9859 Da Atene a Roma

20120618 13:01:00 redazione-IT

[b]di Rodolfo Ricci[/b]

Di fronte al terrorismo mediatico e politico scatenatosi contro l’ipotesi di una vittoria di Syriza, alle incursioni esterne di Merkel & C. che invitavano i greci a non votare a sinistra, all’alleanza “non santa”, (nazionale ed internazionale), come la ha definita Alexis Tsipras nel suo discorso subito dopo gli exit poll, il risultato del voto greco è comunque straordinario: per due/tre punti percentuali, Syriza manca l’obiettivo di diventare il primo partito, ma in condizioni di normale rispetto dei processi democratici (condizione che oggi in Europa è assente e non solo in Grecia), avrebbe stravinto.

E comunque l’ascesa dirompente della sinistra radicale – che forse sarebbe meglio definire di buon senso – blocca o rallenta l’ipotesi che si possa continuare, come fino ad oggi è avvenuto, nella spremitura di un popolo e nella svendita delle risorse di un paese.

Il capo di Nuova Democrazia, Samaras, cosciente dell’impresa immane che ora ha di fronte, chiede già un governo di salvezza nazionale, in modo da coinvolgere la sinistra anti-memorandum, ma Tsipras gli ha già risposto che la palla sta a chi ritiene di aver vinto.

L’Europa dei banchieri e dei politici al loro servizio tira un sospiro di sollievo, ma la questione è ormai chiara anche ai tedeschi: il livello di guardia è stato raggiunto e superato, ci si deve inventare qualcosa di nuovo, per esempio una proroga nei termini di pagamento del debito, come affermato a caldo da Westerwelle.

Certo è paradossale che il nuovo lo si attenda dagli stessi soggetti politici corresponsabili (insieme alle banche del nord) di aver falsificato i conti e di rappresentare la viziosità del paese ellenico. Strana novità e strane alleanze, che fanno intravedere il permanente gioco delle parti tra le borghesie nazionali unite nel far pagare alle rispettive classi subalterne gli effetti dei loro errori o delle loro strategie di rapace smantellamento dello stato sociale, a vantaggio della ricapitalizzazione di una finanza e di banche ripiene di titoli inesigibili o tossici e ammiccando agli strati sociali che hanno prosperato nella corruzione e nell’evasione.

Il salutare risultato greco segnerà se non l’inversione di rotta che realisticamente non ci si può ancora attendere, l’aggiustamento della mira del supergoverno tecnocratico e transnazionale del continente, che probabilmente darà il nulla osta per il varo di qualche elusiva misura di sviluppo, alla Passera, per intenderci; per prendere tempo e per annacquare l’acidità neoliberista, ma soprattutto per indebolire il trend di rapido smantellamento delle classi dirigenti dei diversi paesi sud-europei che già si intravvedono anche nella zona nord.

Ma queste tattiche di dilazione (che in Italia vanno al momento per la maggiore con la grande alleanza PD-PDL), non necessariamente costituiranno elemento salvifico per il supergoverno finanziario dei mercati.

Ormai, ciò che conta è la concretezza nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone; senza questo semplice ingrediente, ogni tattica dilatoria è destinata a franare sotto i colpi della protesta popolare. Se lo segni a caratteri cubitali nella sua agenda il compagno Niki Vendola (e gli altri pezzi di sinistra), il cui gradimento, in attesa di primarie inquinate e liste civiche civetta sovvenzionate da La Repubblica e altri konzerne, continua a scendere, mentre cresce, giustamente, quello di Beppe Grillo.

Il risultato greco segnala infatti la polarizzazione netta tra classi sociali, tra chi ha perso e deve continuare a perdere i propri diritti e la propria dignità e chi negli ultimi decenni ha prosperato sulle altrui spalle e pensa che possa continuare a farlo, comunque si chiamino e comunque si autorappresentino.

Uno scenario questo, che deve integrare quella lettura del 99% contro l’1% caro agli indignati, ma che per il momento rappresenta solo un auspicio di coscienza sociale e politica ancora, evidentemente, lontana dall’essere acquisita.

Dopo il risultato greco e quello francese, la prossima battaglia si gioca in Italia e questa sarà probabilmente la battaglia decisiva per cambiare o meno il corso europeo e il destino di almeno due future generazioni. Fatta salva l’imponderabilità dei prossimi eventi, la responsabilità passa da Atene a Roma. Siamo adesso il centro del tavolo di gioco.

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[b]18 giugno[/b]

Debbo aggiungere una postilla all’intervento che precede, scritto ieri sera subito dopo i risultati. Una postilla rafforzativa dell’interpretazione che ho cercato di dare: essa riguarda le modalità con cui si sta dispiegando la campagna mediatica sui giornali italiani ed internazionali. Una campagna mediatica embedded e impressionante per la sua forza, che è in tutto analoga a quella a cui si assiste in occasione di una guerra.

Dal Financial Time, al Pais, dal Corriere della Sera alla Repubblica, passando per La Stampa e tutti i giornali minori eccezion fatta, va evidenziato, per L’Unità, si accredita la tesi che l’Euro ha vinto e hanno perso coloro che volevano l’uscita dall’Euro. Cioè i buoni hanno vinto e hanno perso i cattivi.

Una menzogna degna dei peggiori falsari della storia, una falsificazione incredibile dei fatti che ci conferma molte cose:

primo, i “mercati” e i loro timonieri finanziari e politici etichettano la nuova sinistra greca e tutti coloro che nel continente si oppongono alla prosecuzione delle politiche neoliberiste, come nemici dell’Euro, cioè dell’Europa.

secondo, attraverso questa lettura si tende a distinguere una sinistra buona (Pasok, PD, ecc.) cioè la pseudo-sinistra prona e accondiscendente ai memorandum e alle lettere della BCE, dalla sinistra cattiva, cioè quella popolare che, non l’uscita dall’Euro ha chiesto e chiede (per quanto sarebbe una posizione del tutto legittima), ma la revisione radicale dei trattati e la costruzione di un’altra Europa (cioè la sinistra cosiddetta radicale).

terzo, questa bugia continentale che ha tra i suoi portavoce principali, soggetti politici e mediatici che passano come progressisti, dimostra che i mandanti della costruzione dell’opinione pubblica hanno compreso il rischio corso e la portata della sfida lanciata da Syriza, sfida che al più presto deve essere assunta e condivisa da una seria sinistra in Italia e altrove; l’effettiva battaglia politica di questa fase è costruire un fronte in grado di ribaltare le politiche neoliberiste dentro l’Unione, sfidando gli avversari sul loro terreno e cioè rivendicando la possibilità di un’altra Europa, sociale, solidale e democratica. Ciò che appare chiaro dall’esperienza greca è che questa guerra si gioca dentro ogni confine nazionale e che ogni popolo è in grado di incidere in modo decisivo sulle scelte globali dentro l’Unione.

L’uscita dall’Euro, seppure ipotesi legittima, contempla purtroppo la concreta possibilità di usare l’esito del ritorno alle monete nazionali come mezzo per riperpetuare la divisione di classe interne ai singoli paesi e con le locali borghesie dei paesi più deboli che riassumono un comando corporativo sulle rispettive classi lavoratrici e, detto per inciso, questa possibilità potrebbe stare molto bene ai poteri forti nord europei che, in modo diverso da quanto stanno tentando di fare con l’applicazione dei memorandum e delle liberalizzazioni, raggiungerebbero lo stesso obiettivo di trovarsi a due passi da casa, spazi di Cina o di India da includere come sub-fornitori dei loro sistemi avanzati di produzione.

In ogni caso, quindi, dovrebbe essere chiaro che la battaglia politica va ricondotta fuori dagli schematismi e dovrebbe avere al centro (Euro sì o Euro no), la riconquista dei diritti del mondo del lavoro. In questo mondo del lavoro va ricompresa, oltre ovviamente al mondo del precariato e della fasce marginalizzate, anche la piccola impresa che ha svolto funzioni di ammortizzatore e di parafulmine delle convulsioni e delle crisi della grande impresa finanziarizzata e multinazionale.

Sul piano politico, è indispensabile superare il nominalismo destra-sinistra come lo abbiamo inteso fino ad ora distinguendo tra la pseudo sinistra che sostiene e si fa carico delle politiche neoliberali da una sinistra che non accetta questo ruolo, che si oppone e che lavora per una costruzione alternativa.

La permanenza dell’alleanza Nuova Democrazia e Pasok, scaturita dal voto greco, dimostra che c’è un fronte neoliberista che supera le tradizionali accezioni; questo fronte va combattuto attraverso la costruzione di un ampio fronte ad esso contrapposto. Ciò vale anche per l’Italia, con l’alleanza PDL-PD-UDC.

Non vi sono al momento altre scorciatoie o ambiguità possibili legate a improbabili scalate del PD. Ognuno è chiamato a scegliere tra queste bipolarità e non su altre. Fassina stesso ed altri lo sanno e lo hanno capito. Si avvicina per molti il momento dell’opzione.

 

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