n°17 – 27/04/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Barbara Weisz*: Elezioni Europee 8-9 giugno 2024: regole e casi particolari per il voto.
Credits: Ministero Interni
02 – La Senatrice La Marca (PD) partecipa alla settimana di eventi organizzati dalla National Italian American Foundation
03 – Matteo Giusti*: IL CASO – Telefonate di Meloni alla Rai, esposto alla Commissione Ue per ingerenze. La nota di Fnsi – Usigrai: premier chiarisca – La denuncia presentata dal verde Bonelli dopo l’articolo della Stampa: «Violato il Media freedom Act
04 – Sen. Francesca La Marca*: “bandiere rosse al vento” – con queste parole, 79 anni fa, arrivava in edicola l’edizione dell’avanti, quotidiano dell’allora partito socialista italiano di unità proletaria.
05 – Marco Bersani*: Patto di stabilità: per chi è finita la pacchia. La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari
06 – Alberto Piccinini*: Propal, il mostro costruito ad arte dai talk di destra -PROPAGANDA. Succhiare come vampiri dal 25 aprile ogni linfa e storia fino ad occuparne il guscio vuoto era la strategia della destra. Ce l’hanno fatta? In televisione sì.
07 – Alberto Piccinini*: Blackbird, il ritorno dei diritti civili all’epoca del ministro Valditara. Nel suo nuovo disco, Beyoncé riporta a casa la canzone scritta da Paul McCartney per la storia dei Little Rock Nine. Quando la notte è scura, bisogna tornare ai Beatles.
08 – Claudio De Fiores*: Nel vicolo cieco del particolarismo – TEMPI PRESENTI. «Spezzare l’Italia», l’ultimo volume di Francesco Pallante per Einaudi. Una ricostruzione serrata che affronta i cedimenti consumatisi in 30 anni sul terreno costituzionale
09 – Guido Liguori . Antonio Gramsci, il giornalista militante e gli anni torinesi – SCAFFALE. Il libro di oltre mille pagine che raccoglie i suoi scritti del 1918 è edito dall’Istituto della Enciclopedia italiana.
10 – Barbara Weisz*: Elezioni europee 2024: domanda per votare fuori sede. Gli studenti fuori sede per la prima volta possono votare alle Europee senza tornare a casa, ma devono presentare domanda entro il 5 maggio: la procedura.

 

 

01 – Barbara Weisz*: ELEZIONI EUROPEE 8-9 GIUGNO 2024: REGOLE E CASI PARTICOLARI PER IL VOTO. (Credits: Ministero Interni)
Elezioni Europee 2024, tutte le istruzioni per votare l’8 e 9 giugno, con regole particolari per residenti all’estero, fuori sede e infermi.
Sabato 8 e domenica 9 giugno 2024 si vota per le Elezioni Europee, scegliendo i 76 membri italiani del Parlamento di Strasburgo, votando con sistema elettorale proporzionale e sbarramento al 4% e segnando sulla scheda fino a tre preferenze.
Di seguito forniamo una guida completa con tutte le istruzioni su come si vota.
Indice
Europee 2024: quando si vota – ITALIANI ALL’ESTERO – IN QUALE SEDE O SEGGIO SI VOTA – REGOLE PER INFERMI E DISABILI – COME SI VOTA E SI COMPILA LA SCHEDA – REGOLE E OBBLIGHI SULLE PREFERENZE
PRESENTAZIONE LISTE ENTRO IL 1° MAGGIO – EUROPEE 2024: QUANDO SI VOTA.

Presso le predette sezioni elettorali potranno altresì votare i connazionali temporaneamente domiciliati nel Paese membro dell’UE per motivi di studio o di lavoro che abbiano presentato apposita domanda in tal senso all’Ufficio consolare di competenza entro il 21 marzo 2024.
Hanno diritto di voto tutti i cittadini maggiorenni, mentre per essere eletti al Parlamento UE ci vogliono 25 anni.
In Italia, si va alle urne presso i seggi elettorali in cui si è iscritti (numero riportato sulla tessera elettorale) votando con i seguenti orari:

SABATO 8 GIUGNO DALLE 15 ALLE 23;
DOMENICA 9 GIUGNO DALLE 7 ALLE 23.

ITALIANI ALL’ESTERO
Le elezioni europee si svolgeranno all’estero il 7 e l’8 giugno 2024. per i residenti italiani iscritti all’AIRE e localizzati in un Paese membro dell’Unione Europea, che possono votare presso le sezioni elettorali istituite dagli Uffici consolari. Gli italiani residenti in altro Stato UE possono votare nella sede diplomatica estera (la ricevono a casa) ma se preferiscono tornare a casa devono avvertire il sindaco che voteranno con certificato elettorale di una circoscrizione estera. Sa legislazione del paese in cui risiedono lo consente, possono votare per i candidati dello stato in cui si trovano.

IN QUALE SEDE O SEGGIO SI VOTA
Europee 2024: domanda per votare fuori sede23 aprile 2024Quest’anno, gli studenti fuori sede presso un altro Comune, possono chiedere di votare dove sono domiciliati (o nel luogo in cui si trovano o nel relativo capoluogo di Regione). Militari, forze di polizia, vigili del fuoco e naviganti possono invece votare nel comune in cui si trovano per causa di servizio.

REGOLE PER INFERMI E DISABILI
Gli impossibilitati a spostarsi (ricoverati in ospedale o case di riposo e i detenuti) può votare presso la struttura in cui si trova, previo rilascio di una specifica attestazione richiesta al Sindaco dagli interessati.
Gli infermi confinati a casa possono votare dalla propria abitazione, presentando una certificazione sanitaria della ASL, previa richiesta al Sindaco.
I non deambulanti possono votare in un’altra sezione del comune se si trova in una sede con adeguate caratteristiche, presentando un’attestazione medica ASL.
Gli elettori fisicamente impediti possono farsi assistere da un familiare elettore o, in mancanza, da un accompagnatore, presentando documentazione sanitaria ASL (in alternativa, possono ottenere dall’Ufficio elettorale del comune l’annotazione permanente del diritto di voto assistito sulla tessera elettorale).

I NON VEDENTI HANNO DIRITTO AL VOTO ASSISTITO DIETRO ESIBIZIONE DEL LIBRETTO NOMINATIVO RILASCIATO DALL’INPS.
Contrariamente a quanto succede per le elezioni politiche, nel caso delle europee gli italiani residenti fuori dai confini UE non possono votare dall’estero ma devono tornare in Italia.

COME SI VOTA E SI COMPILA LA SCHEDA
Elezioni Europee 8-9 giugno 2024: le regole nei Comuni26 gennaio 2024Non è necessario iscriversi alle liste elettorali: il certificato è lo stesso già utilizzato nelle scorse elezioni; chi lo smarrisce può rifarlo nelle sedi del Comune. Chi ha cambiato residenza da poco se non ha ancora ricevuto il nuovo certificato, deve contattare il Comune per capire dove può votare.
Al seggio bisogna presentarsi con documento di identità valido e scheda elettorale: quest’ultima si può richiedere agli uffici del Comune nel caso in cui sia stata smarrita. Dovrebbe sempre essere possibile farlo anche il giorno del voto: spesso la pratica può essere effettuata online, in ogni caso bisogna chiedere la procedura al proprio comune di appartenenza.

REGOLE E OBBLIGHI SULLE PREFERENZE
Il Parlamento Europeo si rinnova ogni cinque anni, eletto con sistema proporzionale e soglia di sbarramento al 4%. Significa che una lista deve ottenere almeno questa percentuale di voti per esprimere un parlamentare. Per il resto, i seggi vengono distribuiti in modo proporzionale rispetto ai voti ottenuti.

VENGONO ELETTI 720 DEPUTATI E L’ITALIA NE ESPRIME 76. Sulla scheda bisogna contrassegnare il simbolo del partito scelto e si possono inserire da una o tre preferenze.
Attenzione: se le preferenze sono più di una, devono andare a persone di sesso diverso, non è possibile esprimere ad esempio due preferenze entrambe per candidate donne e per candidati uomini.

PRESENTAZIONE LISTE ENTRO IL 1° MAGGIO
Le circoscrizioni elettorali per le Elezioni Europee sono cinque: Nord Occidentale, Nord Orientale, Centrale, Meridionale, Insulare. I partiti possono decidere di presentarsi in tutte le circoscrizioni oppure solo in alcune.

SONO STATI DEPOSITATI I SIMBOLI DI 42 FORZE POLITICHE.
Il l Ministero dell’Interno non ha ancora pubblicato i fac-simile delle liste perché sono ancora aperti i termini per formarle. Potranno presentare i candidati dalle 8 alle 20 di martedì 30 aprile e di mercoledì primo maggio presso le cancellerie delle corti di appello di Milano, Venezia, Roma, Napoli e Palermo.
*(Barbara Weisz. Giornalista professionista, scrive di economia, politica e finanza per la stampa specializzata, tra testate online quotidiani e riviste a diffusione nazionale.)

 

02 – La Senatrice La Marca (PD) PARTECIPA ALLA SETTIMANA DI EVENTI ORGANIZZATI DALLA NATIONAL ITALIAN AMERICAN FOUNDATION
Settimana ricca di impegni istituzionali a New York per la Sen. La Marca – martedì, 16 aprile, la Senatrice ha partecipato ad un ricevimento organizzato dal Consolato Generale d’Italia a New York in occasione del 500° anniversario dalla “scoperta” della Baia di New York da parte di Giovanni Da Verrazzano, esploratore e navigatore italiano, che nel 1524 sbarcò sulle coste newyorkesi. A fare gli onori di casa è stato il Console Generale, Fabrizio Di Michele. Oltre alla Senatrice, hanno partecipato al ricevimento un numero di esponenti di spicco come Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana, Roberto Lagalla, Sindaco di Palermo, una delegazione della Regione Sicilia, il giornalista, Alan Friedman, rappresentanze di COMITES e associazioni socioculturali presenti sul territorio.
Mercoledì 17 aprile, la Senatrice ha partecipato ad un pranzo di lavoro organizzato da GEI (Gruppo Esponenti Italiani) dove ha avuto l’occasione di confrontarsi con Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, su un numero di questioni come gli investimenti della Regione nelle relazioni economiche tra Stati Uniti e Italia. In qualità di presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, l’On. Fedriga ha inoltre illustrato le strategie per accrescere l’attrattività di questi territori verso i mercati esteri. Presenti all’incontro, oltre alla Senatrice, anche alcuni esponenti di spicco della filiera economica e commerciale italo-statunitense.
Successivamente all’appuntamento GEI, si è tenuta, presso la sede del Consolato, una presentazione, alla presenza del Sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, della nuova tratta aerea Palermo – New York, effettuata dalla compagnia NEOS. Un servizio aggiuntivo che aumenta i collegamenti dell’isola italiana con la Grande Mela e rilancia lo sviluppo della Regione Sicilia nei rapporti con gli Stati Uniti. Inoltre, il Sindaco e una delegazione della Regione Sicilia hanno illustrato le innumerevoli opportunità turistiche che l’isola e il capoluogo stesso offrono, concentrandosi anche sulla famosissima festa patronale di Santa Rosalia.
In seguito, si è arrivati alla firma di un Memorandum d’Intesa tra la National Italian American Foundation (NIAF) e la National Federation of Canadian Italian Business and Professional Association (CIBPA). Il Presidente della NIAF, Bob Carlucci, e il Presidente Nazionale della CIBPA, Gianni Leonetti, hanno firmato un accordo che impegna le rispettive organizzazioni in una serie di iniziative congiunte nel corso dei prossimi tre anni. Le principali aree di collaborazione delineate nel Protocollo riguardano il sostegno a cause benefiche in linea con la conservazione del patrimonio culturale italiano, la semplificazione del processo di cittadinanza per italo-americani e italo-canadesi, la promozione del “turismo delle radici” in Italia, l’organizzazione di scambi accademici e culturali tra Italia, Stati Uniti e Canada e la promozione incrociata dei risultati di importanti italoamericani e italocanadesi. A seguire, al ricevimento organizzato dalla NIAF, la Senatrice ha assistito alla proiezione del docufilm realizzato da Alan Friedman su Giovanni Da Verrazzano, inserito all’interno delle celebrazioni per il 500° anniversario della “scoperta”, un momento per riscoprire la storia di un grande navigatore.
La settimana si è conclusa, giovedì 18 aprile, con il Gala NIAF. Alla serata, organizzata dal Chairman Bob Carlucci e dal Presidente Robert Allegrini sono stati presenti oltre 700 ospiti, tra cui alcuni Ambasciatori e rappresentanti delle istituzioni come i già citati, Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana, Roberto Lagalla, Sindaco di Palermo, Fabrizio Di Michele, Console Generale d’Italia a New York, Alan Friedman, Giornalista ed esperto di politica internazionale. La Regione Friuli-Venezia Giulia è stata designata come regione d’onore dal NIAF per l’anno 2024, un insieme di eventi che si susseguiranno nel corso dell’anno con visite delle rispettive delegazioni nei due diversi territori. Nel corso della serata, sono state premiate un numero di eccellenze come la Ceo & General Manager di “Terna S.pA.”, Giuseppina di Foggia, la Managing Director di “KKR”, Monica Mandelli e il President & CEO della “New York Building Congress”, Carlo Scissura. Un bel momento di condivisione e un appuntamento annuale organizzato dalla NIAF al quale non si può mancare.

 

03 – Matteo Giusti*: IL CASO – TELEFONATE DI MELONI ALLA RAI, ESPOSTO ALLA COMMISSIONE UE PER INGERENZE. LA NOTA DI FNSI -USIGRAI: PREMIER CHIARISCA – LA DENUNCIA PRESENTATA DAL VERDE BONELLI DOPO L’ARTICOLO DELLA STAMPA: «VIOLATO IL MEDIA FREEDOM ACT. LA SCUSA ECONOMICA DIETRO LA CENSURA HA LA REGIA POLITICA DEL GOVERNO». IL LEADER DELLA SINISTRA FRATOIANNI: «VICENDA INQUIETANTE». I DUE SINDACATI DEI GIORNALISTI CHIEDONO CHIARIMENTI ALLA VIGILANZA RAI

Può un presidente del Consiglio telefonare a due dirigenti Rai, considerati amici, e studiare con loro la migliore strategia per smontare l’accusa di censura nata dopo la cancellazione del monologo di Antonio Scurati su Raitre, e allo stesso tempo sbeffeggiare lo scrittore per il compenso pattuito? Dopo l’articolo pubblicato da La Stampa, che ha svelato le chiamate della premier al dg Giampaolo Rossi e al direttore Approfondimenti Paolo Corsini per trovare una giustificazione a quanto accaduto, il leader di Europa Verde Angelo Bonelli, che guida con Nicola Fratoianni l’Alleanza Verdi e Sinistra, ha presentato un esposto sulla Rai alla Commissione europea: «È una palese violazione del Media Freedom Act del 13 marzo scorso. C’è un’ingerenza continua del governo finalizzata alla censura e al controllo dei media». Il caso Scurati prova, secondo Bonelli, «che è in corso un’occupazione di tutti gli spazi di informazione da parte del governo Meloni». Le telefonate di Meloni sono solo l’ultimo episodio della presa di Meloni su Viale Mazzini: «Confermano – attacca Fratoianni – l’asservimento totale del servizio pubblico radio tv alla destra al governo». Con un’aggravante, secondo il leader della sinistra, riferita al post con il quale Meloni lancia le sue insinuazioni – per ben tre volte in poche righe – sui soldi trattati da Scurati con la Rai: «Che si voglia far passare gli intellettuali liberi come degli avidi. Una cosa insopportabile»
L’elenco si allunga di giorno in giorno. Prima è stato il turno di Roberto Saviano, la cui trasmissione, Insider, è finita fuori palinsesto dopo la causa intentata da Meloni allo scrittore. Poi le rivelazioni sulla probabile vendita dell’Agi, la seconda agenzia di stampa del Paese, ad Antonio Angelucci, imprenditore della sanità privata, deputato della Lega ed editore di tre quotidiani di destra filomeloniani, tra cui Libero, diretto dall’ex portavoce della premier Mario Sechi. E ancora: il tentato blitz in commissione di Vigilanza dove Fratelli d’Italia ha provato a modificare il regolamento AgCom per svincolare dalle regole della par condicio i membri del governo. Infine, il caso delle telefonate. «Con le telefonate intercorse fra Palazzo Chigi e alcuni dirigenti Rai, così come la racconta La Stampa, per trovare una giustificazione plausibile èpopolare “alla censura nei confronti dello scrittore Scurati, la vicenda assume contorni ancora più inquietanti», attacca il leader della sinistra Nicola Fratoianni. «Il quotidiano racconta come la decisione di annullare il monologo e la scusa economica siano state orchestrate con la regia politica del governo – continua Bonelli -. Del resto, il direttore approfondimenti Corsini, alla festa del partito di Giorgia Meloni, si è dichiarato fedele sostenitore di Fratelli d’Italia». L’esposto alla Commissione europea è un’iniziativa che nasce sulla base del nuovo regolamento di cui si è dotata l’Europa, dopo le derive liberticide di Viktor Orban in Ungheria, contro il controllo dei media da parte dei governi, contro le concentrazioni editoriali, e contro le ingerenze dei partiti. Di fatto un dispositivo che potrebbe azzoppare il sistema Italia.
(ansa)
Anche il sindacato nazionale Fnsi assieme al sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, Usigrai, hanno chiesto, in una nota congiunta, un chiarimento alla commissione di Vigilanza dopo l’articolo de La Stampa: «In particolare chiediamo di chiarire se e quale ruolo abbia avuto la presidente del Consiglio Meloni nell’indirizzare le scelte dei vertici Rai, in particolare di Rossi e Corsini.
*(Matteo Giusti. Giornalista professionista, ha lavorato per diverse testate nazionali e locali, conducendo programmi radiofonici e televisivi.)

 

04 – Sen. Francesca La Marca*: “BANDIERE ROSSE AL VENTO” – CON QUESTE PAROLE, 79 ANNI FA, ARRIVAVA IN EDICOLA L’EDIZIONE DELL’AVANTI, QUOTIDIANO DELL’ALLORA PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA.
Mi piace ricordare quel giorno, quel 25 aprile del 1945, con queste quattro parole che restituiscono il sentimento di liberazione degli italiani dopo gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione Nazifascista.
Oggi, a distanza di 79 anni, vediamo come i valori della Resistenza e le virtù delle Democrazie vengono messe a dura prova dai nuovi conflitti ai confini dell’Europa e nel vicino Medioriente. Inoltre, con le immagini che ci sono pervenute dalla commemorazione di Acca Larenzia, ci rendiamo conto di come alcuni spettri del passato aleggiano ancora in molti italiani, convinti che la stagione fascista fosse una stagione di giustizia ed eguaglianza sociale.
Oggi più che mai, occorre ricordare gli orrori della guerra, gli orrori perpetrati dalla violenza del Regime. Oggi più che mai, abbiamo il dovere di ricordare il 25 aprile del 1945, una giornata di sole, una giornata che restituì la libertà al popolo italiano.
Buona Festa della Liberazione a tutti e tutte voi!
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Elettorale College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura)

 

05 – Marco Bersani*: PATTO DI STABILITÀ: PER CHI È FINITA LA PACCHIA. LA RUBRICA SETTIMANALE DI POLITICA ECONOMICA. A CURA DI AUTORI VARI

L’Europa è preoccupata? Se vinciamo noi è finita la pacchia!». Così urlava Giorgia Meloni all’ultimo comizio elettorale del settembre 2022. Siamo nell’aprile 2024, Meloni ha vinto è l’Unione Europea ha approvato il “nuovo” patto di stabilità dopo la sospensione triennale post pandemia. Guardando le misure introdotte, si può dire che Meloni avesse ragione dal punto di vista letterale, ma avendo invertito soggetti attivi e soggetti passivi dell’affermazione.
Perché la pacchia -peraltro mai pervenuta dalle parti delle fasce deboli e medie della popolazione- è davvero finita e ritorna in grande stile la gabbia del debito e delle politiche di austerità.
Cosa prevede infatti il nuovo patto di stabilità? Intanto ripropone i numeri magici (60% rapporto debito/Pil e 3% rapporto deficit/Pil) i cui stessi ideatori dichiararono a più riprese di averli letteralmente inventati senza alcuna base scientifica. Su come raggiungerli e sulle procedure d’infrazione nel caso di mancato risultato, i mass media e l’élite politiche si sbracciano per dire che c’è un allentamento rispetto alle misure previste in passato. Ma il focus è ancora una volta sbagliato.
Vediamo i dettagli. Per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, i Paesi con un debito tra il 60% e il 90% del Pil dovranno ridurlo dello 0,5% ogni anno, mentre i Paesi con un debito superiore al 90% del Pil (è il caso dell’Italia) dovranno ridurlo dell’1% annuo. Se è vero che il patto di stabilità precedente prevedeva un rientro del 5% all’anno, è altrettanto vero che prima tutti i Paesi erano consapevoli della totale impossibilità di un rientro così drastico, mentre ora il risultato è esigibile e quindi con conseguenze reali in termini di impatto economico e sociale.
Ritorno all’austerità. Le nuove regole e i limiti alla flessibilità voluti dai frugali
Per quanto riguarda il deficit, le nuove misure sono drasticamente peggiorative, perché, pur mantenendo il 3% come tetto non soggetto a procedura d’infrazione, spinge i Paesi ad arrivare all’1,5%, in modo da avere una più cogente stabilità finanziaria che consenta di affrontare eventi straordinari (vedi pandemia) senza mai superare il mitico 3%.
E come si raggiunge questo risultato? Con un miglioramento del saldo primario strutturale (entrate maggiori delle uscite) del 0,4% annuo del Pil nel caso di un percorso di aggiustamento di quattro anni o del 0,25% annuo del Pil nel caso il percorso sia di sette anni. Come riporta uno studio della Confederazione europea dei sindacati (Ces) basato sui calcoli del centro studi Bruegel (https://www.etuc.org/en/pressrelease/100bn-cuts-next-year-under-council-austerity-plan ), si tratta per l’Italia di tagli al bilancio di 25,4 mld/anno (percorso quadriennale) o di 13,5 mld/anno (percorso settennale). E se il buongiorno si vede dal mattino, segniamoci la data del 19 giugno (post-elezioni) perché sarà allora che si aprirà la prima procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il deficit eccessivo registrato nel 2023.
Non di soli numeri si parla nel “nuovo” patto di stabilità, bensì anche di democrazia. Già perché l’altra novità è che per i Paesi con debito alto sarà direttamente Bruxelles “a indicare la traiettoria di riferimento della spesa primaria netta”, ovvero a decidere quanti soldi andranno alla sanità, all’istruzione, alla transizione ecologica, mentre un occhio di riguardo nei conteggi sarà riservato per tutti gli investimenti che riguardano il bilancio della Difesa e le spese militari.
TORNA LA GABBIA, DUNQUE, E LA RIDICOLA ASTENSIONE AL VOTO DA PARTE DELLA MAGGIORANZA DI GOVERNO DI DESTRA, COSÌ COME QUELLA DEL PD, HANNO IL SAPORE DELLA FOGLIA DI FICO PRE-ELETTORALE. OGGI PIÙ CHE MAI SERVE UNA VERA LIBERAZIONE: CONTRO IL FASCISMO POLITICO, MA ANCHE CONTRO IL FASCISMO DEI MERCATI FINANZIARI.
(Fonte: Il Manifesto. Marco Bersani. Laureato in Filosofia, è dirigente comunale dei servizi sociali e consulente psicopedagogico per cooperative sociali.)

 

06 – Alberto Piccinini*: PROPAL, IL MOSTRO COSTRUITO AD ARTE DAI TALK DI DESTRA -PROPAGANDA. SUCCHIARE COME VAMPIRI DAL 25 APRILE OGNI LINFA E STORIA FINO AD OCCUPARNE IL GUSCIO VUOTO ERA LA STRATEGIA DELLA DESTRA. CE L’HANNO FATTA? IN TELEVISIONE SÌ. MA LA TELEVISIONE È ROBA LORO, ADESSO SEGNATEVI UNA PAROLA NUOVA: PROPAL. PROPALESTINA. NUOVISSIMA NON È, GIRA DA ANNI NEGLI OSSERVATORI SULL’ANTISEMITISMO, MA PROPRIO QUESTA CIRCOSTANZA LA RENDE VELENOSAMENTE ADATTA A IDENTIFICARE IL NEMICO NUOVO CHE SI AVANZA NELLA GUERRA CULTURALE.

Nemico loro. Propal è il babau dei talk di destra (cioè quasi tutti), un mostro costruito con pazienza dalle prime urla mesi or sono degli ospiti filoisraele contro chi denunciava il genocidio a Gaza (fino allo scandalo Ghali-Mara Venier – casa mia o casa tua a tutto volume in corteo ieri), ai collegamenti malmostosi con le proteste nelle università italiane, i video degli scontri studenti-polizia (Pisa, Roma, Torino), infine il racconto del 25 aprile che della strategia è il momentaneo capolavoro, temo.
Giorni fa Maurizio Belpietro, in uno dei cento talk settimanali ai quali lo invitano, aveva anticipato che il 25 aprile se lo sarebbe giocato la Brigata Ebraica contro i propal, e così è stato. I più grandicelli di noi sono abituati a riconoscere la puzza di propaganda fino dai titoli dei telegiornali: tensione e insulti a porta San Paolo; allerta massima in piazza del Duomo. Piuttosto surreale ma significativo il collegamento di un tg4 pomeridiano dal centro della piazza del Duomo con un’unica agitata inquadratura dei caschi della polizia che impedivano di vedere chiunque ci fosse dietro, scarsi i tentativi del cameramen.
Esiste su instagram un controcampo della scena, mostra almeno chi c’era dietro/davanti agli scudi. Su instagram c’è tutto: ci sono i maranza senza patria del McDonald’s che fanno a botte coi City Angel, c’è il messaggino di Giorgia Meloni sulla “fine” del fascismo, ridicola rincorsa a un revisionismo semantico ossessivo e insultante. C’è lo sclero di Riccardo Pacifici contro un’inviata del programma Reset, colpevole di avere raccontato the dark side della Brigata Ebraica, niente di che, tante scuse via social.

LA PALESTINA IN TESTA
Succhiare come vampiri dal 25 aprile ogni linfa e storia fino ad occuparne il guscio vuoto era la strategia della destra. Ce l’hanno fatta? In televisione sì. Ma la televisione è roba loro, adesso. Solo per un antico meccanismo di rappresentazione istituzionale il tg1 ha avuto l’obbligo di mostrare il presidente Mattarella che si aggirava come un marziano in questa strana giornata a parlare di antifascismo e unità popolare, ruolo delle donne e libertà, a Civitella della Chiana fisicamente separato dai set principali, Roma e Milano.
In apertura dei suoi tg Rete4 ha trasmesso per ben due volte il servizio completo del discorso di Berlusconi a Onna, il 25 aprile 2009: il fazzoletto e i partigiani, la festa della Libertà contro la festa della Liberazione. Divino l’attacco stile Luce: «La scintilla della riappacificazione dell’Italia fu scoccata da Silvio Berlusconi». Colpiva il pessimo stato di conservazione dei colori su nastro magnetico: se va avanti così tra 40 anni sarà tutto cancellato. Gli resteranno soltanto i film di Peppone e Don Camillo.
Ha scritto Filippo Barbera ieri su questo giornale che il guaio della sinistra è aver appaltato la sua unica idea di televisione a Blob invece che pensare a costruire immaginario. Sono uno degli umilissimi militanti della brigata Blob, programma che quest’anno compie 35 anni e ringrazio, magari fosse così. Blob era nato in tempo di guerra per smontare la propaganda, fare a pezzi l’immaginario, più altri deliri di gioventù. Proprio come i ragazzi (i marziani?) che ieri hanno tanto colpito Luciana Castellina a Milano, il commento più sano della giornata resta il suo, come certi quartieri di Roma pieni di gente che ha festeggiato in strada, come si fa, come si dovrebbe fare da sempre il 25 aprile
*(Alberto Piccinini, giornalista. Scrive principalmente per il manifesto)

 

07 – Alberto Piccinini*: BLACKBIRD, IL RITORNO DEI DIRITTI CIVILI ALL’EPOCA DEL MINISTRO VALDITARA. NEL SUO NUOVO DISCO, BEYONCÉ RIPORTA A CASA LA CANZONE SCRITTA DA PAUL MCCARTNEY PER LA STORIA DEI LITTLE ROCK NINE. QUANDO LA NOTTE È SCURA, BISOGNA TORNARE AI BEATLES.

Quando la notte è scura bisogna sempre tornare ai Beatles. Come Beyoncé, che canta Blackbird di Paul McCartney nel nuovo album Cowboy Carter in un bell’arrangiamento corale, e riporta a casa una canzone nata in sostegno ai diritti civili nell’America anni ’60.
Per prima la storia dei Little Rock Nine, i nove ragazzi e ragazze neri che soltanto con l’intervento dell’esercito riuscirono a entrare nel primo liceo desegregato di Little Rock, Arkansas, mentre il governatore aveva schierato la sua guardia nazionale per impedirlo. Era il 1957.

DA QUESTA PARTE DELL’ALTRO SECOLO CI BALOCCHIAMO COI TWEET GOFFI DEL MINISTRO VALDITARA, CON CERTE PARODIE SEGREGAZIONISTE ACCOLTE NEI TALK SHOW COME FOSSE TUTTO NORMALE; QUELLE IMMAGINI IN BIANCO E NERO SONO ANCORA SCONVOLGENTI NELLA LORO TRATTENUTA FEROCIA. I RAGAZZI E LE RAGAZZE NON MAI HANNO COLPA DI NIENTE, A LITTLE ROCK COME A PIOLTELLO.
La volta che andò a suonare a Little Rock nel 2016 Paul McCartney ricordò di quando aveva letto su un giornale quella notizia. «Per me qui è dove la lotta è cominciata», raccontò, e dopo quasi sessant’anni poté incontrare due delle ragazze entrate in classe, Thelma Mothershed e Elizabeth Eckford. Dedicò a loro di persona la canzone che aveva scritto perché «se fosse arrivata laggiù avrebbe potuto aiutarle un poco». Merlo nero che canti nella notte/ riprendi le tue ali spezzate e impara a volare, dice il testo. Nella registrazione sull’Album Bianco è aggiunto il suono degli uccellini che il musicista aveva registrato nel giardino di casa all’alba. Il risveglio, la fragilità, la bellezza, proprio come certi usignoli e allodole nei lieder di Schubert.
In realtà, i tempi di composizione di Blackbird non sono così precisi. Come sempre quando si tratta di Beatles ci sono voci e storielle, come quella che la canzone fu scritta per una nonna acquisita che non era stata troppo bene. Niente di male, anzi. Probabilmente McCartney se l’era portata dietro per anni quell’idea. Di ritorno dall’India nel 1968 e subito dopo l’uccisione di Martin Luther King, riprese l’immagine delle ali spezzate nella notte più nera, che sembrava così adatta al momento. Il verso successivo dice: Per tutta la vita/ hai aspettato questo momento per risorgere. La traduzione pasquale non stupisca, nei significati di arise c’è qualcosa di collettivo e pure di spirituale. Arise, in fondo, è un altro sinonimo di woke, perché no. Quando Beyoncé e il coro arrivano al verso sul momento di rialzarti, l’arrangiamento ha un sussulto polifonico, per sottolineare tutta l’importanza di quella parola.
Non è tutto. Il segreto più importante della canzone McCartney lo svelò a Diana Ross, che rimase senza parole. Nel gergo popolare e spiccio, bird è una ragazza. Black bird perciò è una ragazza nera, forse una delle ragazzine di Little Rock: «Volevo incoraggiarla – spiegò ancora il cantante – a continuare a provarci, a non perdere la fiducia, c’è ancora una speranza». Del resto, l’accompagnamento di chitarra è rubato con poche modifiche alle Bourree di Bach che lui e George Harrison suonavano alla chitarra per far colpo sulle amiche.
Rob Sheffield di Rolling Stone ha ricordato in un lungo pezzo l’altro giorno la lunga strada di Blackbird fino a noi, la grande intensità assunta nelle interpretazioni di molti performer neri: la versione reggae dei Pioneers, la stranezza disco-funky di Sarah Vaughan, il piano di Ramsey Lewis, quella straziante di Betty LaVette, quella disco-gospel di Sylvester, la diva di You make me feel. Come se ognuna contenesse l’altra, fino a Beyoncè che le riassume tutte, perché c’è sempre un presente nella storia e le canzoni servono a ricordarlo. Come disse McCartney con tutta la semplicità possibile: «L’uccellino è simbolico, puoi applicarlo a ognuno dei tuoi problemi».
*(Alberto Piccinini, giornalista. Scrive principalmente per il manifesto)

 

08 – Claudio De Fiores*: NEL VICOLO CIECO DEL PARTICOLARISMO – TEMPI PRESENTI. «SPEZZARE L’ITALIA», L’ULTIMO VOLUME DI FRANCESCO PALLANTE PER EINAUDI. UNA RICOSTRUZIONE SERRATA CHE AFFRONTA I CEDIMENTI CONSUMATISI IN 30 ANNI SUL TERRENO COSTITUZIONALE.
Un accorato j’accuse contro lo stato della Repubblica e una politica debole e improvvisata: un’amministrazione priva di cultura, senza idee né progetto. Le questioni sono molto più complesse e delicate, coinvolgono direttamente la capacità di tenuta delle garanzie della Carta e le forme assunte dal conflitto sociale
Quali sono le prospettive del regionalismo italiano? Cosa accadrebbe se il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, già approvato in Senato e oggi in discussione alla Camera, dovesse entrare in vigore? Quali le ripercussioni sul terreno dei diritti, dei doveri di solidarietà e sull’unità della Repubblica?

La questione è attentamente analizzata nel recente volume di Francesco Pallante, Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Einaudi (pp. 144, euro 13). Un libro del quale si apprezza, in particolare, la chiarezza del linguaggio. Un linguaggio rigoroso, ma allo stesso tempo attento – anche quanto si affrontano le questioni tecnicamente più complesse – ad assecondare le esigenze di tutti lettori. Anche dei non addetti ai lavori e di chi giurista non è.

IL TIMORE DI FONDO che l’autore di questo volume, sin dalle prime pagine, ha inteso confidarci nasce dalla preoccupazione che un certo «scenario a breve scadenza» possa prendere corpo davanti ai nostri occhi: «Veneto Lombardia ed Emilia Romagna – le regioni più ricche del paese – mettono fine all’unità d’Italia… lo Stato si ritrova privo delle leve essenziali per realizzare politiche sociali, culturali, ambientali, economiche di respiro nazionale. La solidarietà nazionale va in frantumi e il tutto senza nemmeno il fastidio di dover cambiare la Costituzione. Come è stato possibile arrivare a tanto?».

È da questo interrogativo che la riflessone del costituzionalista torinese prende le mosse. Ne viene fuori una ricostruzione serrata nei suoi sviluppi e coesa sul piano argomentativo che affronta con lucidità e pathos quelli che sono stati i ripetuti cedimenti consumatisi, negli ultimi trent’anni, sul terreno storico e costituzionale. Una sorta di piano inclinato la cui genesi non discende semplicemente dalla revisione del titolo V. La riforma costituzionale del 2001 fu semmai l’esito, il disastroso epilogo di un processo ben più profondo e risalente nel tempo, del quale Pallante ci fornisce una descrizione storica particolarmente dettagliata: l’emersione del leghismo nelle regioni del Nord, tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso; l’irruzione del revisionismo craxiano; la costruzione del mito secessionista celebrato nelle adunate di Pontida; l’ intreccio venutosi, in quegli stessi anni, consolidando tra mercato, egoismo territoriale e retorica del capo: un ordito inedito che avrebbe trovato in Gianfranco Miglio un indiscusso interprete, non solo teorico; la rimozione della questione meridionale sacrificata sull’altare degli interessi economici delle ricche regioni del nord.

Un programma eversivo, sul piano costituzionale, proteso a compromettere l’ispirazione sociale della Repubblica, ma allo stesso tempo capace di sedurre ampia parte del mondo cattolico e finanche gli eredi del Pci. Si arrivò così alla riforma del nuovo titolo V: voluta, sostenuta e approvata in Parlamento dalla maggioranza di centrosinistra.

UNA RIFORMA SBAGLIATA e dagli esiti fallimentari come è oggi riconosciuto – pressoché unanimemente – da tutti i principali attori politici, economici e sociali del Paese. Le falle della revisione del 2001 sono oggi sotto i nostri occhi. Fra queste l’introduzione insidiosa e pasticciata, al terzo comma dell’art. 116 Cost., di una nuova forma di autonomia regionale (oltre quella ordinaria e speciale): l’autonomia differenziata.

Nel volume di Francesco Pallante tutto si tiene (forma di Stato e forma di governo, diritti e doveri costituzionali, regionalismo e ruolo dello Stato unitario) e tutto si dipana all’interno di un impianto serrato e coeso che, pagina dopo pagina, tende sempre più ad assumere le forme e i contenuti di un accorato j’accuse contro lo stato della Repubblica e contro una politica debole e improvvisata: una politica senza cultura, senza idee, senza progetto. E che preda dell’ideologia del maggioritario ha via via smarrito, nel corso del tempo, anche l’idem sentire de repubblica.

Pallante – è bene chiarirlo – non è mai stato uno studioso pregiudizialmente ostile alle regioni: ai suoi occhi «le regioni non sono un malo. Ma nemmeno un bene. Sono – devono essere – istituzioni rivolte, come tutte le istituzioni che compongono la Repubblica, al conseguimento dell’obiettivo ultimo della Costituzione: il pieno sviluppo della persona umana, condizione necessaria affinché tutti possano effettivamente partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese».

Condizione, questa, che i progetti in discussione in Parlamento rischiano oggi definitivamente di travolgere. Né un efficace valvola di compensazione potrebbe, in questo quadro, essere costituita dall’attivazione dei Lep, come una certa vulgata venutasi affermando – a destra e a sinistra – vorrebbe oggi farci intendere.

L’INTRODUZIONE DEI LIVELLI essenziali di prestazione – veicolata dalla lett. m) del novellato art. 117 Cost. – rappresenta, ancora oggi, uno dei punti maggiormente criticabili della riforma del titolo V della Costituzione, soprattutto per le ricadute gravi e pregiudizievoli che questa nozione tende fatalmente a innescare sul terreno dell’eguaglianza dei diritti e quindi dell’unità giuridica ed economica della Repubblica. Un espediente terminologico promiscuo, ripetutamente impiegato dal legislatore sin dagli anni Novanta. E il cui tenore letterale – come precisato dallo stesso giudice costituzionale – allude fatalmente all’obbligo posto a carico dello Stato di determinare un «accettabile livello qualitativo e quantitativo di prestazioni» (sent. 335/1993). Nulla di meno, ma neppure nulla di più.

DI QUI L’INEVITABILE ristrettezza dei margini di oscillazione delle politiche di previsione e determinazione dei livelli essenziali di prestazione. Margini sempre più compressi dai vincoli finanziari e dalle strozzature di bilancio, derivanti in buona parte dalla maldestra revisione dell’art. 81 Cost. Una riforma la cui applicazione è destinata oggi a ripercuotersi drammaticamente sul terreno delle garanzie sociali e dei diritti, con il risultato di rendere i livelli essenziali ancora più essenziali.
Ora, in un assetto sociale così debole e farraginoso, «che qualcuno possa seriamente pensare di risolvere lo scarto che da sempre esiste tra la proclamazione dei diritti e la loro attuazione tramite una serie di addizioni lascia increduli. E, in effetti, nel solo ambito in cui i Lep già sono operativi da alcuni decenni, quello della tutela della salute – segnala Pallante – il risultato è lontanissimo dall’uguaglianza, seppure minima. È la prova che i Lep non funzionano e che ciò che avrebbe dovuto essere un ’pavimento’ al di sotto del quale non andare è diventato un ’soffitto’ al quale ambire».

NE DISCENDE che il sistema dei Lep, così come configurato in Costituzione e soprattutto nell’ultima legge di bilancio, più che arginare i devastanti effetti dell’autonomia differenziata, rischia oggi di alimentarli a dismisura, inasprendo la competizione territoriale tra regioni e aree del Paese.
La questione dell’autonomia differenziata non allude pertanto a un’asettica scelta verso un modello o un altro di regionalismo. Come si vede, le questioni sono molto più complesse e delicate e coinvolgono direttamente la capacità di tenuta delle garanzie costituzionali, l’unità della Repubblica, le forme del conflitto sociale. Ecco perché «fermare oggi l’autonomia regionale differenziata significa dare un contributo per impedire il compimento del disegno in atto. E, forse, avviare finalmente un’inversione di rotta».
Ma per poter perseguire efficacemente questo obiettivo – ammonisce l’autore – è necessario «l’apporto di tutte le forze che hanno a cuore la tenuta della Repubblica così come configurata dai principi costituzionali fondamentali». A cominciare dalla difesa della sua unità e indivisibilità (art. 5 Cost.)
*(Claudio De Fiores è professore ordinario e titolare della cattedra di Costituzione e cinema presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.)

 

09 – Guido Liguori. ANTONIO GRAMSCI, IL GIORNALISTA MILITANTE E GLI ANNI TORINESI – SCAFFALE. IL LIBRO DI OLTRE MILLE PAGINE CHE RACCOGLIE I SUOI SCRITTI DEL 1918 È EDITO DALL’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA.
Antonio Gramsci, il giornalista militante e gli anni torinesi.
«La libertà economica si dimostrò subito dottrina di classe: gli strumenti di produzione, pur circolando, rimasero proprietà di una minoranza sociale; il capitalismo fu anch’esso un privilegio di pochi, che tendono a diventar sempre più pochi, accentrando la ricchezza per sottrarsi cosi alla concorrenza col monopolio. La maggioranza dei diseredati cerca allora nell’associazione il mezzo di resistenza e di difesa dei propri interessi. Le libertà, concepite solo per l’individuo capitalista, devono estendersi a tutti… Le associazioni proletarie educano gli individui a trovare nella solidarietà il maggiore sviluppo del proprio io». Il brano è tratto da un articolo gramsciano del 9 marzo 1918, che testimonia di alcuni dei motivi più originali presenti nel Gramsci degli anni torinesi: un’idea di libertà nella solidarietà che viene posta alla base dell’alternativa socialista a un capitalismo che aveva tradito anche le sue stesse premesse e promesse liberali. L’articolo si intitola Individualismo e collettivismo, ed è ora riproposto nel nuovo volume pubblicato nell’ambito dell’«Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci», dedicato agli scritti del 1918: Scritti (1910-1926), vol. 3: 1918, a cura di Leonardo Rapone e Maria Luisa Righi (Istituto della Enciclopedia italiana, pp. 1004, euro 70).

IL LIBRO RACCOGLIE 344 articoli di varia lunghezza, restaurati nelle parti oscurate dalla censura attiva durante la Grande guerra. Gramsci nel 1918 era da tempo un prolifico giornalista militante della stampa socialista torinese e i suoi articoli erano non di rado ripresi nell’edizione nazionale dell’Avanti! diretta da Serrati o in altre edizioni locali o in altri giornali di partito. Sono qui presentati cronologicamente, dotati di un attento ma non eccessivo apparato critico, comprendente note esplicative e collegamenti interni ai testi. Con l’aggiunta di trenta pagine di utili Voci bibliografiche.

COME AVVERTE la Nota al testo che apre il volume, rispetto alle precedenti edizioni sono una ventina gli articoli per la prima volta attribuiti a Gramsci. E altrettanti quelli fin qui creduti di Gramsci e ora esclusi. Non è superfluo ricordare che le difficoltà di attribuzione son dovute al fatto che nella stampa socialista del tempo gli articoli uscivano in genere non firmati. Va da sé dunque che, come ricordano i curatori, «l’attribuzione di tali articoli chiama in causa, in ultima analisi, la sensibilità e la soggettività dell’interprete», non separabile «da un certo grado di opinabilità». Resta sempre, in altre parole, su alcuni scritti controversi, la possibilità del dubbio, ma le inclusioni e le esclusioni sono sempre ponderate – e in alcuni casi controversi motivate testo per testo.

L’ANNO 1918 aveva immediatamente alle spalle sia la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917, sia la coeva rotta di Caporetto, con le note conseguenze anche sui posizionamenti e sulle polemiche interni al mondo socialista. Come pure non lontani erano i quattro giorni di rivolta popolare dell’agosto 1917 a Torino, dopo i quali Gramsci – messosi già in mostra come scrittore colto e creativo e come appassionato militante della corrente «intransigente» – venne chiamato a ricoprire incarichi di maggiore responsabilità sia nella stampa socialista del capoluogo piemontese, sia nella locale Sezione (come erano chiamate allora le Federazioni) del Partito socialista, al quale aveva aderito fin da prima della guerra.
Si era parimenti alla vigilia del Biennio rosso 1919-1920, quando il giovane rivoluzionario sardo insieme alla sua rivista L’Ordine Nuovo emergerà – a livello non solo nazionale – soprattutto quale teorico dei Consigli di fabbrica, nonché dirigente socialista tra i più seguiti e apprezzati dalla classe operaia torinese.

UN ANNO CRUCIALE, dunque. E molti sono i testi e gli argomenti rilevanti che il volume curato da Rapone e Righi ripropone: dalla polemica gramsciana contro la guerra, i nazionalisti, i militaristi e gli approfittatori alla riflessione in merito alle basi nuove su cui si cercava di pensare un equilibrio internazionale per il dopoguerra; dagli articoli sulla Russia rivoluzionaria a un anno dalla caduta dello zarismo e a pochi mesi dalla presa del Palazzo d’Inverno – nei quali tra l’altro Gramsci si pronunciava per i «Soviety» e contro l’Assemblea costituente («mito vago e confuso del periodo prerivoluzionario») – a scritti famosi e dirimenti, come Il nostro Marx, o alla miriade di riflessioni culturali (dai romanzi d’appendice alla critica storicista all’esperanto, alla ripresa – sulla scia delle posizioni del nuovo Commissario del popolo per la pubblica istruzione sovietico Lunacarskij – del tema dell’importanza della cultura per il proletariato) che costituiscono un filo rosso presente sia nel Gramsci degli anni precedenti sia in quello del periodo più maturo. Da segnalare anche, tra i tanti articoli di cronaca e di riflessione polemica, un breve scritto sulla pandemia del tempo, la temibile «febbre spagnuola», che colpì lo stesso giovane sardo e che egli superò senza molti problemi.
La sola controindicazione a questo bel volume della «edizione nazionale» gramsciana sta nella difficile reperibilità dei volumi: stampati in non molte copie e soprattutto non poco costosi. Torno ad auspicare – come ho già fatto in passato – almeno una edizione in e-book: avrebbe un successo notevole, e anche un significato democratico.
*(Guido Liguori insegna dal 1998 Storia del pensiero politico contemporaneo e Storia delle dottrine politiche presso l’Università della Calabria)

 

10 – Barbara Weisz*: Elezioni europee 2024: domanda per votare fuori sede. Gli studenti fuori sede per la prima volta possono votare alle Europee senza tornare a casa, ma devono presentare domanda entro il 5 maggio: la procedura.
Per la prima volta, gli studenti fuori sede potranno votare per le elezioni europee senza tornare nel Comune di residenza. Non c’è però un automatismo: per farlo devono presentare domanda entro il 5 maggio seguendo le istruzioni riportate sul sito del Ministero dell’Interno.
La novità è stata introdotta dall’articolo 1-ter del Decreto Legge n. 7/2024, è riguarda esclusivamente gli studenti domiciliati fuori sede da almeno tre mesi rispetto alla data del voto.

STUDENTI FUORI SEDE: DOVE VOTARE PER LE EUROPEE 2024
COME FARE DOMANDA PER VOTARE FUORI SEDE
QUALE LISTA ELETTORALE VIENE CONSEGNATA
STUDENTI FUORI SEDE: DOVE VOTARE PER LE EUROPEE 2024

Elezioni 2024Elezioni 8-9 giugno 2024: le regole nei Comuni
26 gennaio 2024
Le Elezioni Europee si tengono sabato 8 e domenica 9 giugno 2024. Si vota per eleggere 76 membri del Parlamento UE, attraverso un sistema elettorale proporzionale, con una soglia di sbarramento al 4%.
La regola generale, come per tutte le tornate elettorali, prevede che il cittadino voti nel suo seggio, identificato dal certificato elettorale in base alla residenza. E qui interviene la novità per gli studenti fuori sede.

IL COMMA 1 TER DEL SOPRA CITATO DL 7/2024 PREVEDE CHE GLI STUDENTI POSSANO VOTARE FUORI SEDE CON UNA DOPPIA ALTERNATIVA:

nel Comune in cui risiedono temporaneamente se questo si trova nella stessa circoscrizione elettorale di quello di residenza
1. in un seggio speciale istituito nel capoluogo di Regione del Comune dove vivono temporaneamente, se quest’ultimo appartiene ad una circoscrizione elettorale diversa da quella di residenza.
2. Le circoscrizioni elettorali per le elezioni europee 2024 sono cinque:

3. ITALIA NORD OCCIDENTALE: LOMBARDIA, PIEMONTE, VALLE D’AOSTA E LIGURIA;
4. ITALIA NORD ORIENTALE: VENETO, TRENTINO-ALTO ADIGE, FRIULI-VENEZIA GIULIA, EMILIA-ROMAGNA;
• ITALIA CENTRALE: TOSCANA, UMBRIA, MARCHE, LAZIO;
• ITALIA MERIDIONALE: ABRUZZO, MOLISE, CAMPANIA, PUGLIA, BASILICATA, CALABRIA;
• ITALIA INSULARE: SICILIA, SARDEGNA.

Come fare domanda per votare fuori sede
In entrambi i casi, per poter votare fuori sede bisogna presentare domanda entro il 5 maggio al proprio Comune di residenza (si può comunque revocare entro il 15 maggio).
Sul portale del Ministero dell’Interno c’è il modulo da utilizzare per la domanda. È possibile consegnarlo fisicamente agli sportelli del Comune di residenza oppure avvalersi di un intermediario, o ancora inviarlo per mail all’indirizzo che ogni singola amministrazione deve indicare sui propri portali istituzionali.
Entro il 4 giugno arriverà un’attestazione di ammissione al voto con l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione presso cui votare, che dovrà essere esibita al seggio.
Attenzione: questo documento non sostituisce la tessera elettorale, che va comunque presentata, ma la integra. Quindi, bisogna presentarsi il seggio con documento di identità, tessera elettorale, e attestazione studenti fuori sede.

QUALE LISTA ELETTORALE VIENE CONSEGNATA
Lo studente fuori sede voterà con la lista elettorale della sua circoscrizione originaria. Ad esempio: uno studente residente e Roma e fuori sede a Bologna potrà votare in quest’ultima città ma avrà la scheda con le liste e i candidati che si sono presentati nella circoscrizione dell’Italia Centrale.

LA REGOLA È CONTENUTA NEL COMMA 13 DEL DL 7/2024, IN BASE AL QUALE ALL’ELETTORE FUORI SEDE:
il presidente della sezione elettorale speciale consegna la scheda, predisposta dal ministero dell’Interno e stampata in sede locale, relativa alla circoscrizione elettorale alla quale appartiene il comune nelle cui liste elettorali l’elettore stesso è iscritto. Una volta votata, la scheda è restituita al presidente che la introduce nell’urna relativa alla circoscrizione elettorale di appartenenza dell’elettore.
*(Weisz Barbara. Giornalista professionista, esperta di questioni economiche, politiche e finanziarie, collabora da anni con numerose testate on line, quotidiani e riviste)

 

11 – Elezioni politiche 2013. Roma 18 gennaio 2013
Ai sensi di legge (L. 459/2001, emanata in attuazione dell’art. 48 della Costituzione) possono esercitare il diritto di voto all’estero soltanto i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE.
A questi, in base al DL 223/2012, valido solo per le prossime elezioni politiche, si aggiungono alcune categorie di elettori temporaneamente all’estero per motivi di servizio (appartenenti alle Forze armate e di polizia impegnati in missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome temporaneamente all’estero per motivi di servizio; professori e ricercatori universitari di ruolo anch’essi temporaneamente all’estero per motivi di servizio).
Un’estensione del voto all’estero ad elettori che vi si trovino per periodi inferiori a 12 mesi e che quindi per legge non possono iscriversi all’AIRE (quali ad esempio il personale delle ONG e gli studenti universitari) richiederebbe una modifica dei meccanismi previsti dalla normativa vigente.
Analogamente a quanto accade a coloro che in Italia si trasferiscono per alcuni mesi in un luogo diverso da quello di residenza anagrafica, gli elettori temporaneamente all’estero non rientranti nelle categorie di cui al DL 223/2012, possono votare soltanto recandosi ai seggi istituiti presso il proprio comune d’iscrizione elettorale in Italia.”

 

 

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