10460 Intervista a Renato Palermo, italo-uruguayano, candidato al Senato della Repubblica Italiana

20130203 21:12:00 redazione-IT

Chi sono gli italiani all’estero? Diversamente dai giudizi molto superficiali che negli ultimi anni i media italiani hanno e continuano a propinare sugli italiani all’estero – rappresentati forzosamente di volta in volta come personaggi squalificati e discutibili che hanno calcato le scene parlamentari e di qualche talk show -, gran parte dei quasi 4 milioni e mezzo di connazionali residenti all’estero sono portatori di una storia lunga di lavoro e di impegno sociale, civile e politico. Lo spostamento –in termini psicosociali – che viene operato su questa realtà che, oltre ai connazionali con passaporto contempla altri 60-70 milioni di oriundi discendenti dei 30 milioni di migranti italiani che hanno lasciato il paese nel corso di oltre un secolo, è forse da addebitarsi alla diffusa pratica dell’oblio, della dimenticanza e della cancellazione della memoria storica di ciò che siamo stati e di ciò che abbiamo realizzato, nel bene e nel male, percorrendo le molteplici direttrici della fuga dall’Italia in tutto il corso del ‘900.

La cosa paradossale è che questo flusso, mai spentosi del tutto, sta riprendendo vigore oggi con l’approfondirsi della crisi economica e con le pratiche europee di “riaggiustamento strutturale” che altri paesi, colmi di presenza italiana, hanno già vissuto e sperimentato negli ultimi decenni del secolo scorso e da cui, con grandi difficoltà, sacrifici e peripezie, stanno uscendo definitivamente inaugurando un nuovo corso che noi, speranzosi, crediamo si affermerà anche in Europa. E’ il caso dell’America Latina, dove, in contemporanea con gli altri continenti, gli italiani con passaporto avranno la possibilità, per la terza volta, di partecipare alle elezioni politiche italiane, attraverso il voto per corrispondenza.

Abbiamo intervistato diversi di questi protagonisti, impegnati da decenni sul fronte delle lotte sociali locali, che hanno accettato la candidatura in diverse liste. La prima intervista che proponiamo, a cui seguiranno altre, è quella con Renato Palermo, candidato al Senato per la lista unitaria di sinistra (altre non ve ne sono in quest’area), Pd-Sel-Psi, in Sud America.

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Perché hai deciso di candidarti nella lista unitaria Pd-Sel-Psi?

Non si tratta di una decisione personale, siamo impegnati da diversi decenni nella ricerca di soluzioni alle diverse problematiche delle nostre comunità all’estero; far parte di questa lista, accettare la candidatura, implica acquisire altri spazi di iniziativa per contribuire a soddisfare le necessità o promuovere miglioramenti.

Inoltre, farlo in una lista unitaria è coerente con la nostra forma di pensare. Abbiamo sofferto molto negli ultimi anni per il corso seguito nella sinistra italiana; al fine di ottenere buoni risultati elettorali sono stati abbandonati sul cammino valori fondamentali, si sono diffuse divisioni e c’è stato un chiaro allontanamento dalla base. Questa proposta di unione che va molto al di là dell’ambito elettorale, in quanto mette al centro un certo approccio politico, ci ha fatto tornare ottimismo e speranza, siamo convinti che ci stiamo re-immettendo sulla giusta via.

Pur essendo un figlio di emigrati, la tua esperienza personale è profondamente latino americana: come sei arrivato ad occuparti prevalentemente degli italiani residenti in Uruguay ?

Sono nato in Italia, in Calabria, avevo 7 anni quando mia madre, insieme a mia nonna, mio fratello ed io, decisero di emigrare verso l’Uruguay. Alla fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, eravamo studenti universitari, in quegli anni era difficile restare indifferenti alla politica. Il successo della rivoluzione cubana aveva acceso nei popoli latino-americani la speranza di liberazione; le organizzazioni politiche, sindacali e studentesche della sinistra erano sulla ribalta e godevano di un ampio consenso nella popolazione; sembrava imminente il loro protagonismo nei futuri governi. 
Le oligarchie decisero di frenare questo processo imponendo brutali dittature. Nel 1973 mio fratello fu catturato e io riuscii a fuggire verso l’Argentina; fu l’esilio il prezzo che gli uruguayani pagarono per aver difeso la democrazia e reclamare giustizia.

Al di là della nostra militanza sindacale e politica, ci riservavamo uno spazio per partecipare ad alcune attività della numerosa collettività italiana in Uruguay, soprattutto nell’associazione dei calabresi. Però, dove realmente rimasi legato tanto ad una parte della collettività italiana, quanto ad alcune organizzazioni italiane all’estero, come la Filef, fu in Argentina, negli anni successivi al 1976. Mi integrai in un gruppo di compagni dirigenti del Patronato INCA di allora, che, nonostante i rischi che correvano, non si rassegnavano all’impunità e al disprezzo per la vita che i militari argentini impartivano alla popolazione. Grazia alla loro militanza e al loro intervento, l’allora Presidente Sandro Pertini si occupò del caso dei desaparecidos, minacciando la rottura delle relazioni tra l’Italia e l’Argentina; ovviamente quegli anni non furono affatto facili per loro e per noi, ricevettero minacce, persecuzioni e un paio di attentati alla sede dell’Inca-Cgil e, a questo proposito, voglio dire che sarebbe ora di organizzare un momento di  ricordo e di tributo per questi compagni che tanto si sono prodigati in quegli anni.

Per noi, “los uguguayos” rifugiati in Argentina, la situazione, alla fine degli anni ’70, si fece sempre più pericolosa: i militari uruguayani effettuavano missioni contro gli esiliati uruguayani liberamente in territorio argentino e sotto la copertura di quelle autorità (come previsto dal Plan Condor); la detenzione e la sparizione di molti dei nostri compagni stava diventando una pratica abituale. Molti di noi decisero di accettare i piani di esilio che offrivano diversi paesi europei, mentre altri, tra cui io, accettammo di trasferirci nelle vicinanze del nostro paese. Accettai una offerta di lavorare nel Rio Grande do Sul (la dittatura brasiliana, in quegli anni cominciava a presentare qualche atteggiamento di apertura) e, in modo del tutto casuale, mi tocco di impegnarmi su un tema interessantissimo e arricchente dal punto di vista personale: coprii giornalisticamente le attività e le iniziative che per un intero anno le autorità del paese gaucho (Rio Grande do Sul), dedicarono alla celebrazione del “Centenario dell’emigrazione italiana” in quello Stato del sud del Brasile. Poi, alcuni anni più tardi, lavorai a San Paolo del Brasile, dove sono nati 2 dei miei 4 figli.

Quale giudizio dai della politica verso gli italiani all’estero ?

In questi ultimi anni, durante il governo Berlusconi si è tentato di smantellare tutto il tessuto associativo e di rappresentanza costruito con tanti anni di lavoro volontario e di militanza delle nostre comunità. Questa gestione è stata caratterizzata dalla prepotenza e dall’ ignoranza; per ragioni di natura ideologica, più che di bilancio, hanno applicato tagli alle risorse che finanziavano la diffusione della lingua italiana, la formazione, l’assistenza, la rappresentanza, l’associazionismo; questi tagli hanno permesso di risparmiare qualche milione di euro, però hanno  sfasciato le relazioni con le comunità emigrate. Questi dirigenti politici non hanno saputo apprezzare il grande valore effettivo costituito dall’ avere una grande comunità italiana diffusa in quasi tutto il mondo.

Ma secondo te si può parlare di italiani all’estero senza affrontare i temi più generali della crisi italiana ?

Io non condivido la politica di Monti che pretende di far uscire l’Italia riducendo la spesa pubblica, applicando l’austerità, riducendo il costo del lavoro. Il centro-sinistra italiano si propone di uscire dalla crisi facendo riprendere l’economia; questa deve crescere con il consumo interno, ma allo stesso tempo è necessario esportare fuori della penisola; in questo senso, gli italiani all’estero possono essere di aiuto, sempre che i governi sappiano strutturare e progettare adeguati piani di internazionalizzazione della produzione e dell’impresa italiana.

I paesi latino-americani, nell’ ultimo decennio hanno indicato un percorso diverso da quello del neoliberismo; pensi che questo possa costituire un elemento di orientamento anche per l’Italia e per l’Europa ?

Questo decennio è stato importante per il continente latino americano; le ultime crisi hanno prodotto un grande cambiamento a livello politico; finalmente i popoli si sono liberati ed emancipati dalle tradizioni politiche locali e hanno eletto governi più progressisti. Questi governi stanno promuovendo lo sviluppo economico e tecnologico con il fine di raggiungere una stabilità sociale e politica; per raggiungere questa meta necessitiamo di inclusione e equità sociale, accesso alla conoscenza e all’ educazione e alla formazione, tra l’altro. Credo che, in forma equilibrata e direi moderata, si stanno ottenendo obiettivi che consentono a questi paesi di ridurre la povertà, migliorare la qualità della vita e ottenere una distribuzione delle risorse più equa.

Io credo che i progetti di governo proposti dal centro sinistra italiano in questa campagna elettorale non sono molto distanti da quelli che si stanno applicando nei nostri paesi. Sono convinto che una vittoria della sinistra in Italia ci avvicinerà molto, in tutti gli ambiti: culturale, economico, tecnologico, ecc.

C’è una grande Italia in America Latina, fatta non solo di coloro che hanno il passaporto, ma, si stima di oltre 40 milioni di oriundi. Quali prospettive di cooperazione possono aprirsi tra questa realtà e il nostro paese ?

Una buona parte di questi paesi sono stati profondamente trasformati dai processi migratori nell’arco di tutto il 900; se si applicherà una politica adeguata, questo potenziale potrà essere capitalizzato da ambo le parti; Italia e America Latina. Solo per citare un esempio: Il modello di funzionamento della piccola e media impresa tipico del sistema italiano, potrebbe adattarsi a diversi sistemi produttivi e commerciali presenti in diverse aree dell’America Latina. In realtà ci sono già molti progetti che stanno funzionando in questo senso in aree molto importanti, come ad esempio il Rio Grande do Sul, in Brasile. Può essere un modello da moltiplicare in altre aree e in altri paesi.

Fonte: Cambiailmondo.org –  R.R.

 

 

"Renato

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