9799 Presentato a Roma il 30 maggio 2012 il Rapporto Italiani nel Mondo 2012 della Fondazione Migrantes

20120530 19:22:00 redazione-IT

[b]Al 1° gennaio 2012 sono 4.208.977 i cittadini italiani iscritti all’Aire, di cui 2.017.163 donne (47,9%). L’aumento rispetto allo scorso anno è di 93.742 unità.[/b]
E’ il dato che viene fornito oggi dal Rapporto Migrantes “Italiani nel Mondo” presentato, in una conferenza a Roma.
Caratteristiche socio-demografiche. Rispetto agli oltre 60 milioni di italiani residenti in Italia i connazionali residenti all’estero incidono per circa il 7%.
Ben il 54% del totale degli iscritti ha dato come motivo di iscrizione l’espatrio, ma continua l’ascesa dei “nati all’estero”, arrivati al 38,3% (più di 1 milione e 600 mila). A rilevante distanza invece, si collocano gli iscritti per aver acquisito la cittadinanza italiana (3,2%, 133.577).

Il 37,1% (1,6 milioni) è all’estero da più di 15 anni e il 14,9% (quasi 630 mila) lo è da 10-15 anni. Continuano ad aumentare (1 milione 131 mila) coloro che sono iscritti all’Aire da 5-10 anni che sono il 26,9% del totale. L’11,5% (quasi 500 mila italiani) è, invece, iscritto solo da 3 anni (tra di essi, quindi, anche i nuovi espatriati).

Quasi 800 mila hanno più di 65 anni (19,0%), quasi 665 mila sono, invece, minorenni (15,8%). Il 21,2% ha un’età compresa tra i 19 e i 34 anni (890 mila), ma il 25,0% (poco più di 1 milione) ha tra i 35 e i 49 anni. Il 19,1%, infine, ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni (poco più di 800 mila). La stragrande maggioranza è celibe/nubile (53,7%) mentre i coniugati sono il 38,2%.

[b]Continenti e Paesi di residenza. La ripartizione continentale è così strutturata:[/b]

Europa (2.306.769, pari al 54,8%),
America (1.672.414, pari al 39,7%),
Oceania (134.008, pari al 3,2%),
Africa (54.533, pari all’ 1,3%) e
Asia (41.253, pari all’1,0%).

In Europa è l’UE a 15 a fare la parte del leone con 1.695.955 (40,3%) residenti italiani perché include i paesi di vecchia e tradizionale emigrazione italiana. Proprio in quest’area si trovano le collettività più numerose, a partire dagli italiani in Germania (639.283, 15,2%); seguono le collettività francese (366.170, 8,7%), belga (252.257, 6,0%), britannica (201.705, 4,8%) e spagnola (118.690, 2,8%). Seguono gli altri paesi europei, con prevalenza della Svizzera (546.614, 13,0%).

La comunità negli Stati Uniti è composta da 216.767 italiani in possesso di cittadinanza (5,2%); in Canada sono, invece, 135.070 persone (3,2%).

Più articolata la situazione nell’America meridionale, Latina specialmente, dove l’Argentina torna, nel 2012, ad essere il primo paese prendendo il posto che, nel 2011, era la Germania, con 664.387 italiani (15,8%). Seguono il Brasile (298.370, 7,1%) e il Venezuela (113.271, 2,7%).

L’Oceania con 134.008 (3,2%) è il terzo continente a livello numerico e quasi tutti si trovano in Australia (130.570, 3,1%).

[b]Regioni, province e comuni di partenza.[/b]

Il 53,3% degli attuali cittadini italiani all’estero è registrato nel Meridione (oltre 1 milione e 400 mila dal Sud e quasi 800 mila dalle Isole) e 1.327.000 (31,5%) nel Nord Italia (poco più di 657 mila dal Nord Ovest e quasi 670 mila dal Nord Est) e il 15,2%, infine, ovvero 640 mila, è partito dalle regioni del Centro Italia.

Nella graduatoria regionale al primo posto troviamo, come sempre, la Sicilia (674.572) seguita, nell’ordine, da Campania (431.830), Lazio (375.310), Calabria (360.312), Lombardia (332.403, aumento annuale di 41 mila ), Puglia (319.111) e Veneto (306.050), per limitarci alle regioni con minimo 300 mila connazionali.

[i]«La settima edizione del Rapporto Italiani nel Mondo, pur mantenendo invariata la sua struttura, presenta contenuti innovativi a livello statistico, socio-culturale, economico e pastorale. Rispetto al passato si colloca in un anno in cui la messa in sicurezza delle finanze pubbliche ha comportato, per il 2012, una ulteriore e pesante decurtazione nel bilancio del Ministero degli Affari Esteri».[/i]

Cosi si legge nell’Introduzione al Rapporto Migrantes 2012 nella quale mons. Giancarlo Perego, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, richiama la necessità di una maggiore attenzione alle collettività di connazionali che vivono nel mondo, dalle quali può venire un significativo aiuto all’Italia per superare questa difficile fase di crisi.

——————

[b][i]Alcuni estratti dal Rapporto 2012[/b][/i]

[b]"L’EMIGRAZIONE DEL PASSATO[/b]

Tra i Paesi industrializzati, l’Italia è quello che storicamente ha dato un maggiore apporto ai flussi internazionali con quasi 30 milioni di espatriati dall’Unità d’Italia ad oggi, dei quali 14 milioni nel periodo 1876-1915. Anche il decollo economico del 1896-1908, durante il quale il Pil conobbe una crescita annua del 6,7%, si mostrò insufficiente ad assorbire i contadini espulsi dalle campagne. Nel 1913 emigrarono poco meno di 900 mila italiani, una vera e propria emorragia: si andava oltreoceano in nave e in Europa ci si spostava in treno e anche a piedi. La Sicilia, da dove nel 1876 partivano poco più di 1.000 persone, arrivò a superare le 100 mila partenze all’inizio del Novecento ed è, attualmente, la prima regione per numero di emigrati all’estero.

In Argentina, all’inizio del secolo scorso, erano più numerosi i residenti di origine italiana rispetto agli stessi argentini. Avellaneda (nome mutuato dall’allora presidente della Repubblica), cittadina del Nord-Est della provincia di Santa Fe, fu fondata il 18 gennaio 1879 con l’arrivo di un piccolo gruppo di famiglie friulane, attirate dai benefici della legge sull’immigrazione e la colonizzazione, che a ciascuna assegnava trentasei ettari di terreno da coltivare; nonostante il tempo trascorso, questa collettività è rimasta coesa e orgogliosa delle sue tradizioni. In Brasile, un altro importante sbocco storico per i nostri emigrati, gli abitanti dello Stato di San Paolo sono per il 44% di origine italiana. La presenza è di vecchia data anche in altri paesi. In Perù, ad esempio, la Compagnia dei Pompieri Garibaldi, tuttora attiva, fu fondata nel 1872; qui è rimasto famoso Antonio Raimondi, arrivato al porto di Callao nel luglio del 1850, per i suoi meriti come esploratore della Cordigliera delle Ande.

Nell’area latino-americana, dove tra gli italiani si diffusero, fin dall’inizio, forme associative di mutuo soccorso, operano diversi tra i 22 ospedali italiani e i 20 centri di cura all’estero. Nell’America del Sud è anche localizzata la quota più consistente sia delle 400 mila pensioni italiane in pagamento all’estero, sia delle domande di acquisizione di cittadinanza (768.192 tra il 1998 e il 2007).

La presenza italiana è molto significativa anche nel Nord America. Negli Stati Uniti gli italo-americani iscritti all’Aire sono 215.000, mentre le persone di origine italiana sono 15 milioni nell’intero Paese (incidenza del 5,6% sulla popolazione) e, di essi, 2 milioni e 700 mila risiedono nell’area metropolitana di New York.

Gli espatri furono elevati non solo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ma anche dopo la seconda guerra mondiale: negli anni ’50 e ’60 poco meno di 300.000 l’anno; 180.000 negli anni ’70; 685.000 negli anni ’80 e ancora di meno negli anni successivi, collocandosi attualmente al di sotto delle 50 mila unità. Dalla metà degli anni ’70, a causa dell’andamento demografico negativo, i rimpatri degli italiani sono stati più numerosi degli espatri ed è iniziato, anche in Italia, l’arrivo dei lavoratori stranieri.

[b]L’EMIGRAZIONE ATTUALE[/b]

Nel 1861 gli italiani all’estero erano 230 mila su una popolazione di 22 milioni e 182 mila residenti (incidenza dell’1%). Al 1° gennaio 2012, aumentati complessivamente dopo un anno di 93.742 unità, i cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) sono 4.208.977 (per il 47,9% donne) e incidono sulla popolazione residente in Italia nella misura del 6,9%. Gli oriundi, invece, sono stimati oltre i 60 milioni.

Queste statistiche sono approssimative per difetto, perché non è possibile registrare tutti quelli che continuano ad emigrare. Sono numerosi, infatti, i giovani che lasciano alle loro spalle una situazione di precarietà e si recano all’estero (talvolta con ripetuti spostamenti e senza un progetto definitivo), facendo perno per lo più sulle reti familiari; spesso all’inizio non hanno una buona conoscenza della lingua del posto, ma quasi sempre sono provvisti di un’adeguata qualificazione per inserirsi nel mondo produttivo e della ricerca. Le mete preferite sono la Germania, il Regno Unito e la Svizzera, ma non manca chi si dirige in paesi più lontani. Il viaggio diviene, così, centrale nel loro percorso culturale e professionale.

Secondo recenti sondaggi (Eurispes 2012) quasi il 60% degli italiani tra i 18 e i 24 anni si dichiara disposto a intraprendere un progetto di vita all’estero. A essere più sfiduciati delle opportunità offerte in Italia sono quelli di 25-34 anni, più le donne che gli uomini, più nel Nord e nel Centro che nel Sud e nelle Isole. Tale percezione è diffusa anche tra i giovanissimi e, tra l’altro, la sfiducia aumenta quando il titolo di studio posseduto è più elevato.

Per inquadrare in maniera completa il fenomeno della mobilità bisogna tenere conto, quindi, dei flussi tradizionali e dei nuovi flussi, stabili o pendolari, come anche dei lavoratori stagionali (59 mila solo verso la Svizzera) e delle migrazioni interne, anche queste ancora consistenti (109 mila si sono trasferiti dal Meridione nel Centro Nord).

[b]GLI ANNIVERSARI DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA[/b]

La pubblicazione del nuovo Rapporto Migrantes coincide con la chiusura delle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario dell’Unità italiana, che ha portato a fare il punto sulle tematiche emergenti negli studi migratori e, in particolare, sul radicamento (al di là dei regionalismi e dei localismi) dell’identità italiana e sull’apporto dato dalla diaspora alla Patria, di cui fu espressione il ritorno in Italia di 150 mila espatriati per partecipare alle operazioni della prima guerra mondiale. Questo e altri anniversari, da sempre occasione di riflessione, aiutano a tracciare un bilancio sul complesso rapporto tra l’Italia e i suoi emigrati.

L’Associazione Bellunesi nel Mondo ha celebrato, il 12 novembre 2011, i suoi primi 45 anni di vita, ricordando le persone lungimiranti che ne favorirono la nascita, tra le quali il vescovo mons. Gioacchino Muccin e l’ingegner Vincenzo Barcelloni Corte. La costituzione dell’Associazione avvenne sull’ondata emotiva della tragedia di Mattmark in Svizzera (30 agosto 1965), quando una valanga si riversò su un cantiere, provocando numerose vittime (tra le quali 17 bellunesi), e fece pensare in Italia alla dura vita dei suoi emigrati. Sempre in Svizzera, a Zurigo, nel mese di dicembre 2011 è stato celebrato il 50° anniversario della Libreria Italiana, fondata da Sandro e Lisetta Rodoni, che per molti anni costituì un rifugio per i simpatizzanti della sinistra, allora non bene accetti. Furono in molti a frequentare questa libreria, tra cui diversi personaggi famosi come Carlo Levi e Leonardo Sciascia. Lo scrittore Saverio Strati, trasferitosi in Svizzera nel 1964, ha iniziato il suo quinto romanzo Noi lazzaroni (1972), ambientandolo proprio in questa libreria. Tra le cose che i connazionali dovettero sopportare vi furono i diversi referendum promossi, tra il 1965 e il 1974, contro il cosiddetto “inforestierimento” (Ueberfremdung) perché la presenza straniera da molti veniva considerata eccessiva nonostante il fondamentale apporto, non solo economico, assicurato alla Svizzera.

Ricorrono anche diversi anniversari centenari, come quello della ferrovia più alta del mondo. Il 1° agosto 1912, dopo che i lavori erano iniziati nel 1896 e dopo che nel mese di febbraio cadde l’ultimo diaframma della galleria che portava alla stazione più alta d’Europa (a 3.454 metri sullo Jungfraujoch, un passo delle Alpi bernesi), entrava in funzione la ferrovia a cremagliera di 9,34 km. Questo ardito e riuscito investimento turistico (ben 765.000 turisti nel 2011) fu reso possibile dall’opera degli italiani nei lavori ferroviari (45.321 su poco più di 70 mila addetti), che erano pressoché i soli ad affrontare il duro lavoro dello scavo. A realizzare l’ultima galleria furono 200 italiani, ben pagati ma confinati a 3.400 metri di altezza per ben 4 anni, collegati al resto del mondo solo dal telefono e dal cavo dell’energia elettrica, ed esposti a una temperatura costantemente sotto zero e a un uso estremamente pericoloso della dinamite. In 16 anni di lavoro i feriti furono circa 100 e i morti 30 (tutti italiani eccetto uno), cosicché il grande vescovo degli emigrati mons. Geremia Bonomelli, recatosi in visita al cantiere, poté dire ai connazionali senza alcuna enfasi: "Senza il vostro possente aiuto quest’opera gigantesca non potrebbe compiersi"; questa era anche la convinzione della società appaltatrice dei lavori. Una storia di eroi senza nomi, che ha fatto grande l’emigrazione italiana.

Un’altra città emblematica è Wolfsburg, in terra tedesca, che celebra, nel 2012, il cinquantesimo anniversario dell’arrivo in città degli italiani, venuti in gran parte per lavorare nello stabilimento della Volkswagen. Gli italiani, considerati inizialmente solo ospiti (Gastarbeiter), si sono ben integrati in questa città, pervenendo a una partecipazione attiva nel consiglio di fabbrica della famosa industria automobilistica, nel comune, nei partiti, nelle associazioni e in altre organizzazioni socio-culturali. Ormai, in tutta la Germania, gli italiani vengono guardati con riconoscenza per l’apporto dato allo sviluppo locale, senza più essere considerati stranieri. "L’emigrazione è stata una scuola di internazionalismo e fratellanza fra i popoli, fatta da minoranze che non vanno dimenticate ma esaltate, perché hanno conquistato nuovi orizzonti morali che superano i nazionalismi" (Peter Kammerer, docente all’Università di Urbino, Convegno promosso dal Museo dell’Emigrazione Italiana il 9 novembre 2011 sul tema “Il ruolo dell’emigrazione italiana nell’unità nazionale”). È finito il tempo del cartello “Eintritt für Italiener verboten!”, che un ristorante di Saarbrücken mise in bella vista con una traduzione italiana ancora più imperiosa: “Proibito rigorosamente l’ingresso agli italiani!”.

La rassegna degli anniversari non può non considerare anche quelli, numerosi, relativi alle Missioni Cattoliche Italiane, spesso portate avanti dai sacerdoti che, con senso del dovere e coraggio, vissero in solitudine e povertà, come ci viene ricordato per la Scandinavia, area parimenti raggiunta dagli emigrati italiani.

Il Rapporto Migrantes 2012 ricorda anche i 50 anni di vita della Missione di Kreuzlingen in Svizzera o quello dell’Istituto delle missionarie scalabriniane, fondato a Solothurn nel 1961, che ha visto la partecipazione, durante i festeggiamenti, di oltre 400 persone provenienti da ben 33 Paesi diversi.

A fronte di questa lunga storia di emigrazione, ci si deve chiedere se il tempo della maturità storica rischi di equivalere all’accentuazione della crisi nei rapporti tra gli emigrati e l’Italia.

[b]UNA STORIA DI IMPEGNO UMILE E DI CASI DI SUCCESSO[/b]

Le condizioni d’insediamento degli emigrati furono spesso penose, anche nei paesi nei quali attualmente le collettività italiane si sono inserite a livelli apprezzabili. Nel 1971, nei “block” newyorkesi di Mulberry Street o Bayard Street, il famoso fotoreporter Jakob Riis (1849-1914) contò 1.324 italiani ammucchiati in 132 stanze.

Pur partendo in maniera così sfavorevole, la maggior parte degli emigrati si adoperarono strenuamente con dedizione per il bene della propria famiglia e riuscirono a far apprezzare anche il proprio paese, diventandone umili ma efficaci ambasciatori.

Nel passato non era insolito per gli italiani spostarsi verso l’Est Europa, non solo come manovali ma anche come muratori e scalpellini. Questo avvenne tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento in occasione della costruzione della Transiberiana che, con i suoi 9.288,2 km, rappresentò la più lunga ferrovia del mondo e un cantiere bisognoso di numerosi operai provenienti dall’estero, tra i quali, a centinaia dal Friuli, originari soprattutto di Vito d’Asio, Clauzzetto, Osoppo e Montenars.

Uno sbocco migratorio tra i più antichi fu la Francia. Il cantautore Gianmaria Testa, intervistato nel Rapporto Migrantes, si sofferma sulle sofferenze patite dagli emigrati in quel Paese: Ritals, uno dei suoi pezzi più drammatici, ricorda il termine dispregiativo con cui gli italiani venivano chiamati e, con il suo messaggio musicale, insegna che non ha futuro chi non tiene conto della storia. Gli emigrati italiani sono, quindi, persone da non dimenticare ma, a loro volta, sono persone chiamate a ricordarsi dell’Italia.

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2012 presenta storie di successo, che mostrano l’apprezzamento riservato, all’estero, sia ai prodotti contrassegnati dalle famose “4 A” del made in Italy (arredamento, automazione meccanica, abbigliamento e alimentare), sia a numerose figure di imprenditori, archeologi, architetti, uomini di cultura, operatori sociali e politici. Ad esempio, il palazzo reale, il parlamento e altri edifici pubblici di Bangkok furono ideati e realizzati negli anni ’20 del Novecento, prendendo a modello Torino, dal fiorentino Corrado Feroci (1892-1962), così come lo scultore cremonese Francesco Riccardo Monti (1888-1958) fu autore dei più prestigiosi monumenti di Manila negli anni ’30.

Gli oltre 4 milioni di italiani residenti all’estero costituiscono un mondo molto differenziato, che va dalle presenze stabili a quelle temporanee, dai marinai ai circensi, per citare due categorie non sempre tenute presenti. Vi sono gli emigrati bisognosi di essere assistiti e altri, ben inseriti, in grado di aiutare il loro Paese: con gli uni e con gli altri il compito più urgente consiste nel riuscire a fare rete. Sono chiamati ad adoperarsi a questo riguardo, insieme alla società italiana, i parlamentari eletti all’estero, il Consiglio generale degli italiani all’estero, i Comitati degli italiani all’estero e l’associazionismo operante in emigrazione.

[b]LA RELAZIONE DIFFICILE DELL’ITALIA CON LA SUA DIASPORA[/b]

L’alta cultura dell’Ottocento e del Novecento si soffermò solo parzialmente o episodicamente sull’emigrazione italiana e, nonostante il coinvolgimento di alcuni autori importanti, per lo più si trattò di uno sguardo calato dall’alto. Successivamente, l’interesse specifico agli italiani nel mondo aumentò, come attesta una grande fioritura di titoli loro dedicati e, se già intorno agli anni ’60 (ad esempio con Italo Calvino) si riscontrava una maggiore empatia, negli ultimi 20 anni la letteratura sembra aver riscoperto il contesto migratorio e la memoria del passato.

Il bilancio è problematico anche a livello formativo. In Italia, la conoscenza del fenomeno dell’emigrazione non è entrata significativamente nel circuito scolastico, neppure nel primo periodo del dopoguerra quando i flussi verso l’estero erano ancora molto elevati.

"Come è possibile – si chiedeva laconicamente, ma con parole ancora valide il prefatore de I figli del Sud (Fabbri, Milano, 1973), libroreportage sulle migrazione interne e internazionali degli italiani del giornalista e meridionalista Giovanni Russo – che milioni di persone vivano il dramma dell’emigrazione interna dai paesi agricoli del Sud alle periferie industriali del Nord, e i libri per ragazzi non ne parlino? Che milioni di incontri fra compagni di scuola debbano ancora superare l’ostacolo delle differenze di dialetto, di sensibilità, di abitudini e di reddito familiare, e la scuola non abbia strumenti adeguati per spiegarne le ragioni? […] Come è possibile, infine, non affrontare nella scuola il pericolo di un atteggiamento discriminatorio, se non razzista, quando i ragazzi vedono coi loro occhi una concentrazione di fatto della manodopera meridionale in certi mestieri e in certi quartieri delle città, e nella scuola stessa l’affollarsi dei loro compagni immigrati dal Sud nelle classi differenziali?".

Problematica è anche l’immagine che dell’Italia si ha all’estero e non solo perché stenta a superare la difficile congiuntura economica. I media esteri spesso presentano l’Italia come un paese litigioso, scarsamente concludente, di scarso rilievo politico e culturale e di fronte a questo atteggiamento le nostre collettività non possono che restare deluse. In effetti, è ridotta la popolarità degli autori italiani all’estero attestata dall’Index Translationum, una sorta di bibliografia internazionale delle traduzioni, gestita dall’Unesco e informatizzata dal 1979, che consente di monitorare gli ultimi 30 anni per quanto riguarda l’editoria e le traduzioni. Tra i primi 50 autori più tradotti al mondo non figura alcun connazionale. Tra i primi 10 autori in italiano per numero di edizioni estere, invece, figurano scrittori classici, il “sommo poeta” e anche due personalità religiose (Umberto Eco, Italo Calvino, Dante Alighieri, Emilio Salgari, Carlo Collodi, Alberto Moravia, Gianni Rodari, Carlo Maria Martini, Niccolò Machiavelli e Giovanni Paolo II). Un’altra interessante graduatoria, relativa alle “150 Italie più conosciute nel mondo” e curata da un istituto scolastico di Lecce (www.costa.clio.it), mostra l’attenzione riservata a diversi aspetti della vita italiana (storia, cinema, moda, musica, sport), mentre non viene citato alcun uomo politico del dopoguerra, né una legge importante o una università.

[b]LA LINGUA E LA CULTURA ITALIANA COME LEGAME[/b]

La situazione degli italiani nel mondo è molto problematica, come stigmatizzato in diversi capitoli del Rapporto Migrantes 2012: ridimensionamento della rete diplomatico-consolare, mancanza di risorse per la promozione della lingua e della cultura italiana, come anche per il sostegno del sistema produttivo italiano e dell’attività dei Comitati degli italiani all’estero. I capitoli di spesa dello Stato riguardanti gli italiani all’estero, da 58 milioni di euro stanziati nel 2008 sono diminuiti a 16 milioni di euro nel 2012 (-72%). La carenza, però, riguarda le risorse finanziarie e anche le idee progettuali. La società statunitense, ad esempio, è sempre più attratta dall’Italia e dalla sua lingua, il cui insegnamento però rischia di perdere posizioni se non viene adeguatamente sostenuto. Questa situazione preoccupa i singoli emigrati, le loro famiglie, il mondo associativo, la Chiesa e le altre strutture che si occupano del settore. Ferma restando la necessità delle manovre ritenute necessarie per raggiungere il risanamento economico in questa fase di recessione, non si deve smettere di pensare che la presenza all’estero sia una risorsa: non è solo una questione di investimenti ma anche, e ancor di più, di mentalità.

Per mantenere il senso di appartenenza delle collettività e favorire la diffusione della lingua e della cultura italiana è stato ipotizzato che gli Istituti italiani di cultura, nell’ambito di un rinnovato quadro giuridico, possano ampliare competenze e capacità gestionale, assumendo il coordinamento delle attività del settore e cercando di autofinanziarsi, analogamente a istituti esteri similari, quali l’Alliance Francaise, l’Istituto Cervantes o il Goethe Institut. In questo impegno non si può fallire e perciò, in una sua riflessione, significativamente intitolata “Eutanasia della diaspora italiana nel mondo”, lo scalabriniano padre Graziano Tassello ha scritto che "i giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere", i quali possono rimanere uniti al loro paese di origine solo attraverso la lingua e la cultura (Corriere degli Italiani, 15 febbraio 2012).

[b]L’APPORTO DEGLI ITALIANI NEL MONDO[/b]

L’intensificarsi degli scambi ha reso relativo il concetto di sovranità nazionale ed ha accentuato l’importanza della mobilità umana. L’attaccamento alle proprie origini culturali, anche da parte degli italiani che hanno programmato una permanenza stabile all’estero, porta a interrogarsi sul loro auspicabile apporto alla società italiana, assicurando i benefici di una “emigrazione di ritorno” (non necessariamente in senso fisico). Questa è la prospettiva da far valere in un mondo globalizzato, dalle reti molto ramificate, pervenendo alla consapevolezza che i risultati finora raggiunti non sono confortanti. Invece, questa esperienza transnazionale costituisce un’opportunità per l’Italia.

Il prof. Riccardo Campa, docente all’Università Jagellonica a Cracovia, in una intervista rilasciata a www.lombardinelmondo.it, ha precisato al riguardo: "Ho anche l’impressione che noi italiani all’estero, proprio per la nostra possibilità di fare confronti con ciò che accade in altri paesi, e per il fatto che cerchiamo di tenere saldo il legame con la madrepatria, siamo molto più informati e più in grado di capire la situazione italiana di chi non ha mai messo il naso fuori dall’Italia”".

A sua volta Maurizio Molinari, autore del volume Gli italiani di New York (Laterza, Roma-Bari, 2011), ha affermato: "Ho maturato la convinzione che ogni italiano d’America ha cognizioni, competenze e voglia di fare che potrebbero trasformarsi in un grande motore di crescita per il nostro Paese".

Va in questo senso il programma avviato nel mese di aprile 2012 dal Ministero degli Affari Esteri per creare una piattaforma web (crowdsourcing), con il coinvolgimento dei 22 addetti scientifici in servizio presso le ambasciate e i consolati, al fine di consentire ai talenti espatriati di restare in contatto con l’Italia e contribuire al superamento della crisi e alla crescita economica.

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2012 della Fondazione Migrantes raccomanda a chi è rimasto in Italia di inserire la presenza italiana all’estero nel circuito formativo e culturale, e a chi vive all’estero di mostrare un maggiore attaccamento alle vicende italiane, non facendo mancare suggerimenti mirati in occasione dei molteplici incontri organizzati dal governo, dalle regioni e dalle associazioni.

Nel 2011, secondo la Banca d’Italia, sono entrati in Italia oltre 70 milioni di persone provenienti dall’estero (e tra di essi molti italiani), di passaggio o per trattenersi uno o più giorni, offrendo ulteriori occasioni per rinsaldare i legami con l’estero".

www.migrantes.it

 

Views: 2

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.