10197 ITALIA: REPUBBLICA “ARISTOCRATICA”? MAZZETTE, MA SENZA DEMOCRAZIA NÉ ELEZIONI. di Carlo Luna

20121008 10:31:00 guglielmoz

Quella italiana è ancora “una Repubblica democratica fondata sul lavoro” come dice il primo comma dell’articolo 1 della Costituzione? La “sovranità” appartiene ancora al “popolo” come recita il comma successivo? Fino ad ora, chi faceva domande di questo tipo era accusato di qualunquismo, perché sicuramente, con i suoi alti e bassi, la nostra Repubblica è stata sostanzialmente “democratica” e la sovranità è stata esercitata dal popolo attraverso legittime e regolari consultazioni elettorali. Tuttavia, nella nuova fase politica che stiamo vivendo le due domande poste all’inizio, non hanno più una risposta tanto scontata. Anzi meritano un’attenta riflessione.

Dal novembre scorso il Governo del nostro Paese è affidato a illustri personaggi (*vedi nota ndr) che non hanno ottenuto alle elezioni del 2008 nemmeno un voto, perché non si sono presentati. Sono guidati da un professore illustrissimo e assai stimato in Europa e nel mondo, nominato, ancor prima di diventare Presidente del Consiglio, SENATORE A VITA. Il tutto è avvenuto – va detto subito – nel più rigoroso rispetto della Costituzione, perché il Governo tecnico ha ottenuto in Parlamento una larga maggioranza che ha singolarmente visto assieme schieramenti fino a poco prima duramente contrapposti.

Il primo errore l’hanno compiuto proprio i partiti dell’attuale maggioranza. Quelli che prima erano all’opposizione si sono limitati a festeggiare rumorosamente la caduta di Berlusconi, mentre quest’ultimo ha avuto l’assai magra consolazione di aver evitato le elezioni, che molto probabilmente avrebbero aperto la strada ad un governo guidato dalla sinistra. Non sono andati oltre. Nessuno dei contendenti in tregua d’armi si è fermato a riflettere sul valore vero e profondo della nascita del Governo presieduto da Monti. Nessuno ha preso atto, cioè, che aldilà delle chiacchiere e delle giaculatorie sul “senso di responsabilità” che le forze politiche avrebbero dimostrato, la nascita del Governo tecnico ha significato una grande sconfitta complessiva della classe politica tutta.

Nei fatti, i partiti politici italiani hanno ammesso di non essere in grado di governare e l’hanno deciso non in un momento qualsiasi ma nel pieno di una crisi economica pesante e, soprattutto, globale. La Grecia e la Spagna, che sono messe economicamente anche peggio di noi, hanno governi politici, così come tutte le altre nazioni europee. Solo in Italia i partiti hanno aperto la strada a un Governo tecnico. Che altro doveva succedere per certificare la loro grande sconfitta?

Centrodestra e centrosinistra avrebbero dovuto approfittare del periodo di tregua per operare al loro interno un profondo rinnovamento, tagliare i rami secchi, espellere le mele marce, disegnare soprattutto strategie nuove e convincenti. Il loro compito era di ridare dignità e affidabilità alla politica, ma questo finora agli occhi della pubblica opinione non è avvenuto. Il PDL si sta liquefacendo in attesa delle decisioni di Berlusconi, nel PD è aperta la “caccia al rottamatore” Renzi, reo di voler cambiare un partito vecchio e impacciato. Poca roba.

La situazione è poi di molto peggiorata perché si è aggravata in modo esponenziale la questione morale. La gente si va pericolosamente convincendo che i partiti sarebbero tutti uguali, con la loro interno un’altissima percentuale di malfattori. Le cronache di questi giorni lo testimoniano; con un’impressionante abbondanza di particolari in alcuni casi sconcertanti, come le feste romane. Rispetto a Tangentopoli siamo caduti ancora più in basso: la mazzetta non viene più dal privato per essere destinata prevalentemente al proprio partito, ma si tratta di soldi pubblici arraffati per uso personale. Si va dalla “modica quantità” allo “spaccio” in grande stile.

Certo fa impressione (e desta pure qualche sospetto) che solo ora si venga a sapere che nelle Regioni i partiti, compresi quelli di opposizione, si concedevano soldi pubblici senza controlli e rendiconti. Lo stesso dicasi per le province sulle quali la magistratura ha aperto un secondo fronte di indagine. Sono coincidenze o c’è qualcos’altro? Per non parlare poi del tempestivo rinvio a giudizio di Penati, l’ex braccio destro di Bersani. La somma di tutti questi scandali e di quelli che magari seguiranno nei prossimi mesi potrebbe essere la conferma che l’attuale classe politica non è in grado di guidare il Paese e porta a dare una risposta meno sbrigativa alle domande che ho posto all’inizio.

Da “Repubblica democratica fondata sul lavoro” l’Italia è dunque destinata a diventare una “Repubblica aristocratica” fondata sul merito? Con un Governo composto da chi è più bravo e non da chi vince le elezioni? Viene inevitabilmente da pensare a una prospettiva del genere quando Monti, all’estero, fa capire, di essere disponibile per un secondo mandato e tre personaggi come Fini, Casini e Montezemolo, si mettono scompostamente a correre per catturarlo.

Repubblica “aristocratica” significa governo dei migliori, di quelli che si considerano o sono considerati tali. Il problema è stabilire chi è legittimato a concedere un titolo così importante e decisivo. Non va dimenticato però che istituzioni e organizzazioni alla cui base non c’è il consenso popolare esistono da sempre e sono piuttosto influenti. La più importante in Italia è la Chiesa cattolica, i cui milioni di fedeli non scelgono certo Vescovi, Cardinali e tantomeno il Papa. La più misteriosa è la massoneria dove si entra e si sale, così viene detto, solo per merito.

MA UNA REPUBBLICA “ARISTOCRATICA” SAREBBE UN BENE O UN PROBLEMA?

(*ndr.) Basterebbe guardare agli attori, alle biografie e agli incarichi dei personaggi che hanno un ruolo in questa complicata e drammatica partita per capirne genesi, sbocchi e interessi. Prima fra tutte la GOLDMAN SACHS, banca d’affari statunitense tra le più grandi e la più influente al mondo, che all’inizio ha preso all’amo la Grecia attraverso un prestito, poi l’ha aiutata a truccare i conti, per consentire infine ai grandi player della finanza globale di azzannarne le carni vive, con la collaborazione attiva delle addomesticate istituzioni europee. Figure chiave della vicenda del debito greco erano, o sono poi diventati, uomini della Goldman: come PETROS CHRISTODOULU, responsabile dei mercati della Banca nazionale greca; come OTMAR ISSING, già esponente dell’assemblea esecutiva della Banca Centrale Europea.
Come MARIO DRAGHI, vicepresidente della divisione europea di GOLDMAN SACHS TRA IL 2002 E IL 2006, ora presidente della Banca Centrale Europea; vale a dire di quell’organismo che ha dettato il programma economico al governo italiano sin nelle virgole. E che ha espresso direttamente il nuovo Primo ministro greco, LOUKAS PAPADIMOS, vicepresidente della Banca Centrale Europea sino al 2010, insediato come premier nel novembre 2011 per sostituire il socialista George Papandreou, troppo recalcitrante rispetto allo strangolamento neocoloniale sotto la minaccia del default del suo Paese, e del suo popolo, e che ha avuto l’ardire di proporre un referendum consultivo attraverso il quale i greci potessero esprimersi sui sacrifici richiesti.
Ma la crisi è la nuova forma della guerra e, proprio come avviene da sempre per la guerra tradizionale, essa viene decisa dai generali e dai governi, mentre il popolo non ha diritto di scegliere, ha solo il dovere di andare al fronte a morire.
Lo stesso premier italiano MARIO MONTI DAL 2005 è stato International ADVISOR PER GOLDMAN SACHS. Ancor più evidenti e stretti i rapporti con figure centrali dell’Amministrazione USA: dall’ex direttore generale della Goldman Sachs, ROBERT RUBIN, divenuto sottosegretario al Tesoro con Bill Clinton, a Henry Paulson, amministratore delegato della Goldman dal 1999 sino al 2006, divenuto Segretario al Tesoro con George W. Bush. Il travaso e la contiguità, per la verità, continuano anche con Barack Obama, dato che una delle attuali figure centrali della Federal Reserve Bank, WILLIAM DUDLEY, è stato capo economista della GOLDMAN, così come l’attuale capo del personale del Dipartimento del Tesoro, Mark Patterson, già lobbista della Goldman Sachs (Marc Roche, La banque – Comment Goldman Sachs dirige le monde, Editions Albin Michel, 2011).

 

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