9333 La CGIL partecipa al Congresso del PIT CNT dell’Uruguay

20111012 22:19:00 redazione-IT

Il PIT CNT (Plenario Intersindical de Trabajadores – Convenciòn Nacional de Trabajadores) è una esperienza originale del sindacalismo latino americano che giunge al suo XI Congresso, in occasione del 45° anniversario di costituzione del CNT, mentre la costituzione del PIT avviene nel 1° maggio del 1983 e, l’anno successivo, si da vita al PIT CNT, come movimento sindacale unitario di sinistra.
Una esperienza che affonda le proprie radici nei movimenti anarchici e socialisti di inizio secolo XX, come nelle diverse correnti del marxismo portate da esuli, esiliati, migranti europei che hanno trovato, nella bellissima baia del Rio de la Plata, un ambiente appropriato per mettere nuove radici.

Anche qui, si consuma una pratica del dialogo ad oltranza, del consenso progressivo come lo chiamano in Brasile, o dell’assemblea permanente della Bolivia: prima di prendere una decisione se non è consensuale si mantiene aperta discussione, il confronto, il tempo e le regole, diventano subordinate dell’obiettivo principale, l’accordo.

Il biglietto da visita che presenta il PIT CNT è di essere una centrale sindacale unica, di aver mantenuto questa unitarietà nel corso delle tempeste che hanno attraversato il paese, dittature ed esilio compresi. Quarantacinque anni di lavoro sindacale unitario, in un sub continente dove l’atomizzazione sindacale la fa da padrona, consegna ai dirigenti uruguaiani una grande credibilità e rispetto.

La conformazione del PIT CNT è un coordinamento di sindacati, oggi 67, molto diversi tra di loro per dimensioni ed iscritti (che vanno da meno di 200 a più di 25.000 iscritti) con una assemblea costituita da 996 delegati che eleggono la Mesa Representativa (Direttivo), l’organo politico, dal quale escono i tre Coordinatori Nazionali. Essendo un coordinamento unitario racchiude tutte le tendenze della sinistra e dell’anarchismo uruguaiano, sintetizzate, in modo chiaro e indiscutibile, in tre tendenze politiche: quella progressista (Articolaciòn), di maggioranza relativa, quella comunista, minoritaria ma molto battagliera, quella che racchiude le altre tendenze minoritarie. Questa sintesi si riproduce nel Direttivo e nella “troika” del Coordinamento Nazionale.

La consuetudine congressuale è quella di trovare l’accordo sul numero di componenti del Direttivo per poi costruire compatibilità ed equilibri di rappresentanza, per presentare una unica lista di che, di fatto, viene ratificata dall’Assemblea Congressuale. L’ultima volta che questo accordo non era stato raggiunto è stato nel 1997. Situazione che si è ripetuta nel presente Congresso, nonostante i tentativi dell’ultima ora, fino alla chiusura del Congresso stesso, mettendo regole e tempi al servizio della mediazione e del dialogo tra la diverse realtà sindacali.

Le ragioni del mancato accordo, vissuto con molta delusione da tutto il corpo assembleare che dell’unitarietà e del consenso fa una ragione di identità e di tradizione, sono state essenzialmente poste dal potente sindacato COFE (Funzione Pubblica). COFE chiede una politica più dura nei confronti del governo del Frente Amplio e per tutelarsi, non accetta più di essere sotto-rappresentato nel Direttivo, visto che i numeri giocano a suo favore, mentre l’accordo di mediazione che ha caratterizzato la storia del PIT CNT, per mantenere “tutti dentro”, ha beneficiato i sindacati piccoli a scapito di quelli grandi, e la rappresentanza di area politica più che quella sindacale.

Di fatto l’area comunista è sopra-rappresentata nel Direttivo rispetto al suo peso in Assemblea Congressuale.
In conclusione, il Direttivo passa da 37 a 41 membri, e si votano le tre liste, due trasversali, di area politica (Articolaciòn e Area Comunista) ed una di categoria (settore Pubblico).

In effetti, osservando la distribuzione dei delegati tra i 67 sindacati, agli estremi, appare questa fotografia:
– 6 Sindacati insieme rappresentano > 50% dei delegati (495/996)
– 32 sindacati, insieme rappresentano 7% delegati (75/996)

Senza dubbio, questa fotografia è frutto della storia stessa del sindacalismo uruguaiano, delle sue lotte, del periodo di dittatura, di esilio e di ricostruzione di una democrazia molto ancorata con questo percorso storico, senza rotture.
Basti solo pensare che oggi il Presidente dell’Uruguay è José Mujica, ex guerrigliero, ultra settantenne, alla guida di una coalizione di sinistra che rappresenta molto, in modo speculare, la composizione del PIT CNT.

Il PIT CNT non è affiliato a nessuna organizzazione internazionale, anche questo ne determina l’originalità. Statutariamente è vietata l’affiliazione, uno spirito nazionalista e di autonomia, forse prodotto delle piccole dimensioni geografiche e demografiche del paese, a confronto con i due stati vicini, Brasile ed Argentina, maturando una identità ed una capacità di azione originale, che permette al PIT CNT di essere uno dei promotori della Coordenadora de las Centrales Sindicales del Mercosur (1986); di dialogare con le due Internazionali CSA-CSI(Confederazione Internazionale dei Sindacati) ed FSM, e di stringere alleanze e strategie regionali come pochi sindacati latinoamericani sono in grado di fare.

Nel Congresso è stato Interessante il dibattito sul rapporto tra sindacato e governo. Rapporto che viene definito come “indipendente ma non indifferente”, rimarcando indipendenza ed autonomia, ma anche la propria identità di sinistra e che tra i governi che attuano politiche neo-liberali, come sono stati i governi fino al 2005, ed il ciclo di Tabaré Vasquez e di Pepe Mujica, di questi undici anni, il sindacato di sinistra non è indifferente, e riconosce le conquiste ed i miglioramenti economici e sociali dell’intera collettività.

La “non indifferenza” si spiega con i dati del tesseramento che, dal 2005, con l’inizio dei governi progressisti, di sinistra e con il rafforzamento della democrazia (qui la dittatura è durata dal 1973 al 1985), il PIT è passato da centomila iscritti a oltre trecentomila, su una forza lavoro occupata di circa un milione e seicentomila lavoratori e lavoratrici. L’attivazione dei Consejos Salariales ed il sistema della contrattazione collettiva per categoria e comparto nazionale, che ha permesso di ridurre e fare emergere il lavoro nero, con la firma dal 2005 ad oggi di 205 accordi bilaterali e 173 accordi tripartiti. Questo impulso alla contrattazione collettiva da parte del governo del Frente Amplio, è stato oggetto di una denuncia degli Imprenditori all’OIL, sentendosi obbligati a sedersi al tavolo con i sindacati ed il governo. In una economia dove su 115.000 aziende registrate, ben 110.000 hanno meno di 20 addetti, il contratto collettivo nazionale per settore ha significato consistenti miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro per oltre il 50% della forza lavoro occupata.

I dati economici e sociali del paese sono favorevoli e l’Uruguay, timidamente, si colloca tra i paesi emergenti e non colpiti dalla crisi finanziaria; aumento del consumo del 9,4% negli ultimi dodici mesi per aumento dei salari e dell’occupazione. La disoccupazione oscilla sul 5-6%, con una maggiore vulnerabilità per donne e giovani. L’inflazione negli ultimi dodici mesi è al 7,6%. I salari hanno avuto un aumento reale del 5,3%.
Ma i problemi esistono. Nel 2010, il 53% degli occupati ha percepito un salario inferiore al $USA 500,00. Di questi il 70% vive nelle zone rurali del paese, segnalando la grande differenza tra le aree urbane e quelle rurali, a cui si deve sommare la giornata lavorativa che nelle aree rurali supera le otto ore. I giovani non qualificati o senza aver terminato la scuola secondaria superiore, sono una categoria vulnerabile; 4 su 5 giovani con meno di 25 anni, sono dentro la fascia dei “diezmilpesistas”, cioè coloro che non arrivano a 500 dollari al mese.

Il PIT CNT ha definito la sua piattaforma rivendicativa da discutere con il governo e con gli imprenditori; riduzione della settimana lavorativa a 40 ore nel settore rurale, qualificazione ed investimento educativo per ridurre la vulnerabilità e l’emarginazione sociale, la ratifica della convenzione sul lavoro domestico, la qualità del lavoro, la riforma del sistema tributario.

 

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