n° 28 – 13/07/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALE ED INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Sen. La Marca (PD) riceve una delegazione della città canadese di Vaughan a Roma.
02 – Andrea Colombo*: La scommessa persa di Giorgia Meloni – UE. L’incontro tra la candidata von der Leyen e la delegazione dei Conservatori è stato fissato per martedì prossimo ma FdI ancora non ha deciso cosa farà il 18 luglio. Il […]
03 – Mario Di Vito*: Strage di via D’Amelio, i figli di Borsellino contro Chigi e Viminale
TRENTADUE ANNI DOPO. «Sono responsabili civili per i depistaggi». Sotto accusa 4 poliziotti Tra assoluzioni e prescrizioni, torna il teorema della trattativa. Fuori dai tribunali non si fermano le polemiche incrociate sull’anniversario
04 – Alfiero Grandi*: abolire l’autonomia, il nuovo Porcellum del leghista Calderoli
05 – Riccardo Saporiti*: Clima in crisi, l’anno in cui abbiamo sforato di continuo i limiti globali sull’aumento delle temperature per evitare il peggio.
06 – Mario Pierro*: Affari d’oro per le ecomafie: allarme sul Pnrr e sulle Olimpiadi – LA DENUNCIA. Trentesimo rapporto Legambiente sull’ecomafie dedicato a Massimo Scalia: ogni ora quattro crimini ambientali, giro d’affari da quasi 9 miliardi di euro nel 2023. Crescono gli illeciti nelle filiere agroalimentari, a cominciare dal caporalato. Le proposte per debellare una delle piaghe italiane
07 – Laura Carrer*: A valle del dibattito televisivo che alcune settimane fa ha visto il presidente Biden in grave difficoltà nel sostenere le sue posizioni, uno degli scenari previsti è quello di una nuova presidenza di Donald Trump.

 

01 – La Sen. La Marca (PD) RICEVE UNA DELEGAZIONE DELLA CITTÀ CANADESE DI VAUGHAN A ROMA –
NELLA GIORNATA DI IERI, GIOVEDÌ 11 LUGLIO, LA SENATRICE LA MARCA HA ACCOLTO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI, INSIEME AI COLLEGHI DEPUTATI DI SANZO E CARÈ, UNA DELEGAZIONE DELLA CITTÀ CANADESE DI VAUGHAN GUIDATA DALLA VICESINDACA, LINDA JACKSON. OLTRE IL 30% DEI RESIDENTI DI VAUGHAN SONO DI ORIGINE ITALIANA FACENDO SI CHE LA CITTÀ OSPITI UNA DELLE PIÙ NUMEROSE COMUNITÀ DI CONNAZIONALI DI TUTTO IL CANADA. LA DELEGAZIONE DEL COMUNE ERA INOLTRE COMPOSTA DA MICHAEL GENOVA, DIRIGENTE DELL’UFFICIO COMUNICAZIONE E SVILUPPO ECONOMICO, DA RAPHAEL COSTA, DIRETTORE DELLO SVILUPPO ECONOMICO E DALLA MANAGER LINDSAY DAVIDSON, DA NATALIE MCBOYLE, ASSISTENTE ESECUTIVA DELL’UFFICIO DELLA VICESINDACA. LA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA DELL’ONTARIO ERA INVECE RAPPRESENTATA DALL’AVV. VITTORIO TURINETTI DI PRIERO, DALLA DEPUTY DIRECTOR, TIZIANA TEDESCO E DAL TRADE BUSINESS & INVESTEMENTS DEVELOPMENT MANAGER, ALESSANDRO BOSSI.
L’occasione è stata utile per rilanciare le relazioni diplomatiche tra i rappresentanti delle Istituzioni italiane e della città canadese facendo il punto sulle priorità comuni. Particolare attenzione è stata dedicata infatti dedicata al riconoscimento della cittadinanza italiana, sugli scambi commerciali e culturali e sullo sviluppo delle destinazioni turistiche.
“È stato un vero piacere aver ricevuto alla Camera dei deputati – ha commentato la Senatrice – la delegazione guidata dalla Vicesindaca Jackson. Abbiamo avuto l’opportunità di condividere gli obiettivi comuni e rilanciare le nostre relazioni diplomatiche. Ho colto, inoltre, l’occasione per rinnovare l’impegno nel portare avanti il ddl sulla riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza italiana, tematica emersa nel corso dell’incontro e molto sentita dalla Comunità di Vaughan. Un ringraziamento particolare alla mia amica, Tiziana Tedesco, Deputy Director della Camera di Commercio Italiana dell’Ontario per aver voluto organizzare un momento come questo”.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura)

 

02 – Andrea Colombo*: LA SCOMMESSA PERSA DI GIORGIA MELONI – UE. L’INCONTRO TRA LA CANDIDATA VON DER LEYEN E LA DELEGAZIONE DEI CONSERVATORI È STATO FISSATO PER MARTEDÌ PROSSIMO MA FDI ANCORA NON HA DECISO COSA FARÀ IL 18 LUGLIO. IL […]
L’incontro tra la candidata von der Leyen e la delegazione dei Conservatori è stato fissato per martedì prossimo ma FdI ancora non ha deciso cosa farà il 18 luglio.
Il voto diversificato da parte delle varie delegazioni di Ecr non sarebbe un problema: 5 anni fa il Pis polacco votò per Ursula e FdI contro.
Il problema è che il programma concordato con la vecchia maggioranza Ursula non lascerà molti spazi di manovra ai Fratelli. «Al momento non ci sono le condizioni per votare von der Leyen», ammette il capogruppo di FdI a Strasburgo.
Anche la formula per cui si vota la presidente salvo poi riprendere le distanze è diventata una via d’uscita molto stretta dopo i veti ostentati da Socialisti e Liberali e dopo l’irrigidimento sul versante opposto dei neonati Patrioti. Meloni, insomma, non sa che fare.
Vorrebbe votare per l’amica e alleata, come stabilito da mesi. Non è detto che riesca a farlo senza perdere troppo la faccia.
Ma il vero problema, per lei, è che si trova di fronte a un bivio di quelli in cui la strada giusta non c’è. Dopo aver passato due anni a dimostrarsi affidabile in Europa, a tessere relazioni strategiche con il Ppe, a vantarsi in ogni dove del ritrovato protagonismo dell’Italia votare contro la sua principale alleata, o astenersi che in sostanza è la stessa cosa, finendo fianco a fianco con i reprobi antieuropei degli altri due gruppi di destra equivarrebbe a una ammissione di fallimento.
È probabile, ma non certo, che von der Leyen le lascerà aperta una via per il rientro. I Popolari devono tener conto del condizionamento degli alleati essenziali, Socialisti, Liberali e appena in subordine i Verdi. Ma, se appena possibile, non intendono chiudere tutte le porte a destra e in ogni caso il peso specifico dell’Italia è tale da consigliare l’uso della diplomazia. In questo caso, però, la leader di Ecr e del governo italiano salverebbe in parte l’immagine ma nulla della sostanza.
La sua scommessa, quella nella quale ha investito di più nel primo anno e mezzo a palazzo Chigi, era spostare drasticamente a destra l’asse di Bruxelles, se non con un cambio di maggioranza che si profilava sin dall’inizio impossibile almeno con un sostegno esterno tanto necessario quanto condizionante.
Se il disegno si fosse realizzato, la premier italiana avrebbe svolto il ruolo di perno degli equilibri europei, senza entrare in quella formula poco significativa che è «la maggioranza europea» ma ponendosi a metà strada tra il Ppe e la destra, ruolo già dimostratosi prezioso quando si era trattato di convincere Orban a far passare gli aiuti per Kiev.
Quello spostamento a destra non c’è stato e non ci sarà. Il ruolo di canale di comunicazione tra Popolari e destra è reso impossibile dalla nascita dei Patrioti.
A ritrovarsi fortemente sbilanciata verso il centro in compenso è proprio Meloni. Non era questo il quadro che aveva in mente appena due mesi fa. Si avvicinava di più all’opposto.
*(Andrea Colombo – Editoriale. Il Manifesto)

 

03 – Mario Di Vito*: STRAGE DI VIA D’AMELIO, I FIGLI DI BORSELLINO CONTRO CHIGI E VIMINALE
TRENTADUE ANNI DOPO. «SONO RESPONSABILI CIVILI PER I DEPISTAGGI». SOTTO ACCUSA 4 POLIZIOTTI TRA ASSOLUZIONI E PRESCRIZIONI, TORNA IL TEOREMA DELLA TRATTATIVA. FUORI DAI TRIBUNALI NON SI FERMANO LE POLEMICHE INCROCIATE SULL’ANNIVERSARIO
Quattro poliziotti che rischiano di finire sotto processo per aver depistato le indagini sull’attentato in cui perse la vita Paolo Borsellino, il 19 luglio del 1992, in via Mariano D’Amelio, a Palermo. I figli del giudice che si costituiscono parte civile e citano come responsabili per il risarcimento dei danni la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno. E l’avvocato dello Stato Giuseppe La Spina che a sua volta vorrebbe costituire come parte civile la presidenza del Consiglio e il ministro della Giustizia, e come parte offesa il ministero dell’Interno.
Sono questi gli ingredienti dell’udienza preliminare andata in scena ieri a Caltanissetta, e rinviata dal gup David Salvucci al prossimo 19 settembre. L’ombra che aleggia su questo ennesimo capitolo giudiziario della stagione stragista di Cosa nostra è sempre lo stesso: la presunta commistione delle istituzioni con la mafia siciliana.
Di fatto, l’indagine contro i poliziotti Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco è la prosecuzione con altri mezzi del teorema sulla trattativa Stato-mafia, sconfessato dalla Cassazione nel 2023 dopo che, due anni prima, la corte d’Appello di Palermo aveva assolto tutti gli esponenti delle istituzioni tirati in mezzo.
IL CASO di via D’Amelio si muove su binari paralleli: i quattro poliziotti erano stati chiamati a deporre nel processo che vede imputati, sempre per depistaggio, altri tre investigatori (Mario Bò, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo), ma i loro numerosi «non ricordo» hanno portato la procura a iscriverli nel registro degli indagati per falsa testimonianza.
Nuovamente convocati dai magistrati, i quattro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e da lì si è ipotizzato il reato di depistaggio. Da notare che il processo di primo grado a Bò, Mattei e Ribaudo era finito con la prescrizione dei primi due e l’assoluzione del terzo.
Il pm di Caltanissetta Maurizio Bonaccorso, però non si era arreso: le indagini su via D’Amelio furono depistate. E non «per una banale voglia di fare carriera ma per agevolare Cosa nostra», ma per un vero e proprio «tradimento da parte degli apparati dello Stato non solo verso Borsellino ma anche verso gli agenti della scorta». Un mese fa, però, in Appello, è arrivata una nuova sconfitta: non luogo a procedere per avvenuta prescrizione. Portare alla sbarra Zerilli, Di Gangi, Maniscaldi e Tedesco è, di fatto, un modo per provare ancora una volta a riaprire la vicenda malgrado le sentenze sfavorevoli accumulate nel tempo.
«CONTINUIAMO il nostro impegno in ogni sede e in ogni ambito alla ricerca della verità. Fiducia nelle istituzioni e nella magistratura in particolare.
Questa ulteriore appendice sul depistaggio che nasce dal troncone principale costituisce una parentesi importante rispetto al coinvolgimento in quella stagione stragista, sullo sfondo, comunque, di uno scenario che sembra coinvolgere numerosi altri livelli istituzionali», ha detto ieri l’avvocato (e marito) di Lucia Borsellino, Fabio Trizzino.
Con un’ulteriore precisazione sul tentativo di coinvolgere palazzo Chigi e il Viminale: «È un passaggio tecnico, non politico». Anzi, i rapporti con l’esecutivo di Meloni sono idilliaci. «Colgo l’occasione – ha aggiunto – per ringraziare questo governo che, per primo, in sede di commissione antimafia ha dato parola ai figli del giudice Borsellino».
Da Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli si è affrettato a ricambiare la dimostrazione d’affetto: «Serve lavorare in silenzio per combattere a voce alta la mafia. Senza polemica accogliamo le parole della famiglia Borsellino, che ha ringraziato il governo e il lavoro della commissione Antimafia che ha dato per la prima volta alla famiglia la possibilità di parlare in commissione: non speculiamo su queste parole ma le accogliamo nel nostro cuore».
In tutto questo, Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, da un lato concorda sul fatto che non sia stata fatta piena luce sui fatti di via D’Amelio, da un altro definisce «una passerella» l’iniziativa organizzata dalla Fondazione Falcone con l’Aig (l’Agenzia italiana per la gioventù) proprio per il 19 luglio e da un altro ancora non risparmia critiche a Meloni e ai suoi: «Assistiamo agli attacchi che vengono portati quotidianamente dallo stesso governo all’indipendenza della magistratura».
L’AVVICINARSI dell’anniversario della strage come al solito porta con sé la sua bella dose di polemiche. Succede, ogni anno, anche a maggio, quando si ricorda il massacro di Capaci in cui a morire fu Giovanni Falcone. Se dentro ai tribunali si ammucchiano indagini su indagini e processi su processi senza risultati rilevanti, fuori la memoria continua ad essere un campo di battaglia.
*(Mario Di Vito. Cronista politico, si occupa per lo più di giustizia e ingiustizia. Ha scritto alcuni libri, l’ultimo è “La pista anarchica”, Editori Laterza)

 

04 – Alfiero grandi*: ABOLIRE L’AUTONOMIA, IL NUOVO PORCELLUM DEL LEGHISTA CALDEROLI
LA CAMPAGNA PER IL REFERENDUM PER ABROGARE LA LEGGE CALDEROLI SULL’AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA È INIZIATA. NON ERA SCONTATA LA CREAZIONE DI UNO SCHIERAMENTO POLITICO E SOCIALE COSÌ AMPIO PER QUESTO REFERENDUM.
Si vede anche dai toni rabbiosi, irridenti di chi comincia a preoccuparsi che gli elettori potrebbero cancellare una legge sbagliata che finirebbe per dividere l’Italia e danneggiare tutte le regioni, al contrario di quanto affermato dalla Lega. Chi ironizza su una foto di gruppo ampia (sono tanti i soggetti coinvolti) dimentica che l’obiettivo del referendum è cancellare una legge che non solo porterebbe l’Italia a prima dell’unità nazionale, dando vita a 20 staterelli in concorrenza tra loro nelle regole, nelle materie fondamentali (anche per le imprese) e nei rapporti con l’estero, dando vita ad una regionalizzazione non solidale, immemori di avere superato dazi e tassazioni interne all’Italia proprio per favorire lo sviluppo di tutti.
La pericolosità di questa legge è massima perché dal disegno di Calderoli non si torna indietro. Deciso il conferimento dei poteri ad alcune regioni per tornare indietro occorre l’accordo degli interessati (soprattutto dei Presidenti Zaia e Fontana, visto che Bonaccini ha capito il pericolo) altrimenti tutto resterà come deciso dal patto a due tra Regione e Governo.
È urgente bloccare la legge con i ricorsi alla Consulta delle Regioni. I rapporti di forza in parlamento non hanno reso possibile bloccarla e ora solo la maggioranza delle elettriche e degli elettori può cancellare questo obbrobrio.

L’obiettivo dei Presidenti leghisti sono i poteri e soprattutto i quattrini.

Se lo stato incasserà meno perché alcune regioni economicamente più forti si terranno più risorse, e non si faranno carico del debito pubblico di tutti, chi pagherà per loro? Se si trasferiscono poteri e soldi ad alcune regioni si dovrebbe trasferire loro anche il debito pubblico. Altrimenti Calabria e altre regioni più deboli pagheranno anche per le altre. Il Presidente Occhiuto sembra averlo capito e sta provando a bloccare questo scempio.

IL REFERENDUM ABROGATIVO OFFRE UN’OCCASIONE ANCHE A CHI SI È ACCORTO TARDI DEL PERICOLO.
Il meccanismo di definizione dei poteri, del personale, dei quattrini da trasferire alle regioni è sostanzialmente affidato dalla Calderoli ad una commissione mista tra governo e regione interessata che ha poteri istruttori (e di futuri aumenti) che daranno l’alibi al Ministro Calderoli per intimare ai Ministri, entro i rigidi e brevi tempi previsti dalla sua legge, di inviare le risposte. Senza risposte entro i tempi fissati Calderoli vuole procedere comunque a dare poteri e quattrini, dimenticando che qualunque provvedimento di spesa in Italia può essere approvato dal parlamento solo se ha il consenso del Ministro dell’Economia e riceve la “bollinatura”, cioè il via libera dagli organi di controllo dei conti pubblici.
Si formerebbe un circuito in cui due Presidenti leghisti si mettono d’accordo con il Ministro leghista che a sua volta vuole il via libera dal Ministro leghista dell’Economia, che ha accettato un meccanismo di decisione che non ha uguale nella nostra legislazione, perché il Mef non può dare un silenzio assenso in nessun caso, ma solo un consenso esplicito e certo, solo se ci sono le risorse. Giorgetti non si è opposto a questo meccanismo ma ora dovrà spiegare come pensa di uscire dal cul de sac in cui si è cacciato. Per sicurezza di tutti abroghiamo la legge.
Fratelli d’Italia ha accettato questa legge sotto l’influsso di sostanze allucinogene o per salvare il governo ad ogni costo, comunque ha contraddetto la sua (presunta) vocazione nazionale per un piatto di lenticchie.
Ora vanno raccolte le firme, occasione per spiegare le ragioni che impongono di abrogare questa legge. Ogni associazione o partito deve portare le sue motivazioni ideali, politiche, sociali, territoriali. La diversità di accenti fa bene al referendum che ha il solo obiettivo di abrogare la legge. È uno schieramento ampio, ma il cammino è solo iniziato. Anzitutto occorre convincere la Corte costituzionale ad ammetterlo, poi la maggioranza degli elettori ad andare a votare e questo sarebbe un ricostituente per la nostra democrazia.
Gli argomenti sono forti, validi, del resto solo così si può rinsaldare il ruolo dell’Italia, ma non sarà una passeggiata. L’esito non è scontato, le destre punteranno sull’astensione, noi dobbiamo conquistare al voto.
L’alternativa politica alle destre può giovarsi di questo referendum abrogativo. In passato troppe volte non ha saputo farlo. Ma un referendum non basta, occorrono un progetto e uno schieramento alternativi in grado di battere le destre.
*(Alfiero Grandi. Giornalista ex parlamentare)

 

05 – Riccardo Saporiti*: CLIMA IN CRISI, L’ANNO IN CUI ABBIAMO SFORATO DI CONTINUO I LIMITI GLOBALI SULL’AUMENTO DELLE TEMPERATURE PER EVITARE IL PEGGIO.

Gli accordi di Parigi del 2015 prevedevano il contenimento dell’aumento della temperatura entro gli 1,5 gradi. La stessa soglia che il mondo sta superando da 12 mesi consecutivi
Persone cercano refrigerio a una fontanella a causa del grande caldo a Roma
La conferma arriva dai dati di Copernicus, l’agenzia europea che utilizza i satelliti per monitorare il cambiamento del clima: giugno 2024 è stato il 12esimo mese consecutivo nel quale la temperatura media mensile ha superato gli 1,5° rispetto alla media del periodo preindustriale (1850-1900). Un dato preoccupante se si pensa che gli accordi di Parigi, firmati nel 2015, impegnavano i 194 paesi sottoscrittori a compiere ogni sforzo per contenere l’aumento delle temperature entro gli 1,5°C.
Invece è dal luglio dello scorso anno che la temperatura media mensile misurata a due metri d’altezza supera questa soglia. Wired ha riassunto l’andamento nel grafico che segue.
Il mese più calco è stato quello di dicembre dello scorso anno, quando la temperatura media mensile ha raggiunto gli 1,78°C in più rispetto al periodo preindustriale. Seguono febbraio 2024 con 1,77 e settembre e novembre 2023, con un aumento di 1,74°C. La temperatura media degli ultimi dodici mesi è conseguentemente la più alta mai rilevata, superiore di 1,64°C rispetto al periodo preindustriale e più alta di 0,76 gradi rispetto alla media del periodo 1991-2020.
Non è tutto. Se infatti la temperatura media mondiale a giugno ha superato di 1,5°C la media del periodo preindustriale, in Europa è andata peggio. Nel vecchio continente, spiegano infatti da Copernicus, giugno 2024 ha registrato una temperatura media pari a 1,57°C. E questo nonostante in molte città del nord Italia ci sia lamentati delle continue piogge e di un’estate che non arrivava.
La temperatura media della superficie marina, nella fascia compresa tra i 60 gradi di latitudine nord e i 60 di latitudine sud, è stata di 20,85°C, il valore più alto mai registrato a giugno. Ma soprattutto il 15esimo valore più alto mai registrato consecutivo.
“giugno 2024 è stato il tredicesimo mese di fila con temperature da record, il 12esimo con una media mensile superiore di 1,5°C rispetto al periodo preindustriale – ricorda Carlo Buontempo, direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S) -. Questa è molto di più di una stranezza statistica ed evidenzia un continuo cambiamento nel nostro clima. Anche se questa specifica serie di estremi finirà ad un certo punto, siamo destinati a vedere nuovi record infranti man mano che il clima continua a riscaldarsi. Questo è inevitabile, a meno che non smettiamo di aggiungere gas serra nell’atmosfera e negli oceani”.
*(Fonte: Wired. Riccardo Saporiti. giornalista freelance.)

 

06 – Mario Pierro*: AFFARI D’ORO PER LE ECOMAFIE: ALLARME SUL PNRR E SULLE OLIMPIADI
LA DENUNCIA. TRENTESIMO RAPPORTO LEGAMBIENTE SULL’ECOMAFIE DEDICATO A MASSIMO SCALIA: OGNI ORA QUATTRO CRIMINI AMBIENTALI, GIRO D’AFFARI DA QUASI 9 MILIARDI DI EURO NEL 2023. CRESCONO GLI ILLECITI NELLE FILIERE AGROALIMENTARI, A COMINCIARE DAL CAPORALATO. LE PROPOSTE PER DEBELLARE UNA DELLE PIAGHE ITALIANE
Aumento dei reati i penali nel ciclo dei rifiuti, crescita dell’aggressione al patrimonio culturale e degli illeciti nelle filiere agroalimentari, a cominciare dal caporalato. Si chiama ecomafia. In un anno ha realizzato un «fatturato» da 8,8 miliardi di euro. Solo nel 2023 i suoi reati sono aumentati del 15,6 %, quattro ogni ora. Questo è il quadro emerso dal rapporto Ecomafie 2024 presentato ieri a Roma da Legambiente. È la trentesima ricerca, pubblicata dalle edizioni Ambiente. È stata dedicata a Massimo Scalia tra i fondatori di Legambiente, presidente delle prime due Commissioni parlamentari d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
I problemi si sono concentrati soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove sono stati registrati il 43,5% dei reati, +3,8% rispetto al 2022. Tra le regioni del Nord la Lombardia è sempre prima. A livello provinciale, Napoli torna al primo posto, a quota con 1.494 reati, seguita da Avellino (in forte crescita con 1.203 reati, pari al +72,9%) e Bari. Roma scende al quarto posto, con 867 illeciti penali, seguita da Salerno, Palermo, Foggia e Cosenza. La prima provincia del Nord è quella di Venezia, con 662 reati, che si colloca al nono posto ed entra nella classifica delle prime venti province per illegalità ambientale.
Legambiente ha chiesto al governo Meloni un impegno serio nel contrasto a questo colossale business. Lo ha fatto insieme a Goletta Verde che monitora ogni estate lo stato di salute di mare e coste. Al suo ultimo giorno di tappa nel Lazio, Goletta Verde ha esposto durante la navigazione lungo le coste lo striscione «No ecomostri, No ecomafie».
Quindici sono le proposte tra le quali c’è la richiesta di approvare i decreti attuativi del Sistema nazionale di protezione ambientale e potenziare gli organici delle Agenzie regionali che dovrebbero garantire i controlli sui miliardi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e sui lavori previsti per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Si chiede inoltre di recepire la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente approvata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024. Il provvedimento introduce nuovi reati rispetto a quelli già previsti dal Codice penale italiano. Andrebbero inoltre introdotti i delitti contro le agromafie, quelli contro gli animali. Si pensa di inasprire le sanzioni contro i reati compiuti nel ciclo dei rifiuti e di restituire ai prefetti pieni poteri per la demolizione degli immobili che i Comuni non hanno abbattuto, a partire dall’ultimo condono edilizio.
Alla richiesta di Legambiente di rivedere il codice degli appalti il presidente della commissione ecomafie Jacopo Morrone (Lega) ha risposto che «tutto è perfettibile e ci si può confrontare». Sul «Salva casa», provvedimento caro alla Lega e definito «condono mascherato» da Legambiente, Morrone ha ribadito che introduce semplificazioni e non condoni. Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia ha detto che sui contratti pubblici «non bisogna abbassare la guardia, dobbiamo introdurre trasparenza attraverso la digitalizzazione per evitare che si compiano i crimini». Per la direttrice generale dell’Ispra Maria Siclari «le competenze specialistiche e i controlli sono fondamentali». A questo scopo è stato detto che ai mille ispettori se ne aggiungeranno altri dopo che il governo ha approvato il regolamento. Dopo otto anni di attesa.

 

07 – Laura Carrer*: A VALLE DEL DIBATTITO TELEVISIVO CHE ALCUNE SETTIMANE FA HA VISTO IL PRESIDENTE BIDEN IN GRAVE DIFFICOLTÀ NEL SOSTENERE LE SUE POSIZIONI, UNO DEGLI SCENARI PREVISTI È QUELLO DI UNA NUOVA PRESIDENZA DI DONALD TRUMP.

QUATTRO ANNI IN CUI, COME RACCONTA LA TESTATA THE SEMAFOR, LA CRESCITA TECNOLOGICA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NON PREVEDE DI FERMARSI.
Il percorso indicato dal presidente uscente Biden è stato infatti di collaborazione con le aziende nazionali e internazionali, ma la tendenza di Trump potrebbe essere quella di una maggiore deregolamentazione. L’ex membro del consiglio di amministrazione di OpenAi Helen Toner lo dice chiaramente al giornale: “è difficile immaginare che le iniziative multilaterali che ci sono state negli ultimi anni (G7 Hiroshima o Safety Summit dell’Onu, ndr) continueranno ad avere una forte partecipazione degli Stati Uniti sotto Trump”.
I prossimi quattro anni, a differenza di quelli passati sotto la presidenza Biden, sono previsti da molti come un periodo di transizione in cui l’intelligenza artificiale acquisirà capacità necessarie a sostituire in molti ruoli gli esseri umani. In generale, il dibattito degli addetti ai lavori del settore è diviso in due: chi crede che arriverà un’intelligenza artificiale generale (che non è ancora chiaro a molti cosa sia realmente) tende ad essere più preoccupato per una presidenza Trump. Chi invece crede che i grossi cambiamenti nella tecnologia avverranno tra un po’ di tempo, (anche qui, indefinito), è potenzialmente più propenso a sostenere la filosofia trumpiana “America First”.
Un investitore della Silicon Valley intervistato da The Semafor ha dichiarato al giornale che la previsione di come si potrebbe muovere Trump una volta eletto è semplice: un presidente che ha fatto molto poco per sostenere le persone durante la pandemia di Covid-19. A meno di togliere l’operazione Warp Speed, con la quale sono stati prodotti vaccini in tempi record. Con l’AI farebbe lo stesso.
Secondo Stefan Weitz, ex di Microsoft e co-fondatore di HumanX, per un’azienda è funzionale pensare a entrambi gli scenari possibili. Kevin Samy, portavoce di Gladstone AI ha paventato anche un’altra direzione, che contempla lo sviluppo del settore nucleare entro la fine del decennio. Uno dei motivi per cui i prossimi quattro anni sono centrali è anche la questione energetica che aleggia intorno alle intelligenze artificiali. Per alimentare i data center sono infatti necessarie grandi quantità di energia, che l’Agenzia internazionale dell’energia ha quantificato nell’1% della domanda di elettricità globale attuale.
Da un punto di vista geopolitico il dilemma per gli Stati Uniti sta nel trovare un modo per aumentare rapidamente la produzione energetica nazionale oppure nel consentire la costruzione di questi enormi data center in paesi più ricchi di energia. Mentre gli Usa si apprestano a decidere quale strada intraprendere, la Cina potrebbe superare a destra producendo energia per i suoi data center. Una presidenza Trump potrebbe tenere testa alla gara tra Cina e Stati Uniti poiché il bacino di elettori dell’imprenditore è molto meno preoccupato dell’impatto ambientale dei data center.
*(Laura Carrer, giornalista freelance e ricercatrice. Scrive di sorveglianza di stato, tecnologia all’intersezione con i diritti umani, piattaforme tecnologiche e spazio urbano su IrpiMedia, Wired, Il Post, Il Manifesto e altri.)

 

 

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