n°18 – 04/05/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Sen. Francesca La Marca(PD) *: Impegni istituzionali a Montréal. Due giorni di impegni istituzionali per la Sen. La Marca a Montréal.
02 – La Sen. La Marca* (PD): partecipa alla commemorazione a Toronto organizzata dalla “Italian Fallen Workers Memorial Committee”
03 – Angelo Mastrandrea*: DAI PARLAMENTI EUROPEI UN IMPEGNO CONTRO IL PATIBOLO – UN APPELLO PER L’ABOLIZIONE DELLE ESECUZIONI LANCIATO A GOVERNI, PARLAMENTI E CITTADINI DEI PAESI CHE MANTENGONO LA PENA DI MORTE
04 – Le divisioni nelle opposizioni aiutano la maggioranza in parlamento, Governo e parlamento
Dall’inizio della legislatura molti provvedimenti sono stati approvati con un numero di voti piuttosto basso, tanto che la maggioranza ha rischiato di essere battuta. La scarsa coesione delle opposizioni dunque sta rendendo più semplice il lavoro in aula della coalizione di governo.
05 – Europa. I salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid – Il lockdown ha avuto un impatto considerevole su molti aspetti del mondo del lavoro tra cui anche i salari. Sono 12 i paesi europei in cui in media nel 2022 non sono ancora tornati ai livelli del 2019 e tra questi c’è anche l’Italia.
06 – Roberto Ciccarelli*: Più lavoro povero, meno salari: è subito propaganda – IL CASO. Un altro spot elettorale sull’aumento dell’occupazione è stato servito dalle destre. Confusa la quantità con la qualità: quando gli impieghi ci sono ma non portano la crescita.
07 – Luca Celada*: LOS ANGELES – Scontri e repressione. La polizia sgombera gli studenti dell’Ucla
STATI UNITI. Gli agenti stanno a guardare quando gruppi a favore dell’intervento militare di Israele a Gaza aggrediscono gli studenti nella notte
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01 – Sen. Francesca La Marca(PD) *: Impegni istituzionali a Montréal. Due giorni di impegni istituzionali per la Sen. La Marca a Montréal.
Giovedì 25 aprile, la Senatrice La Marca ha partecipato ad una, organizzata dal Comitato esecutivo. Alla riunione hanno partecipato diversi esponenti delle istituzioni, il Console Generale, Enrico Pavone, il Presidente del PICAI, Moreno Fermini, media e membri della comunità locale. La serata è iniziata con la presentazione da parte dello storico, professore presso il Dipartimento di Storia dell’Université de Montréal, Luca Sollai, sulla giornata del 25 aprile dando degli spunti preziosi per un confronto sulla Festa della Liberazione. Successivamente al saluto della Sen. La Marca, si è aperto un dialogo con i membri del pubblico su un numero di questioni che stanno a cuore della comunità italiana nel Québec – la sen. La Marca, difatti, ha intrattenuto uno scambio di visioni e fatto il punto su questioni come lo stato delle trattative sul riconoscimento reciproco delle patenti di guida Italia-Québec, il riacquisto della cittadinanza, cure sanitarie per i cittadini AIRE, il Turismo delle Radici ed altre ancora.
Venerdì 26 aprile, la Sen. La Marca ha partecipato alla magnifica celebrazione del 50° anniversario dalla creazione del CRAIC, fondato dalla compianta Sen. Ferretti Barth. Oltre 600 le persone presenti in sala, tra le quali figuravano numerose personalità di spicco come il Console Generale, Parlamentari provinciali e federali, Senatori, Consiglieri comunali, COMITES, il Congresso italo-canadese e tante ancora.
“Vorrei iniziare con il ringraziare la Presidente del CRAIC, Maria Battaglia, e i sig. Claudio e Franco Rocchi per avermi invitato a partecipare a questa magnifica serata”, ha esordito la Senatrice nel suo intervento.
“In questi anni, la realtà del CRAIC è diventato l’organismo italiano più importante, non solo nel Québec ma nell’intero Canada, è arrivato a contenere 52 associazioni e più di 10.000 membri, un vero punto di riferimento per la comunità degli anziani nel Paese. Tutto ciò è stato possibile grazie alla visione e allo straordinario coraggio della Senatrice Marisa Ferretti Barth.”
“C’è una domanda che vorrei farvi – conclude la Senatrice – ed è la seguente: perché il CRAIC svolge un servizio prezioso? La mia risposta è perché la collettività diventa sempre più anziana, perché i nostri anziani sono la memoria storica della nostra comunità e perché essi ne rappresentano il cuore. È un valore intrinseco della cultura italiana portare rispetto e dimostrare affetto verso i nostri anziani. Come recita un bellissimo proverbio africano, “Il giovane cammina più veloce dell’anziano ma quest’ultimo conosce la strada”.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America)

 

02 – La Sen. La Marca* (PD): PARTECIPA ALLA COMMEMORAZIONE A TORONTO ORGANIZZATA DALLA “ITALIAN FALLEN WORKERS MEMORIAL COMMITTEE”

Come di consueto, ogni anno, in occasione del 28 aprile, Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, la Senatrice La Marca ha partecipato alla commemorazione organizzata presso “Villa Charities” dal Presidente della “Italian Fallen Workers Memorial”, Marino Toppan, e la Coordinatrice del “Memorial Project”, Paola Breda, che hanno aperto con una toccante commemorazione ripercorrendo la storia dei lavoratori italiani in Canada ed illustrando l’obiettivo del comitato di portare alla luce le altre centinaia di nomi di caduti italo-canadesi rimasti finora nell’ombra.
Una commemorazione molto partecipata alla presenza del Console Generale, alcuni Sindaci, Parlamentari federali e provinciali, Consiglieri comunali, COMITES e CIBPA. La commemorazione, avente per scopo di onorare tutti gli italiani caduti o infortunati sul lavoro in Canada, si è aperta davanti al monumento intitolato Italian Fallen Workers Memorial Wall inaugurato nell’aprile del 2016, grazie all’impegno di Marino Toppan e Paola Breda, monumento che contiene un elenco di oltre 1600 vittime del lavoro, 1600 nomi di persone che hanno perso la vita sul luogo di lavoro.
Nel suo intervento, la Senatrice La Marca ha sottolineato come “in Italia purtroppo si continua a morire sul luogo di lavoro. Il diritto al lavoro e la tutela del lavoro sono il pilastro della Costituzione italiana – eppure, il numero degli infortuni e dei morti nella Madre Patria aumenta ogni anno, anziché diminuire”.
“A febbraio di quest’anno i morti sul lavoro in Italia sono stati 119, il 19% in più rispetto allo stesso periodo nel 2023. Dobbiamo fermare questa emorragia. Fino a quando gli attuali equilibri geopolitici continueranno a mettere a dura prova l’economia globale, il lavoro precario continuerà ad aumentare e gli standard di sicurezza a diminuire. Dico grazie al lavoro di realtà come la vostra che con impegno e costanza, giorno dopo giorno, sensibilizzano le istituzioni e noi politici ad attuare misure di contrasto a questa strage. Un impegno che sento mio e che rinnovo qui davanti a voi”.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura)

 

03 – Angelo Mastrandrea*: DAI PARLAMENTI EUROPEI UN IMPEGNO CONTRO IL PATIBOLO
UN APPELLO PER L’ABOLIZIONE DELLE ESECUZIONI LANCIATO A GOVERNI, PARLAMENTI E CITTADINI DEI PAESI CHE MANTENGONO LA PENA DI MORTE

Un appello a impegnarsi per l’abolizione, o quantomeno per una moratoria, della pena di morte nel mondo, rivolto a quei paesi (sono ancora 76) che continuano a uccidere in nome della legge. È quanto chiede il documento finale dei “Parlamenti europei contro la pena di morte” approvato ieri pomeriggio ad Assisi al termine di un incontro che ha visto confrontarsi parlamentari di tutta Europa e rappresentanti delle organizzazioni abolizioniste: da “Nessuno tocchi Caino” alla Comunità di sant’Egidio, ai buddisti della Soga Gakkai.
La dichiarazione finale si rivolge ai capi di stato dei paesi che mantengono la pena di morte, affinché concedano la grazia ai condannati; ai parlamentari di quei paesi, affinché intraprendano “personalmente ogni tipo di azione (legislativa, di sensibilizzazione e informazione dell’opinione pubblica) in favore dell’abolizione completa della pena di morte; ai cittadini, perché non diano il loro voto a quei candidati che si esprimono direttamente a favore della pena capitale; e alle organizzazioni interazionali che si occupano di diritti umani, affinché attuino un monitoraggio continuo delle norme internazionali sui paesi che uccidono.
Resta fuori, volutamente, la questione della richiesta di moratoria da presentare alle Nazioni unite, già proposta dal Parlamento europeo e poi clamorosamente ritirata, nel novembre scorso, alla vigilia della discussione all’Assemblea generale dell’Onu. Ma si sa che l’Europa, che pure ha abolito da tempo la pena di morte dai suoi ordinamenti, su questo tema procede ancora in ordine sparso, come ammette Sergio D’Elia di “Nessuno tocchi Caino”. Lo dimostra, ad esempio, l’assenza all’incontro di ieri di una rappresentanza inglese. La proposta di moratoria potrebbe essere ripresentata, come ha affermato la vicepresidente del senato Ersilia Salvato, nel prossimo autunno. O più probabilmente nel 2001, dopo una pausa che dovrebbe servire proprio a ricompattare l’Europa su una proposta comune.
Che ci sia bisogno di un pronunciamento forte del parlamento europeo è l’opinione anche del presidente del senato Nicola Mancino, che ha ricordato come ci sia un “unanime consenso per un impegno morale da parte del parlamento europeo in vista dell’abolizione della pena di morte”. E per questo “insisteremo perché si arrivi a una sua soppressione totale. Laddove troveremo resistenze, la moratoria sarà già un passo avanti”.
Leit motiv del dibattito, il ruolo degli Stati uniti (probabilmente anche per effetto dei recenti studi sugli errori giudiziari in quel paese e della campagna elettorale in corso) che, se da un lato assurgono sempre più spesso al ruolo di gendarmi delle violazioni dei diritti umani nel mondo, dall’altro continuano a portare in grembo la contraddizione di essere il quinto paese al mondo per numero di esecuzioni (98 l’anno scorso). Anche perché, sottolinea la vicepresidente del parlamento greco, Anna Benaki-Psarouda, “la pena di morte non è un buon deterrente”. Per questo occorrono degli “strumenti per modificare l’opinione pubblica, vale a dire campagne organizzate di sensibilizzazione su questo tema”.
È evidente che l’obiettivo finale è quello di arrivare a una risoluzione di moratoria delle esecuzioni da parte delle Nazioni unite, un punto su cui continuano a battere le organizzazioni non governative (la Comunità di sant’Egidio ha già raccolto circa due milioni di firme). Per ora, il testo approvato ieri dai parlamentari di mezza Europa verrà inviato a parlamentari e capi di stato dei paesi “incriminati” e diverrà uno strumento di lavoro proprio per i movimenti abolizionisti. Inoltre, sarà trasformato in una mozione che verrà presentata al parlamento italiano.
*(Angelo Mastrandrea. Attualmente giornalista del Post, sono stato vicedirettore del manifesto, ho lavorato per Internazionale e L’Essenziale e ho collaborato con L’Espresso)

 

04 – Le divisioni nelle opposizioni aiutano la maggioranza in parlamento, Governo e parlamento
Dall’inizio della legislatura molti provvedimenti sono stati approvati con un numero di voti piuttosto basso, tanto che la maggioranza ha rischiato di essere battuta. La scarsa coesione delle opposizioni dunque sta rendendo più semplice il lavoro in aula della coalizione di governo.

I voti finali sui disegni di legge sono quelli in cui i gruppi parlamentari si ricompattano. Per questo è interessante analizzare eventuali aspetti critici.
Sono 78 in totale le votazioni finali in cui le opposizioni, presentandosi in aula compatte, avrebbero potuto mettere in difficoltà la maggioranza.
Situazioni di questo tipo si sono verificate più spesso alla camera rispetto al senato.
In qualche caso l’opposizione ha scelto di non ostacolare alcuni provvedimenti. Su altri però avrebbe potuto fare di più.
Nelle ultime settimane abbiamo osservato come la compattezza delle forze di maggioranza in parlamento sia superiore rispetto alle opposizioni. Allo stesso tempo però occorre osservare come gli esponenti del centrodestra siano chiamati a ricoprire incarichi ulteriori. O nel governo o all’interno di altri organi parlamentari come le commissioni. Ciò fa sì che molti di loro non riescano sempre ad essere presenti in aula per votare a favore dei provvedimenti di volta in volta in discussione.
Il mancato apporto di questi parlamentari può potenzialmente creare delle difficoltà alla maggioranza. Questa infatti – nonostante il teorico ampio margine – potrebbe ritrovarsi a non avere i numeri in parlamento. Tuttavia la scarsa capacità (o la mancanza di volontà) dell’opposizione di coordinarsi per partecipare in massa al voto e affossare alcuni provvedimenti in diverse occasioni ha “salvato” la coalizione di governo.

78 LE VOTAZIONI FINALI IN CUI I VOTI FAVOREVOLI CON CUI UN DDL È STATO APPROVATO SONO STATI INFERIORI RISPETTO AL TOTALE DEI POTENZIALI CONTRARI.
Si tratta, è bene precisarlo, di un ragionamento del tutto teorico. Questo presuppone infatti la contemporanea presenza in aula di tutti gli esponenti che non hanno votato la fiducia al governo Meloni e che questi votino in maniera compatta contro il provvedimento in esame. Ciò al netto delle defezioni fatte registrare nella maggioranza.
Un ragionamento che tuttavia conferma ancora una volta come la scarsa compattezza delle forze di opposizione finisca per favorire il centrodestra. Ma anche di come quest’ultimo sia meno solido di quanto si potrebbe pensare.

LE VOTAZIONI OGGETTO DELL’ANALISI
Dall’inizio della legislatura alla data del 17 aprile, tra camera e senato si sono tenute complessivamente quasi 12mila votazioni. Ciò considerando solo gli scrutini che si sono tenuti in assemblea. A questi andrebbero aggiunte le votazioni svolte in commissione, di cui però purtroppo non si hanno riscontri precisi.
Come abbiamo visto parlando dei voti ribelli, tuttavia non tutte le votazioni hanno la stessa rilevanza. Ad esempio, quando un parlamentare deve esprimersi su atti diversi dai disegni di legge (come ordini del giorno, mozioni o risoluzioni) o sugli emendamenti è più probabile che voti in maniera diversa rispetto al gruppo di appartenenza. Le varie forze politiche invece si ricompattano nel momento della votazione finale su un disegno di legge (Ddl)
Si tratta, come si intuisce, dell’ultimo voto che avviene in aula prima dell’approvazione di un Ddl, a seguito delle discussioni sugli emendamenti e sui singoli articoli del provvedimento. Proprio per questo motivo è molto interessante analizzare in quali occasioni, durante una votazione finale, la maggioranza ha rischiato di non avere i numeri.

LA MAGGIORANZA HA SEMPRE AVUTO NUMERI SOLIDI DURANTE LE QUESTIONI DI FIDUCIA.
Come già anticipato nell’introduzione, si tratta di speculazioni puramente teoriche. In primo luogo infatti occorre evidenziare che abbiamo considerato come membri dell’opposizione tutti i parlamentari che non hanno votato la fiducia al governo Meloni. Tuttavia in questa classificazione rientrano profili diversi, inclusi esponenti del gruppo misto o appartenenti alle minoranze linguistiche. Rappresentanti che non è scontato possano essere collocati in un’ipotetica coalizione alternativa all’attuale maggioranza. Come vedremo infatti, in molte occasioni i voti favorevoli di questi esponenti (ma non solo loro) si sono aggiunti a quelli della maggioranza.
Un’altra osservazione da fare è che in alcuni casi le opposizioni hanno deciso di non ostacolare provvedimenti ritenuti necessari. Ma l’elemento forse più rilevante è che gli esponenti del centrodestra, rendendosi conto di non avere i numeri, avrebbero probabilmente cercato di rinviare la votazione per chiamare a raccolta i colleghi assenti o comunque impegnati in altre attività istituzionali. In modo che anche questi potessero dare il proprio contributo per l’approvazione del Ddl.
Al di là di tali premesse tuttavia è comunque molto interessante analizzare gli esiti di queste votazioni. Molte infatti hanno riguardato provvedimenti dalla forte componente “politica”. In queste occasioni le opposizioni avrebbero potuto essere più incisive nella loro azione in aula se fossero riuscite a coordinarsi meglio, rendendo quantomeno più difficile il compito della maggioranza.

Alla camera sono 163 gli esponenti che non hanno votato la fiducia al governo Meloni. Ne consegue che il centrodestra per avere l’assoluta certezza di riuscire ad approvare un provvedimento che non richieda maggioranze qualificate (come ad esempio le leggi costituzionali o di revisione costituzionale) dovrebbe mettere insieme almeno 164 voti favorevoli. Spesso però non si è rivelato necessario raggiungere questa soglia.
Ciò è successo in 49 occasioni. Il provvedimento approvato con il numero di voti favorevoli più basso in assoluto è la recente norma che prevede l’introduzione dell’insegnamento nelle scuole del tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. In questo caso i “Sì” sono stati appena 121 ma sono bastati. Mentre tra le fila dell’opposizione in 68 si sono astenuti e in 92 erano assenti o comunque non hanno partecipato al voto.
Questo evidenzia come in alcuni casi la volontà dell’opposizione sia stata quella di non ostacolare un provvedimento ritenuto comunque necessario. Non si tratta dell’unico caso. In 9 occasioni infatti non si sono registrati contrari. Tra queste troviamo il voto sulla legge delega per le politiche a favore delle persone anziane, quello sulla legge delega per il voto di studenti e lavoratori fuori sede e quello sulla legge per le politiche sociali e gli enti del terzo settore.
Camera, in 34 voti finali pezzi di opposizione hanno votato a favore
Le votazioni finali alla camera in cui la maggioranza è stata “salvata” dalle divisioni interne alle opposizioni.
Nei casi presenti nel grafico in cui il numero di voti favorevoli è pari alla soglia minima richiesta, alcuni esponenti dell’opposizione hanno votato con la maggioranza. Per questo sono stati presi in considerazione per l’analisi.
Ci sono stati alcuni casi in cui addirittura esponenti dell’opposizione hanno fatto da stampella alla maggioranza.

34 I VOTI FINALI, TRA I 49 PRESI IN ESAME, IN CUI ALMENO UN ESPONENTE DELL’OPPOSIZIONE HA VOTATO A FAVORE DI UN PROVVEDIMENTO DELLA MAGGIORANZA.
In 3 occasioni gli esponenti dell’opposizione che hanno votato a favore sono stati ben 12. Si tratta della già citata legge a favore delle persone anziane, della conversione del decreto legge in materia di strumenti finanziari e della conversione del decreto legge finalizzato al potenziamento della ricostruzione nei territori del centro Italia colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016.

IN MOLTI VOTI FINALI LE OPPOSIZIONI AVREBBE POTUTO ESSERE PIÙ INCISIVA.
Ci sono però altri casi in cui la componente “politica” del provvedimento è molto più marcata rispetto a quelli appena vista e in cui l’opposizione avrebbe potuto essere più incisiva. Tra questi possiamo citare il voto sul divieto di produzione di carne coltivata (approvata con 159 voti favorevoli, inclusi 4 provenienti dall’opposizione), quello sulla legge contro il deturpamento dei beni culturali pensata per perseguire i manifestanti per la lotta al cambiamento climatico (138 voti favorevoli), quello sulla ratifica dell’accordo Italia-Albania in materia di immigrazione (155 favorevoli) e quello riguardante l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid (132) che ha visto, tra gli altri, i voti favorevoli degli esponenti di Italia viva.
Al senato invece la “soglia di sicurezza” per la maggioranza rispetto ai potenziali contrari è di 87 voti. Anche in questo caso non è stato sempre necessario superare questo valore per approvare un Ddl. È però interessante osservare che rispetto a Montecitorio in questo caso le situazioni a rischio sono state molte meno: 29 in totale.

DURANTE I VOTI FINALI LA MAGGIORANZA HA RISCHIATO MENO AL SENATO.
Questo probabilmente dipende anche dal fatto che i margini della maggioranza rispetto all’opposizione sono molto più ampi alla camera rispetto al senato. Probabilmente quindi a palazzo Madama c’è maggiore attenzione tra gli esponenti del centrodestra a essere presenti in aula nel momento delle votazioni finali.
Anche nel caso del senato si registrano situazioni in cui esponenti che non appartengono propriamente al perimetro della maggioranza hanno votato a favore di qualche provvedimento. Tra le votazioni prese in esame ciò è successo 14 volte. Tra queste, le situazioni più significative hanno riguardato il voto sulla conversione del decreto legge riguardante la presidenza italiana del G7 e quello sulla modifica delle norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. In entrambi questi casi 8 esponenti dell’opposizione si sono espressi a favore.
Anche a palazzo Madama poi ci sono state delle votazioni in cui non si sono registrate posizioni contrarie ma solo astensioni. Sono 5 in totale. Rientrano in questa categoria, il voto sulla conversione del decreto legge emanato dal governo a seguito dell’alluvione che ha colpito l’isola di Ischia nel 2022 e alcune misure riguardanti gli strumenti finanziari. A questi si aggiunge anche il voto sulla conversione del decreto sui Campi Flegrei, in cui si è registrato un solo contrario.
Senato, il Ddl sul voto in condotta degli studenti approvato con soli 74 favorevoli
Le votazioni finali al senato in cui la maggioranza è stata “salvata” dalle divisioni interne alle opposizioni.
Anche al senato ci sono state altre situazioni dove il contenuto “politico” dei provvedimenti era più marcato. Come già visto alla camera però le opposizioni non sono riuscite a presentarsi in aula compatte e a votare contro. Possiamo citare, tra gli altri, il voto sulla legge di conversione del decreto flussi migratori (approvato con 84 voti favorevoli), quello sul Ddl in tema di deturpamento di beni culturali (85), quello sulla conversione del decreto legge sulla governance del cosiddetto Piano Mattei (85) e infine il voto sulla recente riforma in materia di voto in condotta per gli studenti (74). Quest’ultima è tra l’altro la norma approvata con il più basso numero di voti favorevoli dall’inizio della legislatura.
*(FONTE: elaborazione e dati openpolis)

 

05 – EUROPA. I SALARI NON SONO ANCORA TORNATI AI LIVELLI PRE-COVID – IL LOCKDOWN HA AVUTO UN IMPATTO CONSIDEREVOLE SU MOLTI ASPETTI DEL MONDO DEL LAVORO TRA CUI ANCHE I SALARI. SONO 12 I PAESI EUROPEI IN CUI IN MEDIA NEL 2022 NON SONO ANCORA TORNATI AI LIVELLI DEL 2019 E TRA QUESTI C’È ANCHE L’ITALIA.

EUROPA
• NEL LUSSEMBURGO IL SALARIO MEDIO ANNUO LORDO È TRE VOLTE QUELLO GRECO (2022).
• IN 12 PAESI SU 21 I SALARI SONO DIMINUITI TRA 2019 E 2022.
• IN ITALIA SONO CALATI DEL 3,4%.
La pandemia ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro.
Molte persone hanno infatti perso il proprio impiego nel periodo di lockdown oppure hanno dovuto ridurre il numero di ore lavorate (secondo la banca centrale europea, si tratta del calo maggiore mai registrato). In questo scenario, i salari non hanno costituito un’eccezione: la massa salariale totale, anche in conseguenza di queste dinamiche, ha subito una riduzione. Molti degli effetti negativi fortunatamente sono stati contenuti grazie a interventi statali volti ad aiutare le famiglie tramite indennità, ma anche a bloccare i licenziamenti. Nonostante ciò, l’impatto è stato visibile.
Oggi che l’emergenza sanitaria è finita e che tutte le attività, anche non essenziali, hanno ripreso il loro corso, anche il mondo del lavoro si è normalizzato. La massa salariale è aumentata, il tasso di disoccupazione è diminuito e quello di occupazione ha superato i livelli precedenti al lockdown. Tuttavia ha gravato su tutto il continente una forte spinta inflazionistica che ha avuto un duro impatto sui bilanci familiari, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, a cui però non sempre è corrisposto un incremento dei redditi.
A ben vedere infatti non sempre, o non ancora, i salari lordi sono tornati alla situazione pre-Covid. Come evidenzia anche l’Ocse, il riallineamento non si può ancora dire completato.
L’Italia è uno dei 12 paesi in cui nel 2022 (l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati) i salari medi annui risultavano più bassi rispetto al 2019.

SONO FORTI LE DISPARITÀ SALARIALI TRA STATI MEMBRI.
Tra 2019 e 2022 l’entità dei salari medi lordi dei cittadini europei è cambiata, come abbiamo accennato, anche a causa del lockdown e del suo impatto sul mondo del lavoro. Osservando i dati dell’Ocse possiamo rilevare che le disparità di reddito medio lordo tra i paesi europei risultano più evidenti nel 2022 rispetto al 2019.

LE DIFFERENZE DI SALARIO MEDIO REALE TRA STATI SI SONO AMPLIATE.
Lo stato in cui si registravano i valori più elevati (il Lussemburgo) ha registrato un incremento del proprio salario medio annuo pari al 5,3%.
Mentre la Grecia, il paese membro con il dato più basso, ha riportato un calo del 5,9%. La distanza tra questi due stati si è ampliata e oggi in media i lussemburghesi guadagnano 3 volte rispetto i greci. Una differenza di oltre 52mila dollari che nel 2019 era di meno di 47mila.
Il salario medio lussemburghese è tre volte quello greco

DA SAPERE
I dati si riferiscono ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro). Il valore è in dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute) con valore di riferimento al 2021.
Per calcolare i valori nazionali, l’Ocse divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time). Non sono disponibili i dati dell’Irlanda.
• Il Lussemburgo è quindi il paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022.
• Seguono Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari.
• Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno.
• L’Italia, con un valore pari a circa 45mila, è undicesima in Europa.
È importante sottolineare che le differenze salariali possono dipendere da numerosi fattori tra cui anche la prevalenza di lavoratori in specifici settori. Per esempio l’incidenza del lavoro nel settore tecnologico rispetto a quello manuale.
Il valore che l’Ocse utilizza per rilevare le differenze tra paesi sono i dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute). Per calcolare i valori nazionali, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time).
In oltre la metà degli stati Ue Ocse i salari sono in calo rispetto al periodo pre-pandemico
I salari hanno subito l’impatto della pandemia e in molti casi sono diminuiti senza riuscire a ritornare ai livelli precedenti. I
l calo più marcato si è verificato tra il 2021 e il 2022 e ha riguardato tutti gli stati Ue membri dell’Ocse tranne la Francia (+0,4%) e l’Ungheria, dove la situazione è rimasta invariata.

IN 12 STATI SU 21 I SALARI SONO DIMINUITI DOPO IL LOCKDOWN
LA VARIAZIONE DEI SALARI REALI NEI PAESI UE MEMBRI DELL’OCSE, TRA 2019 E 2022

I dati si riferiscono alla variazione percentuale dei salari reali tra 2019 e 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro). Il valore assoluto è in dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute) con valore di riferimento al 2021.
Non sono disponibili i dati dell’Irlanda.
• In 12 dei 21 paesi europei membri dell’Ocse i salari reali sono diminuiti tra prima e dopo lo scoppio della pandemia. Il calo maggiore si è verificato in Repubblica Ceca (-7,2%), seguita dalla Grecia (-5,9%).
• Mentre l’aumento maggiore si è registrato in Lettonia (+6,8%) e Lussemburgo (5,3%). L’Italia è il quarto stato membro insieme ai Paesi Bassi con il calo più pronunciato.
• -3,4% il salario annuo medio italiano tra 2019 e 2022.
• Nel nostro paese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. A differenza della maggior parte degli altri paesi analizzati, in Italia il calo più marcato si è verificato tra 2019 e 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%.
*(FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse)

 

06 – Roberto Ciccarelli*: PIÙ LAVORO POVERO, MENO SALARI: È SUBITO PROPAGANDA – IL CASO. UN ALTRO SPOT ELETTORALE SULL’AUMENTO DELL’OCCUPAZIONE È STATO SERVITO DALLE DESTRE. CONFUSA LA QUANTITÀ CON LA QUALITÀ: QUANDO GLI IMPIEGHI CI SONO MA NON PORTANO LA CRESCITA.
Un altro spot elettorale per le Europee dell’8 e 9 giugno è stato servito. Ieri, a 44 giorni dalle elezioni, il governo e la maggioranza hanno giocato la carta dell’aumento dell’occupazione attestato dall’Istat nell’ultimo anno. Nella più classica delle speculazioni sui dati dell’occupazione, già vista con i governi di tutti i colori, le destre hanno voluto così mostrare quanto la ditta Meloni & Co. sta facendo bene. Se a marzo 2023 la crescita dell’occupazione dei lavoratori dipendenti e di quelli autonomi ha segnato il record di 425mila unità in più in un anno, mentre i precari sono diminuiti di 180mila, allora questo dimostra che «il governo Meloni funziona», «ha raggiunto un traguardo» e ha sconfessato «la propaganda della sinistra». Stanno parlando di una «sinistra» che compulsa con acrimonia le tabelline dell’Istat in attesa che spunti qui o lì qualche segno «meno». Un’attività straziante, in effetti. Ieri le opposizioni, solitamente ciarliere, sono rimaste in silenzio. Avranno incassato l’attacco ai «gufi». Da Renzi in poi, è una caricatura sempre verde. Figuriamoci in periodo elettorale.
LA COMMEDIA è sempre la stessa: si prende la quantità e la si spaccia per qualità. Si guarda il segno «più» vicino al numero e non al contenuto, e tanto meno al contesto. Storicamente questa attitudine è tipica della cultura capitalista abituata a pensare al lavoro come una quantità astratta e mercificata, un mero dato statistico al quale è attribuito un significato universale. Se i posti di lavoro aumentano questo significa che i lavoratori staranno meglio. È una fandonia creata dal feticismo che confonde il lavoro con la forza lavoro, la merce con la persona. Di «robinsonate» come queste, così le chiamava Marx, è piena l’economia.
I DATI CHE HANNO allietato il fine settimana delle destre ieri non spiegano il problema più evidente: perché l’occupazione aumenta dal Covid e i salari non tengono il passo? Per rispondere a questa domanda si dovrebbero compulsare i numeretti contenuti nell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie del primo trimestre 2024. Si scoprirà che l’indice complessivo è cresciuto del 3% nell’ultimo anno, solo poco più dell’aumento dell’inflazione. Questo significa che si lavora collettivamente di più, ma si guadagna sempre di meno.
L’ANDAMENTO è indirettamente proporzionale. Un’idea sconosciuta per la politica in Italia. Dov’è Valditara quando serve per «istruire» i suoi colleghi? Tutto questo implica che la produttività del lavoro cala. E il rifiuto del governo Meloni di discutere seriamente del salario minimo orario non aiuta i lavoratori sempre più impoveriti. Ma aiuta moltissimo una parte influente del suo bacino elettorale: quelle imprese che hanno tutto l’interesse a conservare per l’eternità quella straordinaria «moderazione salariale» che è il marchio di fabbrica del capitalismo straccione italiano. Non tutto, ovviamente, è farina del sacco dell’esecutivo. Quello Meloni, come gli altri dal 1991, sono l’espressione organica di una politica di classe che ha imposto la più violenta repressione salariale nei paesi Ocse. Negli ultimi trent’anni i salari reali in Italia sono rimasti fermi con una crescita simbolica dell’1% a fronte del 32,5% registrato in media nell’area Ocse.
LA COSTOSISSIMA PIOGGIA di bonus e incentivi alle imprese – e servono altri 10 miliardi nella legge di bilancio di quest’anno per dare 100 euro ai dipendenti poveri – serve a nascondere che i contratti nazionali in attesa di rinnovo a marzo 2024 erano 36. Circa 4,6 milioni di dipendenti, il 34,9% del totale, lavorano con salari inadeguati, devastati dall’inflazione. E dovrebbero avere il «posto» di cui ieri le destre gorgheggiavano. Nemmeno questo dato è possibile «vedere» se si legge solo il «commento» nel riquadro grigio del report sull’occupazione pubblicato ieri dall’Istituto di statistica.
NON VANNO TRASCURATE le analisi che, negli ultimi mesi, hanno cercato di capire le origini dell’aumento del lavoro povero in Italia, frutto di un’economia che cresce sempre di meno e destinata a restare così molto a lungo. Dall’analisi settoriale emerge il fatto che l’aumento occupazionale è dovuto in parte al recupero delle attività dei servizi, in particolare del turismo. Com’è noto, il turismo è un settore con basso valore aggiunto e alta precarietà e stagionalità. Proprio il settore che, tra Expo Giubilei Saloni, Airbnb dappertutto e altri intrattenimenti, riceve le attenzioni della politica, di destra e di sinistra. Questo è il simbolo di un’economia predatoria «made in Italy». I dati sull’occupazione sono uno dei suoi effetti.
*(Roberto Ciccarelli (Bari, 1973). Filosofo e giornalista, scrive per «il manifesto».)

 

07 – Luca Celada*: LOS ANGELES – SCONTRI E REPRESSIONE. LA POLIZIA SGOMBERA GLI STUDENTI DELL’UCLA – STATI UNITI. GLI AGENTI STANNO A GUARDARE QUANDO GRUPPI A FAVORE DELL’INTERVENTO MILITARE DI ISRAELE A GAZA AGGREDISCONO GLI STUDENTI NELLA NOTTE.

Sono finite con una massiccia operazione di polizia in stile militare le 24 ore di violenza e repressione che hanno segnato la fine dell’occupazione di Ucla. Poco prima dell’alba è scattata l’operazione di sgombero: centinaia di agenti del Lapd, dello Sheriff’s department e della polizia stradale che avevano preso posizione sul campus si sono mossi contro gli studenti asserragliati nella tendopoli pro palestinese e altre centinaia di persone che avevano risposto all’appello lanciato dai manifestanti sui social per accorrere a dare man forte.
L’OPERAZIONE è cominciata con lanci di razzi di segnalazione che hanno illuminato a giorno lo spiazzo coperto di tende davanti a Royce Hall e le linee di agenti in assetto antisommossa sono avanzate contro i ragazzi lanciando granate di stordimento. Nelle colluttazioni vi sarebbero stati numerosi contusi. Alle prima luci dell’alba erano ancora visibili dozzine di studenti con le mani fascettate dietro la schiena, in procinto di essere caricati sui pullman che li avrebbero portati verso le carceri cittadine. I fermi si aggiungono ai quasi duemila arresti di studenti in lotta ormai effettuati in tutto il paese.
Nei campus l’intensità e la violenza del conflitto di Gaza sembra aver contagiato e definitivamente compenetrato il corpo politico del paese dove vivono più ebrei di quanti ve ne siano in Israele. Ucla in particolare è sembrata restituire un’allegoria di Gaza e dei territori quando, 24 ore prima dello sgombero, l’accampamento è stato oggetto di un violento attacco da parte di squadre filo israeliane che nella notte di mercoledì hanno assalito il campo con lancio di petardi e fuochi d’artificio contro i ragazzi e ondate di picchiatori che si sono lanciati contro le barriere cercando di sfondare il perimetro difeso dagli studenti. Numerosi studenti sono stati colpiti da mazze e spranghe di ferro, presi a calci e pugni e spediti in ospedale. L’attacco è proseguito per oltre quattro ore nella totale senza delle forze dell’ordine, malgrado le numerose chiamate al 112 da parte degli stessi studenti.
«È UN’ALLEGORIA di quello che succede in Palestina», ci ha detto l’indomani Tai Min, ventenne studentessa di sociologia, mentre l’accampamento veniva rifortificato. «Come i Palestinesi siamo stati letteralmente bombardati dall’esterno per poi essere accusati di essere terroristi ed antisemiti». Ed il paradigma dell’antisemitismo continua a prevalere su molta stampa mainstream e nelle dichiarazioni di politici, a cui si è associato ieri Biden, che lo ha definito inaccettabile al pari delle aggressioni a studenti ebrei.
L’analisi è però surrealisticamente dissociata dagli effettivi connotati di un movimento pacifista che è quasi maniacale nell’ossessione ecumenica. Le proteste sono assembramenti eterogenei di razze ed etnie. In ogni caso è forte la presenza di voci pacifiste ebraiche come quelle di Jewish Voice for Peace e If Not Now. Nella settimana di occupazione di Ucla, coincisa con la Pasqua ebraica si sono tenuti «seder di liberazione» a cui hanno partecipato giovani ebrei e palestinesi. Forse proprio questo viene percepito come minaccia alla prevalente narrazione di conflitto e guerra necessaria.
«IL NOSTRO MOVIMENTO non ha nulla a che fare con le identità religiose, la nostra critica è anticoloniale, per la liberazione di un popolo oppresso da 75 anni», aggiunge Tai quando glielo chiedo. «Si tratta di una tattica collaudata di distrazione, in questo caso fondata sulla falsa accusa che avremmo impedito l’accesso alle lezioni a studenti ebrei». Per risponderne il rettore di Ucla è ora stato convocato dalla commissione del Congresso per l’antisemitismo che da mesi inquisisce amministratori adducendo «l’impennata di atti antisemiti» nel paese. La statistica dipende però, a ben vedere, dall’allargamento della definizione a critiche dell’operato israeliano e semplici espressioni come «Palestina libera».
È da leggersi in quest’ottica anche il disegno di legge varato dalla Camera che rende illegale l’antisemitismo rafforzandone la definizione. Per gli Stati uniti, con la loro decennale giurisprudenza costituzionale sulla garanzia della libertà di espressione, si tratta di uno sviluppo epocale che dà la temperatura di un estremismo istituzionale, fomentato anche da potenti lobby sioniste. «È una narrazione utilizzata per isolarci», mi spiega Samuel Hamed, 24 anni, anche lui ha passato la settimana nella tendopoli di Ucla. «Noi però siamo ben coscienti della solidarietà che vediamo oggi nelle università di tutto il paese. Il nostro movimento è enorme e non smetterà di chiedere una denuncia chiara del genocidio». «L’assurdo è che si possa tollerare come normale l’uccisione di quasi 40.000 persone di cui metà bambini», aggiunge uno studente vicino.
LA QUESTIONE morale imprescindibile posta dagli studenti come non avveniva dagli anni sessanta sembra aver provocato una dissonanza cognitiva in un paese già convulso dalla distorsione demagogia della politica. In questo senso gli studenti sembrano muoversi in un universo parallelo rispetto alla politica in cui vige la strumentalizzazione e la normalizzazione della violenza immane. Contro di loro c’è il governo (alla domanda se le proteste influissero sulle sue politiche, ieri Biden ha risposto con un laconico «No»), i due partiti, le istituzioni. Eppure i sondaggi continuano a rivelare la novità storica di una maggioranza di cittadini che per la prima volta criticano l’operato di Israele.
(Fonte: Il Manifesto. Luca Celada, giornalista e documentarista, è stato per oltre vent’anni corrispondente della Rai da Los Angeles occupandosi di attualità, tematiche sociali, immigrazione, con fine messicano, afroamericani, a partire dalle rivolte di Los Angeles nel 1992)

 

 

 

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