11902 AMBIENTE

20151229 10:41:00 guglielmoz

UN MONDO DAL RESPIRO CORTO. Il vertice di Parigi senza certezze, solo polveri sottili.

IL PD VADA OLTRE LA DANZA DELLA PIOGGIA. Intervista. Ermete Realacci, presidente Commissione Ambiente: «Governo inadeguato al cambiamento culturale.

DALLA BICIPOLITANA AL PEDIBUS, come disintossicare le città dalle auto. Alternative. Decine di iniziative locali, ma non c’è un piano nazionale. I radicali chiedono la carbon tax

1 – UN MONDO DAL RESPIRO CORTO
Il vertice di Parigi senza certezze, solo polveri sottili. Ogni paese ora farà quanto vuole, si adatterà volontariamente. Questa è la « nuova strategia». Ora pesano le grandi questioni dimenticate: oceani, biodiversità, migrazioni climatiche, sicurezza alimentare. VALERIO CALZOLAIO 29.12.2015, da Il Manifesto
I gas serra nel lunghissimo periodo impattano sul clima del vivente umano e non umano, nel breve e nel lungo periodo, fra l’altro, sul respiro e sulla salute della oltre metà cittadina degli umani. La riduzione delle emissioni petro-carbonifere (specie quelle di trasporti e riscaldamento) non serve solo a contenere il riscaldamento del pianeta e i conseguenti costi finanziari e sociali, ma anche a ridurre l’inquinamento atmosferico. Sotto questo punto di vista a Parigi si è capito molto (qui l’adattamento serve a poco) e deciso poco. Lo si capisce ancor meglio ogni giorno che passa a Pechino e a Roma (misurandolo in modo più sofisticato della sola anidride carbonica).
Nei commenti alla Cop21 sono stati sprecati aggettivi storici. Tutti le capitali e le nazioni che ospitano un’importante conferenza Onu vogliono aver lasciato un segno indelebile nel percorso dell’umanità, ogni capo di governo e ogni ministro vogliono poter dire di aver influito su una svolta epocale durante il proprio mandato, ogni militante e ogni interesse costituito vuole non sprecare il proprio tempo. Le categorie del bicchiere mezzo pieno-vuoto, della rivoluzione e del fallimento, di ottimismo-pessimismo ritornano ciclicamente e non aiutano a comprendere.
Che la temperatura media del pianeta stia crescendo per comportamenti umani e che il riscaldamento provochi effetti già dannosi e potenzialmente rovinosi è acclarato sul piano scientifico e diplomatico da 25 anni. L’Onu è un benestante precario corpo di nazioni formalmente unite, da quando è finita la guerra fredda ha cominciato a muoversi, nel 1988 ha legittimato un gruppo mondiale di scienziati che nel 1990 hanno approvato un primo Rapporto sui Cambiamenti Climatici.
E nel 1992 ha organizzato a Rio una Conferenza per approvare una conseguente convenzione (insieme ad altri atti e indirizzi su ambiente e sviluppo). Da allora sono seguiti l’entrata in vigore, ben 21 incontri di tutte le “parti” dell’Onu e altri quattro rapporti dell’Ipcc.
Da un quarto di secolo sappiamo con sempre maggiore precisione che la temperatura del 2050 non dovrà aumentare di oltre 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, se vogliamo evitare uno sconquasso ingestibile nell’ecosistema globale e in tante singole aree, ingentissimi costi e migrazioni forzate.
Nel 1997 a Kyoto si era adottata una strategia di impegni scadenzati e vincolanti, lì (come primo passo e per un primissimo periodo fino al 2012) solo per i paesi che avevano provocato più emissioni e riscaldamento. Il protocollo è entrato in vigore solo 8 anni dopo e progressivamente quella strategia è stata abbandonata, se ne è abbozzata un’altra da 5–6 anni. Da allora l’essenziale non è stato più negoziato, ovvero obblighi quantificati e scadenzati, globali e differenziati, legalmente vincolanti di riduzione delle emissioni per garantire al pianeta un aumento minimo della temperatura (e minor inquinamento).
Ogni paese farà quanto vuole, si adatterà, volontariamente, questa è la nuova strategia, piani nazionali di mitigazione e adattamento. Il ministro convoca sindaci e governatori ma il suo bel piano di decarbonizzazione non lo ha ben fatto!
Ora la nuova strategia ha un minimo percorso legalmente vincolante e qualche punto fermo «politico». Da cinque anni i due punti cruciali e minimali del negoziato sono i soldi e i controlli: quanto e come mettono fondi i paesi ricchi per aiutare quelli poveri; chi e con quali coerenti omogenei strumenti misura l’eventuale riduzione. Sul piano finanziario è stato trovato un qualche consenso, sia sulla cifra annuale dopo il 2020 sia sulle modalità di versamento prima e dopo il 2020.
Sul piano amministrativo si lascia una eccessiva flessibilità: i piani nazionali di impegni volontari che sono stati presentati da 188 paesi, anche se fossero rispettati, provocheranno un aumento della temperatura tra il 2,7 e il 3%. Nel prossimo decennio in ogni paese dovremo ottenere che si faccia prima e meglio.
E poi ci sono le «grandes questions oubliées» come le aveva chiamate lo speciale di Le Monde per Cop21: oceani, biodiversità, migrazioni, sicurezza alimentare. Questi temi non figuravano nemmeno all’interno del negoziato climatico, pur essendo strettamente connessi agli impatti e agli effetti dei cambiamenti climatici in corso.
Nel prossimo decennio dovremo ottenere che si apra un serio negoziato globale, i documenti di Parigi non danno certezze su energia e agricoltura, mobilità e migrazioni sostenibili.
L’enciclica papale e i documenti di altre religioni (a Istanbul quella dell’Islam) sono essenziali alla nuova strategia, abbiamo un gran bisogno di donne e uomini di buona volontà, credenti e non credenti, per promuovere resilienza degli ecosistemi, biodiversità dei beni comuni, lotta a ingiustizie e inuguaglianze, garanzia globale di libertà di accesso alle risorse, cooperazione (anche decentrata) allo sviluppo sostenibile.
L’accordo di Parigi va ora ratificato (il meccanismo delle ratifiche è simile a quello che approvammo a Kyoto 18 anni fa, solo che ora gli emettitori che contano sono Cina e Usa, mentre allora erano Usa e Russia). Il combinato disposto delle parti «legali» e delle parti «politiche» rende non indispensabile l’iter legislativo americano (Obama è riuscito in una bella operazione). Entro il 2020 dovrebbe entrare in vigore, un po’ prima vi sarà la verifica «politica» dei piani nazionali, un po’ dopo quella «legale» (quinquennale). Una verifica di fatto è già in corso: l’aria delle nostre città ha bisogno di piani di radicale riduzione delle emissioni.

2 – IL PD VADA OLTRE LA DANZA DELLA PIOGGIA
Intervista. Ermete Realacci, presidente Commissione Ambiente: «Governo inadeguato al cambiamento culturale. «La politica, anche nel mio partito, è ancora troppo legata alla visione economica del secolo scorso. La green economy è il futuro dell’Italia». ELEONORA MARTINI 29.12.2015 da Il Manifesto
«Va bene la danza della pioggia, ma oggi c’è soprattutto bisogno di un cambiamento di cultura e mentalità. Tra i cittadini ma anche tra i politici, troppo spesso legati ad una visione economica del secolo scorso, inadeguati alla sfida lanciata da Parigi ai cambiamenti climatici».
Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera, non è affatto critico con i risultati di Cop21, si sa, ma trova che perfino il suo partito non sia sufficientemente attrezzato per accogliere l’appello lanciato dalla Conferenza del clima: «Occorre una svolta culturale anche nel Pd, che non è adeguato ai tempi e deve smettere di pensare all’ambiente come a una “fortezza dei tartari”».
Piuttosto il tema va messo al centro dell’agenda politica perché occuparsi di ambiente vuol dire ragionare dell’economia e della società del futuro. La politica deve capire che non c’è differenza tra le misure che servono per tutelare la salute e l’ambiente a livello locale e quelle per combattere i mutamenti climatici. Ecco perché per evitare di procedere di emergenza in emergenza nelle metropoli italiane occorre una sinergia almeno dei ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e dei Trasporti».
Parliamo delle misure adottate a Milano e a Roma per abbattere i picchi di inquinamento fuorilegge. Il suo parere?
Sono misure tampone, in attesa che cambi la situazione atmosferica. Però servono, se sono serie. E Milano ha preso la strada giusta, con il blocco totale, il potenziamento del trasporto pubblico e la richiesta di agire su un’altra fonte importante che è il riscaldamento domestico. Roma no. Mi sembra che le misure prese nella Capitale siano onestamente sotto la sufficienza, oltre al fatto che sono stati dati segnali contrastanti con la sospensione del trasporto pubblico nel giorno di Natale ma anche con la chiusura della metropolitana a una certa ora della sera.
Dopodiché le vere misure da prendere sono quelle di medio-lungo periodo. E infatti come Commissione Ambiente già la scorsa settimana avevo chiesto al ministro Galletti di convocare una riunione almeno con i sindaci dei comuni della pianura padana perché, considerando la particolare condizione olografica, è importante che il blocco del traffico a Milano sia accompagnato anche da quello nei comuni intorno.
E ora finalmente Galletti ha convocato per domani un tavolo di coordinamento con governatori e sindaci delle grandi città. Ma quali misure può adottare il ministro dell’Ambiente e cosa possono fare le Regioni?
Il ministro dell’Ambiente da solo non può fare molto: può dare un po’ di soldi per aiutare i comuni che vogliono adottare misure anti-smog. Le Regioni nel periodo breve possono per esempio accompagnare le misure tampone e agevolarne il ricorso su aree più vaste della singola città, favorendo un coordinamento dei comuni.
Ma è sul periodo più lungo che le Regioni insieme al governo hanno responsabilità e competenze molto importanti per un cambiamento di rotta. Per esempio riguardo il trasporto pubblico su ferro e le misure di rafforzamento dei treni pendolari. Ecco perché dicevo che Galletti dovrebbe coinvolgere almeno i ministri Delrio e Guidi. Perché le cause di questo inquinamento sono da attribuirsi in eguale misura al traffico, al riscaldamento domestico e al sistema produttivo in generale (industria e in parte anche agricoltura).
L’emergenza però è anche sanitaria, al di là dell’approssimazione con cui Grillo ha attribuito all’inquinamento la causa dei 68 mila morti in più conteggiati dall’Istat nel 2015 rispetto all’anno scorso.
Grillo dice una sciocchezza. E in più paradossalmente sbaglia per difetto, perché i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente parlano addirittura di oltre 80 mila morti accelerate dall’inquinamento atmosferico, nel 2012 in Italia. Dati coerenti peraltro con ciò che va dicendo da anni l’Oms in particolare sulle polveri sottili che provocano decine di migliaia di decessi l’anno nelle aree urbane. Questo è un dato serio, non quello di Grillo.
I Verdi hanno chiesto al premier Renzi di destituire il ministro Galletti e nominare lei al suo posto.
Questa è una boutade…
Però quali misure dovrebbe adottare il governo?
Per esempio, sui trasporti: la privatizzazione delle ferrovie non mi sembra un’idea geniale perché in Europa non è andata bene, ma in particolare vorrei capire il ricasco sui treni pendolari, che sono una risposta all’emergenza smog e non sono all’altezza di un Paese civile. Non solo: la mobilità del futuro richiede scelte di politica industriale. Per esempio, l’Enel spinge sulla mobilità elettrica mentre l’Fca (Fiat Chrysler) no: non si può non tenerne conto per evitare che tra dieci anni saremo costretti a comprare auto elettriche all’estero. Altro esempio: gli edifici.
L’Ue impone per le nuove costruzioni che quelle pubbliche siano a consumo quasi zero dal 2019, e dal 2020 anche le private. Ma se pensiamo all’esistente, premiare il risparmio energetico e sollecitare a questo fine la ristrutturazione potrebbe far risparmiare alle famiglie il triplo rispetto al taglio dell’Imu sulla prima casa. D’altronde la misura più efficace in funzione anti ciclica è stato il credito d’imposta e l’eco bonus. E la nuova edilizia green può produrre enormi quantità di lavoro. Infine le imprese: quelle che dall’inizio della crisi hanno fatto investimenti in green economy — e sono circa un quarto del totale — sono quelle che esportano di più, innovano il doppio delle altre, e hanno prodotto, tra diretto e indotto, quasi il 50% dei posti di lavoro.
Il governo dunque deve fare di più?
Assolutamente, e proiettare l’Italia in questa sfida come ruolo di guida. D’altronde è già in atto un cambiamento culturale — si pensi alle 120 mila persone che a Milano usano il car sharing con 40 mila immatricolazioni in meno — che può favorire politiche più ambiziose.

3 – DALLA BICIPOLITANA AL PEDIBUS, COME DISINTOSSICARE LE CITTÀ DALLE AUTO
ALTERNATIVE. DECINE DI INIZIATIVE LOCALI, MA NON C’È UN PIANO NAZIONALE. I RADICALI CHIEDONO LA CARBON TAX – di ANGELO MASTRANDREA 29.12.2015 da Il Manifesto
Sembra un paradosso, ma in questi giorni a essere colpito al cuore è proprio uno degli stereotipi per eccellenza del Belpaese: la terra del sole e del mare che annaspa nello smog. Tra Natale e Capodanno, va in frantumi una delle poche immagini dell’Italia ancora spendibili all’estero. Colpa del cambiamento climatico globale, ma pure di un modello di mobilità urbana fondato sull’automobile, delle emissioni nocive di fabbriche e centrali a carbone, dell’abuso di riscaldamento e condizionatori.
Cosa si può fare per provare a rimediare? Con l’aiuto di Legambiente, mettiamo in fila qualche esempio virtuoso, da nord a sud. A Bolzano, ad esempio, meno di un terzo degli abitanti usa l’auto, grazie a un piano della mobilità che prevede una diffusione capillare delle piste ciclabili (un terzo della popolazione si sposta in bici, con parcheggi e servizio di noleggio), parcheggi per le due ruote. Il resto viaggia con i mezzi pubblici. Non solo. In Alto Adige è obbligatoria la certificazione energetica sia per le nuove case che per le ristrutturazioni, in modo da ridurre i consumi per il riscaldamento.
Se Bolzano è diventata la capitale italiana della bicicletta, è senso comune che Reggio Emilia sia la città degli asili per antonomasia. Per accompagnare i bimbi, il comune ha messo in piedi un servizio pubblico di trasporto a zero emissioni, con pedibus e bicibus. Torino è invece considerata un modello per quanto riguarda la mobilità alternativa: dal Pony Zero Emissioni, con una società che consegna le merci in bicicletta alla creazione di una “zona 30″ a Mirafiori, dove il limite di velocità è di 30 km/h (un sistema adottato anche a Cagliari). Pure a Milano la nascita di una zona C a traffico limitato (a pagamento per la maggior parte delle auto, vietata per quelle inquinanti e gratuita per quelle ecologiche) ha abbattuto il traffico del 28,6 per cento nel primo semestre del 2015. A contribuire al miglioramento della mobilità sono stati anche il rafforzamento del servizio pubblico (finanziato con i proventi della tariffa per le automobili, cinque euro a ingresso) e la diffusione del car sharing, un sistema che ha ormai preso piede in numerose città.
Ricorda ancora Legambiente che al park&ride di Bari lasci l’auto in un posto di scambio e vai in centro in bus, mentre la contestata (agli inizi) linea del tram Firenze-Scandicci in quattro anni ha registrato oltre 13 milioni di viaggiatori all’anno.
Una delle esperienze più interessanti è quella di Pesaro. Nella città marchigiana si sono inventati una bicipolitana: quando saranno ultimati i 70 chilometri, essi collegheranno con diverse linee ciclabili e ciclopedonali le zone periferiche con il centro. A Ferrara hanno progettato invece un “bosco sociale” per coinvolgere i cittadini nella costruzione e nella gestione di un polmone verde.
Il problema è che si tratta di misure, piccole quanto lodevoli, che finora non sono uscite dall’ambito locale, visto che in Italia manca un piano nazionale per la mobilità alternativa, l’efficienza energetica e il verde pubblico. Il panorama è quello di un’Italia a più velocità, dove a ogni iniziativa “green” si può contrapporre un analogo esempio di devastazione ambientale. Se la creazione dell’hub della logistica a Parma ha consentito di spostare il traffico delle merci dalla gomma alla rotaia, dal porto di Gioia Tauro quest’ultime finiscono ancora sui tir perché la ferrovia non è mai stata collegata allo scalo, con il risultato che le autostrade continuano a essere intasate di camion. A ogni tentativo di efficienza energetica si contrappongono le molto più inquinanti emissioni delle centrali a carbone ancora attive. E se a Pesaro si viaggia in bicipolitana, a Roma neppure il prefetto Tronca è riuscito a bloccare il traffico per un giorno intero. Viceversa, dalla capitale il giorno di Natale è arrivato il segnale più brutto: la metropolitana ha chiuso alle 13, e pazienza per le polveri sottili.
Il segretario dei Radicali Riccardo Magi chiede a governo «misure strutturali»: innanzitutto, l’abolizione di tutte le esenzioni fiscali sui prodotti energetici fossili, che il Tesoro stima in 5 miliardi l’anno, e poi l’introduzione di una carbon tax. «Solo così si libererebbero risorse preziose da investire in ricerca, efficienza energetica e riqualificazione ambientale, rispettando gli impegni e restituendo un po’ di respiro alle nostre città», spiega.
Che fare nell’immediato, dunque? Nel decalogo formulato dagli esperti per ridurre i danni dell’inquinamento alla salute, spicca la richiesta ai cittadini di non fare jogging o uscire in bicicletta per non inspirare troppe sostanze nocive. Il messaggio implicito pare essere il seguente: se proprio dovete andare da qualche parte, il mezzo più sicuro rimane l’automobile. Aspettando che arrivi finalmente il generale inverno (atteso a giorni) a rinviare l’emergenza alla prossima stagione.

 

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