10572 Notizie 28 marzo

20130328 21:47:00 guglielmoz

AFRICA
ASIA & PACIFICO
EUROPA
AMERICACENTRO NORD
AMERICA MERIDIONALE

AFRICA
SUDAFRICA – Un’alunna su quattro è positiva all’Hiv – Almeno il 28 per cento delle studentesse sudafricane è positiva al test dell’Hiv, il dato è ancora più allarmante se comparato al 4 per cento degli uomini. Sono i dati resi noti ieri dal ministro della Salute, Aaron Motsoaledi. Secondo le statistiche, 94 mila studentesse sono rimaste incinte nel 2011 e 77 mila hanno abortito in strutture statali.
Circa il 10 per cento dei Sudafricani vive con l’Hiv. About 10% of South Africans are living with HIV. Il Paese sta svolgendo la più grande campagna con medicinali anti-retrovirali al mondo, con oltre un mione e 500 mila persone coinvolte.

CONGO – NTAGANDA CONSEGNATO ALLA CORTE PENALE (CPI) – Il criminale di guerra congolese Bosco Ntaganda è stato consegnato alla Corte penale internazionale (Cpi) con sede all’Aja. Ntaganda ha lasciato ieri il Rwanda. Si tratta di una figura politica centrale nel conflitto del Congo orientale. Secondo la Cpi, Ntaganda sarebbe responsabile di crimini di guerra e contro l’umanità. Nei prossimi giorni sarà stabilita la data in cui dovrà comparire di fronte ai magistrati. «Questa è una giornata storica per le vittime della guerra e la giustizia internazionale», ha dichiarato il giudice della Cpi Fatou Bensouda. Negli ultimi mesi, si credeva che fosse uno dei leader degli M23, il movimento che è impegnato in uno scontro diretto con il governo nell’est del paese. Le accuse comprendono l’uso di bambini soldato, asassini e stupri. Il governo del Congo ha rivelato che il criminale di guerra Bosco Ntaganda, parte del gruppo etnico dei tutsi, era arrivato in Rwanda lo scorso sabato dopo che, insieme ad alcuni suoi seguaci, aveva subito una sconfitta da parte di miliziani di provenienza non precisata che hanno combattutto contro gli M23
CONGO/CORTE PENALE INTERNAZIONALE A l’Aja Bosco Ntaganda si dichiara innocente – Figura chiave del conflitto in atto nell’est della Repubblica democratica del Congo, ieri, per la prima volta dalla sua resa alla Corte penale internazionale, l’ex generale Bosco Ntaganda è apparso di fronte ai giudici. È accusato di crimini contro l’umanità commessi nel 2002 e nel 2003. «Sono stato informato di questi crimini – ha detto – ma mi dichiaro non colpevole». L’udienza di convalida delle accuse è stata fissata il 23 settembre. Ntaganda sarebbe responsabile anche delle violenze nelle regioni orientali del paese ad opera degli insorti M23.

BURUNDI – Polizia contro adepti setta cattolica: 6 morti
È di almeno 6 morti e 35 feriti, molti in modo grave, il bilancio degli scontri nel nord del Burundi tra la polizia e i seguaci di Zebiya Ngendakumana, leader di una setta cattolica locale. Gli scontri sono iniziati quando i pellegrini hanno tentato di radunarsi per pregare su una collina nella regione di Kayanza. Si tratta del luogo dove Ngendakumana afferma di assistere alle apparizioni della vergine Maria.

EGITTO – ARRESTATO BLOGGER FATTEH CON ALTRI QUATTRO ATTIVISTI – Il procuratore generale del Cairo Talaat Abdullah ha ordinato l’arresto di cinque attivisti politici egiziani con l’accusa di incitamento alla violenza negli scontri di Moqattam contro la sede centrale della Fratellanza. Tra loro ci sono anche il noto blogger Alaa Abdel-Fatteh, i politici delle opposizioni Ahmed Doma, Hazem Abdel-Azim, Ahmed al-Ghoneimi e Karim al-Shaer. I cinque non potranno neppure lasciare il paese. Un avvocato dei Fratelli musulmani aveva denunciato 169 persone, leader politici e attivisti per attacchi contro la Fratellanza. Negli scontri dello scorso venerdì erano rimaste ferite oltre 200 persone. Abdel-Fattah si è presentato alle porte della Corte del Cairo con sua moglie, la blogger Manal, dicendo di «essere pronto per il carcere». Anche il politico socialista Khaled Ali, rimasto ferito negli scontri dello scorso venerdì, ha difeso Abdel Fatteh, definendo il caso una farsa per liberare il campo degli islamisti dai politici di opposizione, ma è stato allontanato dall’ingresso dalle forze di polizia.
EGITTO – FRATELLI MUSULMANI RICONOSCIUTI COME ONG – Le autorità egiziane hanno conferito ai Fratelli Musulmani lo status di organizzazione non governativa. Nelle scorse settimane era stato presentato un ricorso alla magistratura nel quale si chiedeva lo scioglimento del gruppo islamico perché privo di uno status legale. I Fratelli Musulmani erano stati messi al bando dalle autorità del Cairo, sebbene per decenni siano stati di fatto tollerati; in quanto ong, l’organizzazione sarà adesso obbligata a rendere pubblici i propri bilanci, sui quali aveva sempre mantenuto il massimo riservo. Il ministro degli Affari sociali Nagwa Khalil ha confermato di aver ricevuto una richiesta di registrazione lo scorso mese e di aver autorizzato la formazione della ong in base all’articolo 51 della nuova Costituzione egiziana. Il tema del riconoscimento del movimento islamista era stato superato con la formazione di Libertà e giustizia, il partito emanazione della Fratellanza che ha ottenuto la presidenza della Repubblica e una maggioranza schiacciante di voti alle elezioni parlamentari del 2011. Ma il riconoscimento della confraternita era rimasto sospeso. Nella giornata di ieri è stato arrestato Gamal Saber, leader del movimento salafita egiziano Hazimoun, vicine ad Abu Hazem Ismanil, insieme ad altre quattro persone, per le violenze che hanno seguito l’uccisione di un quindicenne durante una partita di calcio al Cairo. Contro «l’umiliazione» dell’esponente salafita si è schierato il partito dei Fratelli musulmani. Saber, dicono alcune fonti, è stato portato via ammanettato e bendato. La zona è stata presidiata per ora dalle forze antisommossa e dai blindati della polizia. «Indipendentemente dalle accuse nei confronti di Saber, non possiamo accettare le umiliazioni che ha subito durante il suo arresto», ha affermato Mourad Ali portavoce di Libertà e giustizia. «La polizia deve presentare le sue scuse e il suo personale deve cambiare il modo di trattare i fermati», ha sottolineato Mourad.

LIBIA – INCENDIATA chiesa copta a Bengasi – Uomini armati sono penetrati all’interno di una chiesa copta di Bengasi e le hanno dato fuoco. Lo ha riferito un testimone. La chiesa, era già stata attaccata a febbraio. «Diversi uomini armati sono arrivati sparando in aria, hanno appiccato fuoco alla chiesa e sono ripartiti», ha detto uo uomo che ha preferito rimanere anonimo. Dopo l’incidente di febbraio, le autorità libiche avevano annunciato l’apertura di una inchiesta. Dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, nel 2011, la minoranza cristiana in Libia ha denunciato di aver subire minacce. Un cristiano è stato trovato lo scorso martedì nella città
LIBIA – MILIZIANI ATTACCANO LA TV DI STATO – Miliziani libici hanno attaccato l’edificio della televisione di Stato, al-Watania, a Tripoli, chiedendo le dimissioni del premier Ali Zeidan. I miliziani contestano l’avvio dell’«Operazione Tripoli», lanciata dal governo per disarmare e sciogliere questo gruppo armato che non riconosce l’autorità governativa. I miliziani avrebbero devastato alcuni locali dell’edificio. Nella giornata di ieri è atterrato a Tripoli l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. «Sono commosso»: queste sono state le prime parole di Sarkozy, in occasione del secondo anniversario dell’inizio delle operazioni militari Nato, il 19 marzo 2011, quando l’aviazione francese bombardò l’esercito di Gheddafi alle porte di Bengasi. Dopo una visita di qualche ora a Tripoli, l’ex presidente è andato a Bengasi, centro delle rivolte libiche. Nel capoluogo della Cirenaica, Sarkozy e il premier libico hanno inaugurato un monumento che ricorda l’attacco dell’aviazione francese.

IRAN – Rilasciata figlia. Rafsanjani a Tehran – La figlia dell’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani è stata rilasciata dalla prigione di Tehran dove ha scontato sei mesi di carcere per propaganda antigovernativa: lo ha reso noto l’agenzia di stampa iraniana Isna. Faezeh Hashemi era stata arrestata nel 2009 durante le manifestazioni contro la seconda elezione alla presidenza della Repubblica di Mahmoud Ahmadinejad, macchiata secondo l’opposizione da brogli elettorali. L’attivista è stata processata e condannata nel 2011 ma la pena era stata applicata l’anno successivo. Con questo gesto, i leader conservatori aprono ad una possibile nuova discesa in campo di Rafsanjani, ex presidente e candidato sconfitto nel 2005 da Ahmadinejad.

TUNISIA – GRANDE MANIFESTAZIONE IN RICORDO DI BELAID – Si terrà oggi a Tunisi la commemorazione dei 40 giorni dall’uccisione di Chokri Belaid, esponente dell’opposizione laica, assassinato in un agguato davanti alla sua abitazione. Il corteo partirà dal cimitero di Djellez, dove è sepolto Belaid e raggiungerà Avenue Bourghiba, il centro della capitale. In occasione del corteo e delle altre manifestazioni indette per ricordare Belaid sarà dispiegato un imponente numero di agenti delle forze di sicurezza. Non è escluso che gli organizzatori utilizzino un loro servizio d’ordine per evitare che si ripetano gli scontri di una manifestazione precedente in ricordo del politico, quando alcuni sconosciuti si infiltrarono tra coloro che ascoltavano un comizio, incitando ad atti di violenza e saccheggi.
TUNISIA – IL RAP DI EL WELD 15 È OFFENSIVO: 2 ARRESTI – «Insulti e minacce alle forze di sicurezza». Con queste accuse sono finiti in manette Mohamed Hedi Belgueyed e Sabrine Klibi, rispettivamente regista e attrice protagonista del videoclip che accompagna un brano del rapper El Weld 15 (a sua volta ricercato per «istigazione all’odio e alla violenza»), il cui titolo si può tradurre in «i poliziotti sono cani». Secondo il ministero dell’Interno il brano contiene «espressioni immorali» e il video in questione è «offensivo e minaccioso» nei confronti degli agenti di sicurezza e dei magistrati.

MALI – UCCISO OSTAGGIO FRANCESE A TARGHARGHIN – È stato ucciso ieri in Mali l’ostaggio francese Philippe Verdon per mano di un esponente di al-Qaeda nel Maghreb islamico. L’uomo non sarebbe morto mentre tentava la fuga dai suoi rapitori. Verdon era prigioniero da oltre un anno sulle montagne di Targharghin. I sospetti sui presunti rapitori di Verdon erano caduti subito sulla katibat (brigata islamica), detta Ansar e guidata da Abdel Karim Tarki. Intanto, la Francia chiede l’«immediata liberazione» di Boukary Daou, giornalista maliano de Le Republicain fermato lo scorso 6 marzo, con l’accusa di aver pubblicato una notizia falsa e di aver incitato alla disobbedienza. Proprio ieri, Parigi ha annunciato che il ritiro dei militari francesi in Mali comincerà «a partire dalla fine di aprile». Lo ha detto il premier francese Jean-Marc Ayrault. Il primo ministro ha fatto sapere che lunedì prossimo terrà un incontro con alcune personalità dell’Assemblea nazionale e del Senato per fare il punto della situazione sul campo, a tre mesi dall’impegno delle truppe francesi in Mali.

ASIA & PACIFICO
KURDISTAN – VERRANNO RLASCIATI OGGI GLI 8 OSTAGGI TURCHI – Prevista in un primo momento per ieri, è stata rinviata a oggi nel nord dell’Iraq la liberazione di otto prigionieri turchi in mano al Pkk. Una delegazione del partito legale curdo Bdp si trova già a Erbil per prendere in consegna gli otto ostaggi (sei soldati, un poliziotto e un alto funzionario). La liberazione è stata decisa su proposta del leader del Pkk, Abdullah Ocalan, detenuto nell’isola carcere di Imrali, quale gesto di buona volontà nel quadro delle trattative in corso con il governo di Ankara per una possibile soluzione politica del conflitto armato in Kurdistan.

THAILANDIA – INCENDIO IN CAMPO PROFUGI 30 VITTIME ANCHE BAMBINI – Almeno 30 persone sono morte e più di 200 sono i feriti a causa di un incendio che ha colpito il campo profughi di Mae Surin, nel nord della Thailandia. Il campo ospita oltre 3.700 rifugiati, per lo più donne e bambini provenienti dal vicino Myanmar fuggiti dalle persecuzioni dell’esercito. La grande maggioranza sono membri della minoranza etnica Karen. Dopo lo scioglimento della giunta in Birmania nel marzo 2011 e l’arrivo di un governo riformatore di ex militari, la Thailandia aveva annunciato l’intenzione di chiudere i campi una volta che la situazione fosse stata sicura dall’altra parte della frontiera. La Birmania ha da allora firmato dei cessate il fuoco con la maggior parte dei ribelli delle minoranze etniche, fra cui l’Unione nazionale Karen (Knu) che combatteva da decenni. Ma i rifugiati non sono stati rimandati in patria.

MYANMAR – SALE LA TENSIONE TRA BUDDISTI E MUSULMANI – Monta a Myanmar lo scontra tro buddisti e musulmani. Nella città birmana di Meikhtila è stato proclamato lo stato di emergenza dopo le violenze dei giorni scorsi. 20 sono i morti ufficiali con diverse testimonianze che riportano cifre oltre il centinaio, e immagini che mostrano scene di totale devastazione di interi quartieri e cadaveri carbonizzati ancora nelle strade. Nella notte i buddisti avrebbero dato alle fiamme diverse moschee e abitazioni della minoranza musulmana. Scene che ricordano la situazione di un anno fa nello Stato occidentale di Rakhine tra buddisti Arakanesi e Rohingya musulmani.
MYANMAR GRAVI SCONTRI SETTARI OLTRE 40 MORTI A MEIKTILA – Almeno 40 persone sono morte in una nuova ondata di violenze interconfessionali tra buddisti e musulmani registrata la scorsa settimana a Meiktila, in Myanmar. Lo riferiscono i media di Stato, precisando che «otto corpi sono stati ritrovati fra le macerie». Diverse anche le case e le moschee distrutte nel corso di altri scontri avuti luogo nella zona di Bago, a nord di Rangoon. Nella tarda serata di ieri, in una dichiarazione trasmessa dalla televisione nazionale il governo ha chiesto la fine dell’«estremismo religioso», avvisando la popolazione che l’escalation di tensioni potrebbe far deragliare il processo di riforme avviato nel paese. Gli scontri settari che da giorni si registrano tra musulmani e buddisti sono arrivati ieri anche a Yangon, dopo le false notizie circolate riguardo la distruzione di alcune moschee.

INDIA-CALCUTTA – L’ITER GIUDIZIARIO – L’ITALIA INSISTE SUL «TRANELLO» DELLA GUARDIA COSTIERA – Undici giorni di follia diplomatica con due pescatori morti sulle spallE di Matteo Miavaldi
L’Enrica Lexie si trovava a 20.5 miglia dalla costa, tratto adiacente al mare territoriale in cui lo stato può estendere la propria giurisdizione
Dopo undici giorni di ordinaria follia diplomatica, dal 22 marzo qui in India si è tornati ad aspettare che la spinosa vicenda dei due marò, dopo oltre tredici mesi, raggiunga finalmente una conclusione. Il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, in un tour de force che lo ha portato negli studi televisivi di tutti i canali in lingua inglese dell’etere indiano, è stato molto chiaro: qualsiasi sia la conclusione, basta che arrivi in fretta.
Il travagliato iter legale dei due fucilieri del reggimento San Marco Salvatore Girone e Massimiliano Latorre inizia, secondo la vulgata, con un «tranello». In questi mesi la diplomazia italiana ha sostenuto, e ora con maggior forza lo rivendica, che la petroliera Enrica Lexie la sera del 15 febbraio 2012 sia stata attirata al porto di Kochi, Kerala meridionale, con un bieco tranello tirato dalla guardia costiera indiana. Ci sono oggi alcuni fatti, accettati anche dalla difesa dei due marò in India. L’Enrica Lexie, intorno alle 16.30, si trovava a 20.5 miglia dalla costa indiana: non in acque internazionali né territoriali, bensì entro le 24 miglia della zona contigua, il tratto di mare adiacente al mare territoriale in cui lo stato può estendere la propria giurisdizione nelle materie di immigrazione, fiscali e doganali e altre finalità legali a diritti fondamentali. In India il Maritime Zone Act del 1976 estende la giurisdizione alla zona contigua al fine di mantenere la «sicurezza della Nazione». In aggiunta, secondo la section 188a del codice di procedura criminale indiano – introdotta tramite notificazione dal governo – la giurisdizione è estesa addirittura fino alle 200 miglia nautiche, come negli Usa durante il proibizionismo e come attualmente in Cina.
Gli spari dei due marò, dicono i test balistici condotti in India alla presenza di due tecnici italiani, hanno ucciso due pescatori indiani a bordo del peschereccio St. Antony. Il peschereccio indiano lancia l’allarme e, dopo due ore e mezza dal fatto, vengono contattate via radio le imbarcazioni sospettate di essere coinvolte nel presunto «attacco pirata»: l’Enrica Lexie, la Kamome Victoria, la Giovanni e la Ocean Breeze.
Delle quattro l’unica a rispondere affermativamente è l’Enrica Lexie. «Abbiamo respinto dei pirati» dicono alle autorità indiane. Ma ora è tutto sotto controllo, il peggio è passato, e infatti l’Enrica Lexie sta continuando lungo la rotta prestabilita. In due ore e mezza, contravvenendo ai protocolli standard, la petroliera si era allontanata di ben 70 km dalla «scena del delitto» senza avvertire nessuno.
Le autorità indiane intimano al capitano Vitielli di invertire la rotta e tornare al porto di Kochi per chiarire tutta la faccenda, adducendo la scusa di un «riconoscimento dell’imbarcazione». Oltre al monito verbale, dalla costa indiana salpano i due pattugliatori Shamar e Lakshmi Bhai e decolla l’aereo di sorveglianza marittima Dornier Do 228, per assicurarsi che l’Enrica Lexie torni ad attraccare in territorio indiano.
Se di tranello si è trattato, sarebbe interessante capire come mai dall’Enrica Lexie non sia arrivato nessun segnale di allarme o di attacco pirata sventato, comportamento che ha fatto sospettare la guardia costiera indiana di una fuga verso acque lontane, con due cadaveri alle spalle.
I due sottufficiali vengono arrestati solo quattro giorni dopo, il 19 febbraio, dopo una serie di interrogatori effettuati a bordo dell’Enrica Lexie.
Inizia così l’odissea legale, con un primo procedimento penale aperto nella Corte distrettuale di Kollam al quale seguono ricorsi dell’Italia che, nel frattempo, cambia tre versioni: «Non siamo stati noi, ha sparato qualcun’altro»; «Siamo stati noi ma ci siamo confusi e comunque eravamo in acque internazionali»; «Siamo stati noi, li abbiamo scambiati per pirati, ma siamo militari in servizio, abbiamo l’immunità e inoltre eravamo in acque internazionali».
Interpellata dalla diplomazia italiana, coi fisiologici ritardi della burocrazia indiana e le pressioni del governo del Kerala, intenzionato a tenere il processo a Kollam per potersi mostrare ai propri elettori come un esecutivo forte e dalla parte del popolo, la Corte suprema indiana il 18 gennaio raggiunge un primo verdetto: dice che la giurisdizione non può essere dello stato del Kerala – la cui competenza finisce entro le 12 miglia – ma rileva un possibile concorso di giurisdizione tra Italia e India. Ordina quindi la formazione di una Corte speciale col compito di dirimere prima di tutto la questione giurisdizionale, poi quella dell’eventuale immunità funzionale – si discute se difendere una petroliera privata sia esercitare le funzioni di militare e non di contractor – e, se la giurisdizione sarà negata all’Italia assieme all’immunità dei marò, istruire un nuovo processo che veda come imputati Latorre e Girone.
La dicitura Corte speciale, in Italia, ha creato qualche incomprensione, riportando alla memoria i tribunali speciali di epoca fascista. In India invece la formazione di Corti speciali è pratica molto comune, garanzia di terzietà e autorevolezza in casi spinosi o di profondo interesse nazionale come stupri, corruzione, terrorismo.
In attesa della sentenza della Corte, che potrebbe aprire i lavori già dal 2 aprile, le ipotesi a questo punto sono tre: una condanna in India coi marò che sconteranno la pena in carceri italiane, secondo un accordo bilaterale firmato a fine dicembre tra Italia e India; lo spostamento del processo in Italia; il ricorso a un arbitrato internazionale, magari al Tribunale del mare di Amburgo.
In ogni caso di una cosa siamo certi: ai marò non sarà comminata la pena di morte. Dal 1995 a oggi i boia indiani hanno sentenziato uno stupratore, un serial killer e due terroristi (tra cui il kashmiro Afzal Guru, che forse terrorista non era). I marò non sarebbero rientrati nella categoria dei condannabili a morte. E non ci voleva alcuna lettera di rassicurazione dall’India, sarebbe bastata la conoscenza dei precedenti indiani. E un pizzico di buon senso.
INDIA – DUE MARÒ L’India valuta le conseguenze – Sul rifiuto del governo italiano di far rientrare in India i due marò accusati di aver ucciso due pescatori, ieri il ministro degli Esteri indiano Salman Khurdish ha ribadito che «le decisioni non possono essere prese nel vuoto, bisogna valutarne le conseguenze, l’intensità delle relazioni in passato e l’atteggiamento che assumeranno gli altri Paesi. Ogni decisione di questa natura – ha aggiunto Khurdish richiede sacrifici, ma se si prende una decisione, bisogna essere pronti a pagarne il prezzo». Al caso dei due fucilieri italiani il settimanale indiano «Outlook» ha dedicato ieri oltre ben dieci pagine. Con toni duri, a cominciare dalla copertina di color rosso intenso, con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone barrati dalla scritta «Basta!». Nel sommario si dice che «l’Italia ha sempre infestato la politica indiana. Ora i suoi recalcitranti marò assestano un fragoroso ceffone al nostro sistema giudiziario e all’esecutivo». Nel pezzo portante, intitolato in italiano «Abuso di fiducia», Pranay Sharma sospetta che ci sia «un collegamento fra la decisione italiana e lo stop imposto dall’India al grosso affare degli elicotteri AgustaWestland destinati all’aeronautica militare indiana».
INDIA/ITALIA – INTERROGATO GIRONE AL VIA PERQUISIZIONI – Il fuciliere Salvatore Girone è stato interrogato dalla procura militare di Roma e risulta indagato assieme a Massimiliano Latorre per i reati di «violata consegna aggravata» e «dispersione di oggetti di armamento militare». La procura militare intende verificare se i due marò abbiano fatto un uso corretto delle armi, ovvero se siano state rispettate le regole d’ingaggio e le disposizioni che regolano il servizio di protezione a bordo dei mercantili. Il reato di dispersione di oggetti di armamento militare, invece, fa riferimento alla dispersione dei proiettili sparati dai due fucilieri di Marina. Gli inquirenti della procura di Roma hanno disposto una nuova perizia sulla "Enrica Lexie" e sulla macchina fotografica di bordo.

CINA
PECHINO – LA «NUOVA SINISTRA» NELL’ERA DI XI JINPING – di Simone Pieranni L’AREA INTELLETTUALE E POLITICA, ANCHE DOPO LA CADUTA DI BO, RESTA ATTIVA E DECISIVA NELLA CRITICA AL NEOLIBERISM.
Un fantasma si aggira per l’Assemblea Nazionale cinese. È identificabile in un volto, quello di Bo Xilai e in una corrente che negli ultimi tempi aveva saputo catturare l’attenzione in Cina, la «nuova sinistra». Che fine faranno le istanze di quei pensatori cinesi scettici rispetto alle svolte neo liberiste e attenti all’intervento dello stato nell’economia? Secondo Wen Jinyuan, ricercatore presso l’Università del Maryland e autore con il professor Charles W. Freemann di The influence and the illusion of Chinese New Left (Washington Quarterly, 2012) «l’influenza della sinistra rispetto alla leadership di Pechino diminuirà a causa della caduta in disgrazia di Bo Xilai. In primo luogo perché Bo è stato l’unico uomo politico cinese che apertamente ha fatto riferimento alla "nuova sinistra". Con la sua caduta – specifica Wen Jinyuan a Il Manifesto – l’ideologia della sinistra non sarà più attraente per la leadership cinese centrale. In secondo luogo alcuni esponenti della "nuova sinistra" hanno ricevuto un sostegno finanziario da Bo per condurre le loro ricerche accademiche. Mi riferisco ad esempio a Kong Qingdong , un professore all’Università di Pechino, che ha ammesso di aver ricevuto 1 milione di yuan (159mila dollari ndr) da Chongqing come fondo di ricerca. Ci sono anche molte voci che attribuiscono finanziamenti provenienti da Bo Xilai per siti come Utopia (uno dei siti internet più noti nella galassia della nuova sinistra ndr). Con la caduta di Bo, molti studiosi potrebbero trovarsi ad affrontare una carenza di sostegno finanziario per continuare le loro ricerche finendo per perdere il favore da parte del governo cinese».
Una questione economica, come al solito in Cina, verrebbe da pensare. Eppure gli esponenti della «nuova sinistra» cinese da anni avevano indagato la realtà nazionale con spunti «globali», capaci di collegare più che mai la Cina con il mondo. Del resto, la crisi del sistema neoliberista e con esso le difficoltà della rappresentanza politica, con partiti e mezzi di comunicazione in grado di esprimere solo le spaccature all’interno del corpo sociale, ma non a raffigurarlo a pieno, è un argomento molto sentito. Non solo in Italia, perché anche in un paese come la Cina, che non rappresenta ai nostri occhi una democrazia come la intendiamo in Occidente, questi processi sono al centro di un dibattito intenso, all’interno del quale le frazioni mischiano politica, approcci culturali ed economici.
Questo nesso tra economia, crisi della rappresentanza, crisi dello stato e avanzata neoliberista che accade in chissà quanti paesi, è presente anche in Cina. E la sua consacrazione o esplosione, è arrivata con lo shock del caso Bo Xilai – ex stella nascente del Partito, epurato, espulso e in attesa di processo – che ha frantumato quel magma complesso e indistinto che siamo abituati a definire, seppure sia apparentemente imperscrutabile con le nostre categorie di pensiero, la «nuova sinistra cinese». Si tratta di un insieme di professori, politici, attivisti radunati intorno ad un’idea che oscilla tra maoismo, socialismo liberale e liberalismo democratico, che ha saputo catalizzare un dibattito politico riguardo il futuro della Cina e che è finito nell’occhio del ciclone quando uno dei suoi esponenti – o presunto tale – Bo Xilai e il suo modello Chongqing, è stato messo fuori gioco dalla guida collettiva del Partito comunista cinese.
Che la Cina abbia bisogno di riforme è fuori discussione. E che lo shock provocato dal trauma Bo Xilai possa aprire una stagione in cui il capitalismo cinese si affiderà a svolte neoliberiste sembra altrettanto chiaro: il rapporto China 2030 della Banca Mondiale, con il beneplacito del governo cinese parla chiaro. Riforme e liberalizzazione finanziaria, privatizzazione di aziende di stato e terre (come specificato su Alias dell’aprile 2012 da Wang Hui, uno degli esponenti di punta della nuova sinistra cinese): si tratta di un trend confermato dal nuovo corso di Xi Jinping e compagnia, radunato in questi giorni nell’annuale assemblea legislativa. In tutto questo programmare un nuovo modello obbligato, vista la crisi mondiale e il ricorrere a ricette che quella crisi hanno creato, una componente importante del mondo intellettuale cinese si ritrova a dover ripensare a se stessa, tra afflato globale, caratteristiche locali e una dura lotta politica che al momento sembra aver messo in difficoltà quella che definiamo «la nuova sinistra cinese».
BUSSARE ALLA PORTA DEL POTERE – Li He, professore di Scienze Politiche, nel suo China’s new left and its impact on political liberization (EAI, 2008) accenna che la forza di quell’insieme di studiosi raccolti intorno al nome di «nuova sinistra» (xin zuopai in cinese) era stata capace di bussare direttamente alla porta del potere più grande in Cina. Hu Jintao nel 2005 – quando era presidente – avrebbe condotto una personale battaglia contro il «reaganismo» di Jiang Zemin, citando proprio i dettami della nuova sinistra, che di fronte all’epoca delle liberalizzazioni seguite alle Riforme lanciate da Deng Xiaoping, richiedevano una maggiore presenza dello stato per riequilibrare una diseguaglianza sempre più notevole (la famosa «armonia» di Hu Jintao). Cos’era accaduto infatti negli anni precedenti? La Cina aveva avviato le Riforme, ovvero una delle più grandi operazioni neoliberiste di tutti i tempi. In seguito alle privatizzazioni della terra, dal 1980 al 2000 i lavoratori non agricoli come quota di occupazione totale della Cina, sono passati dal 31 per cento al 50 per cento, aumentando al 60 per cento nel 2008. Secondo un rapporto dell’Accademia delle scienze sociali cinese nel 2002, circa l’80 per cento della forza lavoro non agricola «era costituito da lavoratori salariati proletarizzati, come ad esempio i lavoratori industriali, addetti ai servizi, impiegati e disoccupati». «Il rapido accumulo capitalista della Cina – scrive Minqi Li, uno degli esponenti dell’ultrasinistra, in The Rise of the Working Class and the Future of the Chinese Revolution (Monthly Review, 2011)- si è basato sullo sfruttamento spietato di centinaia di milioni di lavoratori cinesi. Dal 1990 al 2005, il reddito da lavoro in Cina, in percentuale del Pil, è sceso dal 50 al 37 per cento. Il salario dei lavoratori cinesi è circa il 5 per cento di quello statunitense, il 6 per cento rispetto alla Corea del Sud». Dall’inizio degli anni 80, circa 150 milioni di lavoratori migranti si sono spostati dalle zone rurali verso le aree urbane in cerca di occupazione. Di fronte a questo cambiamento storico, che avrebbe dato il via alla «fabbrica del mondo» e all’arricchimento dei funzionari cinesi, la Nuova Sinistra trova linfa. È necessario tuttavia precisare alcuni elementi: innanzitutto «nuova sinistra» è un termine che venne coniato dagli avversari di quei pensatori che sono solitamente considerati interni alla new left cinese. Di fronte alla pubblicazione dell’articolo di Cui Zhiyuan, L’innovazione istituzionale e la seconda liberazione del pensiero (Zhidu chuangxin yu di’erci sixiang jiefang) Ershiyi shiji, 1994 nel quale si richiedeva una svolta liberale con il ritorno dello stato ad un peso influente, alcuni studiosi di «destra» classificarono Cui, con accezione negativa, come membro della «nuova sinistra».
IL MODELLO CHONGQING – Di fronte quindi all’emergere di Bo Xilai come catalizzatore politico della nuova sinistra cinese, i media hanno finito per confondere neomaoismo e nuova sinistra, commettendo un errore non da poco. Basti considerare che alcuni studiosi come Wang Hui sono poco propensi all’utilizzo del termine «sinistra», proprio perché troppo esplicitamente riferito a Mao, preferendo il termine liberali di sinistra (ziyou zuopai). È pur vero però che si può evidenziare la presenza di una nuova sinistra radicale (ji zuopai) di matrice più chiaramente marxista e impegnata a rivalutare un fenomeno considerato solitamente negativo come la Rivoluzione Culturale.
Queste diverse correnti possono essere accomunate da un elemento, ovvero la necessaria presenza dello stato nell’economia come salvagente per l’uguaglianza e i diritti. Un punto di partenza dal quale si snodano teorie diverse. Il «modello Chongqing» con uno stato molto attento alle politiche sociali e uno spazio comunque garantito al privato, rispondeva al concetto di guojin minjin («stato e settore privato avanzano insieme») tanto caro alla sinistra. «Per quanto riguarda il modello di Chongqing – spiega Wei Jinyuan a Il Manifesto – il modello stesso si è dissolto, ma alcune delle iniziative politiche, come ad esempio la dipendenza delle imprese di proprietà statale, potrebbe continuare in quanto Bo non è l’unico uomo politico cinese che favorisce l’espansione delle aziende di stato. Zhang Dejiang, il vicepremier che ha sostituito Bo come nuovo capo del partito di Chongqing, ha un ampio rapporto con aziende di stato, in particolare nel settore industriale, e ha preferenze politiche simili a Bo al riguardo». E sulle aziende di stato si giocherà una sorta di partita vitale per la «nuova sinistra», perché i grandi agglomerati statali sono finiti ormai nell’occhio del ciclone. Hu Angang, uno degli economisti più noti e considerato in area «nuova sinistra», ha recentemente difeso le grandi aziende statali (La Riforma della Imprese di stato, china-files.com) preparando il terreno ad uno scontro teorico che sarà fondamentale per il futuro del paese: «La rapida ascesa della Cina – ha scritto – ha fornito alle imprese statali cinesi una possibilità di sviluppo senza precedenti; allo stesso tempo, la rapida ascesa delle imprese statali cinesi ha fornito un enorme contributo alla rapida ascesa della Cina».

CAMBOGIA – Morto Sary, leader dei Khmer Rossi
L’anziano leadei dei Khmer Rossi Ieng Sary è morto ieri. Era uno dei leader considerati più brutali del regime Maoista. La Corte cambogiana, che ha ottenuto il sostegno delle Nazioni unite, ha annunciato la morte di Sary a 87 anni. «Confermiamo la morte di Sary dopo la sua degenza avviata il 4 marzo scorso», ha detto il portavoce della Corte Lars Olsen. L’uomo stava affrontando un processo per genocidio durante il regime maoista (1975-79). Il ruolo di Sary era di ministro degli Esteri ed è stato il contatto tra i leader cambogiani e il mondo esterno. Nel processo, che affrontava con altri due imputati, era accusato di un omicidio di massa che avrebbe coinvolto due milioni di persone.

COREA DEL NORD – PYONGYANG LANCIA MISSILI USA RAFFORZA DIFESA
La Corea del Nord ha lanciato ieri due missili a corto raggio nel mar del Giappone, dopo le tensioni aggravate per il terzo test nucleare del 12 febbraio scorso. «Un’unità militare del Nord ha lanciato due missili a corto raggio, presumibilmente di tipo KN-02», ha riferito una fonte militare. Il lancio sarebbe stato fatto come prova per misurare la capacità dei missili a corto raggio nell’ambito di una esercitazione di livello locale. Tuttavia, il Pentagono è pronto ad approvare piani per il rafforzamento delle difese missilistiche sulla costa occidentale degli Stati uniti, per fronteggiare le minacce provenienti dalla Corea del Nord. Alle difese già esistenti in California e Alaska verranno aggiunti 14 intercettori in grado di abbattere i missili in volo.

IRAQ – 28 civili morti in attacchi a Baghdad – Un grave attacco terroristico ha colpito il centro di Baghdad, provocando almeno 20 morti e 40 feriti. L’esplosione di tre autobombe a distanza ravvicinata ha scosso il quartiere superprotetto di Allawi Hilla, dove hanno sede anche diverse ambasciate, intorno alle 13:30 di ieri. Poi un attentatore suicida si è fatto saltare in aria all’ingresso del ministero della Giustizia e diversi terroristi hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con le guardie per dare l’assalto all’edificio. Le forze speciali sono intervenute rapidamente uccidendo gli assalitori e liberando tutto il personale del dicastero. Secondo un deputato, Hakim Al Zamily, tra i morti ci sono quattro guardie del ministero. L’area è stata bloccata per diverse ore dalle forze di sicurezza, mentre colonne di fumo nero si alzavano dai luoghi dove erano esplose le autobombe: una vicina all’Istituto per le Comunicazioni, una nei pressi del ministero degli Esteri e la terza non lontano dal ministero dell’Interno. Altre otto persone, tra le quali un generale del ministero dell’Interno e quattro poliziotti, sono state uccise da attentati dinamitardi o agguati armati nel Paese.

EUROPA
VATICANO – CASTEL GANDOLFO • L’INCONTRO (MAI VISTO) TRA DUE PAPI. BERGOGLIO FA VISITA A RATZINGER P Un pontificato in dupleX di Luca KOCCI
E oggi l’Angelus cade a 33 anni dall’uccisione dell’arcivescovo di San Salvador La preghiera, poi colloquio riservato su Vatileaks e sul rebus dei dicasteri vaticani
Joseph Ratzinger, il papa emerito, aspetta a bordo pista dell’eliporto della villa pontificia di Castel Gandolfo. Dall’elicottero dell’Aeronautica militare scende Jorge Mario Bergoglio, il papa regnante. I due si salutano con un abbraccio. È cominciato così l’incontro dei due papi che ieri, dopo le dimissioni di Ratzinger e l’elezione di Bergoglio, hanno trascorso due ore e mezza insieme. In attesa, fra un paio di mesi, di iniziare la loro coabitazione in Vaticano, dove il papa tedesco tornerà non appena saranno conclusi i lavori di ristrutturazione nell’ex convento di clausura che lo accoglierà nei prossimi anni. Un incontro storico quello di ieri. L’ultima volta in cui ci sono stati due papi, anzi tre, risale ai tempi del «grande scisma» della Chiesa d’Occidente, fra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400. E prima di loro, alla fine del ‘200, la convivenza fra Bonifacio VIII e Celestino V fu tutt’altro che pacifica: papa Caetani, per paura che Pietro da Morrone si rimangiasse le dimissioni dal soglio pontificio, lo fece rinchiudere nella rocca di Fumone, in Ciociaria. Ratzinger e Bergoglio hanno pregato insieme, uno accanto all’altro sullo stesso inginocchiatoio, e hanno pranzato, in compagnia di monsignor Gaenswein, segretario di Ratzinger ma anche prefetto della casa pontificia – cioè «amministratore di condominio» dell’appartamento di Bergoglio -, e di monsignor Xuereb, secondo segretario di Ratzinger, «prestato» al suo successore in questi giorni di pontificato.
LA RELAZIONE SEGRETA
Prima c’è stato anche un colloquio riservato fra i due papi, durato 45 minuti, quindi non meramente formale, durante il quale avranno sicuramente affrontato anche alcuni temi caldi, come il Vatileaks , una questione che inevitabilmente li lega in maniera pressoché esclusiva: Ratzinger ha infatti blindato la relazione segreta dei tre cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi – non se ne è saputo nulla nemmeno durante il pre-conclave, nonostante ai tre fosse stata allentata la consegna del silenzio -, disponendo che fosse consegnata al suo successore. Si pensava anche che i due papi si confrontassero sul memoriale che Ratzinger aveva lasciato a Bergoglio, ma padre Lombardi ha negato perentoriamente: «Non esiste e non è mai esistito un simile documento», ha detto il portavoce della Santa sede, smentendo contemporaneamente monsignor Loris Capovilla (storico segretario di papa Roncalli) che aveva parlato del dossier , il quotidiano della Cei Avvenire , che aveva pubblicato le dichiarazioni di Capovilla, e il giornalista Marco Roncalli (nipote di papa Giovanni XXIII) che aveva realizzato l’intervista. In ogni caso durante il colloquio, le cui prime battute sono state trasmesse in mondovisione dal Centro televisivo vaticano, in bella mostra sul tavolino che separava i due papi compariva una cassetta di documenti e una busta chiusa che Bergoglio ha poi portato con sé. Indicazioni utili per il nuovo papa che dopo Pasqua comincerà a mettere mano alla riorganizzazione della Curia e dei dicasteri vaticani.
GIRO DI CONSULTAZIONI
Intanto in questi giorni Bergoglio ha avviato un giro di consultazioni informali, attraverso una serie di colloqui con alcuni porporati, per lo più latinoamericani, fra cui senz’altro il francescano brasiliano Claudio Hummes, il cardinale che, come ha raccontato lo stesso Bergoglio, gli fu vicino in conclave facendogli venire in mente il nome Francesco, profondo conoscitore dei sacri palazzi, dal momento che dal 2006 al 2010 è stato prefetto della Congregazione per il clero. Oggi cominciano la «settimana santa» e le celebrazioni pasquali, con la messa della domenica della palme e l’ Angelus in piazza san Pietro. E oggi è anche l’anniversario dell’assassinio di monsignor Romero, ucciso dai sicari della giunta militare salvadoregna il 24 marzo 1980. Sono in tanti ad aspettare che Bergoglio non solo lo ricordi, ma sblocchi anche il processo di beatificazione, fermo dal 1997 per le resistenze dell’episcopato conservatore e per la freddezza dimostrata da Wojtyla e Ratzinger. Lo chiede anche il Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel, che a proposito del ruolo di Bergoglio negli anni della dittatura argentina, in un’intervista che uscirà sul numero di aprile del mensile Confronti , ha chiarito la sua posizione: «Bergoglio non è stato un complice della dittatura», però «non ebbe il coraggio, come lo ebbero altri sacerdoti, religiosi, religiose e anche vescovi, di porsi alla guida di coloro che lottavano per i diritti umani».
Un giudizio, quello di Perez Esquivel, simile a quello del gesuita (come Bergoglio) spagnolo, naturalizzato salvadoregno, Jon Sobrino, che nel 1989 sfuggì fortunosamente a un attentato in cui vennero uccisi sei suoi compagni gesuiti (e due donne) all’università di San Salvador: «Non è corretto parlare di complicità, tuttavia Bergoglio si è sempre tenuto lontano dalla Chiesa popolare impegnata contro la dittatura».

ITALIA
ROMA – M5S CAMERA: DI BATTISTA SUL CASO MARÒ E LE DIMISSIONI DEL MINISTRO – "Non ci bastano le sue dimissioni, ministro degli Esteri. Noi vogliamo capire e capire bene. Vogliamo sapere dettagliatamente le disposizioni d’ingaggio consegnate ai militari a bordo. Vogliamo sapere, signori ministri, quale sia stata l’autorità che, consultandosi con gli armatori dell’Alexia, ha consentito l’inversione di rotta della nave, come intimato dalle autorità indiane. Inversione effettuata dopo due ore dall’incidente! Vogliamo sapere il nome, il cognome e il grado dell’autorità militare che ha ordinato ai nostri due fucilieri di scendere a terra e consegnarsi di fatto alle autorità indiane dello stato del Kerala, violando le norme a tutela dei diritti umani secondo cui nessun individuo dev’essere consegnato a un Paese dove rischia di essere sottoposto a pena di morte. E ancora, signori ministri, vogliamo sapere se ci sono state dazioni di denaro a favore delle autorità indiane o dei loro singoli rappresentanti, l’esatto ammontare di tali eventuali dazioni, le precise motivazioni e se per puro caso ci sono stati riferimenti diretti o indiretti con l’operazione Finmeccanica. Il sospetto è condiviso: il fatto che il ministro della difesa di New Delhi abbia sbloccato l’accordo commerciale da 300 milioni di euro con la WASS di Livorno per la fornitura di siluri ad alta tecnologia c’entra qualcosa con la consegna dei nostri soldati? Gli affari sono più importanti delle vite umane signori ministri? Pretendiamo che il documento scritto dal Ministero degli Esteri indiano che attesta che non ci sarà la pena di morte per i nostri militari, visionato dal sottosegretario de Mistura, sia reso pubblico immediatamente chiarendo ogni dubbio sulla sua reale esistenza.
Chi è responsabile deve andare a casa. Noi siamo nuovi signori ministri, siamo nuovi e siamo giovani. Ci siamo chiesti, in questi primi giorni di lavoro, se saremo all’altezza del compito che il popolo italiano ci ha affidato. Beh, se voi siete i tecnici, i cosiddetti esperti, non abbiamo dubbi che i cittadini nelle istituzioni sapranno fare molto meglio!" Alessandro Di Battista, cittadino portavoce M5S alla Camer
ITALIA -AUSTERITÀ – PUBBLICATO IL RAPPORTO TRIMESTRALE DELLA COMMISSIONE UE Italia grande malata dell’Eurozona, calano occupazione e produttività di – Roberto Ciccarelli
Disoccupati +0,5% in gennaio. Ma l’indice toccherà il record nel 2014: 11,8%
Il rapporto trimestrale sull’occupazione della Commissione Europea restituisce, una volta di più, la realtà della grande depressione italiana. Nell’ultimo trimestre del 2012, l’Italia è stato il paese dove la disoccupazione è cresciuta di più, +0,5% rispetto al trimestre precedente. Un record nell’Eurozona dove spiccano la Polonia (+0,3%), la Spagna e la Francia (+0,1%). Crolla anche la produttività del 2,8%, dopo il precedente calo del 3%. Il peggioramento dell’occupazione e della produttività incide nettamente sui consumi e sui redditi delle famiglie. Confcommercio ha stimato che la flessione dei consumi privati sarà del 2,4% nel 2013, mentre nel 2014 dovrebbero aumentare dello 0,3%. Rispetto al 2007, la perdita è stata quantificata in 1700 euro a testa.
Sempre Confcommercio ha precisato la percentuale. Saranno 4 milioni le persone «assolutamente povere» alla fine del 2013, contro i 3,5 milioni certificati dall’Istat nel 2011, pari al 6% della popolazione. Un dato confermato a grandi linee dalla Commissione Ue secondo la quale il 15% della popolazione è in difficoltà economiche.
Un destino che sembra legare l’Italia alla Grecia dove si è registrato un aumento paragonabile della povertà. Insomma, la frattura tra Sud e Nord Europa è una realtà nel continente dell’austerity. Circa il 40% dei redditi bassi in Grecia, Italia, Romania, Slovacchia e Spagna sono in «condizioni di sofferenza finanziaria» rispetto al 10% di Germania e Lussemburgo. La frattura può essere osservata anche sulla disoccupazione. A gennaio 2013 ha raggiunto il 10,8% della popolazione attiva, per un totale di 26,2 milioni di persone. La disoccupazione giovanile è più alta nel sud Europa: tra gli degli under 25 in Italia è al 38,7%, in Spagna e Grecia supera il 50%, mentre nel’Eurozona al 23,6% (5,7 milioni di individui). Si tratta di una quota cresciuta del 43% rispetto al 2008, quando i giovani senza lavoro erano 1,7 milioni in meno. I lavoratori fra i 55 e i 64 anni classificati come «in povertà o esclusi sociali» sono il 25,7% della popolazione.
In una situazione altamente degradata per le condizioni del lavoro, la commissione Ue registra uno dei fattori strutturali della crisi italiana: il costo reale unitario del lavoro è salito dell’1,2% contro una media dell’Eurozona dello 0,2. Ma le retribuzioni per unità di lavoro sono rimaste ferme, mentre in Europa sono salite dell’1,2%. Una conferma è venuta ieri dall’istituto statistico tedesco Destatis secondo il quale i costi del lavoro in Germania sono saliti di un terzo rispetto alla media europea: 31 euro all’ora contro il 27,20 dell’Italia. Questa impennata dev’essere considerata alla luce dell’ultimo decennio quando i costi del lavoro sono aumentati molto lentamente in Germania, costituendo uno degli elementi del successo della sua economia. La produttività tedesca ne ha tratto un vantaggio strategico, mentre quella italiana continua a scendere, gravata dall’aumento del costo unitario del lavoro (+2,8%). La recessione viene alimentata anche dal taglio della spesa sociale che ha inciso profondamente sull’istruzione e sulla sanità, e non permette di intervenire a tutela di chi perde il lavoro. «La spesa sociale per proteggere disoccupati e più poveri – scrive la Commissione Ue – è scesa tanto da neutralizzare la funzione di stabilizzatore economico del sistema di protezione sociale», un evento che «ha contribuito ad aggravare la recessione, almeno a breve termine».
Questi dati sono stati confermati dalle previsioni contenute nella relazione sul documento di economia e finanza (Def) anticipata ieri al parlamento dal governo Monti. La disoccupazione è destinata a crescere nel 2013 e nel 2014. Quest’anno toccherà quota 11,6% e salirà all’11,8% nel 2014. La crescita del Pil nel 2013 sarà negativa, -1,3%. La causa sarebbe il «trascinamento negativo» della recessione del 2012. Il 2014 sarà invece l’anno dell’ottimismo, il Pil tornerà a crescere dell’1%. Un ottimismo fuori luogo, in realtà. Le stime degli organismi internazionali descrivono un quadro ben più fosco. Per il Fondo Monetario Internazionale il Pil nel 2014 crescerà solo dello 0,4%, la pensa così anche l’agenzia di rating Standard & Poor’s.
Il rapporto Ue segnala infine il fallimento della riforma Fornero delle pensioni. Nelle intenzioni dei suoi ideatori avrebbe dovuto contenere la spesa pensionistica.Come già previsto nel rapporto sulla spending review (ne abbiamo parlato su Il Manifesto del 19 marzo) la spesa continuerà a salire nel 2013: +5,7 miliardi, passando dai 249,5 miliardi del 2012 ai 255,2 del 2013. Impegnerà il 16,2% del Pil nel 2014. Non è escluso che dai cieli dell’austerità europea arriverà, presto o tardi, un’altra lettera per chiedere la riforma della riforma.

EUROPA
CIPRO – EUROCRACK • 10 MILIARDI DI «AIUTI» + 7 DI TASSE SUI CONTI CORRENTI. L’INUTILE ASSALTO AI BANCOMAT Troika in pista, panico a di ANNA MARIA MERLO – E la Bundesbank si fa minacciosa con l’Italia: o riforme o niente più assistenza Ondata di panico tra i risparmiatori e i correntisti ciprioti, dopo l’accordo raggiunto nella notte a Bruxelles: per evitare la bancarotta ci sarà un’assistenza finanziaria di 10 miliardi da Ue, Bce e Fmi, e quello che manca per raggiungere i 17 miliardi richiesti da Nicosia sarà trovato attraverso una tassa sui conti correnti (intorno ai 7 miliardi) più un aumento delle imposte sulle società e una corsa alle privatizzazioni. È la prima volta che vengono coinvolti i conti correnti dei privati da quando è iniziata la crisi dei debiti sovrani. Ieri, appena arrivata la notizia da Bruxelles, si sono formate delle code agli sportelli automatici, per ritirare il denaro. Ma il governo ha informato di aver già provveduto a bloccare i conti, per evitare la fuga di capitali. Pagheranno tutti, cittadini ciprioti e non residenti (quindi anche i russi) che hanno un conto a Cipro. Sotto i 100mila euro i conti saranno tassati del 6,75%, al di sopra di questa cifra invece la tassa sarà del 9%. Come consolazione, i correntisti riceveranno delle obbligazioni delle rispettive banche. Ma le banche di Cipro dovranno venire ristrutturate e quindi sarà difficile recuperare i soldi. La crisi di Cipro è un effetto collaterale della crisi greca, le banche cipriote ne sono state travolte. Per il governo di Cipro è meglio l’ hair cut sui conti bancari che tagli drastici ai salari e alle pensioni, come è successo in Grecia. Ma altri paesi sovra-indebitati cominciano a tremare. Le minacce di ieri del presidente della Bundesbank Jens Weidmann all’Italia – o continuano le riforme oppure niente più aiuti dalla Bce – hanno contribuito a rendere elettrico il clima. È stata l’alleanza tra la Germania e il Fondo monetario a portare alla scelta di penalizzare i risparmiatori a Cipro. Bruxelles e la Bce, sostenute da molti stati membri, si sono opposti, per evitare di inquietare i mercati. Ma la Germania ha imposto il suo punto di vista, anche se poi l’accordo rischia di essere bocciato al Bundestag, a pochi mesi dalle legislative. Berlino chiede che ci sia un nuovo audit sul riciclaggio di denaro sporco, di cui sono sospettate le banche cipriote. Nel mirino soldi dalla Russia. Lunedì, il ministro delle finanze cipriota Michalis Sarris andrà a Mosca, non tanto per fare chiarezza sui soldi sporchi, ma piuttosto per ottenere dalla Russia un po’ più di tempo per il rimborso del prestito bilaterale. Mosca sarebbe disposta a dare più tempo e forse anche a ridurre i tassi di interesse, ma «non ad andare più lontano», sostiene il commissario Ue agli affari monetari, Olli Rehn. Con questa manovra il debito pubblico di Cipro sarà ridotto al 100%, dal 140% attuale. Nel giugno scorso, Cipro aveva chiesto un aiuto di 17,5 miliardi, pari al pil del paese. Ma dopo le centinaia di miliardi di aiuti alla Grecia e le decine al Portogallo, la "troika" sta chiudendo i cordoni della borsa. Cipro è il quinto paese della zona euro ad essere messo sotto tutela da quando è scoppiata la crisi. Intanto, la "troika" ha bloccato il versamento della nuova tranche di 2,8 miliardi alla Grecia, in attesa di nuovi licenziamenti di pubblici funzionari (25mila), in un paese che ha già il 26% di disoccupazioni (60% tra i giovani).

GRAN BRETAGNA p Al via centrale nucleare di Hinkley – Il governo britannico punta sull’energia nucleare. Il ministro dell’Energia, Ed Davey, ha annunciato che è stato concesso il via libera alla compagnia francese Edf per realizzare una centrale atomica a Hinkley Point, Somerset, nell’Inghilterra sud-occidentale. Si tratta del primo impianto realizzato dal 1995 nel Regno unito, ma altre centrali nucleari potrebbero essere costruite nel Paese. «Il via libera è arrivato solo dopo un’attenta analisi dell’impatto ambientale», ha spiegato il ministro. Il progetto fa parte del piano energetico del governo, che ha puntato sia sul nucleare che sull’energia eolica e su centrali a biomasse. L’impianto di Hinkley fornirà corrente elettrica a 5 milioni di abitazioni.

RUSSIA/ CINA – NEO PRESIDENTE XI A MOSCA DA PUTIN Xi Jinping, neo Presidente cinese, è alle prese con la sua prima visita di Stato in Russia. Per molti cinesi si tratta di un simbolo perché l’allora Unione Sovietica nel 1949 fu il primo paese a riconoscere la Cina di Mao. E’ passato molto tempo, con rapporti alterni, e oggi la traiettoria generale della politica estera cinese è stata messa sotto la lente di ingrandimento, data la vicinanza di Xi all’esercito e la mancata presenza di membri del Comitato Permanente del Politburo tra i ministri. Un segnale che ha rafforzato la tesi di chi ritiene che Xi vuole un ruolo di primo piano, specie nel mostrare i muscoli nell’arena internazionale. In Russia però si parlerà soprattutto di petrolio: secondo fonti citate dall’agenzia Reuters entro la settimana si chiuderà l’accordo secondo il quale il principale produttore di petrolio grezzo della Russia, Rosneft, aumenterà le esportazioni verso la Cina di circa 34 milioni di tonnellate raggiungendo le 50 milioni di tonnellate (1 milione di barili al giorno) entro il 2018. Secondo Wan Chengcai, un ricercatore di studi russi presso il Xinhua Center for World Affairs Studies, i progetti di cooperazione economica tra Russia e Cina potrebbero raggiungere l’obiettivo di aumentare il volume del commercio bilaterale a 200 miliardi di dollari entro il 2020.

BULGARIA – Raykov guida il nuovo governo ad interim
È operativo da oggi il nuovo governo ad interim che dovrà portare la Bulgaria alle elezioni anticipate del 12 maggio prossimo. Premier e ministro degli esteri è Marin Raykov, già ambasciatore in Francia ed ex viceministro degli Esteri nel governo conservatore del dimissionario Boyko Borissov, che si è tirato indietro il 20 febbraio scorso sotto la pressione delle proteste di massa contro il carovita, la povertà, la corruzione dei politici e le oligarchie economiche. Il 15 marzo il capo dello stato scioglierà il parlamento unicamerale composto da 240 deputati.

AMERICA DEL CENTRO-NORD
STATI UNITI – RAGAZZO NERO UCCISO, A BROOKLYN È RIVOLTA. Dopo la veglia per Kimani Gray detto Kiki, il sedicenne african-american ucciso sabato scorso dalla polizia, si registrano violenze diffuse e anche feriti nel quartiere newyorkese di Brooklyn, dove il ragazzo viveva . È grave un cliente di una farmacia colpito con una bottiglia sulla testa. La famiglia del ragazzo di Brooklyn contesta le dichiarazioni della polizia secondo cui Kiki era armato. I residenti obiettano che troppo spesso la polizia se la prende con i neri abusando della politica dello «Stop and Frisk» (la norma sulle perquisizioni). Da parte sua la polizia ritiene che il ragazzo ucciso fosse membro di una delle tante gang di adolescenti che popolano Brooklyn. Nelle mani degli agenti anche un video in cui si vedrebbe Kimani che picchia un ragazzo di 13 anni
USA – IL MARYLAND ABOLISCE LA PENA DI MORTE . La Camera dei rappresentanti del Maryland approva la legge che abolisce la pena di morte. La norma, già passata al Senato, è stata approvata con 82 «sì» e 56 «no». Manca la firma del governatore, il democratico Martin O’Malley, che da anni si batte contro la pena capitale. Il Maryland è diventato così il 18mo stato dell’unione che non fa ricorso alla pena capitale
USA – SIRIA/ISTANBUL – Dal vertice (e dagli Usa) impulso alla guerra civile di Mi. Gio. – Non è chiaro se i membri della Coalizione Nazionale, il principale gruppo siriano d’opposizione, oggi termineranno la loro riunione a Istanbul con la nomina del "primo ministro" del governo provvisorio che "amministrerà" i territori a nord e a est del paese in mano ai ribelli sunniti che combattono il regime di Assad. Sono 12 i candidati in corsa per il posto di "premier" dell’opposizione. I favoriti sono un ex ministro dell’agricoltura, Assad Moustapha; l’economista Osama al-Kadi che vive a Washington; e l’esperto in comunicazioni Ghassan Hitto anch’egli residente negli Stati Uniti. L’Esercito libero siriano, la milizia dei ribelli, attraverso il suo "capo di stato maggiore", ha chiesto al summit di Istanbul un governo ad interim «per tutto il territorio» e invocato nuovamente armi e munizioni, in particolare lanciarazzi terra-aria per mettere fine alla superiorità delle forze aeree siriane. Razzi che potrebbero ricevere presto: Francia e Gran Bretagna (con l’Italia a rimorchio) si sono dette favorevoli a rifornire i ribelli di armi mentre Qatar, Arabia saudita e, forse, altri paesi arabi, già lo fanno. E ieri gli Usa, con il Segretario di stato John Kerry, hanno fatto sapere che «non ostacoleranno» i paesi europei che intendono fornire armi ai ribelli. E’ una nuova spinta all’escalation della guerra civile che ha già fatto circa 70mila morti – anche ieri decine di uccisi – mentre il regime fa uso devastante dell’aviazione contro le offensive dei ribelli. Cacciabombardieri ieri hanno colpito anche lungo la frontiera con il Libano, presso Arsal, roccaforte sunnita. Il Libano è sempre più parte in causa. Di fronte a dozzine, forse centinaia, di libanesi sunniti che combattono accanto ai ribelli, ci sono i guerriglieri del movimento sciita libanese Hezbollah. Per il quotidiano al-Joumhouria, 38 combattenti di Hezbollah sarebbero stati uccisi in Siria e poi sepolti in segreto in Libano

AMERICA MERIDIONALE
BRASILE – INDIOS SGOMBERATI A FORZA DAL LORO MUSEO – Sono stati cacciati a forza dalla polizia gli indios che occupavano il museo a loro dedicato, a Rio de Janeiro, e per il quale era già scaduto l’ordine di sgombero emesso dal governo regionale e confermato dalla giustizia federale. Reparti antisommossa delle forze dell’ordine hanno invaso l’edificio e sparando lacrimogeni e proiettili di gomma hanno allontanato i manifestanti, tra cui anche vari giovani esponenti di ong e partiti di sinistra che avevano bloccato la strada di accesso allo stabile. Ora le famiglie indigene che dal 2006 si erano insediate nell’area – proprio di lato allo stadio Maracanà – saranno trasferite in un terreno nella zona ovest della città, dove sarà costruito un apposito villaggio a loro destinato.
VENEZUELA – MADURO ANNUNCIA UN’INCHIESTA – Chávez avvelenato? DI GERALDINA COLOTTI . Venerdì le spoglie del presidente verranno portate al Cuartel de la
Montana Il cancro di Hugo Chávez è stato «inoculato»? Lo stato venezuelano ha intenzione di istituire una commissione d’inchiesta per stabilire se esistono elementi in merito. Lo ha lasciato intendere Nicolas Maduro, incaricato ad interim e candidato socialista alle prossime elezioni del 14 aprile. «Stiamo lavorando a una commissione d’inchiesta statale e quando sarà il momento inviteremo importanti paesi del mondo, i migliori scienziati del mondo, per investigare sull’infermità che provocò la morte del nostro comandante Chávez», ha annunciato. Secondo Maduro «tutto pare indicare che abbiano attentato alla sua salute con tecniche molto avanzate, abbiamo sentore che Chávez sia stato avvelenato da forze oscure e intendiamo scoprire la verità». Già negli anni ’40 – ha ricordato Maduro -, gli Stati uniti «possedevano laboratori scientifici in cui si sperimentava come provocare il cancro. Sono trascorsi 70 anni, credete che non abbiano fatto progressi?». Però ha precisato a più riprese: «Non sto accusando gli Stati uniti di questo, adesso».
Lo stesso Chávez aveva avanzato questa ipotesi dopo la scoperta del tumore «grosso come una palla da baseball», che gli era stato diagnosticato nel giugno 2011. Il leader socialista aveva fatto notare che diversi presidenti latinoamericani si erano ammalati di tumore in quel periodo, da Lula da Silva a Cristina Kirchner, a Fernando Lugo, e il fatto poteva non essere casuale. Qualche ora prima che Chávez morisse, il pomeriggio del 5 marzo, Maduro era tornato su questa ipotesi, sostenendo anzi che il governo aveva le prove che quel cancro «atipico e devastante» fosse opera di «nemici storici» del presidente.
Il giorno successivo alla morte, è stata allestita una camera ardente nella cappella dell’Accademia militare a Caracas. Lì sono state trasferite le spoglie del leader bolivariano e una moltitudine di persone fa ancora file di molte ore per rendergli un ultimo saluto. Venerdì le spoglie di Chávez, che ha governato il paese per 14 anni, saranno portate nel museo militare del 23 Enero, detto Cuartel de la Montana perché fulcro della ribellione civico-militare guidata da Chávez il 4 febbraio 1992. Per la mattina, Maduro ha annunciato un altro grande raduno, un «hasta siempre comandante». Ci saranno senz’altro «alcuni compagni presidenti dell’America latina e dei Caraibi ad accompagnarci», ha detto. La figura di Chávez, che per la prima volta dal ’98 non sarà presente a una consultazione elettorale, è comunque ancora al centro della scena, al centro dello scontro politico fra i due principali aspiranti alle presidenziali, Maduro e Henrique Capriles Radonski. Anche se la campagna elettorale inizia ufficialmente il 2 aprile e si prolungherà per soli 9 giorni, nei fatti ha già avuto inizio fin dall’iscrizione dei candidati al Consiglio nazionale elettorale (Cne). Gli aspiranti sono in tutto 8, tre dei quali – Maria Bolivar, Reina Siquiera e Henrique Capriles – hanno già concorso alle presidenziali del 7 ottobre, a cui ha partecipato oltre l’80% degli aventi diritto e che sono state vinte da Chávez con il 55,07%. Gli altri sono Eusebio Méndez, Fredy Tabarquino, Gonzalo Contreras, Julio Mora e Nicolas Maduro. Il candidato chavista è stato il secondo a presentare i documenti, accolto da una marea di camicie rosse che hanno poi ascoltato il suo discorso. I suoi avversari si sono fatti iscrivere da propri rappresentanti, in polemica con il Cne che considerano «asservito al chavismo»

CARACAS – VENEZUELA/ IL PARROCO DI SAN FRANCISCO A CARACAS: «È UNA PORTA APERTA» Qui c’è lo zampino di Hugo Chávez Maduro tra il serio e il faceto di – GERALDINA COLOTTI
Nicolas Maduro, presidente incaricato del Venezuela, ha salutato l’elezione del nuovo papa argentino a conclusione del discorso inaugurale della Fiera del libro, a Caracas. Tra il serio e il faceto, si è detto sicuro che ci sia stato lo zampino di Hugo Chávez, morto il 5 marzo, le cui spoglie sono ancora al centro di un pellegrinaggio moltitudinario. Maduro si è lasciato trasportare dall’enfasi di una campagna elettorale che lo vede candidato per il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), il 14 aprile, contro il rappresentante della destra Henrique Capriles Radonski, scelto dalla Mesa de la unidad democratica (Mud). E ha così affermato: «Noi sappiamo che il nostro comandante è salito fino a quelle altezze, che ormai è faccia a faccia con Cristo. Una nuova mano si è mossa e Cristo gli ha detto: è arrivata l’ora del Sudamerica». E poi ha aggiunto scherzando che Chávez, a un certo punto «convocherà una costituente nel Cielo, per cambiare la Chiesa, perché sia il popolo, il popolo puro del Cristo a governare il mondo».
Un’allusione alle ombre che accompagnano la figura dell’ex cardinale Jorge Mario Bergoglio, ex arcivescovo di Buenos Aires, accusato di complicità con la dittatura che oppresse il paese tra il 1974 e l’83? Le reti sociali argentine hanno rilanciato le accuse, riprese anche in Venezuela: ricordandone soprattutto omissioni e silenzi. Si riportano in luce alcuni suoi scritti, poi emendati, nei quali Bergoglio sosteneva «che in alcun modo» si dovesse criticare il governo golpista perché una sua caduta avrebbe portato «con molta probabilità, al marxismo». Alcune letture vedono perciò nella sua elezione qualcosa di analogo a quanto avvenne con Wojtyla e il campo socialista: un tentativo di stoppare l’onda progressista che intende proseguire sulla strada del «socialismo del XXI secolo», anche appoggiandosi sul nuovo mito Chávez.
In molti, però, sembrano orientati alla prudenza, se non alla difesa aperta di Bergoglio, come ha fatto l’ex premio Nobel per la pace, Adolfo Pérez Esquivel, anch’egli argentino.
Alle accuse di alcune organizzazioni per i diritti umani, si sono contrapposte testimonianze di chi ha visto l’ex arcivescovo darsi da fare per nascondere gli oppositori alla dittatura.
Di certo, Francesco I ha una posizione molto diversa da quella espressa ieri da Maduro a proposito del diritto all’identità, nello specifico quella degli omosessuali: «Se fossi gay lo rivendicherei con orgoglio», ha detto pubblicamente il presidente ad interim, rigettando ogni forma di razzismo e discriminazione. A questo riguardo, il nuovo papa ha invece vivacemente polemizzato con la presidente argentina Cristina Kirchner. Quando in Argentina è arrivato l’habemus papam, era in corso un omaggio delle istituzioni parlamentari al presidente Chávez: che non si è interrotto per celebrare la nuova nomina.
Di tenore diverso, le dichiarazioni degli altri stati progressisti dell’America latina: il più repentino è stato il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, a cui sono seguiti i messaggi dell’Uruguay dell’ex tupamaro laico Pepe Mujica, quelli del Nicaragua e di Raul Castro da Cuba. Si è unito anche il Brasile, pur deluso dalla mancata elezione di Odilo Scherer, sessantatreenne arcivescovo di Sao Paulo, altro favorito. Tutti hanno pre

 

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