9565 CRISI EUROPEA: FINIRA’ COME L’ARGENTINA?

20111213 11:18:00 redazione-IT

[i]di Agostino Spataro[/i]

[b]Sommario:
La via imboccata è quella giusta o si stanno commettendo nuovi errori?; I mercati: un Golem insaziabile, senza volto e senza nome; La crisi: colpa dei “costi della politica” o dei costi delle politiche speculative?; Riformare la politica per recuperare la sovranità e i poteri delle istituzioni democratiche; Una colossale, deviante mistificazione per favorire il disegno dei “poteri forti”; E’ la Grecia a finanziare le banche tedesche, non viceversa.
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[i]A SEGUIRE IL TESTO DELL’INTERVISTA A Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 chefa un confronto tra crisi Argentina e paesi europei.[/i]

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[b]La via imboccata è quella giusta o si stanno commettendo nuovi errori?[/b]
Il titolo del pezzo non scaturisce da una paura che in questo periodo un po’ tutti avvertiamo, e che non osiamo esternare in pubblico, ma dall’analisi, libera e schietta, fatta da un economista Usa, Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, nel corso di un’intervista pubblicata su un importante quotidiano argentino “Pagina 12” (del 10/12) di cui daremo ampi brani.
Io ci ho messo soltanto un punto interrogativo, poiché mi terrorizza il solo riferimento a quella esperienza che per qualche giorno ho vissuto.
Infatti, è un interrogativo da incubo che intimamente un po’ tutti inquieta, al quale nessuno dei responsabili vuole dare una risposta convincente e pubblica.
Non sappiamo bene cosa stia effettivamente bollendo nelle cucine dei “mercati”, nella mente di taluni chefs di queste strane entità, senza volto e senza nomi, che continuano ad imporre le loro ricette e i loro uomini a Stati e a continenti interi.
Ovviamente, sto parlando di grandi opzioni, di scelte strutturali non delle quisquilie cui ricorrono le varie “compagnie di giro” per tenere aperto il baraccone degli scandaletti a buon mercato e deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri malanni che affliggono l’Italia e l’Europa.
Altra domanda drammatica. La via imboccata è quella giusta o si stanno commettendo nuovi errori che, questa volta, potrebbero risultare esiziali?
Per i nostri “decisori” nazionali ed europei la strada e le scelte adottate sono le uniche possibili. Gli altoparlanti di stampa e media s’incaricano, senza verificare, approfondire, senza sentire tutte le campane, di confermarle, amplificarle e di propinarle come oro colato a un’opinione pubblica frastornata e inquieta.

[b]I mercati: un Golem insaziabile, senza volto e senza nome[/b]
Per Joseph Stiglitz, invece, c’è poco da stare tranquilli poiché “lo schema che la Germania sta imponendo al resto dell’Europa porta alla stessa esperienza che l’Argentina ha vissuto sotto la guida del Fondo monetario internazionale (Fmi)”… “l’incapacità dei governi europei è evidente: invece di trarre insegnamento dagli errori compiuti in precedenza, li stanno ripetendo”.
Ovviamente, l’economista Usa, parlando dell’Argentina, si riferisce ai governi neo liberisti degli anni ’90 guidati da Carlos Menem e dal FMI che portarono il Paese all’insolvenza (default).
Oggi, grazie ai governi della sinistra peronista guidati prima da Nestor Kirchner e oggi da Cristina Fernadez (insediatasi ieri per il suo secondo mandato consecutivo), l’Argentina non solo ha saldato il debito col FMI e rifiutato la sua pelosa assistenza, ma ha varato politiche di sviluppo e d’inclusione sociale che, in pochi anni, l’hanno vista passare dall’insolvenza a una crescita del 7% nel 2010, (seconda solo alla Cina).
Ora, qui, non si desidera esaltare il punto di vista di un premio Nobel, ma soltanto ascoltarlo, valutarlo e, quanto meno, farlo conoscere al pubblico.
Temo che in Italia nessuno abbia un tale interesse poiché contrasta con i comportamenti e le direttive dei “mercati” ossia di questo Golem insaziabile che sovrasta l’Europa e il mondo.
Secondo Gustav Meyrink, il Golem era una mostruosa creazione alchemica di un ebreo praghese, animata da una irrefrenabile voglia di crescita e di annessione. Sulla fronte aveva scritta la parola “Ameth” ossia verità.
Era mostruoso e potente il Golem, ma aveva un punto debole: per dissolverlo bastava togliere la “A” (aleph), restava “meth” cioè morte. Ogni riferimento alle “A” delle società americane di rating è puramente casuale. Per quanto anche loro quando tolgono le “ A” e conducono gli Stati alla rovina, alla morte.

[b]La crisi: colpa dei “costi della politica” o dei costi delle politiche speculative? [/b]
E così vediamo “grandi” giornali e canali televisivi, economisti di grido, personalità politiche e di governo, opinion leader e comici di turno, ecc, tutti a sgolarsi per inculcare nelle menti atterrite della gente che la crisi italiana è principalmente dovuta ai “costi della politica”.
E, quindi, dagli alla politica, al politico, al deputato, a chiunque è stato eletto in un organo istituzionale di questa Repubblica democratica, fondata sulla sovranità del popolo e non sugli interessi dei mercati, dei mercanti e dei loro lacchè in divisa d’ordinanza.
Ma quanto diavolo costa la politica italiana?
Forse di più delle spese militari, dell’evasione fiscale (275 miliardi/anno dice Istat), dei finanziamenti pubblici all’editoria, dell’anarchia del mercato delle professioni, delle banche, delle assicurazioni che pretendono di essere libere quando vanno in attivo, mentre quando vanno ( o fingono) in perdita bussano a quattrini alle casse dello Stato?
La politica costa molto meno e lo sanno benissimo i fustigatori a senso unico.
Con ciò non si vuole negare l’esigenza (che da tempo proponiamo) di una riforma del sistema di finanziamento pubblico dei partiti, dell’abolizione dell’attuale legge elettorale (porcata) introducendo le preferenze e riducendo il numero dei parlamentari, della soppressione delle province, ecc.

[b]Riformare la politica, per recuperare la sovranità e i poteri delle istituzioni democratiche[/b]
Se questo veramente si vuole, si può fare subito dopo l’approvazione della manovra finanziaria.
Chi lo impedisce? L’altro giorno, in Sicilia è stata approvata, all’unanimità, una legge che riduce del 30% il numero dei deputati regionali, da 90 a 70.
E’ un buon segnale per il resto del Paese. Ma pare che queste riforme non le voglia nessuno.
Forse perché verrebbe a mancare la materia dello scandalo e bisognerebbe spostare i fari dei grandi giornali e televisioni sui reconditi interessi di chi sta dietro questa campagna qualunquistica che, in realtà, mira a delegittimare il Parlamento e il sistema della democrazia rappresentativa.
Insomma, dopo avere spostato a loro favore quote enormi del Pil nazionale (leggi della ricchezza degli italiani), questi signori si vogliono prendersi il governo, il Parlamento e quant’altro non possono controllare con i loro giochi di borsa.
Spero di sbagliarmi, ma questa è gente che sa il fatto suo e certo non intraprende una campagna simile solo per far vendere qualche copia in più ai loro giornali.
C’è un obiettivo nascosto? E qual è?
Difficile dirlo, tuttavia è chiarissimo che si punta a demolire il ruolo, insostituibile, degli organi parlamentari costituzionali senza, per altro, dire che cosa si vuole fare, dopo.
Gli uomini della concentrazione mediatica e finanziaria sanno benissimo che “il costo della politica” non è il problema principale.
Lo stanno ingigantendo ad arte, per usarlo come un separè per non far vedere alla gente cosa stanno combinando i loro committenti nel boudoir dell’alta finanza.
Andate a guardare, per favore. Altro che “casta” (dei politici!) Vi troverete di fronte uno scenario variegato, fantasmagorico, una bolgia di caste vere, palesi e occulte, cui attingere per far fare le ossa a generazioni di giornalisti d’inchiesta.

[b]Una colossale, deviante mistificazione per favorire il disegno dei “poteri forti” [/b]
Prima o poi la verità verrà fuori. La gente comincia a capire che trattasi di una colossale mistificazione. Taluni la subiscono in assenza di una politica e di un’ informazione alternative, altri la rifiutano, la contestano e mirano al giusto obiettivo.
Come hanno fatto, nei giorni scorsi, i movimenti degli studenti italiani (non quelli degli “indignati” telecomandati) che hanno indirizzato la loro protesta contro le banche e i poteri forti.
E qui mi fermo perché desidero riprendere il punto di vista di Joseph Stiglitz che in Italia nessuno ha ripreso perché si teme potrebbe turbare il clima di “pensiero unico” dominante.
Avverto che probabilmente la traduzione non sarà perfetta (si fa quel che si può); chi lo desidera può leggere il testo originale sul sito del quotidiano.
Alla domanda circa il ruolo giocato dalla Banca centrale europea (Bce), il Nobel risponde senza molto tergiversare:
“La BCE non è democratica. Può decidere politiche che non sono in linea con quanto chiedono i cittadini. Fondamentalmente, rappresenta gli interessi delle banche, non regola il sistema finanziario in maniera adeguata e ha un’attitudine di stimolo ai CDS (Credit Default Swaps) che sono strumenti molto dannosi. Questo dimostra anche che le banche centrali non sono indipendenti…”
A proposito dei governi tecnocratici di Monti in Italia e di Papademus in Grecia dice:
“Il principale problema è quello di avere creato un contesto economico a partire dal quale la democrazia è rimasta subordinata ai mercati finanziari. E questo la Merkel lo sa bene. La gente vota, però si sente ricattata. Si dovrebbe riformulare il quadro economico, affinché le conseguenze di non seguire i mercati non siano tanto severe”.

[b]E’ la Grecia a finanziare le banche tedesche, non viceversa[/b]
Richiesto di un parere sullo strano ruolo trainante assunto da Francia e Germania e sulle loro “idee errate” circa la crisi europea, così risponde Stiglitz:
“E’ chiaro che stanno ponendo l’interesse delle banche sopra quelli della gente. Questo è molto più chiaro nel caso della BCE, però non credo che sia lo stesso per Sarkozy e Merkel…Credo stiano proteggendo le banche poiché temono che se le banche dovessero crollare, l’economia crollerà. Per questo dico che hanno una visione errata, quantunque non creda che stiano ponendo gli interessi dei greci o degli spagnoli in capo all’agenda.
Questo è l’altro problema: manca la solidarietà. Essi dicono che non sono una “unione di trasferimento di denaro”. Di fatto, lo sono, però il trasferimento del denaro va dalla Grecia alla Germania.”
Sono cose che, specie nelle alte regioni del lucro, tutti conoscono: è la povera Grecia che finanzia le potenti banche tedesche. Tutto è andato a meraviglia fino a quando non s’intravide il pericolo dell’insolvenza (default). Com’è noto, l’insolvenza è il terrore degli strozzini, degli usurai i quali hanno tutto l’interesse di far sopravvivere la loro vittima fino a quando ci sarà qualcosa da spremere.
Se ci fate caso, anche le banche più esposte (poche quelle italiane) si sono comportate come i soggetti prima citati: terrorizzate dal pericolo d’insolvenza di alcuni Paesi loro debitori, hanno preteso dai rispettivi governi di fare carte false pur di salvare… non i Paesi debitori, ma le banche creditrici.
Insomma, il Nobel ci offre tantissima materia per un’ utile riflessione, per capire meglio come stanno andando veramente le cose e per correggere eventuali scelte sbagliate.
Ovviamente, se dovesse ritornare la voglia d’informare correttamente i cittadini vi sarebbero altri autori da prendere in considerazione. E’ tempo che si operi alla luce del sole, si ritorni in Parlamento e fra i cittadini che non servono solo a pagare la bolletta.

Agostino Spataro
11 dicembre 2011

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[b]L’intervista citata nell’articolo in originale e in traduzione italiana:[/b]

IN SPAGNOLO:

[b]DIALOGO CON JOSEPH STIGLITZ SOBRE LA EXPERIENCIA ARGENTINA
“Con la guía del FMI, los resultados fueron desastrosos”[/b]

El Premio Nobel de Economía Joseph Stiglitz reivindica el camino elegido por Argentina tras la caída de la convertibilidad y el default, “aun contra lo que mucha gente considera buenas prácticas económicas”.

[b]Por Tomás Lukin y Javier Lewkowicz[/b]

Joseph Stiglitz es un militante en contra de las recetas de ajuste fiscal, que proponen una “devaluación interna”, vía baja de salarios y del sometimiento de los deudores hacia los acreedores. Años atrás, la Argentina padeció esos males como ningún otro país, situación que pudo dejar atrás a partir de la aplicación de un conjunto de políticas económicas de signo opuesto, como la recomposición de la competitividad a partir de una fuerte devaluación, compensada con expansión del gasto público y política de ingresos al estilo keynesiano, y una fuerte reestructuración de la deuda externa que repartió los costos del default. Por eso Stiglitz se volvió un defensor del modelo argentino. “En los ’90, fue el FMI el que guió a la Argentina a aplicar las políticas de austeridad, con resultados desastrosos. En la Zona Euro no aprendieron la lección. Ahora de nuevo, Europa debería prestar atención al crecimiento argentino, que muestra que hay vida después del default”, explicó en un reportaje exclusivo a Página/12.

A primera hora de la mañana y justo antes de partir hacia Chile, el Premio Nobel 2001, mientras saboreaba un abundante desayuno americano al aire libre con pan, huevos poché, tocino y frutas, abordó en profundidad la crisis del euro, las salidas posibles para las economías más débiles, la incapacidad de los gobiernos de Alemania y Francia y las nuevas administraciones de corte “tecnócrata” que surgieron en Italia y Grecia. Stiglitz recordó el reportaje que en agosto este diario le realizó en la ciudad alemana de Lindau, donde se desarrolló la conferencia mundial de Premios Nobel de Economía. Admitió que, en relación con aquella charla, su percepción respecto de la crisis europea se volvió más negativa. “Europa y el euro van camino al suicidio”, sintetizó. Recomendó que Grecia abandonara la moneda común.

También subrayó la relativa relevancia del contexto internacional favorable para explicar el desempeño económico argentino, se refirió a la inflación y al giro de utilidades de las multinacionales. Esta semana Stiglitz se reunió con la presidenta, Cristina Fernández. “Tanto Néstor, cuando tuve la oportunidad de conocerlo, como Cristina me parecieron dos personas muy interesantes. Aunque ella es más pasional”, contó.

–Usted menciona que “Argentina esta vez lo está haciendo mejor”. ¿Qué explicación le encuentra al buen desempeño de la economía nacional y de otros países emergentes?

–En la Argentina, el fin del régimen de la convertibilidad y el default generaron un alto costo y un intenso período de caída. Luego la economía comenzó a crecer muy rápido, incluso en ausencia de lo que mucha gente considera las “mejores” prácticas económicas. Creo que Argentina, Brasil y China desplegaron muy buenas políticas macroeconómicas, al aplicar estímulos keynesianos bien diseñados, para apuntalar la economía, diversificarla y mejorar la situación en el mercado de trabajo. A la vez, las regulaciones bancarias en muchos países en desarrollo son de mejor calidad que las de Estados Unidos y Europa. En algunos casos, eso se debió a que los países ya habían atravesado grandes crisis.

–¿Qué papel juega el contexto internacional favorable?

–Ustedes se beneficiaron del continuo crecimiento económico de China. En ese sentido, se puede decir que tuvieron suerte.

–Se refiere al llamado “viento de cola”.

–Sí, pero para explicar el resultado final sin duda se necesita más que eso. Argentina mantuvo el flujo de crédito, devaluó su moneda e impulsó la inversión en salud y educación. También fue importante que Brasil creciera. Un factor fundamental, por supuesto, fue la reestructuración de la deuda, que de hecho puede servir como guía en otros procesos similares que requieren ser abordados ahora en Europa. Las políticas aplicadas, en conjunto, le permitieron comenzar a mejorar la elevada desigualdad de ingresos.

–El superávit en cuenta corriente se reduce a medida que la economía crece. Un factor que genera una importante merma de divisas es la remisión de utilidades y dividendos de las empresas multinacionales. ¿Qué podría hacer Argentina para afrontar esa tensión?

–Los beneficios de algunas empresas se deben a rentas tipo monopólicas, a raíz de la falta de competencia. Para atacar eso, lo que se hace es introducir competencia, de forma que la magnitud de esas rentas baje. Abrir los mercados puede generar fuertes retornos sociales. Probablemente algunos de los problemas se solucionarían con más competencia. Depende mucho del sector.

–¿En qué medida los tratados bilaterales de inversión que firmó Argentina reducen el margen de acción para regular a las multinacionales?

–Muchas acciones que se pueden tomar en términos de regulación pueden terminar en demandas, argumentando que se introdujeron cambios en los términos del contrato. Hay que tratar de salir de esos acuerdos y además pelear en las cortes. La política económica no debe ser dictada por esos convenios.

La crisis europea

–¿Por qué la crisis se instaló en Europa y no se visualiza una salida?

–Creo que el problema fundamental es que la concepción general de la Unión Europea fue errada. El tratado de Maastricht estableció que los países mantuvieran déficit bajos y reducida proporción de deuda en relación con el PBI. Los líderes de la UE pensaban que eso sería suficiente para hacer funcionar el euro. Sin embargo, España e Irlanda tenían superávit antes de la crisis y una buena proporción de deuda en relación con el PBI, y aun así están en problemas. Uno podría pensar que, en función de los acontecimientos, la UE se ha dado cuenta de que esas reglas no eran suficientes, pero no han aprendido.

–¿A qué se refiere?

–Ahora proponen lo que llaman una “unión fiscal”, que en realidad es sólo la imposición de mayor austeridad. Reclamar austeridad ahora es una forma de asegurarse que las economías colapsen. Creo que el esquema que Alemania está imponiendo al resto de Europa va a conducir a la misma experiencia que Argentina tuvo con el FMI, con austeridad, PBI cayendo, magros ingresos fiscales y, por eso, la supuesta necesidad de reducir más el déficit. Eso genera una caída en espiral, que conduce a más desempleo, pobreza y profundiza las desigualdades. El déficit fiscal no fue el origen de la crisis, sino que fue la crisis la que generó el déficit fiscal.

–¿Qué rol juega el Banco Central Europeo?

–El BCE hace las cosas todavía más complicadas, porque tiene el mandato de enfocarse sólo en la inflación, cuando en cambio el crecimiento, el desempleo y la estabilidad financiera importan mucho ahora. Además, el BCE no es democrático. Puede decidir políticas que no están en línea con lo que los ciudadanos quieren. Básicamente representa los intereses de los bancos, no regula el sistema financiero en forma adecuada y hay una actitud de estímulo a los CDS (Credit Default Swaps), que son instrumentos muy dañinos. Esto también es muestra de que los bancos centrales no son independientes, sino que son políticos.

–¿Cómo explica que Alemania y Francia estén empujando a los europeos hacia ese abismo?

–Creo que ellos quieren hacer las cosas bien, pero tienen ideas económicas erradas.

–¿Están errados o en realidad representan intereses de determinados sectores?

–Creo que ambas cosas. Por ejemplo, es claro que están poniendo los intereses de los bancos por encima de la gente. Eso es claro para el caso del BCE, pero no creo que lo sea para Nicolas Sarkozy o Angela Merkel –presidente de Francia y canciller de Alemania, respectivamente–. Creo que ellos están convencidos. Pueden estar protegiendo a los bancos, pero lo hacen porque creen que, si los bancos caen, la economía caerá. Por eso digo que tienen una mirada errada, aunque no creo que estén poniendo los intereses de los griegos o los españoles en el tope de la agenda. Eso es otro problema, la falta de solidaridad. Ellos dicen que no son una “unión de transferencias de dinero”. De hecho, lo son, pero la transferencia de dinero va desde Grecia a Alemania.

–¿La unión monetaria es un problema en sí mismo?

–Sí, es un problema. No hay suficiente similitud entre los países para que funcione. Con la unión monetaria ellos se quedaron sin un mecanismo de ajuste, como es la modificación de los tipos de cambio. Es como haber impuesto un patrón oro en esa parte del mundo. Si tuvieran un banco central con un mandato más amplio que contemple, además de la inflación, el crecimiento y el desempleo, y además con una cooperación fiscal real y asistencia a través de las fronteras, entonces sería concebible que funcione la unión monetaria, aunque aun así sería difícil. En el actual esquema, puede funcionar, pero con un enorme sufrimiento de mucha gente.

–¿Qué análisis hace de la aparición de gobiernos tecnocráticos como el de Mario Monti en Italia o el de Lucas Papademus en Grecia?

–El principal problema es haber creado un marco económico a partir del cual la democracia quedó su-bordinada a los mercados financieros. Es algo que Merkel sabe muy bien. La gente vota, pero se siente chantajeada. Se debería reformular el marco económico, para que las consecuencias de no seguir a los mercados no sean tan severas.

–En agosto usted dijo que el euro no tenía que desaparecer. ¿Cuál es su postura ahora?

–En aquel momento era más optimista. Pensaba que los líderes se iban a dar cuenta de que el costo de disolver el euro era muy alto. Pero desde ese momento, la confrontación con el mercado empeoró y la incapacidad de los gobiernos europeos se volvió evidente. En lugar de aprender de sus errores, los están repitiendo. Creo que realmente quieren sobrevivir, pero demostraron falta de entendimiento de economía básica, lo que me hace tener más dudas.

–¿Es posible tener un euro a dos velocidades, como algunos economistas proponen?

–Un euro a dos velocidades es una de las formas de ruptura del euro. Eso puede ser posible, la solución puede ser la creación de dos monedas con más solidaridad entre ellas. La moneda única contribuyó al problema. No era inevitable el estallido, pero pasó. Cuando se reconoce que los mercados tienen cuotas de irracionalidad, quizá se prefiera mantener más autonomía monetaria.

–Usted dice que la restructuración de deuda es buena para las finanzas públicas europeas y pone el ejemplo de Argentina. Pero nuestro país también devaluó. ¿Cree que Grecia necesita adoptar esa medida?

–Esa es la pregunta fundamental. Grecia va a tener que reestructurar su deuda, algo que todos aceptan ahora, a diferencia de hace un año. Si se hubieran hecho las cosas bien hace dos años, la reestructuración se podría haber evitado. En cambio, impusieron austeridad. Ahora la pregunta es, dada la reestructuración, ¿será suficiente para recomponer el crecimiento económico? Creo que para Grecia hoy la respuesta es no. A menos que tengan algún tipo de ayuda externa, incluso después de la reestructuración estarán bajo un régimen de austeridad. Por eso el PIB va a caer más. No tienen competitividad y hay dos maneras de lograrla. Una es a través de una devaluación interna, pero si los salarios caen, reducen todavía más la demanda y vuelven más débil la economía. En cambio, si Grecia sale del euro y devalúa, la transición será difícil y compleja, pero una vez que el proceso haya acabado, el hecho de que Grecia limite con la Unión Europea será un impulso a la recuperación. Nuevos bancos se instalarían y habría más comercio.

FONTE: [url]http://www.pagina12.com.ar/diario/economia/2-183012-2011-12-09.html[/url]

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IN ITALIANO:

[b]"Con la guida del Fmi, i risultati furono disastrosi". Intervista a Joseph Stiglitz[/b]

di Tomas Lukin e Javier Lewkowicz – Pagina12.com,

Il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz rivendica la strada scelta dall’Argentina dopo la fine della convertibilità e il default, "anche se in tanti hanno idee diverse su quelle che debbano essere le buone ricette economiche".

Joseph Stiglitz è un militante contro le ricette di aggiustamento fiscale che propongono una "svalutazione interna" grazie alla diminuzione dei salari e alla sottomissione dei debitori nei confronti dei creditori.

Anni fa l’Argentina soffrì di questa malattia come nessun altro paese al mondo, una situazione che riuscì a lasciarsi alle spalle grazie all’applicazione di una serie di politiche economiche di segno opposto, come il ripristino della competitività partendo da una forte svalutazione, compensata dall’incremento della spesa pubblica e una politica dei redditi di stile keynesiano, oltre a una forte ristrutturazione del debito estero che ripartì i costi del default.

Per questo motivo Stiglitz è diventato un difensore del modello argentino. "Negli anni ’90, fu proprio il FMI a guidare l’Argentina nell’applicazione delle politiche di austerità, con risultati disastrosi. Nell’eurozona non sono riusciti ad imparare questa lezione. Ancora una volta, l’Europa dovrebbe prestare attenzione alla crescita argentina, mostrandole che c’è vita anche dopo un default", ha spiegato in un reportage concesso in esclusiva a Pagina 12.

Alle prime ore del mattino e appena prima di partire verso il Cile, il Premio Nobel del 2001, mentre assaporava all’aperto un’abbondante colazione all’americana con pane, uova poché, lardo e frutta, ha analizzato a fondo la crisi dell’euro, la possibile uscita delle economie più deboli, l’incapacità dei governi di Germania e Francia e i nuovi governi "tecnocratici" che sono saliti al potere in Italia e in Grecia. Stiglitz ha ricordato l’articolo che questo quotidiano realizzò ad agosto nella città tedesca di Lindau, dove si tenne la conferenza mondiale dei Premi Nobel per l’Economia. Ha ammesso, in rapporto a quella chiacchierata, che la sua percezione della crisi europea è ancora più negativa: "L’Europa e l’euro sono sulla strada del suicidio." Ha anche raccomandato alla Grecia un’uscita dalla moneta comune.

Ha anche sottolineato l’importanza del favorevole contesto internazionale per spiegare il successo economico argentino, riferendosi all’inflazione e ai profitti delle multinazionali. Questa settimana Stiglitz si è incontrato con presidente, Cristina Fernández: "Sia Néstor, quando ebbi l’opportunità di conoscerlo, che Cristina mi sono sembrate due persone molto interessanti. Ma lei è più passionale."

Lei dice che "l’Argentina questa volta sta facendo bene". Che spiegazione si è dato per il buon funzionamento dell’economia nazionale e di quella di altri paesi emergenti?

In Argentina, la fine del regime di convertibilità e il default provocarono molti danni e un forte periodo di decrescita. Poi l’economia ha iniziato a crescere molto rapidamente, addirittura in assenza di quelle che molta gente considera le "migliori" pratiche economiche. Credo che Argentina, Brasile e Cina hanno realizzato buone politiche macroeconomiche, applicando stimoli keynesiani ben progettati per rafforzare l’economia, per diversificarla e per migliorare la situazione del mercato di lavoro. Inoltre, i regolamenti bancari di molti paesi in sviluppo sono migliori rispetto a quelli presenti negli Stati Uniti e in Europa. In qualche caso, ciò è dovuto al fatto che questi paesi avevano già attraversato una profonda crisi.

Che ruolo ha avuto il favorevole contesto internazionale?

Si sono avvantaggiati della continua crescita economica della Cina. Per questo, si può dire che hanno avuto fortuna.

Si riferisce al cosiddetto "vento in coda"?

Sì, ma per spiegare il risultato finale c’è bisogno senza dubbio di molto di più. L’Argentina riuscì a mantenere un flusso di credito, svalutò la sua moneta e spinse gli investimenti in salute e formazione. Anche la crescita del Brasile è stato un aspetto importante. Un fattore fondamentale, ovviamente, fu la ristrutturazione del debito che può ora servire in Europa da guida in quei contesti che richiedono una soluzione. Le politiche applicate, nel suo complesso, le permisero di cominciare a migliorare la forte disuguaglianza dei redditi.

Il surplus delle partite correnti sta diminuendo a mano a mano che l’economia cresce. Un fattore che genera un importante calo delle valute è dato dal trasferimento all’estero di profitti e dividendi da parte delle multinazionali. Cosa potrebbe fare l’Argentina per affrontare questo problema?

I profitti di alcuni imprese si devono a posizioni di monopolio, per l’assenza di concorrenza. Per cercare di risolverlo, bisogna favorire la concorrenza, per far sì che l’ammontare di questi redditi subisca un calo. Aprire i mercati può restituire molte cose positive in ambito sociale. Probabilmente alcuni dei problemi si risolverebbero con una maggiore concorrenza. Dipende molto dal settore.

In che misura i trattati bilaterali d’investimento firmati dall’Argentina riducono il margine di azione per dare regole alle multinazionali?

Molte iniziative che si possono prendere nell’ambito dei regolamenti possono poi provocare nuove richieste, per il fatto che si sono introdotte modifiche ai termini del contratto. Bisogna cercare di uscire da questi accordi e far valere le proprie ragioni in tribunale. La politica economica non deve essere dettata per quegli accordi.

Perché la crisi è piombata sull’Europa e non vede una via d’uscita?

Il problema fondamentale è che è sbagliato il modo in cui l’Unione Europea è stata concepita. Il trattato di Maastricht stabilì che i paesi dovessero tenere un basso deficit bassa e un basso rapporto del debito nei confronti del PIL. I dirigenti dell’UE ritenevano che questo sarebbe stato sufficiente per fare funzionare l’euro. Tuttavia, Spagna e Irlanda avevano un attivo prima della crisi e un buon rapporto tra debito e PIL, e anche in questo caso ci sono problemi. Si potrebbe pensare che, dopo questi avvenimenti, l’UE si sia resa conto che quelle regole non erano sufficienti, ma in verità non ha appreso la lezione.

A cosa si riferisce?

Ora propongono quello che chiamano un’”unione fiscale" che è solo l’imposizione di una maggiore austerità. Reclamare austerità è un modo per garantire il collasso delle economie. Credo che lo schema che la Germania sta imponendo al resto dell’Europa porterà alla stessa esperienza che l’Argentina ebbe col FMI, con l’austerità, il calo del PIL, le basse entrate fiscali e, quindi, la necessità di ridurre ancora di più il deficit. Tutto questo provoca una caduta a spirale che porta a più disoccupazione, povertà e acuisce le disuguaglianze. Il deficit fiscale non è stato l’origine della crisi, ma è stata la crisi a generare il deficit fiscale.

Che ruolo riveste la Banca Centrale Europea?

La BCE fa cose sempre più complicate, perché ha il mandato di occuparsi solamente dell’inflazione, quando ora sono la crescita, la disoccupazione e la stabilità finanziaria le materie importanti. Inoltre, la BCE non è democratica. Può decidere politiche che non sono in linea ai voleri dei cittadini. Fondamentalmente rappresenta gli interessi delle banche, non regola il sistema finanziario in modo adeguata e c’è un attitudine di stimolo ai CDS (Credit Default Swaps) che sono strumenti davvero dannosi. Anche ciò dimostra che le banche centrali non sono indipendenti, ma che hanno valenza politica.

Come si spiega che Germania e Francia stiano spingendo gli europei verso l’abisso?

Credo che vorrebbero fare cose buone, ma che hanno idee economiche sbagliate.

Sono errate o in realtà rappresentano interessi di settori ben determinati?

Credo entrambe le cose. Ad esempio, è chiaro che pongono gli interessi del settore bancario al di sopra di quelli della gente. Questo vale sicuramente per la BCE, ma non credo valga anche per Nicolas Sarkozy o Angela Merkel. Credo che siano davvero convinti. Stanno proteggendo le banche, ma lo fanno perché credono che una caduta delle banche farebbe cadere tutta l’economia. Per questo motivo dico che hanno un approccio sbagliato, anche se non penso che stiano mettendo gli interessi dei greci o gli spagnoli in cima all’ordine del giorno. Questo è un altro problema, la mancanza di solidarietà. Dicono di non essere un’"unione di trasferimenti di denaro". In realtà, lo sono, ma il passaggio avviene dalla Grecia alla Germania.

L’unione monetaria è un problema in sé?

Sì, è un problema. Non c’è sufficiente similitudine tra i paesi affinché funzioni. Con l’unione monetaria si sono privati dei meccanismo di aggiustamento, come la modifica dei tassi di cambio. È come avere imposto in questa zona del mondo un sistema basato sull’oro. Se avessero una banca centrale con un mandato più ampio che contempli, oltre l’inflazione, anche la crescita e la disoccupazione – e con una cooperazione fiscale effettiva e l’assistenza tra le frontiere – potrebbe essere possibile il funzionamento dell’unione monetaria, anche se già così sarebbe difficile. Nello schema attuale può funzionare solo con enorme sofferenze per un numero enorme di persone.

Che analisi fa della comparsa dei governi tecnocratici, come quello di Mario Monti in Italia o quello di Lucas Papademos in Grecia?

Il principale problema è avere creato un quadro economico in cui la democrazia è subordinata ai mercati finanziari. È un qualcosa che la Merkel conosce molto bene. La gente vota, ma alla fine si sente ricattata. Si dovrebbe riformare il quadro economico, per fare in modo che le conseguenze di non dover seguire i mercati non siano troppo pesanti.

In agosto lei disse che l’euro non doveva sparire. Qual è ora la sua posizione?

Allora ero più ottimista. Pensavo che i dirigenti si sarebbero resi conto che il costo della dissoluzione dell’euro era davvero alto. Ma da quel momento il confronto col mercato è peggiorato e l’incapacità dei governi europei è diventata sempre più evidente. Invece di imparare dai propri errori, li stanno ripetendo. Credo che in realtà vorrebbero farlo sopravvivere, ma dimostrarono una mancanza di comprensione delle basi dell’economia, e questo mi fa venire molti dubbi.

È possibile avere un euro a due velocità, come proposto da alcuni economisti?

Un euro a due velocità è uno della delle possibili forme di rottura dell’euro. La soluzione può venire dalla creazione di due monete con una maggiore solidarietà. La moneta unica ha contribuito alla creazione del problema. Il collasso non era inevitabile, ma è avvenuto. Quando si capisce che i mercati hanno una certa parte di irrazionalità, allora si potrebbe preferire avere una maggiore autonomia monetaria.

Lei suggerisce che la ristrutturazione del debito è positiva per le finanze pubbliche europee e fa l’esempio dell’Argentina. Ma anche il nostro paese svalutò. Crede che la Grecia deve adottare questa misura?

Si tratta di una domanda fondamentale. La Grecia deve ristrutturare il suo debito, un qualcosa che tutti ora accettano, a differenza di un anno fa. Se due anni fa si fossero fatte le scelte giuste, la ristrutturazione si sarebbe potuta evitare. Invece, è stata imposta l’austerità. Ora la domanda è se la ristrutturazione sarà sufficiente per ridare vita alla crescita economica? Credo che per la Grecia la risposta è “no”. A meno che non ci sia un qualche aiuto esterno, anche dopo la ristrutturazione dovranno subire un regime di austerità. Per questo motivo il PIL cadrà ancora di più. Non sono competitivi e ci sono solo due modi per diventarlo. Una è con la svalutazione interna, ma se i salari calano, riducono ancora più la domanda e indeboliscono l’economia. Invece, se la Grecia esce dall’euro e svaluta, la transizione sarà difficile e complessa, ma una volta terminato questo processo, il fatto che la Grecia confini con l’Unione Europea darà forza alla ripresa. Nascerebbero nuove banche e ci sarebbero più scambi.

[i]Fonte traduzione: www.comedonchisciotte.org.[/i]

 

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