato il crollo fin dalla sua costruzione. Nelle vicinanze, Rana ha costruito un altro palazzo di otto piani, la Rana tower, che ha mostrato preoccupanti crepe nei muri pochi giorni prima del crollo del Rana Plaza.
ORA LA STRUTTURA È SOTTO SEQUESTRO.
Ogni volta che una tragedia simile si abbatte sul paese, le autorità cominciano un disgustoso scaricabarile. Dopo il dramma dell’incendio della Tazreen, vicino a Dhaka, nel novembre 2012, la Bangladesh garment manufacturers and exporters association (Bgmea) ha puntato l’indice contro i proprietari della fabbrica, mentre il governo ha incolpato la stessa Bgmea. Allo stesso modo, quando il Rana Plaza è crollato, la Bgmea e i proprietari della fabbrica hanno accusato il proprietario della struttura, e viceversa.
SUL MERCATO INTERNAZIONALE
L’industria dell’abbigliamento del Bangladesh rappresenta l’8o per cento delle esportazioni totali del paese, e nel 2012 ha avuto un giro d’affari di venti miliardi di dollari. Per questo è essenziale trovare una soluzione ai suoi problemi. Questi disastri non solo stanno esigendo un pesante tri-buto in termini di vite umane, ma diffondono un’immagine negativa del paese nella comunità internazionale. Il governo ha arrestato i proprietari di tre fabbriche insieme a Rana, ma punire i proprietari non basta. Vari ministri e istituzioni governative sono colpevoli di negligenza. Il governo e la Bgmea devono giocare un ruolo fondamentale per risolvere i problemi del settore dell’abbigliamento. Il compito della Bgmea non è solo favorire l’industria e offrire un supporto logistico per le aziende, ma anche garantire un ambiente di lavoro consono e proteggere i diritti dei lavoratori. Dopo il rogo di Tarzeen l’industria dell’abbigliamento è finita sot-to la lente d’ingrandimento dei mezzi d’in-formazione internazionali e dei mercati globali. Il crollo del Rana Plaza ha peggiorato le cose.
Dopo il disastro di Savar, la Bgmea ha dichiarato che indagherà per stabilire se tutte le fabbriche sotto la sua autorità operano in strutture che rispettano la normativa, ma il problema è che queste decisioni devono essere applicate, oltre che annunciate. Anche il governo deve assumersi le sue responsabilità. È compito dello stato fornire un sostegno logistico e infrastrutturale alle industrie esportatrici, così come formulare e far rispettare regole adeguate. L’elemento principale che il governo deve control-lare (e finora non l’ha fatto) è la corruzione. Nel caso del Rana Plaza è possibile riscontrare segnali di corruzione a ogni passaggio – dall’approvazione del progetto alla costruzione – e per questo tutte le istituzioni responsabili condivi-dono la colpa.
Il governo non deve solo assumersi le sue responsabilità, ma anche far processare i funzionari corrotti per evitare il ripetersi dei crimini. Il Rana Plaza aveva mostrato le prime crepe prima del crollo, ma nessuna istituzione pubblica ha mostrato alcun interesse per le vite dei lavoratori. Il tentativo iniziale dell’esecutivo di negare i legami di Rana con il partito al potere è stato vergognoso. Oggi ci si aspetta che il governo faccia un’indagine approfondita e punisca i responsabili.
La crescita del Bangladesh è riconosciuta a livello globale. Ora dobbiamo vincere altre sfide in campi come il rispetto delle regole, l’ambiente di lavoro, le infrastrutture, la corruzione e la stabilità politica. Il governo deve esaminare tutti questi aspetti con grande attenzione. Il settore attraversa una grave crisi d’immagine a causa dei molti incidenti, che potrebbero spingere gli Stati Uniti e l’Unione europea a rivedere le regole commerciali che favoriscono l’industria del Bangladesh.
Il governo e la Bgmea devono capire che il Bangladesh è un mercato allettante per i compratori stranieri per merito di una manodopera qualificata e dai costi relativamente bassi. Ma per mantenere un buon livello di esportazioni dobbiamo assicurarci che le fabbriche rispettino gli standard e che i proprietari siano responsabili delle loro azioni e migliorino l’ambiente di lavoro e la retribuzione degli operai.

FILIPPINE – Legislative e locali, test per Aquino / Elevata partecipazione, ieri, alle elezioni legislative e locali nelle Filippine. Oltre 52 milioni di aventi diritto sono stati chiamati alle urne per eleggere 18.000 cariche pubbliche. Un test per il presidente Benigno Aquino e i suoi tentativi di riforme in uno dei paesi più poveri e più corrotti dell’Asia, che conta 100 milioni di abitanti. Aquino, figlio del principale oppositore al dittatore Ferdinando Marcos, è stato eletto nel 2010 per sei anni. Ingenti le misure di sicurezza dopo una campagna elettorale segnata dalle violenze: sono state uccise almeno 7 persone e il consigliere politico di Aquino, Manuel Mamba, è sfuggito di misura a un attentato.

ASIA – L’Asia punta sul nuovo gas ENERGIA La fonte di energia del futuro saranno gli idrati di metano, scrive The Diplomat. Nel permafrost e nei fondali marini potrebbero trovarsi enormi riserve di queste molecole di gas intrappolate nel ghiaccio: secondo l’Us Geologicai survey ammontano a cento milioni di miliardi di metri cubi. Il loro sfruttamento favorirebbe lo sviluppo di paesi poveri di energia come il Giappone, la Corea del Sud e l’India, e indebolirebbe gli esportatori di petrolio. La tecnologia estrattiva, però, è ancora arretrata e l’impatto ambientale è sconosciuto.

AMERICA CENTRO MERIDIONALE
GUATEMALA – Ríos Montt colpevole di genocidio / Il 10 maggio l’ex dittatore del Guatemala Efraín Ríos Montt è stato condannato a ottant’anni di prigione per genocidio e crimini contro l’umanità. Secondo i giudici tra il 1982 e il 1983 Montt, 86 anni, ordinò il massacro di più di millesettecento indigeni di etnia ixil. L’ex dittatore ha dichiarato che la sua condanna è illegale e ricorrerà in appello. "Con la loro ricerca di giustizia, gli indigeni ixil hanno messo un genocida in carcere, nel suo paese, per la prima volta nella storia dell’umanità", scrive il giornalista Carlos Dada su El País. Nella foto: il premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú (a destra), il 10 maggio 2013.

COLOMBIA – Tentazioni autoritarie / Semana, Colombia / Terminate le dittature militari degli anni ottanta, e lasciati alle spalle i desaparecidos e le guerre civili, in America Latina c’è stata una transizione democratica. La maggior parte dei paesi ha adottato una costituzione e ha proibito la rielezione del presidente, perché è un appiglio per restare al potere. " Vent’anni dopo", scrive Semana, "i despoti non sono tornati, ma l’orizzonte è pieno di nuvoloni neri". Con modifiche alla costituzione o convocazione di referendum, molti leader cercano la rielezione. In Bolivia Evo Morales, al potere dal 2006, si ricandiderà nel 2014. In Ecuador Rafael Correa è al terzo mandato. In Nicaragua Daniel Ortega, presidente dal 1985 al 1990, è stato rieletto nel 2006. In Cile si ripresenterà Michelle Bachelet e in Brasile Dilma Rousseff potrebbe essere rieletta nel 2014. Secondo Semana, "bisogna trovare al più presto dei meccanismi per limitare questi abusi della costituzione".

CUBA – IL 1° maggio centinaia di persone hanno partecipato a una marcia contro l’omofobia all’Avana. C’era anche Mariela Castro , figlia del presidente Raul Castro.

BRASILE – II 14 maggio il consiglio nazionale di giustizia ha annunciato che gli ufficiali di stato civile non potranno più rifiutarsi di accogliere le domande di matrimonio presentate da persone dello stesso sesso.

VENEZUELA / ATTESA PER IL RICORSO DI CAPRILES RADONSKI Dopo le elezioni, la crisi politica nelle mani della Corte suprema di Geraldina Colotti – In Venezuela, c’è attesa per la decisione del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), equivalente della Corte suprema, in merito al ricorso presentato dal leader dell’opposizione Henrique Capriles Radonski, rappresentante de la Mesa de la Unidad democratica (Mud). Capriles considera legittimi i risultati delle presidenziali del 14 aprile, in cui ha perso con poco margine (1,49% dei voti) nei confronti di Nicolas Maduro, il candidato socialista eletto dopo la morte di Hugo Chàvez (il 5 marzo). La Mud ha presentato ricor-so al Tsj senza aspettare i risultati dell’«auditoria», il controllo del 46% delle urne, deciso dal Consiglio nazionale elettorale (Cne) su richiesta di Capriles, in corso da ‘ dieci giorni. L’opposizione avrebbe voluto ricontare manualmente tutti i voti: una richiesta pretestuosa, impossibile in base alla Costituzione venezuelana, che prevede il ricorso a un sistema elettorale completamente automatizzato, considerato inattaccabile da tutti gli osservatori internazionali. Capriles ha perciò deciso di non riconoscere l’autorità del Cne e di disertare anche «l’auditoria», seguita da diverse organizzazioni della società civile. Con lo stesso sistema, Capriles è stato riconfermato governatore del ricco stato di Miranda, il 16 dicembre 2012, con appena pochi punti di differenza sull’attuale ministro degli Esteri Elias Jaua, ma allora non si è sognato di protestare. Né il suo avversario ha rivendicato alcuna verifica. Questa volta, però, è diverso. Dopo la morte di Chàvez, la destra sta tentando il tutto per tutto per farla finita col «socialismo bolivariano» e ha deciso di puntare sul quarantenne governatore, fondatore del partito Primero Justicia. Fin dall’inizio di una campagna elettorale-lampo, segnata dalla scomparsa del leader che ha guidato il paese per 14 anni, il chavismo ha denunciato i piani destabilizzanti della destra per invalidare le elezioni e sca-
tenare una guerra civile nel paese. E infatti, ancor prima di conoscere i risultati elettorali, Capriles ha gridato alla frode, ha chiesto l’annullamento delle elezioni e ha invitato i suoi allo scontro.
Le violenze postelettorali hanno provocato morti, feriti e devastazioni. Particolarmente colpite le
sedi del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) e i Centri diagnostici integrati dei quartieri popolari, dove lavorano i medici cubani delle Misiones, accusati dalla destra di aver nascosto urne trafugate. L’undicesima vittima chavista, un ragazzo rimasto in coma da allora, è stata sepolta in questi giorni come «eroe della rivoluzione». Diverse organizzazioni sociali hanno presentato denunce presso gli organismi internazionali, ma anche la destra confida su solidi agganci, dentro e fuori dal paese. Se il Tsj rigetta il suo ricorso, Capriles intende rivolgersi ad altre «istanze internazionali». Se la decisione gli è invece favorevole, si dovrà attendere circa tre o quattro mesi, durante i quali la destra si sentirà rafforzata nel chiedere nuove elezioni o un referendum revocatorio, come tentò a suo tempo con Chàvez, e fu sconfitta: «Maduro è solo un ex operaio dei trasporti, non può dirigere uno stato», ha dichiarato Capriles sintetizzando gli interessi del campo a cui appartiene. Maduro, intanto, sta continuando il suo «governo di strada», mentre si moltiplicano le ispezioni alle imprese che non rispettano la nuova legge sulla sicurezza del lavoro e la riduzione di orario: a sei ore quotidiane (e a non più di 8 ore ) e a un massimo di 40 settimanali.
VENEZUELA / CARACAS – The Economist, Regno Unito Dopo le elezioni del 14 aprile, nel paese ci sono state proteste per chiedere il riconteggio dei voti. Alcune persone sono state arrestate e picchiate. E tra i deputati è scoppiata una rissa. Dopo aver ottenuto una vittoria di misura (e contestata) alle elezioni del 14 aprile Nicolas Maduro, il successore di Hugo Chàvez, ha cominciato il suo mandato nel peggiore dei modi. La crisi economica del Venezuela è sempre più grave e gli sforzi autoritari del nuovo presidente stanno aggravando la situazione in patria e alimentando i timori all’estero. Il governo all’inizio era favorevole al riconteggio dei voti chiesto dal candidato della Mesa de la unidad democratica (opposizione) Henrique Capriles, ma poi ha fatto marcia indietro. Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, più di duecento manifestanti dell’opposizione sono stati trattenuti dai militari. Molti sono stati picchiati. Antonio Rivero, generale in pensione e leader di Voluntad Popular, è stato arrestato con l’accusa di "istigazione all’odio" e "associazione criminale", e da giorni è in sciopero della fame. Dopo aver chiesto alla corte suprema di annullare le elezioni, anche Capriles rischia la galera. La violenza non ha risparmiato l’assemblea nazionale. Ai 67 deputati dell’opposizione che si sono rifiutati di riconoscere Maduro come presidente legittimo è stato proibito di parlare in parlamento. Dopo aver mostrato uno striscione per denunciare "il colpo di stato legislativo" e aver suonato fischietti e vuvuzelas, i deputati sono stati aggrediti dai parlamentari chavisti. Maria Corina Machado, una deputata indipendente, è stata ferita al volto e ha subito un intervento chirurgico di tre ore. Il governo ha accusato l’opposizione di avere un "atteggiamento provocatorio", insinuando che il sangue sulla faccia di un parlamentare fosse finto, ma i filmati girati da alcuni deputati con i telefonini mostrano una realtà diversa.
I paesi vicini sono preoccupati. Alcuni esponenti dell’Unasur, l’unione delle nazioni sudamericane, sono rimasti delusi dal voltafaccia del governo sul riconteggio dei voti, a quanto pare promesso dall’esecutivo in cambio della loro presenza alla cerimonia d’insediamento di Maduro. Da allora presidente venezuelano ha accusato l’è presidente della Colombia, Alvaro Uribe, ( aver tramato per ucciderlo e ha attaccato ministro degli esteri peruviano, Rafael Roncagliolo, per aver chiesto "tolleranza e dialogo". Maduro ha chiarito quali sono le si priorità in politica estera assegnando al presidente cubano, Raul Castro, un posto d’onore alla cerimonia inaugurale e scegliendo l’Avana come meta del suo primo viaggio ufficiale.
ESERCITO DIVISO
Nel frattempo in Venezuela il cibo scarse già e l’inflazione si avvicina al 30 per cento. Il governo ha ammesso l’esistenza delle crisi e ha sostituito Jorge Giordani, ministro delle finanze sostenitore della linea du con il moderato Nelson Merentes. Ma per evitare una rivolta sociale serve un cambiamento radicale.
Il presidente dell’assemblea nazionale ed ex militare Diosdado Cabello è considerato il principale rivale di Maduro nel chavismo. Oggi molti esponenti della sinistra civile e radicale pensano che sia un leader autoritario in attesa di prendere il potere. le violenze per poter impugnare la frusta. Maduro ha poco margine di manovra. Chàvez era l’unico al comando mentre oggi le decisioni più importanti vengono prese da una giunta segreta nota come "comando politico-militare".
Per la prima volta si parla di una spaccatura nelle forze armate. Secondo Rocio San Miguel, dell’associazione Control ciudadano, se le violenze di piazza dovessero richiedere l’intervento dell’esercito, "i militari sarebbero costretti a prendere una posizione politica". Per il governo sono solo allarmismi messi in giro dall’opposizione dai nemici esterni del Venezuela.
CARACAS . Il 13 maggio il presidente del Venezuela Nicolas Maduro ha avviato l’operazione PATRIA SEGURA, per contrastare l’aumento della violenza. Tremila soldati pattuglieranno le strade di Caracas e di alt città del paese. Secondo il ministero dell’interno, nel 2012 in Venezuela più di sedicimila persone sono state uccise. M secondo l’Observatorio venezolano de violencia, la cifra è più alta.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI – Giornalisti spiati / Il governo statunitense ha segretamente messo sotto controllo i telefoni dell’Associateci press (Ap) per due mesi nel 2012. La denuncia è arrivata dalla stessa agenzia di stampa, attraverso una lettera dell’amministratore delegato Gary Pruitt pubblicata sul sito. Nella lettera Pruitt accusa il governo di aver violato i diritti garantiti dalla costituzione. Il io maggio il dipartimento della giustizia aveva informato l’azienda che nella primavera del 2012 più di venti redattori erano stati intercettati. I giornalisti sotto controllo lavoravano nelle redazioni di New York, Hartford e Washington. Il governo non ha fornito spiegazioni, scrive il New York Times, ma la vicenda sarebbe legata a un’indagine del dipartimento su un articolo dell’Ap che riguardava un’operazione della Cia in Yemen, organizzata per sventare un attentato di Al Qaeda.
STATI UNITI – The Economisti, Regno Unito / Nel 2008, dopo il fallimento della Lehman Brothers e il crollo di altre grandi banche d’affari statunitensi, la finanza di Wall Street sembrava sull’orlo del collasso. In Europa c’era già chi annunciava la fine del capitalismo americano, e le banche del vecchio continente erano pronte ad accaparrarsi i resti delle loro concorrenti statunitensi. Ma a cinque anni di distanza, scrive l’Economist, le banche europee sono in ginocchio, mentre Wall Street è risorta e i suoi colossi hanno ripreso a registrare utili. Il merito è anche del governo statunitense, che ha agito meglio e più tempestivamente delle autorità europee. Oggi, però, la finanza globale è molto diversa da quella dominata fino a dieci anni fa dagli Stati Uniti: le entrate sono diminuite di un terzo, ci sono meno dipendenti, le paghe sono più basse e sono state introdotte regole più severe, in particolare quelle della riforma Dodd-Frank voluta da Barack Obama. Il problema, conclude il settimanale, è che le grandi banche di Wall Street restano "troppo grandi per fallire" e quindi "potrebbero fare molto di più per la stabilità del sistema finanziario".
STATI UNITI – La Monsanto e il contadino / Il 13 maggio la corte suprema statunitense ha dato ragione alla multinazionale Monsanto in un caso che la vedeva contrapposta a un contadino dell’Indiana, Vernon Bowman. L’uomo, accusato di aver violato un brevetto sulla soia transgenica, è stato condannato a pagare 85mila dollari. Bowman aveva ripiantato dei semi di soia, modificati geneticamente per resistere a un erbicida prodotto dalla stessa Monsanto, malgrado il contratto vietasse il riutilizzo dei semi dopo il raccolto. In questo modo, scrive il Washington Post, l’azienda si garantiva nuovi acquisti ogni anno.
STATI UNITI – II 13 maggio il Minnesota è diventato il dodicesimo stato a legalizzare i matrimoni gay. Il 14 maggio il presidente Barack Obama ha chiesto che siano perseguiti i responsabili dei controlli fiscali illeciti su alcune organizzazioni vicine al Tea party.

EUROPA
UNIONE EUROPEA – In crisi di fiducia . "Il nuovo malato d’Europa? È l’Unione europea". Così il Pew research center, che ogni anno analizza i punti di vista degli abitanti di una quarantina di pa-esi, ha sintetizzato il senso dello studio realizzato a marzo su un Gli europei campione di 7.600 persone in otto nazioni europee (Francia, Germania, Repubblica Ceca, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Grecia). "Dal2012 al 2013 il sostegno all’Ue è sceso in media dal 60 al 45 per cento", spiega Liberation, secondo cui oggi "la popolarità dell’Unione è ai minimi storici nella maggior parte dei suoi stati". La moneta unica invece se la passa paradossalmente piuttosto bene: circa il 63 per cento degli intervistati francesi vorrebbe infatti conservare l’euro, così come il 69 per cento dei greci, il 64 degli italiani e il 66 dei tedeschi". Questi ultimi sono anche tra i più fervidi sostenitori dell’Unione, con una percentuale di favorevoli del 60 per cento. All’opposto dei francesi, favorevoli solo al 41 per cento.
EUROPA – FINANZA / Paradisi sotto pressione Il 9 maggio, a circa un mese dalle rivelazioni di Offshoreleaks, l’archivio di dati sui paradisi fiscali svelato dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij), le autorità degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell’Australia hanno annunciato di essere entrate in possesso di altri documenti sui soldi depositati in località come le Cayman o le Isole Vergini Britanniche. L’iniziativa di questi tre paesi, scrive Le Monde, "aumenta la pressione sui territori e sugli stati che finora hanno rifiutato di togliere il segreto bancario e di cooperare con le autorità di altri paesi. In Europa questa considerazione vale per la Svizzera, il Lussemburgo e l’Austria". Intanto, aggiunge Die Tageszeitung, un altro paese europeo nel centro del mirino, il Liechtenstein, ha annunciato che è disposto a scambiare i suoi dati con i governi stranieri a condizione che agli evasori scoperti sia garantita l’amnistia.
EUROPA/ ITALIA – 26,46 MILIARDI / Secondo lo Stockholm international peace research insti tute (Sipri), NEL 2012 LA SPESA MILITARE DELL’ITALIA È STATA DI 26,46 MILIARDI DI EURO, IN CALO DI CIRCA IL 6 PER CENTO RISPETTO AL PICCO STORICO DEL 2008, QUANDO AVEVA TOCCATO I 28,16 MILIARDI. La crisi e i conseguenti tagli al bilancio hanno avuto un impatto – sia pure modesto – sulle spese militari italiane.
Su lavoce.info Vincenzo Scrutinio compara le risorse assorbite dalla spesa militare (in rapporto al pil) rispetto ad altre funzioni dello stato come l’istruzione e la protezione sociale (spesa per abitazioni, famiglie, disoccupazione e spese di contrasto all’esclusione sociale) Il confronto fa riflettere: la nostra spesa militare risulta più o meno in linea con quella di altri paesi europei, di poco superiore rispetto a quella della Germania (+0,4 per cento del pil) e di quasi un punto percentuale superiore a quella spagnola, fortemente ridotta negli ultimi anni.
Colpisce il fatto che la spesa militare sia solo di poco inferiore a QUELLA PER LA PROTEZIONE SOCIALE. Negli altri paesi la spesa militare è nettamente inferiore anche nell’Europa del sud, dove i programmi di assistenza sociale sono notoriamente bassi. In Spagna la protezione sociale riceve 4,5 punti di pil in più della spesa militare.
Certo, gli impegni internazionali e il fatto che una parte consistente della spesa militare sia impiegata in stipendi, rendono difficile un suo ridimensionamento. Ma la gravità della crisi e la necessità di trovare risorse in tempi rapidi per la protezione sociale impongono un’attenta riflessione sulle priorità. di T Boeri

SPAGNA – L’UNIONE EUROPEA DEI DISOCCUPATI L’opinione José Ignacio Torreblanca, El Pais, Spagna Gli europei senza lavoro sono un problema enorme. Eppure non hanno voce nelle istituzioni di Bruxelles
ABBIAMO PIÙ BISOGNO DI UN PARLAMENTO EUROPEO CHE RAPPRESENTI LA VOCE DEMOCRATICA E LE ASPIRAZIONI DEGLI EUROPEI
Il 9 maggio abbiamo celebrato la festa dell’Europa con un’ombra gravissima: la disoccupazione, la precarietà, la stagnazione economica e i tagli al welfare che colpiscono milioni di europei a causa della crisi. Le dimensioni del fenomeno sono sconvolgenti: se i 26 milioni di disoccupati che ci sono oggi nell’Unione europea dichiarassero l’indipendenza, il loro ipotetico stato sarebbe il settimo nell’Unione europea, dopo Germania, Italia, Francia, Regno Unito, Spagna e Polonia.
Quale paese meglio della Spagna può illustrare il dramma che vive l’Europa? OGGI SONO PIÙ GLI SPAGNOLI DISOCCUPATI DI TUTTI I DANESI (5,5 MILIONI), GLI SLOVACCHI (5,4), I FINLANDESI (5,3), GLI IRLANDESI (4,5), I LITUANI (3,3), I LETTONI (2,3), GLI SLOVENI (2,2), GLI ESTONI (1,3), O DI TUTTI I CIPRIOTI, I LUSSEMBURGHESI E I MALTESI MESSI INSIEME (1,7). Se i 6,2 milioni di disoccupati spagnoli decidessero di abbandonare il loro paese e di fondare un proprio stato, nell’Unione europea ci sarebbero ben undici paesi con una popolazione inferiore a quest’ipotetica "repubblica indipendente dei disoccupati". E mentre questi spagnoli senza lavoro non hanno voce nelle istituzioni politiche, quegli undici stati dell’Unione hanno un commissario, siedono al consiglio europeo e possono bloccare la riforma dei trattati.
Quest’analogia è un po’ forzata, ma ci dà un’idea chiara delle dimensioni del problema nell’Unione europea, di quanto poco ci si renda conto della sua gravità e di come e perché incida sulla legittimità delle istituzioni europee e
sulla loro immagine. Tradizionalmente la costruzione europea è stata legittimata dai risultati più che dai procedimenti o dalle identità condivise. Quindi nessuno può sorprendersi che, di fronte alla clamorosa mancanza di risultati, a procedimenti così discutibili dal punto di vista democratico e al ritorno di xenofobie e populismi, la legittimità dell’Unione europea sia ai minimi storici mentre la sfiducia è ai massimi. Prova di questa dissociazione tra l’Europa e gli stati è il fatto che, mentre le istituzioni europee festeggiano formalmente la giornata dell’Europa, in Spagna il 9 maggio è rimasto nella memoria come il giorno in cui il governo di José Luis Zapatero, travolto dalla pressione dei mercati e dei partner europei, è stato costretto a introdurre riforme sostanziali del mercato del lavoro e del sistema pensionistico. Un’associazione funesta ma inevitabile.
Le prossime elezioni
Visti i risultati delle ultime elezioni a livello nazionale, dal Regno Unito all’Italia o alla Francia, dove la disaffezione nei confronti dell’Europa ha giocato un ruolo importante, le prossime elezioni europee preoccupano molto. Da una parte il sistema elettorale proporzionale consentirà di riflettere con buona precisione la mappa del malcontento in Europa. Dall’altra, queste sono elezioni di "second’ordine": non si elegge un governo e generalmente gli elettori le usano per mandare messaggi ai loro partiti al go-verno e all’opposizione. La somma di questi tre elementi (disaffezione, sistema elettorale e voto strategico) ci porta alla tempesta perfetta: proprio quando abbiamo più bisogno di un parlamento europeo che rappresenti la voce democratica e le aspirazioni degli europei, rischiamo di ritrovarci con un’istituzione piena di eurofobi che la screditeranno e l’allontaneranno ancora di più dai cittadini. "Un parlamento europeo che odia se stesso", come è stato detto, è proprio quello che ci mancava.
Con la distribuzione attuale dei seggi al parlamento europeo, che oggi è composto da 756 eurodeputati, se i ventisei milioni di disoccupati europei votassero insieme, questo ipotetico partito dei disoccupati otterrebbe tra i 44 e i 46 seggi in parlamento, e 12 o 13 di quei seggi sarebbero spagnoli. Sarebbe una forza politica di grande rilievo e visibilità. Con i mezzi tecnologici a disposizione oggi non sarebbe difficile creare un sito web in cui ogni disoccupato possa caricare una foto e una piccola storia personale per fare un collage della mappa dell’Europa con 26 milioni di fotografie.
Questo collage potrebbe servire co-me memorandum del fatto che, come disse il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln nel suo discorso a Gettysburg nel 1863, la democrazia è il governo "del popolo, dal popolo, per il popolo". L’Europa è un’unione di stati, è vero, ma non dobbiamo dimenticare che è anche un’unione di cittadini, 26 milioni dei quali oggi sono disoccupati.
JOSÉ IGNACIO TORREBLANCA è professore di scienze politiche alla Uned di Madrid e dirige la sede spagnola dell’European council on foreign relations.

FRANCIA – II 9 maggio il primo ministro Francois Fillon ha an-nunciato la sua candidatura alle primarie dell’Ump per le elezioni presidenziali del 2017.
FRANCIA – L’economia francese è ufficialmente in recessione dopo due trimestri consecutivi in calo. Nel primo trimestre del 2013 il pil della Francia è diminuito dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. Ha registrato lo stesso risultato il pil dell’intera eurozona. In calo anche l’Italia e la Spagna (il pil di entrambi i paesi è sceso dello 0,5 per cento), insieme ai Paesi Bassi (-0,1 per cento). Cresce, invece, il pil della Germania, ma solo dello 0,1 per cento.
TURCHIA – DUE ESPLOSIONI VICINO AL CONFINE SIRIANO / Almeno 41 morti e 100 feriti nella città turca di Reyhanli – una località situata a 8 km da un importante posto di frontiera con la Siria -, per l’esplosione di due autobombe in meno di 24 ore. Le autorità turche hanno accusato il governo di Damasco di essere all’origine degli attentati, i più devastanti dall’inizio della crisi siriana. Nella zona, si è verificata anche una terza esplosione, dovuta però a un incidente.

REGNO UNITO – Un referendum sull’Europa / L’ipotesi di un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si fa sempre più concreta. Dopo le pressioni esercitate da una parte ormai consistente del suo partito, il 14 maggio il premier conservatore David Cameron (nella foto) ha presentato un progetto di legge che dovrebbe portare, entro il 2017, a un referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione. Come spiega il Daily Telegraph, l’annuncio, fatto da Cameron mentre era in visita negli Stati Uniti, arriva po¬chi mesi dopo l’impegno del primo ministro a rinegoziare i termini del rapporto con Bruxelles e la settimana successiva al successo del partito euroscettico Ukip alle elezioni locali.

GERMANIA – II ministero della difesa ha rinunciato il 14 maggio a un programma di droni da più di un miliardo di euro.
GERMANIA – Scandalo in Baviera / Angela Merkel è in difficoltà a causa di uno scandalo esploso in Baviera, land governato dalla Csu, il partito alleato della sua Cdu. Da anni, spiega la Süddeutsche Zeitung, ministri e parlamentari della Csu assumevano come collaboratori familiari e amici. Tra il 2008 e il 2013 il budget per i collaboratori dei deputati è passato da 4.600 a 7.524 euro al mese. Lo scandalo ha provocato le dimissioni del capogruppo Georg Schmid e del presidente della commissione bilancio Georg Winter.

RUSSIA – II 14 maggio il governo ha annunciato l’arresto di un diplomatico statunitense agente della Cia che cercava di reclutare un funzionario dell’antiterrorismo russo. Mosca ha poi ordinato l’espulsione del diplomatico e ha convocato l’ambasciatore Michael McFaul.
RUSSIA – Frammenti d’ideologia. ORGONEK / La società russa è una delle più frammentate del mondo dal punto di vista ideologico. Lo spiega sul settimanale Ogonék il politologo Emil Pain, illustrando i dati di una ricerca condotta sul web. Lo spazio ideologico russo può essere diviso in quattro correnti: liberale, di sinistra, filo governativa e nazionalista. I singoli gruppi, tuttavia, non sono collegati tra loro e spesso hanno divisioni interne. La sinistra, per esempio, è divisa tra fazioni su posizioni xenofobe e altre attente alla difesa dei diritti delle minoranze. Su tutti domina il pessimismo, tanto che neanche i filo govemativi sono soddisfatti della situazione politica e considerano invece l’attuale potere come il male minore. I liberali, al contrario, ritengono che i russi non abbandoneranno mai il loro proverbiale atteggiamento di passività. L’unico elemento che sembra essere comune ai quattro gruppi è la tendenza ad adottare posizioni xenofobe. Nel caso dei filogovernativi questa tendenza si manifesta in una pressante propaganda antioccidentale, alla base della diffusione di paure e fobie in tutta la società. Un atteggiamento che destabilizza ulteriormente un quadro politico già instabile.

SLOVENIA – È il momento dell’austerità / Aumento dell’iva dal 20 al 22 per cento, privatizzazione di aziende pubbliche e tagli agli stipendi degli statali. Sono le misure annunciate il 9 maggio dalla premier Alenka Bratusek per ridurre il deficit ed evitare di dover chiedere l’aiuto dell’Unione europea e dell’Fmi. Dopo anni di crescita, la Slovenia ha risentito profondamente della crisi e negli ultimi mesi il sistema bancario ha mostrato tutta la sua fragilità, legata a prestiti concessi con troppa leggerezza, soprattutto al settore immobiliare. "Il governo, sempre fedele alle élite locali e ai diktat europei", scrive il settimanale Mladina, "ha deciso di effettuare i tagli sulla pelle di chi vive solo del proprio lavoro, come se non ci fossero alternative possibili". Variazione del pil sloveno.

ITALIA
MILANO – BERLUSCONI / La battaglia tra la magistratura e l’ex premier e le possibili ripercussioni sul governo. I commenti della stampa estera – GLI AVVOCATI DI BERLUSCONI E I SUOI PARLAMENTARI HANNO MOLTIPLICATO LE LEGGI AD PERSONAM PER EVITARE I PROCESSI
SEI ANNI di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici. È questa la condanna chiesta per Silvio Berlusconi dalla pubblico ministero Ilda Boccassini al termine della sua requisitoria, il 13 maggio, al processo per il caso Ruby. "Boccassini ha cercato di sferrare il colpo finale al suo avversario di sempre", scrive Eric Jozsef sul quotidiano francese LIBERATION. E aggiunge: "L’obiettivo della magistrata è eliminare definitivamente dalla vita politica l’ex premier. Ilda la Rossa nella foga della requisitoria è incappata anche in un lapsus, dichiarando: ‘Io condanno Silvio Berlusconi’, prima di correggersi e dire ‘io chiedo la condanna di Silvio Berlusconi…’". Conclude Jozsef: "Una requisitoria molto dura per una vicenda tutto sommato circoscritta. Il processo Ruby sembra l’epilogo di una battaglia senza esclusioni di colpi che vede da una parte la magistratura e Ilda Boccassini, e dall’altro il miliardario, i suoi avvocati e i suoi parlamentari, che hanno moltiplicato le leggi ad personam per evitare i processi". Anche il quotidiano spagnolo LA VANGUARDIA si concentra sulla requisitoria e scrive che la pubblico ministero del tribunale di Milano "ha voluto fare un po’ di sociologia. Parlando di Karima el Mahroug (Ruby) ha detto che è stata ‘vittima del sogno italiano e dell’ossessione di alcune ragazze italiane di sfondare nel mondo dello spettacolo a qualsiasi costo. Secondo Boccassini, Ruby viveva in Sicilia ‘in un contesto umile ma decoroso’. Però Ruby che ‘era furba di quella furbizia orientale, propria delle sue origini’, si è in-ventata la storia del padre violento che le tirava addosso l’olio bollente per punirla perché voleva diventare cristiana. Questo commento ‘sulla furbizia orientale’, di chiara connotazione razzista, si ritorcerà contro Boccassini".
La stampa tedesca e austriaca si concentrano sulle conseguenze che questo e altri processi che riguardano Berlusconi possono avere sulla politica italiana. I problemi giudiziari dell’ex premier mettono sempre più a rischio il lavoro del governo di Enrico Letta, scrive Gerhard Mumelter sul quotidiano austriaco DER STANDARD. Una nuova condanna di Berlusconi potrebbe mettere in pericolo lo stesso esecutivo. "Tutti sanno che il governo dipende da Berlusconi", il quale potrebbe essere tentato di buttare giù Letta per andare a nuove elezioni. In questi anni, aggiunge il quotidiano tedesco DIE WELT, Berlusconi è riuscito sempre a cavarsela, ma nel 2013 e nel 2014 la situazione per lui potrebbe diventare davvero seria. Berlusconi, che nega ogni accusa, due giorni prima della requisitoria ha organizzato a Brescia una manifestazione per protestare contro la magistratura, scrive Lizzy Davies, sul quotidiano britannico THE GUARDIAN, "a cui ha partecipato anche il ministro dell’interno Angelino Alfano, facendo arrabbiare il presidente del consiglio Enrico Letta". Elisabetta Povoledo, sul quotidiano statunitense THE NEW YORK TIMES, scrive che la sentenza è attesa per il 24 giugno, "un verdetto che potrebbe mettere a rischio il fragile governo di coalizione nato poche settimane fa". L’articolo racconta anche che la sera prima della sentenza, su Canale 5 è andato in onda in prima serata il programma "La guerra dei vent’anni – Ruby – ultimo atto", nel quale Berlusconi ha accusato i magistrati di sinistra di aver cospirato per quasi due decenni nel tentativo di distruggerlo.

ROMA – RIFORME COSTITUZIONALI / Quattro passi nel delirio – di Andrea Fabozzi
Enrico Letta ha annunciato ieri un «passo in avanti molto importante» sulle riforme. Era atteso. I ministri lo hanno studiato in Abbazia. Eccolo: non riuscendo a immaginare una legge elettorale per mettere d’accordo la maggioranza, il governo propone di fare due leggi elettorali. Una subito, per correggere il «Porcellum», e l’altra (quella vera) tra un po’. Non solo. Non riuscendo a uscire dal pasticcio della Convenzione per le riforme – l’aveva data per fatta, ma il parlamento non la digerisce – Letta di convenzioni ne farà due. Una di saggi e una di deputati e senatori, riuniti.
Di metafora in metafora, dal passo in avanti Letta è passato ai due binari, ovviamente «paralleli». Anche perché, come si vede, il passo non è uno ma sono due. Anzi quattro. E non in avanti: sul posto. Si muovono solo i conti alla rovescia. Quello partito ieri dice «100 giorni». Significa che le riforme dovranno essere avviate entro l’estate, oppure niente. Ragione per cui si può scommettere ancora una volta sul nulla di fatto. E poi magari tirare un sospiro di sollievo.
Sì perché il governo non ha rinunciato all’intenzione di aprire una fase costituente. Solo che propone di farlo con una tecnica assai singolare. Seguendo un vecchio pallino del ministro per le riforme Quagliariello si copia la commissione Balladur, che nel 2007 – in cento giorni – gettò le basi per l’ultima riforma costituzionale in Francia; ma adattandolo alla realtà italiana della larga coalizione si punta a cambiare la procedura di revisione costituzionale per concentrare in una sola stanza, chiamata Convenzione, i deputati e senatori che dovranno scrivere la nuova costituzione. La soluzione accontenta, almeno per qualche giorno, le anime della maggioranza. Ma da subito moltiplica le stranezze e gli elementi di pericolo.
Tra le ragioni ispiratrici di quest’ansia riformatrice non c’è infatti nemmeno l’ombra delle intenzioni che mossero la commissione Baladur. Che puntava a rafforzare il parlamento nei confronti dell’esecutivo e semmai a introdurre nuove forme di responsabilità del governo, oltre a favorire il ricorso diretto dei cittadini alla tutela dei loro diritti costituzionali. Tant’è che delle 77 proposte della commissione francese (modificate dal governo) molte non prevedevano revisioni costituzionali ma solo modifiche dei regolamenti. Quello che si potrebbe utilmente e più semplicemente fare anche da noi. Ma in Italia le intenzioni sono opposte, si vuole aumentare il potere dell’esecutivo e diminuire quello del parlamento. Volendo, paradossalmente, «fare come in Francia».
Nella composizione di questa commissione di saggi, che si immagina presieduta formalmente da Letta e sostanzialmente da Quagliariello (eccolo il designato da Berlusconi), il governo intende coinvolgere costituzionalisti di diverso orientamento. Presidenzialisti come parlamentaristi, chissà secondo quale proporzione. Con Balladur erano 13, con Quagliariello (che nel 2008 invocava a gran voce «un Balladur italiano», non immaginando di avercelo in petto) saranno forse qualcuno in più. Fatto il loro lavoro e trovate chissà come le loro mediazioni, i professori consegneranno il risultato ai presidenti del senato e della camera. Ma il buffo è che non dovrebbe essere il parlamento a dare seguito a quelle proposte, bensì la Convenzione che nel frattempo una legge costituzionale che conosceremo tra poco («giorni, al massimo settimane», ha detto Letta) dovrà provvedere a far nascere. Una legge costituzionale, però, ha bisogno di molto più che cento giorni (90 è l’intervallo minimo tra la prima e la seconda doppia lettura): i conti alla rovescia non sono sincronizzati. Nella Convenzione siederanno deputati e senatori delle commissioni affari costituzionali (tranquilli, Berlusconi ci sarà), la ragione che spinge a metterli assieme è chiara: si vuole evitare che una camera corregga il lavoro dell’altra, allungando i tempi. Fatti due conti, il centrosinistra avrebbe la maggioranza certa in questa Convenzione, 34 componenti su 72 al netto delle alleanze possibili con 5 stelle e centristi.
Infine la legge elettorale. Il Pdl non vuole cambiarla, Letta cerca un via libera almeno a piccole modifiche. Non tanto per tornare al Mattarellum – che non si adatta al tripolarismo e richiede un lavoro in più sui collegi, come spiega il deputato lettiano Francesco Sanna – quanto per eliminare gli aspetti più mostruosi del Porcellum. Come il premio di maggioranza senza soglia, che però è proprio quello che tornerà più utile a Berlusconi. Quando il passo, verso le urne, deciderà di farlo lui.

 

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