SCUOLA / LA PARTE MIGLIORE DEL NOSTRO TEMPO: LA GIOVENTU’

La scuola italiana non forma, non progetta il futuro della sua parte migliore: i giovani;

non produce più mobilità sociale. Lo ha fatto in passato ma poi si è fermata

di Vittorio Stano

I dati INVALSI 2022, pubblicati il 6 luglio scorso, hanno confermato le difficoltà fra gli studenti italiani. Molte regioni non arrivano al livello base di Italiano e Matematica. Il 70% degli studenti delle superiori al Sud non raggiunge il livello base in Matematica, il 60% in Italiano.

Una valutazione critica dei dati conferma i segnali di un malessere che viene espresso in:

  • divari territoriali insostenibili;
  • dispersione implicita (1) che annulla l’operato della scuola;
  • dispersione scolastica sempre meno arginata;
  • maggiore fragilità da parte di alunni che provengono da contesti socio-economici svantaggiati e su cui la scuola non agisce;
  • maggiori difficoltà al Meridione nel garantire condizioni di equità.

Le affermazioni a caldo del presidente Ricci in conferenza stampa, presente il ministro Bianchi, hanno certificato che non serve a nulla misurare la febbre della Scuola nel nostro Paese.

Con estrema franchezza il presidente Ricci ha affermato: <<Le differenze vengono da molto lontano, ben prima della pandemia. Attraverso i dati delle rilevazioni internazionali, è possibile verificare che alcune delle maggiori criticità riscontrate negli esiti di quest’anno si ritrovano già nei risultati di 10-20 anni fa>>.

Inoltre, la responsabile dell’area prove, ha tessuto le lodi dell’apparato burocratico: <<Le prove hanno avuto un ampio tasso di partecipazione; … sono parte del percorso didattico; …sono una risorsa perché sono mirate al miglioramento del sistema scolastico>>.

Ma allora, dico io :

  1. il tasso di partecipazione alle prove è alto perché sono obbligatorie;
  2. se sono parte del percorso didattico, perché si fanno le prove di addestramento?
  3. se fosse vero che sono mirate al miglioramento del sistema scolastico e le maggiori criticità di quest’anno erano già presenti 20anni fa, i dati di oggi dovrebbero essere diversi. Possibile che in tutto questo tempo non sia stato avviato un minimo cambiamento?

Quindi, o è falso quanto affermato, o le prove sono inutili. L’Invalsi non è uno strumento tecnico, ma un sistema di controllo sociale nato dall’ideologia liberista. È frutto di scelte economico-politiche regressive e congiunturali. Nel recente passato, il ministro dell’Istruzione Pubblica del governo Renzi varò una “riforma” che riduceva a merce un diritto inalienabile e stravolgeva la funzione della scuola nata dalle norme della Costituzione.

Tuttavia le prove Invalsi 2022 impongono di interrogarsi sulle differenze territoriali emerse e rimaste invariate rispetto agli anni passati. Il divario tra regioni vuol dire mancanza di unitarietà del diritto allo studio sul territorio nazionale. C’è una correlazione fra gli esiti Invalsi e la tendenza a razionalizzare il personale scolastico di fronte alla diminuzione degli alunni. Questa è una soluzione sbagliata. Sono necessarie invece politiche espansive che portino all’aumento del tempo scuola e degli organici. Come promesso durante la pandemia.

L’Invalsi non certifica le competenze dei singoli alunni, perché la rilevazione dati non rientra nelle sue competenze, invade il campo della valutazione dei docenti e genera confusione tra genitori e non addetti ai lavori.

La politica agisca sulla scuola, prima che sia troppo tardi.

A questo punto tutti – insegnanti, ragazzi, dirigenti scolastici, politici di professione, …tutta la società – dovrebbero chiedersi seriamente: quale destino vogliamo assegnare alle nostre scuole? E’ un compito gravoso perché si tratta di abbattere e ricostruire daccapo quell’edificio decrepito e raffazzonato che è divenuto negli anni la scuola italiana. La sua malandata architettura materiale è sintomatica della sua decadenza culturale.

 

La scuola italiana non forma, non progetta il futuro della sua parte migliore: i giovani.

È ridotta a museo delle scartoffie e delle sue “buone pratiche” a cui i capi di governo dedicano sempre l’ultimo dei suoi “sventurati” ministri, tutti senza un brandello di visione di scuola e di società, però prolifici di circolari ministeriali e di note di chiarimento susseguenti. Gli alfieri strombazzano come successi ed innovazioni le previsioni di un passato remoto: gli autori, le materie, i tempi, i metodi sono sempre gli stessi fuori e dentro le unità didattiche di apprendimento.

Dove sono le mense, i laboratori, le palestre, i giardini, gli studi, le biblioteche, il tempo modulare, flessibile, lungo o corto che sia? Dove è finita la ricerca? Non basta collegarsi a un webinar per essere innovativi e al passo con i tempi.

Le scuole dovrebbero essere fucine che rimettano assieme il contenuto con la forma, il lavoro all’opera, la fatica e la gioia. È necessaria una seria riflessione sul ruolo che questa società intende assegnare alla scuola.

Quando la società tutta ritornerà a interrogarsi sul destino della scuola, quando la politica tornerà ad interessarsene, non come semplice bacino elettorale nell’ultima settimana di campagna elettorale, ma come vera emergenza nazionale su cui investire, allora si potrà parlare di… tentativo di miglioramento del sistema scolastico.

Mi piacerebbe, intanto, che la scuola ricominciasse a percepirsi come la parte migliore del nostro tempo: la gioventù.

 

Perché soffriamo di povertà educativa ?

Mancanza di risorse e povertà di competenze affliggono troppi bambini e adolescenti in Italia. Sono minori non protetti e dal futuro messo a rischio dalla povertà educativa, un fenomeno dai tanti contorni, la cui complessità non può fermare la politica del contrasto.

Secondo il maestro di strada Marco Rossi Doria (2), esperto di politiche educative e sociali, la battaglia contro la povertà educativa è una priorità per la scuola. Non si tratta solo di abbandono scolastico, ma anche di povertà di competenze. Lo rivelano i dati sulla dispersione implicita, confermati anche dagli studi PISA (Programme for International Student Assessment) e dai dati INVALSI che soprattutto nei contesti più poveri e al Sud assumono la forma di un fenomeno macroscopico.

Secondo l’ISTAT in Italia attualmente abbiamo 1milione e 137mila minori che vivono in povertà assoluta su un totale di 9milioni e 800mila. E secondo Save the Children dopo il Covid19 sarebbero in aumento. A questi dobbiamo aggiungere 2milioni e 300mila minori in povertà relativa, molti dei quali stanno cadendo in povertà assoluta. Più bambini ci sono in queste famiglie, più aumenta la povertà, e in Italia i poveri fanno più figli dei ricchi. Il primo aspetto è il reddito dei genitori, la certezza del reddito mensile e annuale. La povertà si riverbera sull’educazione dei bambini in aspetti pratici: non poter acquistare quaderni e libri, vivere in una casa troppo piccola e non avere quindi uno spazio dedicato allo studio, non avere un device per svolgere la DaD (didattica a distanza).

Il secondo elemento è l’ambiente circostante:

  • la presenza dei nidi d’infanzia, dove i bambini possono stare in un ambiente di socializzazione protetta e competente;
  • la possibilità di usufruire del tempo pieno o prolungato a scuola;
  • la presenza di una mensa scolastica;
  • l’esistenza di aule collegate a internet;
  • la presenza di opportunità culturali e sportive.

L’apprendimento non avviene solo a scuola, ma dappertutto. Si apprende per strada, in una biblioteca di quartiere, andando al teatro e al cinema, imparando a suonare uno strumento musicale, frequentando luoghi di aggregazione giovanile, ecc. … Quartieri infrastrutturati cambiano la vita quanto una Scuola. I minori poveri nella maggior parte dei casi vivono, invece, in quartieri dove non esistono questi elementi infrastrutturali. Risiedere in un quartiere degradato, non curato, senza verde e parchi giochi, dove i palazzi malandati non hanno manutenzione e non ci sono servizi, accentua la povertà educativa. Nessuna scuola può compensare tutto questo da sola. La scuola deve garantire a tutti però, indipendentemente dalle condizioni di partenza, l’apprendimento delle competenze codificate dal curricolo per tutta la scuola dell’obbligo, per la scuola superiore e la formazione professionale. Questo però non avviene: la scuola non produce più sufficiente mobilità sociale. Lo ha fatto in passato ma poi si è fermata. L’emancipazione sociale dei minori può avvenire solo con investimenti compensativi sufficienti per dare di più a chi parte con meno. Questo è un diritto sancito dalla Costituzione.

La quota di PIL che l’Italia investe nella scuola è ferma al 3,8% contro una media europea del 4,6% . La differenza si traduce in miliardi di euro in meno alla Scuola italiana. Per rilanciare il Paese è molto importante l’infrastrutturazione sociale ed educativa. Pertanto una percentuale alta del Recovery Fund sia destinato alla povertà educativa, pur nella convinzione che il PNRR non è stato scritto da chi si occupa quotidianamente di scuola. Si accerti, infine, che gli investimenti operati risultino efficaci per il sistema educativo. La Scuola sia pronta a far funzionare le risorse per rispondere ai bisogni dei minori in difficoltà. La Scuola è il luogo in cui puoi stare con gli altri secondo regole uguali per tutti, anche se siamo diversi: è importante già solo per esistere e per avere una sua ritualità quotidiana. È importante, inoltre, perché dà accesso alla cultura, alla storia , alle scienze, al sapere dell’Umanità e quindi permette di guardare attraverso un orizzonte ben più largo di quello che è l’esperienza diretta con strumenti universali di lettura della realtà. A Scuola si impara a diventare altro da quello che si pensava di dover essere e, soprattutto, si impara ad imparare. Insomma, la Scuola è il luogo dove le regole diventano l’implicito quotidiano positivo e condizioni per divertirsi, per imparare e stare meglio insieme.

 

L’EDUCAZIONE DIGITALE

L’Educazione digitale è diventata di grande attualità anche grazie all’esperienza scolastica maturata con la DaD, ma esisteva già un divario in apprendimento (digital divide) che la pandemia ha accentuato anche perché il digitale ha lavorato in supplenza della Scuola in presenza. La DaD è stata l’unica modalità per mantenersi in relazione con la formazione e l’apprendimento scolastico durante il periodo di chiusura delle scuole. Sostanzialmente le scuole italiane hanno fatto un buon lavoro. Ci sono state due categorie di persone che hanno operato cooperativamente e in sinergia: le mamme e le insegnanti (…in Italia oltre il 90% dei docenti sono donne). Sono loro che hanno mantenuto in piedi l’idea che l’apprendimento e la Scuola stessa esistessero. I sacrifici e le sofferenze sono stati maggiori laddove le condizioni erano più povere. Per raggiungere tutti gli studenti il Ministero ha fornito i device. La complessità delle tematiche e l’improvvisazione non ha consentito di raggiungere tutti. Oltre alle case povere e senza device dobbiamo pensare ai genitori stranieri che non parlano italiano, con le enormi difficoltà a farsi capire e sono 850mila i bambini e i ragazzi di origine straniera. Questi sono un potenziale culturale inespresso che la scuola italiana deve abituarsi a utilizzare perché la loro presenza nelle classi e…nella società è ricchezza, non povertà. La Scuola italiana è già multiculturale… e la società pure. Ma una classe politica non all’altezza dei tempi, si attarda ancora sullo ius scholae (3), mentre altri paesi europei hanno già introdotto lo ius soli(4). La Germania già nel 2004.

Ci sono anche i 230mila minori con disabilità, bisogni speciali e fragilità. La Scuola in presenza rimane la scuola principale soprattutto per il ruolo insostituibile della circolarità nei processi di apprendimento tra i pari e della relazione educativa.

 

LA DIDATTICA A DISTANZA (DaD)

È stata una grande occasione di innovazione didattica, dove hanno imparato moltissimo in primo luogo i docenti con i ragazzi e i genitori. La DaD può certamente continuare a integrare la didattica in presenza: può essere usata per imparare a usare la rete in maniera critica o per imparare in maniera partecipata. Ma per usarla in maniera egualitaria si deve risolvere il problema della rete, della connettività e dei device e di chi aiuta gli svantaggiati. La conoscenza ha bisogno della pratica, ma anche di teoria, categorie e lessico. Per favorire la comprensione bisogna utilizzare un linguaggio adatto all’età perché i bambini sono persone in crescita, vivono un’età incredibilmente evolutiva e il ruolo degli educatori è accompagnarli nell’avventura educativa della scoperta.

 

No alle classifiche fra scuole

Le prove Invalsi 2022 hanno dimostrato che le competenze di base sono in netta discesa. Questa è un’altra prova della loro inutilità, sono impostate male e hanno un effetto sbagliato. È il momento di andare in un’altra direzione, tornando a ragionare più sulla valutazione degli apprendimenti che sulla valutazione di sistema. Bisogna sostituire la competizione con la cooperazione. Il modello di valutazione attuale poggia su un’idea di scuola e di società che va ripensata profondamente. Non si può basare l’istruzione su un modello puramente competitivo. Bisogna battere la tendenza a creare delle classifiche fra istituti scolastici che permetterebbero alle famiglie una scelta tra le migliori scuole. Un modello di questo tipo avvantaggia le famiglie più agiate – anche solo socialmente o culturalmente – e mina alle basi il sistema dell’educazione per tutti.

 

L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO: migliora abilità, competenze e life skills (5)

Quando l’educazione diventa un gioco di squadra, migliorano abilità, competenze e life skills. Lo dimostrano molte esperienze di ricerca: lavorando in gruppi di studio e di lavoro, attraverso forme di apprendimento cooperativo i risultati migliorano in modo evidente. L’ apprendimento cooperativo, con le sue caratteristiche di flessibilità, ben si adatta a rispondere a bisogni specifici. Con il patto saldato sulla fiducia reciproca, le persone imparano l’una dall’altra, sviluppando opportunità di crescita e nuovi strumenti educativi. Ciascuno è responsabile non solo del proprio apprendimento ma anche di quello degli altri componenti del gruppo.

Apprendimento cooperativo nella DaD

Con le scuole chiuse a causa della pandemia, per sopperire alle difficoltà della DaD e mantenere una buona relazione tra i ragazzi, molti insegnanti hanno utilizzato il modello cooperativo. A entrare in gioco è stata una intera rete di relazioni di genitori, insegnanti, tutor, dirigenti scolastici, istituzioni, associazioni e volontari. Tutti si sono impegnati per far funzionare un esperimento educativo nato dall’emergenza.

Metodo didattico interattivo

Questo approccio didattico, più formativo che accademico, non è quello della lezione frontale, ma cerca di incoraggiare la partecipazione e l’interazione degli studenti, stimolati a porre domande e condividere le proprie opinioni. È un metodo che non mira all’accumulo passivo di conoscenze teoriche, ma punta sullo sviluppo di competenze e capacità pratiche, grazie a frequenti lavori di gruppo e ricerche individuali.

Meno nozioni, più soft skills (6)

Bisogna abituare i ragazzi a collaborare con altri compagni alla realizzazione di progetti da esporre poi davanti alla classe. È così che si sviluppa la capacità di lavorare in gruppo, di capire l’importanza del team building, di acquisire sicurezza e disinvoltura nel parlare in pubblico affinando la dialettica, tutte abilità necessarie nel futuro lavorativo.

Poca competizione e zero stress

Il carico di compiti a casa e la frequenza di verifiche scritte, possono essere ridotte dall’esercizio costante e dal lavoro svolto in classe. Così gli studenti non si agitano per un voto o un compito in classe, come succede spesso nelle scuole italiane.

Tecnologia durante le lezioni

La tecnologia deve diventare lo strumento principale nella vita della scuola. Con l’uso di computer, proiettori, lavagne interattive, programmi speciali e internet la lezione fornisce nuovi stimoli e possibilità d’apprendimento.

Integrazione multiculturale

La presenza nelle scuole italiane di 850mila bambini e ragazzi di diversa provenienza culturale (10% della popolazione scolastica), rende naturale l’utilizzo di questo ricco potenziale per svecchiare metodologia e didattica introducendo una materia nuova per gli studenti italiani: l’Educazione Interculturale.

Scuola come luogo di socializzazione

Al suono della campanella la scuola dovrebbe rimanere aperta, gli insegnanti al loro posto e i computer accesi fino al tardo pomeriggio. In questo modo i ragazzi potrebbero intrattenersi socializzando, esercitarsi e svolgere i propri compiti prima di tornare a casa, in ambienti valorizzati e curati.

Autostima e motivazione personale

Gli obiettivi sono sempre raggiungibili, ma per arrivarci servono impegno, lavoro e forza d’animo. Dare il giusto peso alla personalità d’ognuno fa sì che si impari più facilmente e soprattutto… volentieri.

 

VITTORIO STANO

 

Note:

1 dispersione implicita: chi arriva al diploma senza avere le competenze attese dopo 13 anni di scuola.

2 Marco Rossi Doria, esperto di politiche educative e sociali, maestro di strada e insegnante di frontiera, attualmente vice presidente di Con i Bambini (carica assunta nel giugno 2020), l’impresa sociale gestisce i programmi del Fondo di contrasto della povertà educativa minorile. Dal 1975 , l’anno in cui è diventato maestro elementare, ha insegnato in alcuni quartieri ai margini a Roma, negli Stati Uniti, in Francia, al seguito di Ong in Kenya. È stato maestro di strada nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Per il suo impegno contro i divari, ha ricevuto il Premio UNICEF Italia per l’infanzia e la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per la Cultura, l’Educazione e la Scuola. Ha assunto in più occasioni responsabilità istituzionali nel campo delle politiche educative e sociali, sia in Italia – anche il ruolo di sottosegretario all’istruzione – che in Europa e per l’ONU.

3 ius scholae: norma contenuta nel testo base per la riforma della cittadinanza, che consentirebbe ai minori figli di migranti di ottenere la cittadinanza italiana dopo aver frequentato almeno 5 anni di scuola.

4 ius soli: fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi d’acquisto del diritto di cittadinanza , allo “ius sanguinis” imperniato invece sull’elemento della discendenza e della filiazione.

5 life skills: competenze per la vita. Competenze strategiche per affrontare le sfide quotidiane.

6 soft skills: abilità personali.

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