10217 IL GOVERNO TECNICO……MA PERCHE’ PROPRIO A NOI ?

20121018 17:03:00 guglielmoz

1 – AL SENATO. SEVERINO: IL FALSO IN BILANCIO È FUORI TEMA,
2 – L’ANALISI I BUCHI NERI DEI TECNICI INTERCETTAZIONI “VIETATE” PER TRAFFICO DI INFLUENZE E VOTO DI SCAMBIO.
SCONTO PER BERLUSCONI, PENATI E P4 E LA CHIAMANO ANTICORRUZIONE – IL DDL PASSA CON LA FIDUCIA
3 – Fuori ruolo ed ex politici: le toghe “benedette” . LE VITE PARALLELE (E IL DOPPIO STIPENDIO) DI 257 MAGISTRATI SPARSI TRA MINISTERI E SEDI ESTERE. IL BENGODI DI QUELLI CHE LASCIANO IL SEGGIO
4- CONSIGLIO DI STATO E DINTORNI – IL PARCHEGGIO 5 STELLE DEI GIUDICI ONOREVOLI
5 – Antonio e Michel, la saga dei Martone.
6 – PIÙ “PULITI” DI NOI ANCHE GRECI, BULGARI E ROMENI.
7 – INAIL, quando il sito costa più di un palazzo L’IDV CONTRO L’ASTA DA 25 MILIONI PER IL RIFACIMENTO DEL WEB: “VA SOSPESA”. APPALTI ESAGERATI ANCHE NEI MINISTERI.
8 – Soldi e immobili, l’Ente Sordi dissanguato – STIPENDI GENEROSI AI DIRIGENTI, OPERAZIONI IMMOBILIARI SPERICOLATE E UN BUCO DI 12.
9 – Buco alla Siae? Non c’è tempo per indagare L’ISTRUTTORIA ALLA CAMERA SVELA IL DISASTRO DI GESTIONE DELLA SOCIETÀ DEGLI AUTORI. NO A COMMISSIONI D’INCHIESTA

1 – SCONTO PER BERLUSCONI, PENATI E P4 E LA CHIAMANO ANTICORRUZIONE – IL DDL PASSA CON LA FIDUCIA AL SENATO. SEVERINO: IL FALSO IN BILANCIO È FUORI TEMA di Caterina Perniconi
Sulla volta che sovrasta l’aula del Senato sono affrescate le personificazioni della Giustizia, del Diritto, della Fortezza e della Concordia. Ogni tanto ieri il Guardasigilli Paola Severino alzava gli occhi e le osservava. Forse pensando che la sua legge anticorruzione avrebbe dovuto avere a che fare più con i primi tre che con la quarta. E invece, per assecondare la pace tra i membri di una “strana” maggioranza bipartisan, a vincere è stata l’ultima. Quando si è issata in piedi per esprimere il parere del governo dopo un’ora e mezzo di dibattito, il ministro ha chiesto conto ai parlamentari delle mancanze di questa legge: “Anch’io appartenevo ad una categoria di grilli parlanti, ogni legge che usciva la mia critica era pronta, era forte. Ma bisogna passare qui dentro per capire la fatica che c’è dietro ogni provvedimento, la necessità di conquistarsi la fiducia di tutti su ciò che si propone”. Una fiducia raggiunta solo dopo riduttivi compromessi. Il provvedimento che dovrebbe aiutare lo Stato a recuperare 60 miliardi l’anno introduce maggiore trasparenza, impedisce ai condannati per mafia di ricevere appalti pubblici e crea l’Authority anticorruzione. Ma non ripristina il falso in bilancio, non accorcia i tempi dei processi né allunga quelli della prescrizione (men che meno abolisce la ex Cirielli). Tutti i temi su cui il Pdl ha alzato le barricate . Inoltre depenalizza il reato di concussione per induzione, offrendo un “aiutino” ai processi di Filippo Penati (aree Falck) e Silvio Berlusconi (caso Ruby). Lo stesso reato ha a che fare anche con i casi P4 (Papa), sanità pugliese (Tarantini), nomine Asl (Tedesco).
“SO PERFETTAMENTE che il falso in bilancio, l’autoriciclaggio e il tema della prescrizione rappresentano mondi che stanno intorno alla corruzione e che ne condizionano le possibilità di scoperta e di punizione” ha dichiarato la Severino,“sono le premesse della corruzione: il falso in bilancio serve per nutrire di denaro nero la corruzione; l’auto-riciclaggio rappresenta la parte postuma, ciò che si fa con il denaro” .Ma“i reati satellite non devono diventare la tomba del ddl” ha chiarito. In realtà sono strumenti fondamentali ai quali gli inquirenti non potranno ricorrere nonostante l’Europa ci chieda di adeguarci dagli anni ’90. “La riforma dei reati societari ci deve essere – ha continuato il ministro –ma non nel provvedimento sulla corruzione, perché lo affollerebbe”. Non lo affollano invece le numerose clausole sui magistrati fuori ruolo. La regolamentazione chiesta dalla Camera con l’emendamento del deputato Pd Roberto Giachetti è stata stravolta. Il 2,6% dei togati che hanno un alto incarico nelle amministrazioni potranno usufruire di speciali eccezioni per preservare il loro ruolo. Alla fine della sua arringa Severino ha chiesto la fiducia, che è stata votata dopo sei ore. Per lei solo il tempo di un pranzo veloce, di cambiarsi una delle sette camicie sudate per trovare un accordo tra i partiti e di nuovo in aula. Ma di fronte ha trovato una platea scarsa. C’erano solo 12 senatori del Pdl. A sinistra banchi più popolati ma nessuno pareva scontento . Tranne l’IdV, che ha votato contro la legge “per l’impossibilità di modificarla” e Giovanardi, secondo cui “i fenomeni di corruttela aumenteranno con l’introduzione di funzionari ad hoc in ogni comune che dovranno controllare persino gli amici e i parenti”.
IL CALCOLO È FINITO con 228 favorevoli, 33 contrari e 2 astenuti, una delle fiducie più basse registrate da questo governo che, come ha detto Mario Monti, “ci ha messo la faccia”. Ora dovrà fare i conti con un nuovo rinvio del provvedimento alla Camera. Nonostante gli auspici a “fare presto” non c’è da sottovalutare il parere del Csm richiesto dalla Severino sulla legge, atteso per la prossima settimana . Difficile che l’organo di autogoverno della magistratura non faccia rilievi su un provvedimento imperfetto. E come faranno a quel punto i deputati a non recepirli? Solo dopo l’approvazione definitiva scatterà l’impegno del governo a scrivere la delega sull’incandidabilità dei condannati in Parlamento. Un altro compromesso con la politica: la norma prevede infatti che non potranno partecipare alle elezioni i condannati in via definitiva a una pena oltre i due anni per i reati contro la pubblica amministrazione, a tre negli altri casi. Peccato che l’87% dei corrotti ne patteggia meno di due e può andare dritto a premere un bottone sotto la volta di Palazzo Madama, ringraziando la Dea Concordia.

2 – L’ANALISI I BUCHI NERI DEI TECNICI INTERCETTAZIONI “VIETATE” PER TRAFFICO DI INFLUENZE E VOTO DI SCAMBIO di Bruno Tinti
Lo sanno tutti cosa è una corruzione. Una persona avvicina un pubblico ufficiale e gli chiede qualcosa: un appalto, un posto di lavoro, chiudere gli occhi su qualcosa di illecito; e gli promette soldi oppure qualsiasi altra cosa gli serva: una donna, un viaggio fantastico, una raccomandazione. Forse qualcuno non sa cosa è una concussione per induzione. Ma non è difficile. La concussione è un ricatto fatto da un pubblico ufficiale (un parlamentare, un assessore, un Presidente del Consiglio dei ministri): se non fai questo ti succederà qualcosa di male. L’induzione è un modo sottile per ricattare: non ti dico che ti farò qualcosa di male ma ti faccio capire che ti posso danneggiare o essere utile; vedi un po’ tu.
SE IL RICATTATO ci sta perché spera di ottenere qualcosa di utile, allora è un po’ come la corruzione. E se il ricattato è anche lui un pubblico ufficiale che ha l’obbligo di denunciare i reati, allora – anche se ci sta perché ha paura – commette un reato a sua volta. Anche il traffico di influenze è una cosa semplice. Due o più potenti, gente che sta al vertice della piramide, si promettono, anche implicitamente, aiuto reciproco, naturalmente illecito. Ti chiedo un favore (che non dovresti farmi). A disposizione, domani potrò sempre contare su di te. E il voto di scambio? Votatemi, a te farò aprire la tabaccheria, a te ti raccomanderò per un appalto, a te ti farò trasferire in quella città dove desideri tanto andare. Quello che si capisce bene, a questo punto, è che il corrotto e il corruttore, il concusso e il ricattatore, i compari che si accordano per un aiuto illecito reciproco, hanno un interesse comune: farsi i loro sporchi affari e non farsi beccare. Ma se per caso uno di loro è beccato, l’ultima cosa che può fare è confessare: perché, accusando l’altro, accusa se stesso; e vanno in galera tutti e due. Quindi nessuno parla, nessuno collabora: questi reati si scoprono per caso. Si analizza un bilancio e si vede che ci sono poste strane, soldi che non si sa che fine hanno fatto; si indaga su una violazione edilizia e si scopre che la licenza non poteva essere concessa; si intercetta uno per frode fiscale e si scopre che le fatture false sono state fatte per mandare i soldi su un certo conto. E via così. Ma che significa, sul piano pratico, che questi reati si scoprono “per caso”? Significa che si scoprono a una certa distanza di tempo da quando sono stati commessi. Per esempio, se si parte da una frode fiscale, questo vuol dire che la Gdf o la Procura li scopriranno dopo che la dichiarazione dei redditi è stata presentata (1 anno dopo l’emissione delle fatture false), dopo che è stato fatto l’accertamento tributario (3 anni come minimo) e dopo che la Gdf ha indagato per vedere dove sono finiti i soldi (1 anno o giù di lì): 5 anni dalla consumazione del reato. Le indagini quindi partiranno a 5 anni di distanza.

MESSE DA PARTE QUESTE INFORMAZIONI, VEDIAMO COSA NON VA NEL DDL ANTICORRUZIONE APPROVATO AL SENATO.
1 – Non c’è una norma che preveda la non punibilità del corrotto o del concusso o del compare traffichino che denuncino il reato. Anche se ti sei pentito e collabori vai in prigione lo stesso, magari con una pena minore. Ovviamente tutti allineati e coperti.
2– La pena per il traffico di influenze e per il voto di scambio è, nel massimo, 3 anni. Quindi niente intercettazioni telefoniche. Se il pm non ha la palla di cristallo, scoprire questi reati è praticamente impossibile.
3 – Per il traffico di influenze e per il voto di scambio, la contropartita deve essere “denaro o altro vantaggio patrimoniale”. Sicché, se la contropartita è la promozione (non dovuta) a un ufficio prestigioso, la raccomandazione di un protetto importante (che in realtà non vale niente) e insomma tutti i consueti favori che si scambiano i potenti, il reato non sussiste.
4 – Con le pene previste dal ddl, la prescrizione per corruzione, traffico di influenze e concussione per induzione va da 7 anni e mezzo a un po’ meno di 11. Che sembrano tanti. Ma vi ricordate che si parte con un handicap di 4/5 anni? Come si fa, nei 3/4/5 anni che restano, a fare indagini, processo di 1° grado, processo d’appello e processo in Cassazione? Non si fa.
5 – Se il processo si chiude con una sentenza di prescrizione, non c’è “condanna definitiva”. Tutti innocenti. Quindi la incandidabilità dei condannati in Parlamento resta una pia illusione.
6 – Dove la contropartita è il denaro, è ovvio che si tratta di denaro “nero”. Quindi falso in bilancio. Ma siamo ancora con la legge di B, fatta apposta per evitargli la galera: via libera ai tesoretti riservati. Potremmo cercare di chiudere la stalla prima che i buoi scappino con una nuova legge (basta recuperare quella che c’era prima); ma non se ne parla.
7 – Una volta ricevuto il denaro, il corrotto lo deve pur mettere da qualche parte. Che fa, se lo tiene sotto la mattonella? Certo che no: ci compra pizzerie, alberghi, società. In tutti i paesi civili si chiama autoriciclaggio e, quando ti acchiappano, buttano via la chiave della cella. Da noi non è reato. Ma che legge è questa? Nella migliore tradizione del processo penale italiano: fatta per non funzionare.

3 – Fuori ruolo ed ex politici: le toghe “benedette” . LE VITE PARALLELE (E IL DOPPIO STIPENDIO) DI 257 MAGISTRATI SPARSI TRA MINISTERI E SEDI ESTERE. IL BENGODI DI QUELLI CHE LASCIANO IL SEGGIO
Cosa può fare un magistrato quando termina il mandato parlamentare? Tornare al suo lavoro precedente? Meglio di no. Meglio avere un accesso privilegiato agli incarichi fuori ruolo (i tanto ambiti) delle giurisdizioni superiori o, se lo desidera, andare in pensione anticipatamente in barba alla nuova legge Fornero.
Questa proposta, allo studio della Commissione Giustizia del Senato, inserita nel provvedimento sull’ineleggibilità e le incompatibilità dei magistrati, naturalmente non tralascia nemmeno quelli che terminano il loro mandato da ministro, vice ministro, sottosegretario, o capo di gabinetto di un ministero. Per chi vorrà fruire del privilegio, basterà chiedere. E dall’aspettativa parlamentare passeranno direttamente fuori ruolo all’Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato.
I togati che ad oggi hanno un incarico nelle amministrazioni sono 257, nonostante la legge preveda un tetto massimo di 200 doppio stipendiati. 227 sono magistrati ordinari, 18 amministrativi e 12 contabili. La maggior parte sono distaccati nei ministeri, 92 solo a quello della Giustizia (che in realtà prevede un tetto di 65). Tra di loro ci sono alcuni casi limite, segnalati nei documenti presentati dal governo al Parlamento: Lorenzo Salazar, distaccato alla Direzione generale della Giustizia penale, è fuori ruolo dal 1988. Giovanni Buttarelli, assegnato agli organismi internazionali dipendenti dal ministero, fuori ruolo dal 1989. Sebastiano Buongiorno, all’ufficio del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, fuori ruolo dal 1994. E via così.
POI CI SONO quelli per cui è previsto un trattamento accessorio speciale. Ventitré magistrati che percepiscono da 51 a 103 mila euro in più oltre al loro stipendio. Tra di loro c’era, fino alla nomina all’Authority sulla Privacy, il capo del legislativo Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa. C’è ancora una frequentatrice del salotto di Porta a Porta, la vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Simonetta Matone.
Non mancano nemmeno i magistrati fuori ruolo con incarichi internazionali. Ne esportiamo uno a Strasburgo, sei a Bruxelles, uno a New York, uno a Washington, uno a Baghdad, quattro a Pristina, uno a Sarajevo e un altro a Vienna. Per arrivare ai “soliti noti”, come Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto “a vita” che non ha avuto difficoltà a barcamenarsi da Giulio Tremonti ad Antonio Di Pietro fino all’attuale ruolo con Vittorio Grilli. O Germana Panzironi, passata da un ufficio legislativo all’altro tra i ministeri dell’Ambiente, Industria, Economia e Finanze, Istruzione, Funzione pubblica. Per non parlare di quei 970 magistrati che hanno incarichi remunerati nelle Università o nelle scuole di Amministrazione pubblica.
MA LE PRESSIONI sul governo hanno fatto sì che la legge avesse già le sue eccezioni. Il Guardasigilli, Paola Severino, ha dichiarato in aula al Senato di non voler fare “inciuci”, accusa mossa dal deputato democratico Roberto Giachetti. Eppure il maxi-emendamento anticorruzione è chiaro: “Le disposizioni per i fuori ruolo non si applicano ai membri di governo, alle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e ai componenti delle corti internazionali . Per loro non vale nemmeno l’obbligo di lasciare alla fine dell’incarico. Senza dimenticare che la Consulta ha bocciato il taglio dei maxi-stipendi. In pratica, non cambia nulla. C. Pe.

4- CONSIGLIO DI STATO E DINTORNI – IL PARCHEGGIO 5 STELLE DEI GIUDICI ONOREVOLI.
C’è una notizia buona e una cattiva. Quella cattiva è che i nostri parlamentari sono stupidi. Quella buona è che solo qualche volta le leggi sono sbagliate perché funzionali agli interessi loro e dei loro amici; certe volte sono sbagliate per stupidità. Prendiamo l’ultima geniale pensata. Capita che qualche magistrato venga eletto in Parlamento. Eh, non ci piace tanto, un giudice in Parlamento non sta bene. Un delinquente sì, ma un giudice …(mi ricordo ancora gli starnazzi del Pdl quando l’allora Pds candidò il Procuratore di Milano D’Ambrosio, peraltro da tempo in pensione). Beh, pazienza, anche i giudici hanno i loro diritti costituzionali . Ma che ne facciamo quando smettono di fare gli onorevoli? Mica possono tornare dove erano prima a dispensare favori a quelli che li hanno eletti (noi faremmo così; quindi anche loro …). Discipliniamo la materia. “I magistrati eletti al Parlamento alla cessazione del mandato parlamentare, non possono essere riammessi nei ruoli della magistratura di provenienza.” Sì ma … allora che ne facciamo? Semplice. Li destiniamo all’Avvocatura dello Stato e al Consiglio di Stato. E se lì non ne hanno bisogno? Fa niente, ci vanno “anche in soprannumero”. Enumeriamo le … stupidaggini.
1 – In soprannumero significa che i ruoli sono pieni e che ogni avvocato dello Stato o magistrato del Consiglio di Stato lavora il giusto. Tanti fascicoli, tanto stipendio. Se arrivano forze nuove, i fascicoli sono divisi tra più persone e lo stipendio resta invariato. Meno lavoro, stesso stipendio. Fantastico.
2 – Non ci sarà mai più bisogno di nuovi giudici perché i ruoli saranno sempre sovrabbondanti. A ogni legislatura arriveranno giudici ex parlamentari che rimpiazzeranno i giudici che muoiono o che vanno in pensione. Niente più concorsi, niente giovani che iniziano prestigiose carriere. Un circuito chiuso, alimentato dagli scarti del Parlamento.
3 – Questi giudici un po’ sospetti (per questo non li mandiamo dove lavoravano prima) dovrebbero diventare intemerati difensori della legalità nei nuovi ambienti. Corruttibili come giudici ordinari ma integerrimi come Consiglieri e Avvocati di Stato. Molto razionale.
4 – Gli Avvocati dello Stato guadagnano più dei giudici ordinari; i Consiglieri di Stato molto, molto di più. Trattasi del giusto premio per aver servito l’Italia come parlamentari? Oppure si tratta della carota (d’oro) per liberarsi prima possibile di quei giudici che la classe politica vede come il fumo agli occhi? Come che sia, non è un po’ troppo? Vitalizio da ex parlamentare e maxistipendio?
5 – Ma i politici lo sanno cosa porta il giudice in politica? La notorietà, prima di tutto. La mega inchiesta, le conferenze stampa, la difesa dei cittadini tutti contro i politicanti corrotti e mafiosi, l’icona da arcangelo Gabriele. E proprio i loro tradizionali nemici li vogliono premiare in questo modo? E poi le carriere parallele: l’uomo di fiducia di questo o quel politico, il consigliere giuridico, il capo di gabinetto, il capo dell’authority quale che sia. Sono tutti trampolini per il Parlamento. Qui magari si capisce la voglia di premiare la fedeltà (non sempre conforme a etica o legalità). Ma ci pensano che così favoriscono gli elementi peggiori? Quelli che, invece di fare processi dal mattino alla sera, fanno il segretario di corrente, il componente della GEC o del CDC dell’ANM (le sigle sono tutto un programma : giunta esecutiva centrale e comitato direttivo centrale), il fuori ruolo a vita. Se Darwin fosse ancora vivo scriverebbe di una nuova specie, il magistrato scalatore destinato a soppiantare il magistrato spalatore (di fascicoli, ovviamente). Adesso, siccome questa autostrada per una carriera sempre più prestigiosa e per un bel mucchietto di soldi non si vede quale vantaggio porti ai politici in servizio permanente effettivo, l’unica conclusione che se ne può trarre è che sia frutto di stupidità. Quod erat demostrandum. di Bruno Tinti

5 – Antonio e Michel, la saga dei Martone.
PER TUTTO IL POMERIGGIO di ieri Michel Martone è stato in aula a Palazzo Madama nel suo ruolo di vice-ministro del Lavoro. Più impegnato con il suo Ipad che a seguire il dibattito, Martone è stato chiamato in 5 – causa dal senatore leghista Sandro Mazzatorta: “Ma è vero quanto ha scritto il quotidiano ‘Italia oggi’ sul fatto che alla Civit (Commissione per la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, ndr) c’è il padre del viceministro Michel Martone?”.
L’accusa del deputato leghista è quella di un conflitto d’interesse tra il legislatore e il controllore. E in effetti Antonio Martone, nominato dal ministro Renato Brunetta, proprio in nome della trasparenza, decise di dimettersi dalla presidenza della Civit a gennaio. Ma non se n’è andato, è rimasto commissario di quella che la legge trasforma nell’Authority anticorruzione.
Anche il figlio Michel era stato consulente del ministero di Brunetta e soprattutto è uno dei casi limite del nostro Paese: è diventato professore ordinario a 29 anni e insegna diritto del lavoro alla Luiss proprio come aveva fatto il padre. Che ad ogni occasione ricorda che è “solo un caso”. GRILLO RINGRAZIA)

6 – PIÙ “PULITI” DI NOI ANCHE GRECI, BULGARI E ROMENI.
IL VALORE della corruzione in Italia vale circa 60 miliardi di euro l’anno, ma nel 2011 sono state inflitte condanne solo per 75 milioni. Secondo la Corte dei Conti il nostro Paese “nella classifica degli Stati percepiti più corrotti nel mondo stilata da Transparency International per il 2011 assume il non commendevole posto di 69 su 182 paesi presi in esame e nella Ue è posizionata avanti alla Grecia, Romania e Bulgaria”.
L’Italia ha un tax gap superiore al 36 per cento, che risulta di gran lunga il più elevato tra i paesi europei con l’eccezione della Spagna.
FINANCIAL TIMES NIENTE BRODINI
L’Italia ha bisogno subito di una “legge forte” contro la corruzione. Lo suggerisce il Financial Times secondo cui Severino “teme che i partiti possano ritardare l’approvazione del ddl tanto a lungo in modo che il Parlamento venga sciolto prima che diventi legge”. Una prospettiva altrettanto insidiosa è che i partiti spoglino il ddl di contenuto reale.
I CLOWN ALLA CAMERA ”BUFFONI SIETE VOI”
Davanti a Montecitorio ieri acrobati e giocolieri armati di hula hop, palline e torce infuocate. Gli artisti difendono il circo “da una cultura che ci bistratta e delegittima”, denuncia il presidente dell’Ente nazionale circhi Antonio Buccioni e parla di “emergenza culturale, con il mondo della cultura vissuta come un fastidio e sottofinanziata”.
http://digital.olivesoftware.com/Olive/ODE/IlFatto/server/GetContent.asp?contentsrc=primitive&dochref=ILFT%2F2012%2F10%2F18&entityid=Pc00604&pageno=6&chunkid=Pc00604&repformat=1.0&primid=Pc0060400&imgext=jpg&type=Content&for=primitive

7 – INAIL, quando il sito costa più di un palazzo L’IDV CONTRO L’ASTA DA 25 MILIONI PER IL RIFACIMENTO DEL WEB: “VA SOSPESA”. APPALTI ESAGERATI ANCHE NEI MINISTERI di Marco Palombi
Dialogare con la Pubblica amministrazione dal computer o dallo smart phone, dire addio alle file, agli sportelli, agli uscieri è un sogno di quasi tutti gli italiani. Il governo Monti, giustamente, ci punta molto, più a livello pubblicitario che nella realtà per il momento. Un’altra cosa su cui l’esecutivo batte parecchio di questi tempi è la spending review: a Inps ed Inail, per dire, ha chiesto di risparmiare altri 300 milioni magari anche togliendo i premi di risultato ai dipendenti, una roba da meno di cinquemila euro l’anno cadauno.
SACRIFICI NECESSARI, si dirà, ma il combinato disposto tra digitalizzazione e spending review rende assai poco comprensibile la notizia che segue: ad agosto la centrale unica per gli acquisti, Consip, ha indetto una gara “per l’affidamento dei servizi di sviluppo software, gestione e pubblicazione redazionale dei contenuti per i siti web dell’Inail” per tre anni al costo di 25 milioni di euro (24,77 per la precisione). Un’enormità? Macché. Rispondendo ad una interrogazione di Antonio Borghesi (Idv) alla Camera, ieri il ministro Elsa Fornero ha chiarito che – considerando anche Ispesl e Ipsema, enti incorporati dentro Inail – questo bando consente di “ottenere una significativa riduzione dei costi certamente superiore agli 8 milioni di euro” visto che “nel quadriennio 2009-2013 sono stati spesi complessivamente oltre 33 milioni di euro per servizi analoghi”. A parte che ora l’affidamento è triennale e quindi il calcolo dei risparmi non regge, il problema è se la cifra non sia comunque troppo alta (e anche a cosa sono serviti i 33 milioni di euro spesi finora). Di sicuro, a quanto risulta al Fatto Quotidiano, quello dell’Inail è in linea con bandi analoghi: nel luglio 2007, ad esempio, il Dipartimento di economia e finanze fissò come base 22,3 milioni e più recentemente, esattamente nel maggio scorso, il ministero della Giustizia ha emanato un bando da 24,1 milioni di euro per la gestione dei suoi siti (appalto poi assegnato con un sostanzioso ribasso a quasi 16 milioni). Sulla congruità della cifra Borghesi sostiene di aver interpellato degli esperti: “Mi assicurano che il costo massimo è un decimo di quello del bando. E poi c’è quel fatto che può partecipare alla gara solo chi fatturi più di 10 milioni in siti Internet: quante sono le aziende di questo tipo? Sembra uno di quei bandi fatto per un’azienda sola”. Ci spiega Mauro Lattuada, presidente di Green Geek: “Effettivamente è una soglia altissima se si pensa che un sito medio costa intorno ai duemila euro. Serve in sostanza a delimitare il campo attorno a quelle tre o quattro aziende che partecipano sempre a queste gare”. E il prezzo? Lattuada è abbastanza netto: “Il problema vero è che in ogni caso questo è un investimento che non serve perché l’Inail, che assicura gli infortuni sul lavoro, non è in grado ad esempio di dialogare con gli ospedali: i sistemi non si parlano , è come comprarsi una Ferrari per andare sulla Tangenziale di Milano. Se il sito dell’Inail cambiasse il sistema allora uno quei soldi li spenderebbe anche volentieri: un buon investimento informatico si ripaga sempre economicamente in sei-otto mesi. E comunque – è la conclusione – sono convinto che usando software open source e altri accorgimenti puoi comunque fare tutto spendendo la metà: quando il comune di Milano ci chiese un parere sul progetto per il wi-fi gratuito noi gli dicemmo che si poteva fare spendendo 5 milioni invece dei 25 del loro progetto”.
SPIEGA FLAVIA MARZANO,
presidente degli Stati generali dell’innovazione: “Un bel portale lo puoi fare con 200mila euro, ma qui c’è il problema dei servizi che Inail deve offrire online: non so dire quanto software va prodotto, quanti siti, quanta smaterializzazione dei documenti cartacei, oppure – visto che citano i loro accessi, le loro visite giornaliere – quanto hardware, quanto disco. Insomma, sembra una cifra davvero enorme ma non posso dire se è congrua. Una cosa però posso dirla: spero che diventi obbligatorio davvero l’open data per la Pubblica amministrazione, in modo che si potrà controllare come vengono spesi questi soldi e se era necessario o no spenderli”.
http://digital.olivesoftware.com/Olive/ODE/IlFatto/server/GetContent.asp?contentsrc=primitive&dochref=ILFT%2F2012%2F10%2F18&entityid=Pc00301&pageno=3&chunkid=Pc00301&repformat=1.0&primid=Pc0030100&imgext=jpg&type=Content&for=primitive

8 – Soldi e immobili, l’Ente Sordi dissanguato – STIPENDI GENEROSI AI DIRIGENTI, OPERAZIONI IMMOBILIARI SPERICOLATE E UN BUCO DI 12 MILIONI . di Paolo Tessadri
Si sono mangiati tutti i soldi dello Stato e dei sordi italiani. Ora vorrebbero vendere il loro patrimonio immobiliare. Un buco nel bilancio dell’Ente nazionale sordi (Ens) da 12,5 milioni di euro. Con il presidente dell’Ens che si accredita quasi 10 mila euro netti al mese sul suo conto personale. Intanto lo Stato paga: 516 mila euro l’anno come contributo annuo all’Ente nazionale sordi.
UN ANNO FA, all’assemblea dell’Ens, la presidente Ida Collu, in carica dal ‘95, è accusata di dissesto finanziario, ma lei nega. Viene defenestrata dalla maggioranza con alla testa il giovane agrigentino Giuseppe Petrucci, benché anche lui avesse approvato i bilanci degli ultimi anni. Petrucci fa i conti in tasca alla gestione Collu e presenta la somma: il buco nel bilancio, scrive, è “di 12.403.891,94 milioni di euro” e quindi “l’Ente è impossibilitato ad erogare puntualmente il tesseramento alle sedi territoriali”. Possibile che la Corte dei Conti non abbia visto nulla? “L’ultima relazione della Corte dei conti al Parlamento risale per l’Ens al 2005”, rivelano i deputati radicali Maurizio Turco e Maria Antonietta Coscioni.
Petrucci, appena insediatosi, oltre a uno “stipendio” di circa 3.025 euro netti al mese e si fa pagare dall’Ens un affitto a Roma di 1.350 euro. Visto che l’appartamento è da ammobiliare, si fa pure comperare i mobili. Manca però la carta di credito, allora arriva pure quella: la TopCard della Bnl per spese di rappresentanza del presidente. Cinquemila euro al mese. Il presidente predilige i negozi degli aeroporti ma non disdegna gli abiti firmati della boutique Old England di Roma, dove, in un solo giorno, il 30 marzo scorso , spende 1.350 euro, sempre con la carta di credito dell’Ens. Pure una capatina da 400 euro la fa al negozio di abbigliamento Tagliacozzo. Nemmeno a tavola si tratta male: conti sempre salati. Tre pasti in tre giorni in Abruzzo per 640 euro. Ma i viaggi all’estero sono i suoi preferiti, soprattutto a Dublino, dove si reca più volte. A Vienna salda la pensione Schoenbrunn con 448,60 euro. Al Vada hotel di Monaco dorme per 369,80 euro. Sono pochissimi i giorni in cui non ci sono prelievi o spese. Nella sua città, ad Agrigento, striscia la carta per 988 euro in una sola volta, mentre in una società agricola è più morigerato: 453 euro. Al supermercato Pam riempie il carrello con 249 euro di prodotti, mentre alla Rinascente arriva a 194.
Alla fine di marzo chiede, però, che la carta di credito della Bnl sia annullata e ordina all’ufficio ragioneria dell’Ens “di voler predisporre mensilmente per le spese di rappresentanza il versamento dell’importo della somma, ovvero euro 5.000 mensili, direttamente sul mio conto corrente” . Fra stipendio, spese di rappresentanza e affitto il presidente Giuseppe Petrucci si porta a casa quasi 10 mila euro netti al mese. Benché le casse siano esangui, i sette componenti del direttivo dell’Ens si assegnano 18.627 mila euro al mese fra gettoni di presenza, indennità di carica e rimborso spese. E qualche benefit ulteriore. Come la ristrutturazione di un vecchio immobile in via Casal Lumbroso alla periferia ovest di Roma per 375mila euro, “da destinare ad alloggio per i consiglieri”.
LA SEDE DELL’ENS è un palazzo a due passi da S.Pietro, in un edificio di cinque piani. In gran parte occupato dal tribunale del giudice di pace penale. Perché non trasformarlo in un hotel 4 stelle? Il direttivo Ens approva così il project financing messo a punto dalla società Risparmio e Sviluppo di Roma, che prevede un finanziamento di 20 milioni di euro da restituire in 30 anni. L’esposizione bancaria complessiva arriverebbe dunque a 32 milioni di euro, più interessi. “Il pagamento della rata deve essere coperta con i ricavi dell’hotel”, spiegano gli autori del project financing. Tuttavia l’immobile è occupato dal tribunale penale: solo un piccolo dettaglio per l’Ente. Tuttavia si spaccia l’edificio “come attualmente vuoto in attesa di nuova destinazione d’uso”.
Subito dopo l’approvazione della delibera, due consiglieri si dissociano, uno dei due scrive che non si può deliberare un operazione “così rischiosa per la sopravvivenza stessa dell’Ens. Andiamo incontro a responsabilità, anche penali, enormi”. In caso di insolvenza, l’intero patrimonio dell’Ens e, probabilmente lo stesso Ente, sparirebbe nel giro di poco tempo. L’Ens, un tempo, aveva circa 60 mila iscritti, ora ne conta appena 15 mila.
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9 – Buco alla Siae? Non c’è tempo per indagare L’ISTRUTTORIA ALLA CAMERA SVELA IL DISASTRO DI GESTIONE DELLA SOCIETÀ DEGLI AUTORI. NO A COMMISSIONI D’INCHIESTA di Vittorio Malagutti e Silvia Truzzi
C’è un ente pubblico (o quasi) sull’orlo del crac, travolto da sperperi milionari. E c’è (anzi c’era) una commissione d’inchiesta parlamentare pronta a partire, invocata a gran voce da tutti, ma proprio tutti, i partiti. Obiettivo: accertare cause e responsabilità del disastro. Bene, benissimo, per una volta la politica non perde tempo. Illusioni. Il film si è interrotto proprio sul più bello. Niente da fare, la commissione d’inchiesta sulla Siae non ci sarà mai, sabotata, ancor prima di nascere, dallo stop imposto da Pdl e Udc. Il Parlamento non potrà indagare su un ente che ha passato quasi la metà negli ultimi dieci anni sotto gestione commissariale tra sospetti e accuse di ruberie, favoritismi e clientele. È questa l’ultima incredibile puntata di una storia che conferma, semmai ce ne fosse bisogno, quanto sia difficile toccare i privilegi della casta. La Siae, 1.300 dipendenti e oltre 600 mandatari sparsi per l’Italia, è nata per riscuotere i diritti d’autore, ma a quanto pare riesce a fare profitti solo grazie al portafoglio titoli e, da ultimo, con la vendita dei propri immobili. Peggio ancora, bilanci e testimonianze dirette danno conto di sprechi e incredibili errori (errori?) gestionali. Qualcosa non va? Pare di sì. Ed ecco che a febbraio scende in campo la commissione cultura della Camera. I deputati avviano un’indagine conoscitiva sulle vicende passate e presenti di quello che è pur sempre un ente pubblico, anche se, recita la legge, è sottoposto a criteri di amministrazione privatistici.
IL 15 FEBBRAIO, QUANDO PARTONO I LAVORI, I DEPUTATI SEMBRANO TUTTI PARECCHIO AGGUERRITI
La Siae, già commissariata, ha troppe zone d’ombra a troppi livelli. I lavori proseguono intensamente, l’indagine dura cinque mesi, viene stilata una particolareggiata e critica relazione conclusiva. Alla fine, però, i deputati, o meglio alcuni deputati, si tirano indietro. “Alcuni” sta soprattutto per quelli del Pdl, agguerriti a febbraio e tiepidi in ottobre. L’indagine nasce, tra l’altro, sull’onda di un paio di articoli del Corriere della Sera in cui si denunciavano stranezze sulla gestione del patrimonio immobiliare. Tipo che alcuni palazzi di proprietà Siae sarebbero stati messi in vendita a metà del valore di mercato. La commissione si riunisce una ventina di volte. Vengono sentiti, tra gli altri, il ministro della Cultura, Lorenzo Ornaghi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Peluffo. A loro, in base alla legge, spetta la vigilanza sulla gestione della Siae. I deputati ascoltano anche il commissario straordinario Gian Luigi Rondi. Già, perché la Siae è stata commissariata nel marzo 2011. Era la seconda volta in pochi anni. Infatti, dal 1999 al 2003, l’ente era stato affidato a un altro commissario, Mauro Masi, futuro direttore generale della Rai. Quando Rondi si insedia la situazione è quanto mai delicata: il bilancio 2010 si è chiuso in perdita per 18 milioni a causa della svalutazione del credito vantato verso il fondo pensioni dell’ente, che negli ultimi è riuscito a evitare il dissesto solo grazie ai contributi della Siae.
LA RIMA BACIATA BONDI-RONDI: UN ARZILLO COMMISSARIO NOVANTENNE
Nell’epoca in cui le questioni cruciali sono legate ai diritti sul digitale, l’allora ministro per i Beni culturali, il poeta Sandro Bondi ha il colpo di genio di proporre Rondi, novantenne decano dei critici cinematografici italiani. Al suo fianco, due vice commissari, entrambi avvocati Luca Scordino e Mario Stella Richter. Sulla poltrona di direttore generale siede, sin dal 2009, Gaetano Blandini, buon amico di Bondi, ex dirigente del Ministero della cultura (nominato nel 2004 da Urbani, padre e padrone del settore cinema), pupillo di Gianni Letta, indagato dalla Procura di Roma per concorso in corruzione nell’inchiesta sui Grandi eventi con Angelo Balducci e Diego Anemone. Bene, i parlamentari del Pdl sono sul piede di guerra. E non risparmiano nessuno: il 22 febbraio, l’onorevole Emerenzio Barbieri, dopo una richiesta di rinvio della seduta da parte di Blandini, esordisce così: “Mi chiedo, presidente, se stiamo scherzando e se il dottor Blandini abbia scambiato il Parlamento per l’Asilo Mariuccia, noto istituto di beneficenza e assistenza”. E il collega Francesco Colucci, il 4 luglio 2012, ci va ancora più pesante. Parla di fronte al ministro Ornaghi: “A seguito delle numerose audizioni svolte finora, si è giunti a una sola conclusione, ovvero la necessità che, in tempi rapidissimi, siano azzerate le cariche di commissario, vicecommissario e direttore generale attualmente ricoperte all’interno della Siae”.
MARCIA INDIETRO SU TUTTO: NON CI SONO I TEMPI TECNICI
Di fronte alla raffica di accuse Blandini, Scordino e Stella Richter si sono difesi elencando
i successi della gestione commissariale, che avrebbe cercato di riportare su binari di efficienza un carrozzone pieno di sperperi. Perdite? Debiti? Sprechi? Tutta colpa di quelli che c’erano prima. Colpa loro, presidenti e amministratori passati, se la Siae è arrivata fin sull’orlo del dissesto. Questa, in sintesi la linea di Blandini e colleghi. Comprensibile, dal loro punto di vista. Varata in gran fretta sul finire del 2011, la manovra che ha trasferito a due fondi l’intero patrimonio immobiliare dell’ente e quello del Fondo pensioni, ha sollevato un polverone di polemiche e più di una segnalazione alla procura delle Repubblica, che però, al momento, non avrebbe formalizzato alcuna indagine. C’era davvero tutta questa urgenza di chiudere l’affare? Per di più senza alcuna procedura di gara per la scelta del gestore, che è il gruppo romano Sorgente?. "Tutto regolare", ha ribattuto in sostanza Blandini ai deputati della commissione Cultura. "Con questa operazione abbiamo evitato il crac del Fondo Pensioni".
E adesso? Sorpresa: gli agguerriti parlamentari berlusconiani hanno fatto marcia indietro. Sostenendo che non c’è più tempo, siamo a fine legislatura. Spiega Barbieri: “l’indagine conoscitiva ha già fatto il lavoro di una commissione d’inchiesta”.
C’è anche chi non ha perso del tutto la speranza. “L’inchiesta va fatta”, insiste il vicepresidente della commissione Cultura, Pierfelice Zazzera (Idv): “Io personalmente a un amico di Anemone non affiderei neppure la gestione del mio condominio, eppure il governo Berlusconi e Gianni Letta hanno affidato a Blandini la direzione generale della Siae. Troppe ombre: immobili da svendere, il contratto assicurativo del fondo pensioni affidato senza gara all’Allianz, comportamenti antisindacali, bilanci fuori dal controllo della Corte dei Conti. C’è materia a sufficienza per i magistrati. Ecco perché noi dell’Idv non ci accontentiamo dell’indagine conoscitiva, ma chiediamo di approvare rapidamente la legge sulla commissione parlamentare d’inchiesta”. Il tempo stringe, però. E con le elezioni in vista forse in Parlamento pochi hanno voglia di scoperchiare un altro vaso di Pandora.
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