9901 Associazionismo, Comites e Cgie:l’unità è una forza se nasce su basi condivise

20120625 14:37:00 red-roma

Intervento di Rino Giuliani, vicesegretario della Fiei e vicepresidente dell’Isituto Santi.
L’unità fra i deversi livelli della rappresentanza degli italiani all’estero e fondata sul rispetto della diversità dei ruoli, dalla capacità di rnnovarsi e di elaborare strategie all’altezza dei problemi e della nuova domanda di partecipazione. Spetta in primo luogo ad Associazionismo,Comites, Cgie e Regioni trovare una proposta.

La prassi che in tema di italiani all’estero abbiamo vissuto in questi ultimi anni è stata quella della minimizzazione delle differenze e della massimizzazione dell’unità nell’azione. Il bilancio che se ne può trarre non è esaltante ed alla fine ci accorgiamo che i nodi vengono sempre al pettine.
L’associazionismo ha i suoi problemi e la sua strada da percorrere.
Dalla autonoma capacità di rinnovarsi dipendono soprattutto la permanenza della sua funzione di collante delle nostre comunità largamente integrate nei paesi d’accoglienza, la continuità del suo ruolo di integrazione culturale e sociale con altre comunità straniere emigrate, la sua capacità di realizzare vive relazioni stabili con le distinte regioni italiane di provenienza, la sua complessiva rappresentanza sociale.
Il futuro dell’associazionismo non dipende dal rinnovo di Comites e Cgie, anche se la loro riforma avrà una forte incidenza sul rapporto fra istituzioni italiane, associazionismo e comunità all’estero.
Esiste una proposta di legge Tofani – Micheloni, vi sono proposte alternative dell’associazionismo e vi sono emendamenti che in più occasioni il PD ha pensato di proporre al testo Tofani – Micheloni. Quando la frittata era stata fatta è arrivato anche l’appello. La consulta degli italiani nel mondo (PD) chiede comunque ai Gruppi Parlamentari del Senato dell’area dell’opposizione di dichiarare la loro contrarietà al disegno di legge Tofani e rendere esplicita la decisione di votare contro, qualora la proposta non venga significativamente modificata.

Quali sono, tuttavia, le cause alla base dello stallo di Comites e CGIE?
Hanno pesato di più sullo sfaldamento dei Comites e sulla inefficacia dell’azione del CGIE la loro “prorogatio” fuori misura e la contrazione dei finanziamenti dedicati del MAE oppure le dinamiche ed esigenze di partito accentuate a seguito della costituzione della Circoscrizione Estero e della crescente apertura di comitati elettorali all’estero?
Esiste una “rappresentanza perfetta” degli italiani all’estero costituita dalla saldatura degli eletti nella Circoscrizione Estero con CGIE e Comites?

Nel frattempo la rappresentanza sociale dell’associazionismo la cui legittimazione non coincide con quella politica della cosiddetta “rappresentanza perfetta” va semplicemente rimossa, nelle more della sua estrapolazione dai Comites e dal CGIE?

Il CGIE, che per molti è il “parlamentino” degli italiani all’estero, lo si vorrebbe consolidare nel ruolo di palestra duplicata della dialettica partitica quando invece siamo in presenza di un organo consultivo che, per la sua stessa composizione, non ha potuto evitare di essere preso tra i due fuochi delle esigenze e mediazioni fra i partiti e le logiche burocratiche ministeriali.

Stipato di rappresentanti di partiti che possono benissimo stare fuori dal CGIE, di funzionari ministeriali indicati dalle segreterie dei ministri che, invece, possono intervenire invitati di volta in volta, “per materia”, il CGIE, se lo si vuole organo di rappresentanza, deve avere una maggioranza costituita dalle associazioni nazionali e regionali, dai Comites e dalle consulte regionali all’emigrazione e dalla presidenza del Consiglio. Vi è chi, come il PD, vede per il CGIE nella sua attuale composizione (con dentro associazionismo, patronati, sindacati e forze politiche) una “funzione generale di rappresentanza e la capacità di assolvere a un ruolo di raccordo fra i Comites, i parlamentari eletti all’estero, il Governo e il Parlamento nel suo insieme”.

È questa dimensione consociativa ciò di cui si ha bisogno oppure è più produttivo dare certezze operative alla articolata realtà delle rappresentanze?

Sono moltissimi quelli che ritengono che la rappresentanza politica attraverso i parlamentari eletti trovi piena attuazione nella sede legislativa, senza alcuna necessità di duplicarsi altrove o di raccordi da parte di organi con finalità consultive.

Le associazioni che tuttavia hanno un loro autonomo percorso da compiere vanno distinte dalle altrettante legittime forme organizzative dei partiti politici. Per far questo vanno distinte le forme ibride quali le associazioni aderenti a partiti, le associazioni articolazioni statutarie di partiti, le associazioni che si trasformano in partiti con relativi rimborsi elettorali.

Le associazioni che esprimono una rappresentanza sociale di interessi e di aspettative emergenti dalle nostre comunità all’estero hanno dimostrato la grande capacità di governare i processi di integrazione dei nostri concittadini, di essere tramite di valori democratici e di istanze culturali e religiose.

Nei Comites, inoltre, le associazioni sono in grado di svolgere un ruolo che non è soltanto quello della negoziazione o della consulenza a livello consolare; nel CGIE sono in grado di portare direttamente rivendicazioni e di contribuire a monitorare criticamente ed a svolgere un sostanziale ruolo consultivo rispetto ai decisori di pubbliche scelte riguardanti gli italiani all’estero.

L’associazionismo ha spazi di intervento e di negoziazione che vanno oltre i canali di Comites e Cgie. L’associazionismo, per la funzione che svolge, dovrebbe essere riconosciuto nel suo ruolo di promozione sociale e di interlocutore, riconosciuto e sostenuto dalle pubbliche istituzioni mentre lo si vuole far passare per l’anello debole, la palla al piede di una luminosa e feconda rappresentanza dei partiti che nei Comites e nel Cgie hanno seguitato e intendono seguitare a riprodurre in sedicesimo la loro nota dialettica.

L’associazionismo è debole perché è molto articolato e stenta a darsi strumenti organizzativi comuni di direzione democratica che, salvaguardate specificità e ruoli, ricevano una delega ad operare su sia pur limitati terreni di comune interesse.

È necessaria la cessione di una piccola parte di “sovranità” associativa per divenire tutti più forti nel sostenere gli interessi degli italiani all’estero?

Leggendo non poche dichiarazioni di noti speziali al capezzale del mondo degli italiani all’estero, ci si accorge che l’associazionismo è rimosso dai quadri prospettici offerti alla discussione. Non fa parte della soluzione del problema.

Di diverso avviso la CGIL che in una dichiarazione congiunta di Tartaglia e Sorrentino ribadisce: “la rappresentanza politica, istituita dalla legge che estende le elezioni dei parlamentari anche alle ripartizioni estere può integrare ed arricchire la rappresentanza sociale, ma non sostituirla. Cinquanta e più anni di storia delle associazioni che volontariamente, gratuitamente e con spirito di abnegazione, hanno accompagnato trenta milioni di nostri connazionali in paesi esteri in cerca di lavoro e di una dignità sociale ad essi negati in patria, non si cancellano di colpo; questa non è nostalgia”.

Il richiamo rituale alla unità da parte di coloro che, in tutte le ipotesi di riforma delle rappresentanze degli italiani all’estero, pongono al centro i partiti politici, porta alla difesa acritica dell’esistente, a conservare con qualche ritocco anziché a rinnovare. Da tali appelli ritualmente consociativi si coglie ancora una volta l’indicazione del nemico ma non si intravede una proposta che vada oltre il “maquillage” al modello esistente.

Dalle Acli del Belgio e dal Crate pugliese vengono avanzate soluzioni radicali o azzeramenti dell’esistente. Aldilà delle formule che si propongono, i suggerimenti a forzare l’accerchiamento ed a riaprire i giochi su nuove basi fondanti sono la spia di una insofferenza ai tatticismi che va tenuta in forte considerazione.

Non c’è da ritrovare nessuno “spirito comunitario, di Partito, di comunità, di amor patrio che solo può consentirci di provare a risalire la china uniti”. In questo appello che viene dal PD, si seguita ad attribuire all’unanimismo inteso come unità un significato magico-animistico quando invece l’unità è una forza che si produce veramente solo se su basi condivise e non perché qualcuno attiva i “richiami” in cerca di compagni di strada.

Per stare insieme occorre condividere analisi e prospettive, bilanci e progetti.

L’esercizio del voto all’estero ha mostrato di essere soggetto a molti inaccettabili rischi al punto che molti vorrebbero abolirlo mentre altri, e noi fra questi, vorrebbero porlo al riparo rispetto al ripetersi di gravi fatti accaduti. Se le modalità di voto per corrispondenza, come precedentemente è stato più volte denunciato, non danno la garanzia del rispetto della segretezza e della certezza del voto dell’elettore allora vanno profondamente cambiate.

Per questo diviene difficile condividere quanto pubblicamente detto e cioè che ”il Governo Berlusconi prima, la crisi economica e gli ultimi passi del Governo Monti e del Ministro Terzi poi, hanno prodotto l’idea che il voto per corrispondenza sia un meccanismo pericoloso e utile alla criminalità per portare in Parlamento i propri uomini”.

Alla luce di ripetuti avvenimento discorsivi delle procedure di voto all’estero come valutare l’affermazione in Aula del senatore Micheloni secondo il quale “Bisogna smetterla di scaricare sugli italiani all’estero tutti gli scandali che si sono susseguiti, perché tutti, assolutamente tutti, sono riconducibili e hanno le loro radici in Italia e non all’estero”?

È capitato anche di leggere il responsabile PD per gli italiani all’estero laddove afferma che “occorre mettere da parte le tentazioni colpevoliste verso gli altri, perché il capro espiatorio non salverà i nostri connazionali e le loro rappresentanze”.

Semplicistica scorciatoia appare questa indicazione a chiudere la discussione sulle responsabilità di chi ha voluto o ha permesso la produzione di un provvedimento quale la Tofani – Micheloni

Prima dell’invito a “risalire uniti la china” si dovrebbe arrivare ad una analisi condivisa sul come e sul perché siamo scivolati nella detta china e se è opportuno che alcuni dei responsabili seguitino a voler fare da battistrada proponendo, tra l’altro, ancora, le vecchie ricette.

Evitare di ripetere i vecchi errori è utile. Non è utile far finta di ritenere che tutti si remi nella stessa direzione e che in ultima istanza è alla politica che va dato il compito di promuovere la “reductio ad unitatem” e la sintesi unitaria degli interessi articolatamente rappresentati del mondo della nostra emigrazione.

L’esperienza è maestra di vita. L’associazionismo non ha ancora il riconoscimento legislativo del suo ruolo di promozione sociale ma si trova davanti ad una proposta di legge che semplifica e riduce la rappresentanza cancellando le associazioni e svuotando di ruolo Comites e Cgie.

Intanto in queste settimane qualcosa si è sbloccato nella relazione fra governo Monti e CGIE.

I dossiers sul tappeto sono molti e quelli più complicati necessitano di molto tempo. La situazione generale grave stabilisce priorità che spessissimo non sono quelle da noi auspicate.

È motivo di soddisfazione vedere come l’impegno del Segretario Generale del CGIE abbia riaperto uno spazio d’iniziativa impegnando il governo a riconsiderare temi che interessano gli italiani all’estero. Ci aspettiamo altrettanto dalle forze politiche presenti dentro e fuori il parlamento.

Nel breve periodo è da considerarsi certamente positiva questa ripresa di normali rapporti fra Mae e Cgie, l’impegno assunto a ragionare insieme per “gruppi di lavoro” al fine di trovare risorse finanziarie e soluzioni, a partire dal tema della lingua e cultura italiane passando per il nodo delle rappresentanze. È altresì un fatto positivo la recente ripresa di confronti sul tema dell’emigrazione fra le Regioni e fra queste ed il CGIE.

L’associazionismo, come avvenuto in precedenti circostanze, se invitato a partecipare ai gruppi di lavoro ed al confronto congiunto con le Regioni, saprà dare il suo contributo d’idee.

È già accaduto con l’ultima Conferenza nazionale Stato Regioni CGIE che ha deciso la costituzione di un tavolo congiunto di lavoro fra CGIE, Regioni e CNE e, come precedentemente è accaduto, nella Conferenza mondiale dei giovani che ha approvato un importante documento sul ruolo dell’ associazionismo nella rappresentanza degli italiani all’estero e prima ancora nella Conferenza nazionale di Roma della CNE che ha approvato una risoluzione, votata anche dai Responsabili regionali per l’Emigrazione presenti, con la quale si chiede l’avvio di un lavoro comune fra Regioni e CNE.

 

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