n° 26 – 29/06/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALE ED INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

00 – Sen. La Marca* (PD) partecipa all’annuale Assemblea Plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero a Roma
01 – Luca Celada*, Los Angeles: a PROPOSITO di DEMOCRAZIA. Tende alla Columbia, accuse archiviate. L’ateneo si vendica
02 – Marinella Correggia*: media internazionali: «Satnam Singh gettato come spazzatura»
LAVORO NERO. Siti e quotidiani dall’India alle Americhe hanno raccontato la terribile vicenda: «La sua morte è un sintomo dell’abuso sistematico nel settore agricolo italiano che conta molto su braccianti senza documenti»
03 – Giuliano Santoro*: La destra produce mostri: fino a sette anni per chi lotta per il diritto all’abitare – REPRESSIONE. In commissione giustizia è scontro sul ddl sicurezza: si comincia dai movimenti per la casa. Il provvedimento potrebbe andare in aula già dalla prossima settimana.
04 – Mariangela Mianiti*: L’uovo di Gennaro Sangiuliano – HABEMUS CORPUS. Così parlò il ministro della cultura negli stessi giorni in cui poco più di mezzo milione di studenti stanno sostenendo gli esami di maturità. Davvero un luminoso esempio di rigore storico scientifico.
05 – Decreti legge, Meloni supera Draghi (*). Governo e parlamento. Tra maggio e giugno il governo meloni è tornato a fare ampio ricorso alla decretazione d’urgenza. In aumento anche il numero di atti “omnibus”, potere politico
06 – I cambi di gruppo alla vigilia delle elezioni europee. Dalle elezioni politiche a oggi i cambi di gruppo sono stati 45. Un numero alto anche se molto inferiore a quello registrato nella scorsa legislatura. Tuttavia è presto per una valutazione definitiva, d’altronde da questo punto di vista le cose possono mutare rapidamente. (*)
07 – Quante e quali sono le procedure di infrazione a carico dell’Italia. La commissione europea ha recentemente raccomandato l’apertura di una procedura di infrazione a carico dell’Italia per deficit eccessivo. In generale però il numero di procedure a carico del nostro paese risulta in diminuzione. (*)
08 – Vitalba Azzollini *: Elezione diretta del premier: una riforma che non garantisce alcuna stabilità.

 

 

00 – Sen. La Marca* (PD) PARTECIPA ALL’ANNUALE ASSEMBLEA PLENARIA DEL CONSIGLIO GENERALE DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO A ROMA

Nel corso dell’annuale Assemblea Plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, tenutasi dal 17 al 21 giugno presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale a Roma, sono state affrontate un numero di questioni all’ordine del giorno – promozione della lingua e cultura italiana all’estero, servizi consolari, finanziamento agli Enti gestori, riforma della Legge istitutiva dei Comites ed altre ancora.
L’intervento della Senatrice, prima di toccare i diversi punti all’ordine del giorno, si è aperto con un ricordo commosso dell’ex Segretario generale del CGIE, Michele Schiavone, recentemente scomparso, al quale si è unita tutta l’Assemblea con un momento di raccoglimento.
“È un piacere essere qui oggi – ha esordito la Senatrice – per un’assemblea plenaria che rilancerà le attività del CGIE. Un augurio sincero di buon lavoro alla neoeletta Segretaria generale, Maria Chiara Prodi, e a tutto il Consiglio direttivo che l’affiancherà alla guida in questo mandato”.
Dopo aver ascoltato gli interventi dei Vicesegretari Generali, dei Presidenti delle Commissioni tematiche e dei coordinatori dei gruppi di lavoro, la Senatrice è intervenuta toccando alcuni dei punti sollevati. La Senatrice ha aggiornato l’Assemblea sullo stato dell’arte del suo DDL sul riacquisto della cittadinanza e delle difficoltà riscontrate nella 1ª Commissione a causa dei DDL “Premierato” è Autonomia Differenziata”.
Circa la situazione degli Enti gestori, la Senatrice ha sottolineato la necessità di modificare la circolare 4 del 2020 che sta mettendo in difficoltà tanti enti gestori nel mondo, soprattutto il “Picai”, ente storico del Québec che opera sul territorio da oltre 55 anni.
Per quanto riguarda i servizi consolari, La Marca ha ricordato la sua più recente interrogazione nella quale si evidenzia la situazione critica in cui versano diverse sedi consolari in Nord e Centro America e ha ribadito la necessità di aumentare il personale di ruolo. Contestualmente ha auspicato, rinnovando un appello alla DGIT, la nomina di un maggior numero di Consoli onorari nel mondo che sarebbero praticamente a costo zero per lo Stato e che andrebbero ad affrontare la grande mole di lavoro a cui devono far fronte le sedi diplomatiche.
La Senatrice si è poi complimentata con il Direttore Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie, Luigi Vignali, per l’impegno profuso e per il risultato ragguardevole di avere attivato il servizio di rilascio delle Carte di identità elettroniche in 170 Paesi nel mondo, comprese un cospicuo numero di sedi consolari in Nord e Centro America.
Commentando l’affluenza al voto alle ultime elezioni europee da parte dei connazionali residenti all’estero e ricordando alla platea le sue due interrogazioni che sollecitano il Governo ad estendere il diritto di voto ai connazionali residenti fuori dall’Unione Europea, La Marca ha poi affermato che l’estensione del diritto di voto ai connazionali residenti in Paesi extra UE aumenterebbe la partecipazione democratica.
“Il miglioramento dei servizi consolari, la riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza, l’aumento del personale e la nomina dei Consoli onorari per far fronte alle tantissime richieste che arrivano ai nostri Consolati sono solo alcune delle battaglie che sto portando avanti in questa Legislatura e sulle quali auspico il vostro supporto. Mi auguro – ha concluso la Senatrice – che si possa lavorare bene insieme nei tanti dossier all’ordine del giorno di quest’assemblea e vi rinnovo quindi la mia totale disponibilità a portare avanti le iniziative di interesse comune”.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura)

 

01 – Luca Celada*, LOS ANGELES: A PROPOSITO DI DENOCRAZIA. TENDE ALLA COLUMBIA, ACCUSE ARCHIVIATE. L’ATENEO SI VENDICA – STATI UNITI. LA PROCURA CHIUDE IL CASO CONTRO GLI STUDENTI, MA LAUREA NEGATA. LE CERIMONIE DIVENTANO NUOVO TEATRO DELLA PROTESTA. SI DIMETTE UN ALTRO FUNZIONARIO DELLA CASA BIANCA. LE RETI EBRAICHE SFIDANO L’AIPAC
La procura di Manhattan ha archiviato le denunce nei confronti di 31 dei 46 studenti imputati nell’occupazione dei Hamilton Hall, l’edifico dell’amministrazione di Columbia University. L’ateneo di New York è stato uno dei punti focali della protesta studentesca contro il massacro in Palestina che dura da otto mesi.

I CAMPUS americani sono ormai perlopiù chiusi, i corsi terminati e gli studenti tornati a casa per la pausa estiva. Anche le ultime cerimonie di laurea hanno avuto luogo col loro rituale di aulici discorsi, toghe e cappelli lanciati al vento e quest’anno anche molto di più.
I commencement, così si chiamano le cerimonie di consegna del titolo, sono state invariabilmente segnate dalla contestazione, a cominciare dall’ateneo simbolo di Harvard dove il mese scorso la cerimonia è stata segnata dal boicottaggio degli studenti. Centinaia di giovani e docenti solidali hanno voltato le spalle durante il discorso del rettore Alan Garber e hanno abbandonato l’evento per protestare contro la sospensione di tredici studenti che avevano partecipato all’accampamento contro la strage.
Agli studenti sospesi, l’università ha negato la laurea. Garber è rettore ad interim, nominato sostituto di Claudine Gay, in precedenza radiata dopo essere stata convocata dalla commissione parlamentare per l’antisemitismo costituita da parlamentari filo israeliani.
La scena si è ripetuta analoga la scorsa settimana in California, a Stanford e prima alla Columbia di New York per citare solo alcune delle università più rinomate del paese, dove la generazione destinata a produrre molti dei ceti dirigenti di domani ha impedito che l’orrore palestinese fosse rimosso dall’attuale classe politica che sostiene la carneficina. A Ucla la distribuzione delle lauree è stata interrotta dagli studenti che hanno esibito bandiere palestinesi e alzato mani tinte di rosso sangue, chiedendo l’amnistia per i compagni arrestati nelle violente repressioni di polizia avvenute a Los Angeles, Berkeley, Irvine e altri campus della California.

CON L’ANNO accademico concluso, il movimento per il disinvestimento delle università dal complesso militare finanziario che sostiene Israele, ha in parte riorientato l’attivismo su obiettivi politici, quali il contrasto della lobby filoisraeliana Aipac che perora la causa israeliana con pressioni e lauti finanziamenti bipartisan a parlamentari Usa. In particolare formazioni pacifiste ebraiche come Jewish Voice of Peace e IfNotNow, parte integrante del movimento studentesco, hanno preso ad affrontare direttamente i politici che accettano contributi AIpac e chiedergliene conto in video sui social.
Il diffuso disagio politico per il sostegno americano alla pulizia etnica in corso perdura insomma anche dopo la conclusione dell’anno accademico. Ieri un altro alto funzionario del dipartimento di stato ha annunciato le dimissioni. Andrew Miller, sottosegretario del ministero degli esteri ha aggiunto il proprio nome alla lista di diplomatici statunitensi che hanno lasciato il posto da quando sono iniziate le operazioni militari a Gaza, tra questi Josh Paul, direttore dell’ufficio affari politici e militari, e il maggiore Harrison Mann della Defense Intelligence Agency.
Il mese scorso Lily Greenberg, assistente al capo di gabinetto del ministero degli interni, si era aggiunta alla lista di funzionari dissenzienti dell’amministrazione Biden, molti ebrei, espressione del crescente disagio di diplomatici formati nella dottrina dei due stati, che ora vi trovano ad abilitare il governo di ultradestra di Israele che Biden riesce solo formalmente a criticare.

LA SENATRICE Elisabeth Warren, intanto, è divenuta l’ultima esponente progressista ad annunciare che non presenzierà al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso, previsto per il 24 luglio, un intervento, quello del leader incriminato dalla Corte penale per presunti crimini di guerra, che rischia di essere anche un contributo elettorale a Donald Trump. Il partito repubblicano sostiene compattamente Israele, mentre i democratici sulla questione sono sempre più divisi.
*(Luca Celada, giornalista e documentarista, è stato per oltre vent’anni corrispondente della Rai da Los Angeles occupandosi di attualità, tematiche sociali, immigrazione, con fine messicano, afroamericani, a partire dalle rivolte di Los Angeles nel 1992)

 

02 – Marinella Correggia*: MEDIA INTERNAZIONALI: «SATNAM SINGH GETTATO COME SPAZZATURA» LAVORO NERO. SITI E QUOTIDIANI DALL’INDIA ALLE AMERICHE HANNO RACCONTATO LA TERRIBILE VICENDA: «LA SUA MORTE È UN SINTOMO DELL’ABUSO SISTEMATICO NEL SETTORE AGRICOLO ITALIANO CHE CONTA MOLTO SU BRACCIANTI SENZA DOCUMENTI»
Il mondo ci guarda di nuovo, a quasi due anni dall’omicidio di Alika Ogorchukwu, ambulante nigeriano disabile, a Civitanova Marche. Se allora l’evento aveva avuto risonanza internazionale soprattutto per l’ignavia dimostrata dai presenti nei 4 minuti dell’aggressione mortale, stavolta nella tragedia di Satnam Singh a Borgo Santa Maria quel che colpisce, come sintetizza Worldcrunch.com, «non è tanto l’incidente sul lavoro accaduto a un migrante senza documenti, una tragedia quotidiana, ma l’abisso di disumanità che la vicenda rivela».

I MEDIA INDIANI, TIMES OF INDIA, THE HINDU, HINDUSTAN TIMES, INDIAN EXPRESS, INDIA TODAY, così come tanti siti e le tivù, hanno dato fin da subito la notizia, tornando poi a riferire della morte del bracciante, originario del Punjab. «Gettato via come spazzatura» (dumped like rubbish), «il braccio amputato in una cassetta», «abbandonato per strada anziché portato in ospedale», «lasciato senza aiuto medico», «come un film dell’orrore, riferisce il sindacato italiano Cgil», sono le frasi ricorrenti, insieme alla foto del giovane. Si riporta anche l’«indignazione» delle forze sindacali e politiche e lo «shock generale» suscitato in Italia dalla vicenda.

DUE MORTI E NOVE FERITI, LA SCIA DI SANGUE DEL LAVORO INSICURO
SUL SITO THE WIRE, PUBBLICATO IN INGLESE, HINDI, URDU E MARATI, il sociologo Marco Revelli chiede come sia possibile che gli «schiavi dell’epoca moderna» (230mila illegali nei campi) diventino visibili solo quando muoiono (che si feriscano non basta); che molto sfugga agli ispettori del lavoro; che il caporalato continui quasi indisturbato. Tribune.com del Pakistan dà notizia delle manifestazioni organizzate dai sindacati e dalla comunità indiana di Latina. Anche a Singapore arriva la notizia, che Straitstimes.com accompagna con quella della morte, pochi giorni fa in Kuwait, di 45 operai indiani (su un totale di 49 persone) nell’incendio della loro abitazione. Tutto il mondo è paese. Due eventi sui quali riferisce anche il sito Gulfnews.com degli Emirati arabi uniti.
Sul sistema di sfruttamento e sul lavoro nero dei braccianti stranieri privi di contratto e di documenti, nell’Agro pontino e non solo, si sofferma il sito specialistico InfoMigrants.com, collaborazione fra media di diversi paesi europei. E ne parlano naturalmente tutti i media internazionali, da Reuters a Cnn, da Bbc al Guardian. Il Financial Times scrive: «Secondo gli attivisti e i sindacati, la morte del lavoratore è un sintomo dell’abuso sistematico nel settore agricolo italiano che conta molto su braccianti senza documenti per far fronte a un’acuta mancanza di manodopera».
La notizia e la foto di Satnam sono onnipresenti anche su agenzie e media in lingua spagnola e francese. E c’è chi riporta un servizio dell’Agence France Presse del 2021 sui «lavoratori agricoli indiani sfruttati in Italia», con la storia estrema di Balbir Singh, un altro indiano del Punjab: per sei anni ha vissuto da prigioniero presso un’azienda zootecnica, lavorando 12 ore al giorno per 150 euro al mese, dormendo in una roulotte senza acqua né elettricità, mangiando scarti. Liberato, ha visto finalmente condannare i suoi «datori di lavoro».
In America latina, media locali riprendono la vicenda da agenzie come la spagnola Efe. L’argentino Diarionorte.com sottolinea come la vittima non avesse contratti né garanzie; il colombiano ElEspectador.com precisa che «in Italia nel 2011 è stata approvata una legge che commina multe e carcere in caso di sfruttamento di lavoratori migranti assoldati come manodopera a buon mercato con l’intermediazione di ’capataces’ che tengono per sé una parte del salario. Ma il sistema continua». «Si esproprino i terreni di quell’imprenditore e vengano affidati ai lavoratori», è il commento di un lettore a uno degli articoli online.
*(Marinella Correggia – è giornalista, scrittrice e attivista. Ha scritto “La rivoluzione dei dettagli” (Feltrinelli).

 

03 – Giuliano Santoro*: LA DESTRA PRODUCE MOSTRI: FINO A SETTE ANNI PER CHI LOTTA PER IL DIRITTO ALL’ABITARE- REPRESSIONE. IN COMMISSIONE GIUSTIZIA È SCONTRO SUL DDL SICUREZZA: SI COMINCIA DAI MOVIMENTI PER LA CASA. IL PROVVEDIMENTO POTREBBE ANDARE IN AULA GIÀ DALLA PROSSIMA SETTIMANA.
Il ddl sicurezza è il catalogo delle misure repressive della destra al governo. Il testo era stato presentato a novembre ed è attualmente in discussione in commissione giustizia alla Camera. La maggioranza punta ad andare in aula già dalla prossima settimana, relatrice Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia. Presa dalla sindrome ossessiva Pan penalistica, la destra ha aggiunto temi di settimana in settimana con l’ansia di inseguire le emergenze che si sono succedute. Adesso deve ancora sciogliere alcuni nodi, come la castrazione chimica per gli stupratori o l’obbligo di prediche in italiano nelle moschee, mentre pare destinata ad avere il via libera la stretta sulla cannabis light contenuta in un emendamento del governo.
Nel frattempo, in commissione si discute di occupazioni di case. Del resto, sono anni che per pigrizia giornalistica o pura malafede la grancassa dei media mainstream associa queste pratiche collettive agli abusi individuali di chi sottrae con l’intimidazione una casa al legittimo assegnatario. Ecco allora che la sicurezza targata Meloni interviene come una mannaia. L’articolo 8 modifica il codice penale in forme preoccupanti che disegnano un accanimento contro chi si mobilita per il diritto alla casa già denunciato nei mesi scorsi dal relatore Onu che si occupa di questi temi.
Gli attivisti potranno essere perseguiti con pene che vanno dai due ai sette anni. «Vogliono imbavagliare le lotte e la solidarietà» dice la la segretaria di Unione inquilini Silvia Paoluzzi. Dal sindacato sottolineano che nel decreto cosiddetto «Salva casa» del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini (che ha anche la delega alle politiche abitative) non c’è nulla a sostegno dei precari della casa, né alcuna misura che interviene sulla povertà dilagante. Al contrario, in questo ddl c’è «tutto il disprezzo per i poveri». Il giro di vite pare pensato apposta per colpire le forme di lotta storiche dei movimenti per il diritto all’abitare: potrà colpire chi occupa immobili sfitti e chi decide di organizzare un picchetto anti-sfratto per tutelare un inquilino in difficoltà: verrebbe colpita la forma più immediata ed elementare di solidarietà reciproca che si sviluppa da sempre tra inquilini. «Vorremmo sapere – chiede Paoluzzi – chi risarcisce le famiglie, utilmente collocate nelle graduatorie e che rimangono, spesso per tutta la vita, senza una risposta? Chi viene chiamato in causa per le decine di migliaia di case popolari vuote e non assegnati? Quali sanzioni vengono inflitte, come invece avviene in altri paesi europei, a chi lascia il patrimonio (sia pubblico che privato) vuoto, spesso abbandonandolo al degrado? L’ossessione delle destre è la guerra ai poveri e a chi si batte per i diritti, soprattutto i diritti sociali e i diritti umani».
Il M5S ha presentato un emendamento, bocciato, per abrogare le norme anti-rave con le quali ha debuttato l’esecutivo. «Affrontare la questione abitativa in maniera meramente repressiva è un errore palese che non porta ad alcun risultato – afferma dai 5 Stelle Enrica Alifano – quello che manca e che il governo non mette sono le risorse. Ci sono centinaia di migliaia di famiglie che hanno bisogno di una casa, ci sono molti immobili vuoti ma servono fondi pubblici per metterli a disposizione di chi ne ha bisogno».
Per il capogruppo di Avs in commissione giustizia Devis Dori «La febbre securitaria della destra produce mostri». Dori concentra la sua critica all’estensione incontrollata del cosiddetto «Daspo urbano». Si tratta del provvedimento amministrativo che inizialmente era stato pensato per gli ultras delle curve calcistiche e che poi (nel 2017, col governo Gentiloni, quando ministro dell’interno era Marco Minniti) in nome della difesa del «decoro» e anche qui sulla scia emotiva di singoli casi di cronaca era stato esteso anche alle politiche della sicurezza più in generale: ne hanno fatto le spese qualche settimana fa alcuni attivisti bolognesi. «Basta una denuncia negli ultimi cinque anni per alcuni reati, anche contro il patrimonio, per poter essere sottoposto al Daspo del Questore, con la limitazione di diritti costituzionali – denuncia Dori – Non bisogna neanche aspettare una sentenza non definitiva. Eccoli qui i garantisti che abrogano l’abuso d’ufficio. La polizia si sostituisce alla magistratura». Critiche anche dal Partito democratico: il capogruppo in commissione Federico Gianassi parla di «norme pericolose che criminalizzano il dissenso».
*(Giuliano Santoro – Comunista tendenza Joe Strummer, è arrivato al manifesto occupandosi di politica al tempo della crisi della rappresentanza. Ha scritto qualche libro. Senza barbecue non è la sua rivoluzione)

 

04 – Mariangela Mianiti*: L’uovo di Gennaro Sangiuliano – HABEMUS CORPUS. COSÌ PARLÒ IL MINISTRO DELLA CULTURA NEGLI STESSI GIORNI IN CUI POCO PIÙ DI MEZZO MILIONE DI STUDENTI STANNO SOSTENENDO GLI ESAMI DI MATURITÀ. DAVVERO UN LUMINOSO ESEMPIO DI RIGORE STORICO SCIENTIFICO.

«Colombo va davanti alla Santa Inquisizione e spiega il suo progetto. Colombo, come sapete, non ipotizzava di scoprire un nuovo continente. Colombo voleva circumnavigare la terra sulla base delle teorie di Galileo Galilei». Così parlò il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano negli stessi giorni in cui poco più di mezzo milione di studenti stanno sostenendo gli esami di maturità. Davvero un luminoso esempio di rigore storico scientifico. Piccolo riassunto di date. Cristoforo Colombo nasce a Genova nel 1451 e scopre l’America, che lui credeva le Indie, nel 1492. Galileo Galilei nasce a Pisa nel 1564. Esercizio di matematica da scuola elementare. «Bambini, viene prima il 1564 o il 1492?» «Il 1492, maestra». «Bravi. E quanto fa 1564 meno 1492?». «72, maestra»
«Quindi, se Colombo scopre l’America nel 1492 e Galileo Galilei nasce nel 1564, quanti anni ha Galilei quando Colombo scopre l’America?». «Nessuno maestra. Doveva ancora nascere». Che facciamo con il nostro ineffabile ministro della cultura? Lo rimandiamo in classe con i bambini delle elementari? Lo obblighiamo a guardare tutti i giorni i programmi di RaiStoria o RaiScuola? Lo invitiamo ad astenersi da ora in poi dal tenere discorsi o lezioni o spiegoni? Gli chiediamo gentilmente di lasciare il posto a qualcuno meno traballante in storia e geografia memori anche della confusione che fece, circa due mesi fa, fra Trafalgar e Times Square?

ABBIAMO il serpeggiante sospetto che il ministro che dovrebbe rappresentare e promuovere la cultura italiana pratichi con impegno lo sport del pressapochismo. Una data vale l’altra, i libri si possono votare anche se non si sono letti (Premio Strega 2023), le piazze delle città sono più o meno tutte uguali, le tesi scientifiche sono spalmabili sui secoli come burro sul pane. Non pretendiamo che questo governo imiti, che so, l’esempio della Francia di quando aveva ministri della cultura quali lo scrittore André Malraux o l’istrionico Jack Lang. Ci rendiamo conto che per scegliere, e trovare, certe personalità servono storia, idee e un progetto politico di ampio respiro. Però un ministro è anche un simbolo, un esempio, una figura pubblica che non dovrebbe, come minimo, citare a sproposito. Sennò che cosa diciamo ai nostri figli? Che studiare «più o meno» ti può far diventare ministro mentre se pensi prima di parlare diventerai un emigrante culturale?

CI SONO tuttavia dei momenti in cui Sangiuliano mi sembra così «à cöté de la plaque» (espressione francese che significa ragionare a vanvera, essere fuori contesto) che mi fa quasi tenerezza. In virtù di questo preoccupante sentimento accudente, e anche per restare in tema con le sue citazioni, mi verrebbe da consigliargli la lettura de L’uovo di Colombo, testo edito da Vallardi, scritto da un’insegnante che si firma con lo pseudonimo Isabella Milani e dedicato sia agli studenti che ai docenti. È un manuale che propone un metodo per imparare ribaltando il tradizionale Risposte, Definizione, Domande in Definizione, Domande, Risposte. Il Metodo di Milani si fonda su cinque prerequisiti. 1) Il concetto di metodo che parte dall’ esplorare la storia di una parola e di un concetto; 2) che cosa significa «capire bene»; 3) che cosa significa «conoscere»; 4) organizzare le conoscenze; 5) le domande e i dubbi sono più importanti delle risposte.
Aspettiamo il giorno in cui il nostro intrepido ministro sarà preso dall’improvviso desiderio di citare un altro celebre fisico, Newton. Sappia che si chiamava Isaac. Se gli viene da dire Helmut, lasci perdere, quello era un fotografo.
*(Mariangela Mianiti, Giornalista professionista, free lance, story teller, scrittrice, Ghostwriter. Attualmente scrivo per Vanity Fair e il Manifesto)

 

05 – Decreti legge, Meloni supera Draghi (*). Governo e parlamento. TRA MAGGIO E GIUGNO IL GOVERNO MELONI È TORNATO A FARE AMPIO RICORSO ALLA DECRETAZIONE D’URGENZA. IN AUMENTO ANCHE IL NUMERO DI ATTI “OMNIBUS”. POTERE POLITICO

IL GOVERNO MELONI HA EMANATO 10 NUOVI DECRETI LEGGE NEGLI ULTIMI DUE MESI.
CON LE ULTIME PUBBLICAZIONI L’ESECUTIVO IN CARICA HA SUPERATO IL GOVERNO DRAGHI DIVENTANDO IL SECONDO PER NUMERO DI DL PRODOTTI NELLE ULTIME LEGISLATURE.
IL GOVERNO MELONI È PRIMO SE SI CONSIDERA IL NUMERO MEDIO DI DECRETI PUBBLICATI AL MESE (3,34).
DALL’INSEDIAMENTO DEL GOVERNO MELONI SONO 27 I DECRETI LEGGE OMNIBUS PRODOTTI. DI QUESTI, 5 SONO STATI EMANATI NEGLI ULTIMI 2 MESI.

Dopo una prima parte dell’anno in cui il governo Meloni sembrava aver limitato la propria tendenza a ricorrere alla decretazione d’urgenza rispetto a quanto visto nel 2022 e nel 2023, a maggio e giugno abbiamo assistito a una nuova inversione di rotta. In meno di 60 giorni infatti l’attuale esecutivo ha emanato ben 10 nuovi decreti legge.
Anche nel caso di queste norme, non sempre si è trattato di affrontare situazioni di necessità e urgenza come prevedrebbe il dettato costituzionale. Come noto infatti sempre più spesso i governi nelle ultime legislature hanno fatto affidamento ai decreti legge per dare più rapida attuazione alla propria iniziativa politica. Una dinamica che contraddistingue in maniera importante anche il governo Meloni. Sono passate attraverso decreti legge (Dl) ad esempio anche misure riguardanti la costruzione del ponte sullo stretto di Messina o l’attuazione del cosiddetto Piano Mattei.

68 I DECRETI LEGGE EMANATI DAL GOVERNO MELONI DAL SUO INSEDIAMENTO.
Tale dinamica ha poi un ulteriore corollario. Quello cioè della sempre più frequente emanazione dei cosiddetti “decreti omnibus”. Ovvero atti che affrontano una pluralità di temi anche molto eterogenei tra loro. Un’altra prassi contraria a quanto previsto dalla carta in tema di decreti legge. Anche da questo punto di vista negli ultimi mesi si è registrata un’ulteriore impennata.

I NUOVI DECRETI LEGGE DEL GOVERNO MELONI E IL CONFRONTO CON I SUOI PRECEDESSORI
Come già anticipato nell’introduzione, sono ben 8 i decreti legge pubblicati dal governo tra maggio e giugno. A questi poi se ne aggiungono altri 2 deliberati nel consiglio dei ministri del 24 giugno ma non ancora entrati in vigore. Tra i temi principali affrontati con questi atti troviamo:

-NORME IN MATERIA DI POLITICHE DI COESIONE (DL 60/2024);
-ATTIVITÀ SINDACALE NELLE FORZE ARMATE E PARTECIPAZIONE A INIZIATIVE NATO (DL 61/2024);
-INTERVENTI A FAVORE DI IMPRESE AGRICOLE E ITTICHE (DL 63/2024);
-SEMPLIFICAZIONI IN TEMA DI EDILIZIA E URBANISTICA (DL 69/2024, COSIDDETTO DECRETO SALVA CASA);
-INTERVENTI IN MATERIA DI SPORT, SCUOLA E UNIVERSITÀ (DL 71/2024);
-MISURE PER POTENZIARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E RIDURRE COSÌ LE LISTE D’ATTESA (DL 73/2024);
-MISURE PER LA REALIZZAZIONE DI GRANDI EVENTI, PER LA RICOSTRUZIONE POST-EVENTI CATASTROFICI E PER L’ATTIVITÀ -DELLA PROTEZIONE CIVILE (DL 76/2024);
-DISPOSIZIONI RIGUARDANTI LE MATERIE PRIME CRITICHE (DL 85/2024);
-MISURE PER FRONTEGGIARE LA SITUAZIONE DEI CAMPI FLEGREI;
-INTERVENTI RIGUARDANTI LE INFRASTRUTTURE, IL PROCESSO PENALE E LO SPORT.

Da notare che nessuno di questi decreti è ancora stato convertito in legge dal parlamento, che quindi probabilmente sarà costretto a un autentico tour de force nelle prossime settimane. Anche considerando l’imminente sospensione dei lavori per la pausa estiva.
Il governo Meloni ha pubblicato più decreti legge dell’esecutivo Draghi in un lasso di tempo quasi identico.
La produzione di decreti è stata dunque molto più significativa nelle ultime settimane rispetto a quanto fatto nei primi 4 mesi dell’anno. Tuttavia il governo Meloni si è contraddistinto sin dal suo insediamento per l’ampio ricorso fatto ai decreti legge. Basti pensare che già tra ottobre e dicembre 2022 ne aveva emanati 10. In totale i Dl pubblicati dall’attuale esecutivo sono 68, un dato superiore anche a quello del governo Draghi che nei suoi 615 giorni a palazzo Chigi si era fermato a 63.
In seguito a questo sorpasso, il governo Meloni si pone adesso al secondo posto fra i governi con più decreti legge pubblicati nelle ultime 4 legislature. Solo il quarto esecutivo guidato da Silvio Berlusconi infatti ne ha prodotti di più ma in un lasso di tempo molto più ampio: parliamo di 80 decreti pubblicati in circa 3 anni e mezzo. Come noto, il governo Meloni invece è in carica da meno di due anni. Più in generale tutti gli esecutivi delle ultime legislature hanno avuto durata diversa. Per questo è utile fare una valutazione del numero medio di decreti legge pubblicati al mese per avere un’idea di quali esecutivi abbiano fatto un ricorso più frequente allo strumento. Da questo punto di vista possiamo osservare che l’attuale governo si colloca al primo posto con una media di 3,34 decreti legge pubblicati ogni mese.

IL GOVERNO MELONI SI CONFERMA PRIMO PER MEDIA DI DECRETI AL MESE
IL NUMERO MEDIO DI DECRETI LEGGE PUBBLICATI AL MESE DAI GOVERNI DELLE ULTIME 4 LEGISLATURE (2008-2024)
MELONI – 3,34, CONTE 2 – 3,07, DRAGHI – 3,07, LETTA – 2,51, MONTI – 2,33, BERLUSCONI 4 – 1,86, CONTE 1 – 1,69, RENZI – 1,64, GENTILONI – 1,12

(IL NUMERO DI DECRETI LEGGE PUBBLICATI IN MEDIA OGNI MESE DAI GOVERNI DELLE ULTIME 4 LEGISLATURE. PER IL GOVERNO MELONI SONO STATI CONTEGGIATI ANCHE DUE DECRETI LEGGE DELIBERATI IN CONSIGLIO DEI MINISTRI MA NON ANCORA ENTRATI IN VIGORE AL MOMENTO DELLA PUBBLICAZIONE DELL’ARTICOLO.)
Seguono il secondo governo Conte e il governo Draghi, entrambi con 3,07 decreti emanati al mese. È bene ricordarsi tuttavia che questi due sono anche gli esecutivi che hanno fronteggiato le fasi più concitate della pandemia. Troviamo poi gli esecutivi Letta e Monti con rispettivamente 2,51 e 2,33 decreti pubblicati al mese di media.

I DECRETI OMNIBUS DEL GOVERNO MELONI
L’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza comporta una significativa riduzione dello spazio di manovra del parlamento. Essendo costretti a dare la priorità alla discussione dei disegni di legge di conversione dei decreti infatti deputati e senatori non avranno molto tempo per dedicarsi ad altre iniziative legislative.
Per questo un espediente per introdurre nuove norme da parte dei parlamentari è proprio quello di presentare emendamenti ai Ddl di conversione. Emendamenti che vanno ad ampliare in maniera anche significativa il contenuto del provvedimento originario. Si parla in questo caso di decreti omnibus, perché questi atti contengono molte misure che non hanno niente a che vedere l’una con l’altra. Un’altra prassi purtroppo consolidata ma che è in contrasto con le norme costituzionali. Secondo la giurisprudenza in materia infatti i contenuti dei Dl dovrebbero essere di immediata applicazione e dal contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.
A questo proposito, è doveroso far presente che spesso non c’è nemmeno il tempo per fare una riflessione approfondita su questi temi. La necessità di convertire in legge i decreti entro 60 giorni infatti fa sì che spesso la seconda camera che si trova a discutere il provvedimento non abbia tempo nemmeno di leggerlo con attenzione.
[…] evidenziato preliminarmente che la ristrettezza dei tempi intercorsi tra l’assegnazione del disegno di legge in sede consultiva e la sua calendarizzazione in Aula non consente un esame adeguato del provvedimento […].
– Comitato per la legislazione del senato (23 aprile 2024)
Queste dinamiche tuttavia non sono da attribuire esclusivamente all’attività del parlamento. Anche l’esecutivo infatti può ritornare sul proprio stesso provvedimento con uno o più emendamenti trasformandolo in un omnibus. Ma in alcuni casi può avere questa caratteristica anche già a seguito dell’approvazione in consiglio dei ministri.
La pubblicazione di decreti omnibus è in contrasto con il dettato costituzionale.
È il caso ad esempio dell’ultimo Dl deliberato. Questo infatti introduce contemporaneamente nuove norme riguardanti il processo penale oltre che per l’attuazione del cosiddetto Piano Mattei. Lo stesso decreto contiene poi norme riguardanti l’operatività della società Stretto di Messina Spa e dell’autorità per la laguna di Venezia. Ma ci sono anche disposizioni riguardanti la fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e teatri di Bari oltre che per quanto riguarda la gestione dei settori giovanili delle società sportive.
Più in generale, possiamo osservare che sono 27 i decreti classificabili come omnibus adottati dall’inizio della legislatura. Rispetto al nostro ultimo approfondimento sul tema, ne sono stati pubblicati altri 5.

PER IL GOVERNO MELONI GIÀ 27 DECRETI OMNIBUS
TUTTI I DECRETI OMNIBUS DEL GOVERNO MELONI E I RELATIVI CONTENUTI
La classificazione di un decreto legge come omnibus è a cura della redazione di openpolis basata anche sul lavoro dei comitati per la legislazione di camera e senato. I decreti 179/2022 e 79/2023 non sono stati convertiti in legge dal parlamento. Gli effetti giuridici da essi prodotti sono stati fatti salvi tuttavia rispettivamente dalle leggi 6/2023 e 95/2023. Non sono attualmente disponibili le analisi dei comitati per quanto riguarda gli ultimi due decreti legge del 2024. In particolare per l’ultimo decreto, non ancora pubblicato in gazzetta ufficiale, la valutazione si è basata sul resoconto del consiglio dei ministri del 24 giugno.
Oltre a quello già citato, troviamo il Dl 39/2024 che interviene in tema di superbonus ma contiene anche disposizioni riguardanti l’assunzione di personale nel corpo della polizia locale in Sicilia e anche interventi per l’attuazione del G7. Con il decreto 61/2024 si affronta da un lato il tema dell’attività sindacale all’interno delle forze armate ma dall’altro si interviene circa il contributo italiano al Nato innovation fund.
5 I DECRETI LEGGE OMNIBUS DELIBERATI TRA MAGGIO E GIUGNO.
Il decreto 71/2024 affronta una varietà estremamente eterogenea di contenuti: si passa infatti dalle norme riguardanti l’avvio dell’anno scolastico 2024-2025 e la tutela degli studenti con disabilità alla realizzazione degli alloggi per gli studenti universitari fino al lavoro all’interno del mondo dello sport.
Infine con il decreto 76/2024 si è andati a introdurre disposizioni per la ricostruzione dei territori colpiti dai fenomeni alluvionali nell’estate del 2023. A queste se ne aggiungono anche altre per il funzionamento della protezione civile e dell’agenzia italiana meteo. Anche in questo caso poi si trovano iniziative riguardanti il G7 oltre ad alcune relative alle olimpiadi invernali di Milano-Cortina.
*(FONTE: elaborazione e dati openpolis – ultimo aggiornamento: martedì 25 giugno 2024)

 

06 – I CAMBI DI GRUPPO ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI EUROPEE. DALLE ELEZIONI POLITICHE A OGGI I CAMBI DI GRUPPO SONO STATI 45. UN NUMERO ALTO ANCHE SE MOLTO INFERIORE A QUELLO REGISTRATO NELLA SCORSA LEGISLATURA. TUTTAVIA È PRESTO PER UNA VALUTAZIONE DEFINITIVA, D’ALTRONDE DA QUESTO PUNTO DI VISTA LE COSE POSSONO MUTARE RAPIDAMENTE. (*)

POTERE POLITICO
• DALLE ELEZIONI PARLAMENTARI A OGGI CI SONO STATI 45 CAMBI DI GRUPPO, 37 ALLA CAMERA E 8 AL SENATO.
• NON SI TRATTA DI NUMERI PARTICOLARMENTE ALTI MA IL CONFRONTO CON LA LEGISLATURA PRECEDENTE MOSTRA CHE LE COSE POSSONO CAMBIARE MOLTO RAPIDAMENTE.
• CI SONO STATI 6 CAMBI DI GRUPPO NEL 2024. UNA DINAMICA CHE PARE IN QUALCHE MISURA INFLUENZATA DALL’APPROSSIMARSI DELLE ELEZIONI EUROPEE.
Con l’approssimarsi delle elezioni europee sono già 6 i cambi di gruppo avvenuti nel corso del 2024. Questi sommati ai precedenti, portano a 45 il dato complessivo della XIX legislatura.

45 I CAMBI DI GRUPPO NELLA XIX LEGISLATURA.
Nel corso del primo anno i cambi di casacca hanno inciso in maniera modesta sulle dinamiche parlamentari. Tuttavia la rottura tra Azione e Italia viva a fine 2023 e alcuni cambiamenti dei mesi successivi suggeriscono di mantenere alta l’attenzione nei confronti di un fenomeno che, nelle scorse legislature, ha raggiunto dimensioni allarmanti.
I cambi di gruppo parlamentare nella XVIII legislatura.
Leggi.
Certo ciascun parlamentare è libero di agire senza vincolo di mandato (costituzione italiana, articolo 67) e può iscriversi al gruppo che preferisce e cambiarlo se lo ritiene opportuno. Al contempo però molti cambi di gruppo sono il sintomo di un alto tasso di trasformismo all’interno di un sistema politico. Una dinamica che risulta ancora meno comprensibile per i cittadini in un sistema in cui, la maggior parte dei parlamentari, sono eletti con metodo proporzionale e con liste bloccate.

I CAMBI DI GRUPPO NEI PRIMI 20 MESI DI LEGISLATURA
Come anticipato sono 45 i cambi di gruppo avvenuti dalle ultime elezioni parlamentari, 37 ALLA CAMERA E 8 AL SENATO. Questo dato può essere interpretato in vari modi. Quarantacinque parlamentari che hanno cambiato gruppo di appartenenza su un totale di 605 infatti non sono pochi (7,43%). Al contempo però alcuni di questi cambiamenti, avvenuti a inizio legislatura, rappresentano un assestamento quasi fisiologico.
Quasi la metà dei cambi di casacca infatti sono avvenuti già nel primo mese (21). Questo perché i gruppi di Alleanza verdi e sinistra (Avs) e Noi moderati sono stati costituiti in deroga al regolamento e la procedura ha richiesto alcuni giorni per essere completata. Nel frattempo i parlamentari di queste formazioni hanno provvisoriamente fatto parte del gruppo misto. Una dinamica di questo tipo si è registrata anche nella legislatura precedente, per quanto in misura minore.
Poi nei mesi successivi non si sono registrati molti cambiamenti e quelli che ci sono stati non appaiono particolarmente significativi. Infatti a novembre 2022 (secondo mese) il senatore a vita Carlo Rubbia, fino a quel momento non iscritto ad alcun gruppo, è entrato nella formazione Per le Autonomie. Poi a gennaio 2023 Aboubakar Soumahoro è passato da Avs al gruppo misto e, nei mesi successivi, Michela Vittoria Brambilla ha lasciato il gruppo misto per Noi moderati, Enrico Borghi è uscito dal Partito democratico (Pd) per entrare in Italia viva (Iv) come Dafne Musolino che ha aderito a Iv lasciando Per le autonomie.
I cambi di gruppo sono ancora pochi ma la dinamica può cambiare rapidamente
Confronto tra i cambi di gruppo avvenuti nel corso dei primi 20 mesi della XVIII e XIX legislatura

Insomma nei primi 2 mesi si sono registrati 22 cambi di gruppo che possono essere considerati assestamenti di inizio legislatura, mentre nei successivi 11 mesi i riposizionamenti sono stati 4, classificabili perlopiù come scelte individuali. La situazione è poi cambiata a dicembre 2023, quando si è registrata la rottura tra Azione e Italia Viva. Questo, come abbiamo visto più in dettaglio in un precedente approfondimento, ha portato alla nascita del gruppo di Italia Viva alla camera (a cui hanno aderito 9 parlamentari) mentre al senato sono stati i componenti di Azione a uscire dal gruppo (4) per approdare al misto, non avendo i numeri per costituire una nuova formazione. Questa frattura politica dunque ha portato i cambi di gruppo a 39 alla fine del 2023 (32 ALLA CAMERA E 7 AL SENATO).
È interessante osservare che dopo 20 mesi dalle elezioni, nel corso della scorsa legislatura, i cambi di gruppo erano stati quasi il doppio (84). Un dato che sembrerebbe confermare come questo parlamento sia meno esposto a comportamenti trasformistici.
Tuttavia è bene precisare che prima delle ultime elezioni i parlamentari, al netto dei senatori a vita, erano 945 mentre oggi sono 600. Inoltre per i primi 18 mesi i cambi di gruppo sono stati meno nella scorsa legislatura rispetto all’attuale. La situazione poi è cambiata con la scissione del Partito democratico e la nascita di Italia viva (settembre 2019). Una dinamica che presenta qualche parallelismo con la rottura tra Azione e Italia viva avvenuta lo scorso dicembre, anche se questa ha coinvolto un numero di parlamentari decisamente inferiore.

I CAMBI DI GRUPPO NEL 2024
Fino a oggi dunque la maggior parte dei cambi di gruppo ha riguardato (al netto dell’assestamento iniziale) una scissione politica. Non a caso se analizziamo il numero di esponenti entrati e usciti da ciascun gruppo parlamentare sono proprio Azione e Italia viva ad essere maggiormente coinvolte (oltre al gruppo misto in cui sono confluiti gli esponenti di Azione al senato).
COME SONO CAMBIATI I GRUPPI PARLAMENTARI DALLE ELEZIONI A OGGI
IL NUMERO DI DEPUTATI E SENATORI ENTRATI E USCITI DA CIASCUN GRUPPO PARLAMENTARE TRA NOVEMBRE 2022 E MAGGIO 2024

Sono indicati i cambi di gruppo avvenuti nel corso della XIX legislatura con alcune differenze rispetto a quanto indicato su Openparlamento nelle pagine dei gruppi di camera e senato. Questo per due diverse ragioni. Da un lato non sono stati inclusi i dati relativi a parlamentari che hanno cessato il proprio mandato è a cui è subentrato un nuovo parlamentare che ha aderito al medesimo gruppo. Dall’altro sono stati esclusi i cambi di gruppo avvenuti nel corso dei primi due mesi visto che rispondono a logiche specifiche. Infatti per la costituzione in deroga al regolamento dei gruppi di Alleanza verdi e sinistra e Noi moderati sono stati necessari alcuni giorni per cui gli esponenti di queste formazioni sono inizialmente transitati dal gruppo misto. Il senatore a vita Carlo Rubbia invece è rimasto non iscritto ad alcun gruppo per circa 20 giorni prima di entrare a far parte di Per le Autonomie.
Dopo questo passaggio poi, nel 2024, ci sono stati altri cambi di gruppo che, a una prima impressione, potrebbero apparire del tutto slegati tra loro.

6 I CAMBI DI GRUPPO TRA GENNAIO E MAGGIO 2024.
A ben vedere però questi cambiamenti, frutto della scelta individuale dei parlamentari, sembrano in qualche misura legati all’approssimarsi delle europee. Le elezioni infatti rappresentano sempre un momento propizio per eventuali rimescolamenti.
A febbraio si sono verificati i primi 2 cambi di gruppo dell’anno, quando un deputato e un senatore del Movimento 5 stelle sono usciti dal gruppo, entrambi in dissenso con la linea tenuta rispetto alla guerra in Ucraina. Questa decisione tuttavia li ha portati ad aderire a formazioni diverse. La deputata Federica Onori infatti si è unita al gruppo di Azione, mentre il senatore Raffaele De Rosa a quello di Forza Italia, partito con cui si è anche candidato alle europee.
Ad aprile invece i cambi di casacca sono stati 3. L’onorevole Eleonora Evi è passata da Alleanza verdi e sinistra al Partito democratico che l’ha anche candidata al parlamento europeo. Proprio a Bruxelles Evi era stata eletta per la prima volta eurodeputata nel 2014 nelle liste del movimento 5 stelle e poi una seconda volta nel 2019. Nel corso di quella legislatura però è maturata la rottura con il movimento che l’ha portata ad aderire a Europa verde per poi diventarne co-portavoce in tandem con Angelo Bonelli. Proprio i contrasti con Bonelli però l’hanno spinta a dimettersi dall’incarico e, in seguito, aderire al Pd.
Sempre ad aprile Antonino Minardo e Lorenzo Cesa hanno aderito al gruppo misto lasciando il primo la Lega e il secondo Noi moderati. A quanto si apprende però questi due cambiamenti sarebbero legati a un accordo politico siglato tra la Lega di Salvini e l’Unione di centro (Udc) di Cesa in vista delle europee. All’interno delle liste della Lega infatti dovrebbero trovare posto dei candidati dell’Udc. La scelta di Minardo quindi non sarebbe legata a dissensi, avendo piuttosto la funzione di favorire la nascita di una componente Udc all’interno del gruppo misto. Tuttavia per formare una componente sono necessari almeno 3 deputati e attualmente non è chiaro chi dovrebbe essere il terzo. Al momento infatti tale componente non è stata formata.
Da ultimo, a maggio, Giuseppe Castiglione è uscito da Azione per aderire a Forza Italia, a quanto risulta a causa di “‘insanabili divergenze politiche, in particolare relativamente ai rapporti con Cuffaro e il suo gruppo in Sicilia”. I rapporti con Cuffaro d’altronde erano già stati motivo di attrito tra Azione e altre forze politiche, come +Europa e Italia viva, proprio nel momento in cui era in discussione un eventuale accordo politico per le elezioni europee. Accordo che come è noto non è andato in porto.
Infine conviene ricordare che nella scorsa legislatura l’aumento dei cambi di gruppo è iniziato proprio pochi mesi dopo le elezioni europee del 2019. Questo ovviamente non vuol dire che lo stesso debba avvenire di nuovo anche quest’anno. Tuttavia è evidente come le elezioni rappresentino un momento di possibili cambiamenti, sia prima del voto, in chiave di posizionamento, sia dopo nel caso in cui i risultati portino a mutamenti significativi nei rapporti di forza.
*(FONTE: elaborazione Openpolis su dati Openparlamento)

 

07 – QUANTE E QUALI SONO LE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA. LA COMMISSIONE EUROPEA HA RECENTEMENTE RACCOMANDATO L’APERTURA DI UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA PER DEFICIT ECCESSIVO. IN GENERALE PERÒ IL NUMERO DI PROCEDURE A CARICO DEL NOSTRO PAESE RISULTA IN DIMINUZIONE. (*)

• A MAGGIO LA COMMISSIONE EUROPEA HA APERTO 4 NUOVE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA. IN TOTALE ATTUALMENTE SONO 65.
• L’ITALIA OCCUPA L’OTTAVO POSTO TRA I PAESI UE PER NUMERO DI PROCEDURE DI INFRAZIONE PENDENTI.
• TRA I TEMI IN CUI L’ITALIA È PIÙ INADEMPIENTE NEL RECEPIRE LE NORME UE C’È L’AMBIENTE.
• SONO 43 LE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DEL NOSTRO PAESE ARCHIVIATE NEGLI ULTIMI 17 MESI.
Nei giorni scorsi la commissione europea ha raccomandato l’apertura di una procedura di infrazione a carico di 7 paesi, tra cui l’Italia, per deficit eccessivo. Nel 2023 infatti il disavanzo del nostro paese è stato pari al 7,4% del Pil, quando le normative Ue prevedono un limite massimo del 3%. La proposta della commissione dovrà ora passare al vaglio del consiglio dell’unione europea, a cui spetta la decisione sull’apertura formale della procedura.
Gli stati hanno il compito di recepire nel loro ordinamento le direttive europee. Se non lo fanno o se non le rispettano possono incorrere in una procedura formale di infrazione. Vai a “Cosa sono le procedure d’infrazione”
Ma qual è la situazione italiana per quanto riguarda le procedure di infrazione attualmente in corso? Al di là di questo caso sicuramente rilevante, globalmente la posizione del nostro paese su questo fronte risulta in miglioramento. Molte procedure infatti sono state archiviate nell’ultimo anno e mezzo.

65 LE PROCEDURE DI INFRAZIONE ATTUALMENTE IN CORSO A CARICO DELL’ITALIA.
Se gli stati non si impegnano ad adeguare i propri ordinamenti interni alla legislazione Ue, nel lungo periodo le procedure di infrazione possono portare anche a delle sanzioni economiche. Da questo punto di vista purtroppo il dato più aggiornato per quanto riguarda l’Italia risale al 2022. Si parla di un esborso per l’erario di oltre 800 milioni di euro nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021. Un valore certo non particolarmente elevato se paragonato al bilancio statale. Si tratta tuttavia di uno spreco di risorse pubbliche che avrebbero potuto essere utilizzate in maniera più proficua.
In attesa di avere dati più aggiornati su questo aspetto, è comunque interessante analizzare l’attuale stato dell’arte.

COME FUNZIONANO LE PROCEDURE DI INFRAZIONE
Tra gli organismi comunitari, spetta alla commissione la responsabilità di verificare il rispetto del diritto Ue. Questa può intervenire in due casi: quando non viene recepita integralmente una determinata direttiva entro il termine stabilito, oppure quando un paese non applica le norme correttamente. Se si verifica una di queste due fattispecie, può essere avviata una procedura formale di infrazione.
L’intero processo è regolato dagli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Una procedura d’infrazione può essere avviata per tre diversi motivi:

• MANCATA COMUNICAZIONE: QUANDO LO STATO MEMBRO NON COMUNICA IN TEMPO LE MISURE PER IMPLEMENTARE LA DIRETTIVA;
• MANCATA APPLICAZIONE: QUANDO LA COMMISSIONE EUROPEA VALUTA LA LEGISLAZIONE DELLO STATO MEMBRO NON IN LINEA CON IL DIRITTO UE;
• SBAGLIATA APPLICAZIONE: QUANDO LA LEGGE EUROPEA NON VIENE APPLICATA O È APPLICATA INCORRETTAMENTE DALLO STATO MEMBRO.

La procedura è abbastanza complessa e si sviluppa in diverse fasi. La prima inizia con la cosiddetta lettera di costituzione in mora con cui la commissione chiede maggiori informazioni allo stato membro interessato. Questo passaggio è definito di “pre-contenzioso”, il paese posto sotto indagine deve fornire spiegazioni entro un periodo di tempo prestabilito.
Le sanzioni economiche per violazioni del diritto Ue intervengono solo dopo la seconda condanna della corte europea.
Nel caso in cui la risposta non arrivi o sia giudicata insoddisfacente, la commissione può decidere di inviare un parere motivato in cui chiede di adempiere alle mancanze normative entro una data scadenza. Se lo stato membro continua a non adeguarsi, Bruxelles può decidere di aprire un contenzioso facendo ricorso alla corte europea di giustizia. Se la corte ritiene che il paese in questione abbia effettivamente violato il diritto dell’unione, può emettere una sentenza in questo senso, richiedendo alle autorità nazionali di adottare misure per conformarsi.
Vedi anche
Come vengono decise le ammende derivanti dalle procedure di infrazione.
Nel caso in cui, nonostante la sentenza, il paese continui a non rettificare la situazione, la commissione può deferirlo nuovamente dinanzi alla corte. Se c’è una seconda condanna, la commissione propone che la corte imponga sanzioni pecuniarie. Queste possono consistere in una somma forfettaria e/o in pagamenti giornalieri.

LE PROCEDURE DI INFRAZIONE IN EUROPA
Grazie alla banca dati della commissione europea è possibile tracciare un bilancio delle procedure di infrazione attualmente in corso e capire in questo modo quali sono i paesi che faticano di più nel conformarsi al diritto Ue. A maggio 2024 le procedure pendenti erano in totale 1.531 a livello europeo. Tra queste, 611 (il 40%) sono legate alla mancata comunicazione dei paesi membri delle iniziative per adeguare l’ordinamento interno a quello europeo. Il restante 60% riguarda invece la mancata o l’incorretta applicazione delle normative Ue.
Oltre il 60% delle procedure ancora aperte (926) si trova nella fase iniziale del contenzioso, quella dell’invio allo stato inadempiente della lettera di costituzione in mora. Ci sono poi 451 procedure che sono già arrivate alla fase dell’invio del parere motivato da parte della commissione. Infine 154 sono attualmente alla fase del contenzioso in sede di corte di giustizia europea.

10,1% LE PROCEDURE DI INFRAZIONE GIUNTE ALLA FASE DEL RICORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE.
L’Italia ha attualmente 65 procedure di infrazione aperte a proprio carico. Il nostro paese occupa l’ottavo posto tra gli stati Ue per numero più consistente di infrazioni pendenti. Tra i paesi principali fanno peggio Polonia e Spagna che occupano rispettivamente la prima e la seconda posizione con 87 e 86 procedure di infrazione pendenti. La Germania è decima con 63 procedure in corso, la Francia 12esima con 56.
Per l’Italia 14 procedure di infrazione pendenti dinanzi alla corte di giustizia europea
Le procedure di infrazione ancora aperte, paese per paese
È però interessante fare un confronto considerando quanto incidono le procedure di infrazione nella fase del ricorso alla corte di giustizia Ue.
L’Italia ha la seconda percentuale più alta di procedure di infrazione arrivate alla fase del contenzioso.
Da questo punto di vista possiamo osservare che il nostro paese sale al secondo posto. Sono infatti
• 14 le procedure a carico dell’Italia che si trovano nello stadio del ricorso alla corte europea, pari al 21,5% delle procedure pendenti. Solo l’Irlanda fa registrare un dato più alto di quello italiano con il 23,4% (11 procedure arrivate alla corte sulle 47 totali attualmente in corso, un numero significativamente più basso rispetto a quello del nostro paese). Tra gli altri stati con le percentuali più alte troviamo poi la Grecia (21,5%), la Polonia (17,2%) e la Bulgaria (17,1%).

LA SITUAZIONE ITALIANA NEL DETTAGLIO
Tra le procedure attualmente in corso che coinvolgono il nostro paese la maggior parte (19) riguarda tematiche ambientali. A queste poi se ne devono aggiungere altre 2 legate alle azioni per la lotta al cambiamento climatico.
Un altro ambito in cui l’Italia ha commesso un numero significativo di infrazioni è quello legato all’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione. In questo caso le procedure pendenti sono 7. Ci sono poi 3 distinti ambiti che fanno registrare 6 infrazioni ciascuno. Si tratta dei settori dei trasporti e mobilità, migrazioni e affari interni e mercato, industria, imprenditoria e Pmi.
L’ambiente è anche il settore in cui troviamo il maggior numero di procedure di infrazione già arrivate alla fase del contenzioso davanti alla corte di giustizia europea con 8. Troviamo a questo stadio anche 2 procedure che riguardano il mercato comune e la concorrenza.

PER L’ITALIA MOLTE PROCEDURE DI INFRAZIONE RIGUARDANTI L’AMBIENTE
LE PROCEDURE DI INFRAZIONE ANCORA IN CORSO A CARICO DELL’ITALIA SUDDIVISE PER TEMA
Per quanto riguarda gli aggiornamenti più recenti legati alle procedure di infrazione a carico del nostro paese, possiamo osservare che a maggio 2024 sono state inviate diverse lettere di costituzione in mora.

4 LETTERE DI COSTITUZIONE IN MORA INVIATE DALLA COMMISSIONE EUROPEA AL NOSTRO PAESE NEI PRIMI MESI DEL 2024.
La più significativa tra queste riguarda probabilmente l’incorretto recepimento della direttiva Ue 904/2019 in tema di riduzione dell’impatto ambientale derivante dall’utilizzo di oggetti in plastica monouso. Un’altra lettera ha riguardato la mancata applicazione del regolamento Ue 868/2022 (Data governance Act). A queste si aggiungono le lettere per il mancato recepimento della direttiva Ue 362/2022 relativa alla tariffazione dei veicoli per l’utilizzo di determinate infrastrutture e della direttiva 431/2022 relativa alle tutele dei lavoratori esposti a sostanze cancerogene.

PER L’ITALIA 6 PROCEDURE DI INFRAZIONE ARRIVATE AL SECONDO RICORSO ALLA CORTE. L’ELENCO COMPLETO DELLE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA E IL LORO STADIO DI AVANZAMENTO
La tabella rappresenta una sorta di diario con tutte le evoluzioni relative alle singole procedure di infrazione che quindi possono essere riportate anche più volte. L’elenco dei diversi passaggi è riportato in ordine dal più recente andando indietro nel tempo.
Ci sono poi due procedure di infrazione per cui è stato emesso il parere motivato da parte della commissione europea. Si tratta delle infrazioni per il mancato recepimento della direttiva 2101/2021 in materia di pubblicità delle imposte sul reddito e per la scorretta applicazione della direttiva 362/2022 riguardante i diritti dei detenuti a comunicare con i propri difensori.
Infine nel corso del 2024 è arrivato anche un nuovo ricorso alla corte di giustizia Ue. In questo caso l’Italia non è stata in grado di fornire nei tempi previsti il proprio documento sulla pianificazione dello spazio marittimo, come previsto dalla direttiva 89/2014.
Più in generale possiamo osservare che sono 6 le procedure che attualmente risultano nella fase più avanzata. Quella cioè del secondo ricorso da parte della commissione alla corte europea. Tra queste, due riguardano la gestione dei rifiuti e altre due la gestione delle acque reflue urbane.

LE PROCEDURE ARCHIVIATE
Per avere un quadro complessivo sull’effettiva situazione del nostro paese per quanto riguarda l’adeguamento al diritto comunitario, è utile anche passare in rassegna le procedure di infrazione archiviate negli ultimi anni. Per questo è possibile fare riferimento agli aggiornamenti riportati dal dipartimento per gli affari europei della presidenza del consiglio dei ministri. Considerando quanto avvenuto nel 2023 e nei primi 5 mesi del 2024 possiamo osservare un numero significativo di infrazioni archiviate.

43 LE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA ARCHIVIATE NEGLI ULTIMI 17 MESI.
L’area in cui l’Italia ha ottenuto i risultati migliori nel ridurre il numero di infrazioni a proprio carico è quella della stabilità finanziaria, dei servizi finanziari e dell’unione dei mercati dei capitali con 13 archiviazioni. Troviamo poi 4 temi che fanno registrare 4 archiviazioni ciascuno. Si tratta di giustizia e tutela dei consumatori, mercato interno, industria, imprenditoria e Pmi, migrazione e affari interni e mobilità e trasporti.

NEGLI ULTIMI ANNI ARCHIVIATE 15 PROCEDURE DI INFRAZIONE A TEMA FINANZIARIO
I TEMI DELLE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL’ITALIA ARCHIVIATE TRA 2023 E 2024

Tra le procedure archiviate se ne trovano alcune particolarmente significative. Possiamo citare, a titolo di esempio, la chiusura della procedura per il mancato recepimento della direttiva 2019/713 relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti.
Archiviate diverse procedure riguardanti l’ambito finanziario.
Un’altra archiviazione particolarmente rilevante riguarda il non corretto recepimento della direttiva 2018/843 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Da segnalare anche l’archiviazione della procedura per il mancato recepimento della direttiva 2019/1 che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli stati membri poteri di applicazione più efficace in modo da assicurare il corretto funzionamento del mercato interno.
Da citare inoltre la chiusura della procedura riguardante il mancato recepimento della direttiva 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. Archiviato anche il procedimento per il mancato recepimento della direttiva 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale. Infine si segnala la chiusura della procedura per il non corretto recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo.
*(FONTE: elaborazione openpolis su dati commissione europea ultimo aggiornamento: giovedì 23 maggio 2024)

 

08 – VITALBA AZZOLLINI *: ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER: UNA RIFORMA CHE NON GARANTISCE ALCUNA STABILITÀ.

Il 18 giugno scorso, il Senato ha approvato in sede di prima deliberazione il disegno di legge costituzionale sul cosiddetto premierato. Già il titolo – Modifiche alla parte seconda della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica – rivela l’obiettivo della proposta, dichiarato anche dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: garantire la stabilità degli esecutivi.

ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER: LA TRABALLANTE RIFORMA COSTITUZIONALE ANNUNCIATA DAL GOVERNO MELONI
Il concetto è ribadito nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, dove si afferma che l’instabilità ha prodotto finora “difficoltà di concepire indirizzi politici di medio-lungo periodo, di elaborare e attuare riforme organiche, di farsi carico, in ultima analisi, delle prospettive e del futuro della Nazione”. “La decisività del voto elettorale rispetto all’investitura della maggioranza”, secondo il governo, consentirebbe di superare tale instabilità.
Può essere utile verificare, attraverso i rilievi di alcuni costituzionalisti in audizione presso il Senato, se la proposta sia effettivamente idonea a garantire l’obiettivo perseguito.

LE DIVERSE ACCEZIONI DI STABILITÀ E LA RIFORMA COSTITUZIONALE
La stabilità dei governi – ha affermato il professor Gaetano Azzariti in audizione al Senato – può essere intesa in tre significati, ciascuno dei quali “fa riferimento a fenomeni diversi. Stabilità come capacità di governo ed aumento dei poteri ad esso attribuiti; come autorevolezza della compagine ministeriale; come durata degli esecutivi”.

Quanto alla prima accezione, più che aumentare i poteri del governo bisognerebbe limitarli, se non proprio ridurli, secondo Azzariti. Infatti, gli esecutivi, “nel corso del tempo, si sono appropriati dei poteri degli altri poteri”, in primis quelli del Parlamento. Un riequilibrio sarebbe necessario, ma attraverso interventi diversi da quello in discussione. Interventi che, ad esempio, dispongano il monocameralismo, “per rispondere alla crisi evidente del bicameralismo paritario”; frenino “le prassi distorsive e compulsive dei voti di fiducia reiterati, dei maxiemendamenti onnicomprensivi”; introducano “corsie privilegiate” per determinate leggi, al fine di limitare i decreto-leggi ai casi effettivi di straordinaria necessità ed urgenza.

Circa la seconda accezione di stabilità, la necessità di “autorevolezza della compagine ministeriale” è un tema legato, tra l’altro, alla “disaffezione del corpo elettorale”, alla «distanza tra popolo e la sua classe dirigente», alla “delegittimazione degli organi di governo del Paese”. Sono fenomeni “che devono certamente essere affrontati dal sistema politico, oltre che sul piano sociale e culturale”, ma “con misure diverse da quelle legate alla scelta del Capo dell’esecutivo”, afferma Azzariti. Anche per il professor Enzo Cheli le cause di tali fenomeni sono da ricercare non in “difetti della macchina costituzionale, bensì nella fragilità del tessuto politico sottostante e nel grado di dissonanza che oggi si registra tra corpo sociale e istituzioni governanti”. Secondo Cheli, servirebbero interventi riguardanti “tanto la legge elettorale, specialmente ai fini di un necessario riavvicinamento dei cittadini al voto, quanto la disciplina ormai obsoleta dei partiti per una migliore definizione sia del loro funzionamento che del loro finanziamento”.

Quanto alla stabilità intesa come “durata degli esecutivi, che rappresenta una vera e non negabile debolezza della nostra forma di governo parlamentare”, non può essere risolta – a detta di Azzariti – da una riforma costituzionale come quella in discussione, connotata da rilevanti distonie. Ad esempio, la riforma introduce nell’ordinamento una forma di governo a elezione diretta del vertice dell’esecutivo, ma poi opera “una bizzarra riesumazione della forma di governo parlamentare”, di cui però aveva “decretato la morte con l’elezione diretta”. In altri termini, la necessità per il presidente del Consiglio di ottenere la fiducia da parte delle due Camere appare “ultronea rispetto alla legittimazione a governare conseguita dall’eletto dal popolo”. Peraltro, si tratta di una fiducia che mina il “conseguimento dello scopo della stabilità come durata”. Infatti, la prosecuzione della legislatura sarebbe, in sostanza, rimessa alla volontà del Parlamento, che potrebbe scavalcare quella espressa dai cittadini. Con buona pace dell’intento dichiarato nella relazione al disegno di legge, dove si dice che esso “assicura la stabilità nel tempo dell’incarico del Presidente del Consiglio, sancendone una durata quinquennale”.

EFFICACIA DELLA RIFORMA PER LA STABILITÀ
Secondo la professoressa Carla Bassu, “l’elemento di stabilizzazione” individuato dalla riforma nell’elezione diretta del Presidente del Consiglio sarebbe indebolito, tra le altre cose, “dal contesto politico che contraddistingue la realtà italiana”. “L’elezione diretta del capo dell’esecutivo promuove stabilità e dunque governabilità solo nelle società politicamente pacificate, con sistemi solidamente e radicatamene bipolari o proprio bipartitici”. Né, per conseguire la stabilità degli esecutivi, basta disporre, come fa la riforma, che il premio di maggioranza sia attribuito alle liste collegate al premier vincente alle elezioni. Norme tese a sancire una stabilità formale non garantiscono una stabilità sostanziale “in scenari politici conflittuali e polarizzati come il nostro, dove anche all’interno delle coalizioni di maggioranza e opposizione non c’è pieno allineamento politico e ideologico”.
In tali scenari, secondo Bassu, l’elezione diretta si dimostrerebbe tale da “esacerbare più che quietare la conflittualità”. Basti pensare alla norma cosiddetta anti-ribaltone: in ipotesi di dimissioni del Presidente del Consiglio eletto – diverse da quelle in cui egli non ottenga all’inizio della legislatura la fiducia delle Camere o nel corso della legislatura gli sia revocata – lo stesso può essere sostituito con un altro parlamentare appartenente alla medesima coalizione. Tale norma consente ai partiti di maggioranza di togliere “lo scettro del potere all’elettorato”, accordandosi “per sostituirlo e annichilire dunque la volontà popolare a favore di quella delle forze di maggioranza”.
In questo modo, da un lato, si sminuisce “il voto popolare”, depotenziando l’intento della proposta: dare rilievo essenziale “alla decisività e al rispetto” di tale voto. Peraltro, il fatto che cittadini, dopo essere stati illusi di poter contare effettivamente con il loro voto, si vedano ancora una volta superati da “giochi” fra i partiti potrebbe alimentare il “marcato astensionismo” e la “sempre più evidente disaffezione verso la politica”, patologie che la riforma dichiara invece di voler sanare. Dall’altro lato, la possibilità per i partiti della coalizione vincente di destituire il premier eletto “innesca un alto tasso di conflittualità interno alla maggioranza che smentisce nei fatti le finalità dichiarate di stabilità”.
Dello stesso avviso è il professor Gustavo Zagrebelsky. La possibilità di un “secondo tempo”, “non più con il Presidente del Consiglio eletto, ma con un parlamentare della maggioranza scelto al suo posto (…), è in puntuale contrasto con la ratio dell’intera riforma: garantire omogeneità e stabilità, e permettere ai cittadini, nelle urne, di fare loro stessi la scelta di colui (o colei) dal quale vogliono essere governati” per cinque anni. Invece, l’eventualità che il premier eletto possa essere sostituito, non solo non rafforzerebbe la stabilità “ma, al contrario, la minerebbe dall’interno, con buona pace del proposito di impedire i giochi di palazzo”.

LA STABILITÀ E I “GIOCHI DI PALAZZO”
Il rischio di “giochi di palazzo”, paventato da Zagrebelsky, si intravede in due ipotesi previste dalla riforma: quando il governo appena formato non ottiene la fiducia di Camera e Senato e il Quirinale gli ridà un’altra volta l’incarico; quando il presidente del Consiglio decide di dimettersi, ad esempio, nel caso di voto contrario su una questione di fiducia posta su un atto del governo e, non chiedendo di sciogliere il Parlamento e andare al voto, riceva un nuovo incarico dal presidente della Repubblica (che, in alternativa, può dare l’incarico a un altro parlamentare della stessa coalizione). In entrambi i casi “le Camere sono (o possono essere) chiamate a rivedere la propria posizione, dando o confermando la fiducia che, appena pochi giorni prima, era stata negata: in altre parole, a pentirsi come si chiede ai discoli di fare. Il senso di questo “mea culpa” sembra essere solo questo: costringere il presidente eletto a intavolare trattative con i partiti della maggioranza per nuovi equilibri e diverse distribuzioni o spartizioni di potere. Ma il maggior pregio dell’elezione diretta del presidente del Consiglio non doveva essere precisamente quello di evitare tutto ciò?», si chiede Zagrebelsky.
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Peraltro – può aggiungersi rispetto alle considerazioni dei costituzionalisti fin qui esposte – non è nemmeno vero che la riforma garantisca un secondo Presidente del Consiglio supportato solo dai partiti della maggioranza uscita vincente alle elezioni: la proposta dice solo che egli dev’essere eletto in liste collegate al Presidente del Consiglio. Nel disegno di legge non si rinvengono norme contenenti vincoli sulla maggioranza che deve supportarlo oppure divieti o altri meccanismi che ne impediscano il sostegno da parte di una maggioranza composta da partiti diversi. Ad esempio, ben potrebbe verificarsi l’ipotesi di governi di unità nazionale, dove partiti di schieramenti opposti si alleino per appoggiare un nuovo Presidente del Consiglio.
In conclusione, non è vero che la riforma costituzionale “assicura la stabilità nel tempo dell’incarico del Presidente del Consiglio, sancendone una durata quinquennale; garantisce il rispetto del voto popolare e la continuità del mandato elettorale conferito dagli elettori”. Alcune delle audizioni in Senato lo hanno spiegato chiaramente, come visto. Evidentemente non se ne è tenuto conto.
*(Fonte la valigia blu. Vitalba Azzollini, giurista, lavora presso la Consob, Commissione nazionale per le società e la borsa.

 

 

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