20060504 10:06:00 webmaster
Maurizio Chierici (da l’Unità)
Un dubbio accompagna da tanti anni tanti libri, qualche film: cosa sapevano Roma e il mondo cattolico degli orrori della Shoah? Dubbio che non tormenta chi ha vissuto il dramma dei desparecidos argentini. La Chiesa di Buenos Aires sapeva e ha taciuto. Qualche volta il silenzio nasconde complicità imbarazzanti di certi esponenti delle gerarchie. E altri vescovi che assistevano impotenti all´intrigo, aiutando chi era possibile aiutare, riescono a rompere il silenzio solo quando la democrazia si è consolida. Chiedono perdono in tv, loro incolpevoli frustrati, scontentando il portavoce della commissione episcopale, monsignor Laguna.
«Dovevano battersi il petto a titolo personale, non parlare a nome della Chiesa». Succedeva dieci anni fa, gli anni di Menem. Inebriato da una presidenza dedicata all´arricchimento personale, ha appena sfiorato le complicità militari lasciando intatto un potere che ancora spaventava.
L´ultimo libro di Horacio Verbitsky, L´isola del silenzio (Fandango, pp. 177, euro 15,00) scava nelle complicità più o meno nascoste sulle quali mai è stato aperto un confronto coraggioso. Saggio che ha il passo di un racconto nell´impalcatura di documenti, testimonianze, confessioni precise ed incalzanti. Riporta ai gironi dei campi di sterminio nazisti anche se i morti sono «solo» 30 mila, scelti uno per uno con vescovi e tanti sacerdoti testimoni dagli occhi chiusi. Sapevano e difendevano l´ordine militare impegnato a spegnere il «pericolo comunista».
L´isola del titolo è il posto dove il cardinale Aramburu amava riposare, non lontana da Buenos Aires, nell´intrigo dell´arcipelago del fiume Tigre. Proprietà della Chiesa, ma usata dalla Marina Militare per rieducare i prigionieri considerati meno pericolosi. Li portano come pacchi umiliati dalle soffitte della scuola Meccanica – Esma – dove torturavano e uccidevano nel buen retiro del cardinale, quindi al di sopra di ogni sospetto, quando la commissione interamericana per i diritti umani pretende di visitare l´officina degli orrori. Si sgombra in fretta. Camere di tortura e celle trasformate in uffici e i prigionieri trascinati nella notte nelle baracche in mezzo al fiume. Nascosti perché non raccontassero le loro storie e le storie dei compagni spariti nei voli del capitano Scilingo.
Scilingo è finito in carcere appena qualche mese fa, ma in Spagna, non in Argentina dove viveva tranquillo. La sua confessione a Verbitsky – Il volo – è il libro che ha fatto il giro del mondo precisando i metodi della repressione lasciando nell´ombra le radici che proteggevano il massacro. Ed ecco il racconto dedicato a queste radici, sintesi di una ricerca lunga anni: protagonisti il cardinale Aramburu, presidenti della commissione episcopale, vescovi e preti testimoni che non si ribellano a delitti e torture interpretate come mali necessari dei quali chiedere perdono solo a Dio.
Anche il nunzio apostolico Pio Laghi (oggi cardinale) esce sgualcito dai racconti delle madri di piazza di Maggio; da documenti, testimonianze di ambasciatori e sopravissuti. E poi l´amicizia tra il nunzio e Massera, uomo P2, dittatore che ha governato la repressione: «suo compagno di tennis ogni quindici giorni per quattro anni» , ricorda Verbitsky. Ha benedetto le nozze di Massera, battezzato i figli trasferendo l´amicizia all´ammiraglio Lambruschini quando ne ha preso la poltrona. Ma Lambruschini non giocava a tennis.
Verbistky firma la posta elettronica col nome «perro». Vuol dire cane, fiuto del cane da caccia. Cronista formidabile, le sue inchieste incantano per precisione e libertà che nessuna autorità è mai riuscito ad imbrigliare. I libri dedicati a Menem – Robo par la corona, Un mundo sin periodistas («Rubo per il potere», «Un mondo senza giornalisti»)- hanno sgretolato l´immagine sorridente del presidente che i fiduciosi votavano senza sapere. Narratore incalzante, è un Giorgio Bocca latino.
Perché la Chiesa argentina si è divisa di fronte alla dittatura?
«Era già divisa prima del golpe militare. Come la Chiesa universale, la Chiesa argentina ha trascinato nel Novecento l´impegno integralista per cattolicizzare la società civile scontrandosi con la borghesia liberale che ha organizzato l´Argentina alla fine dell´Ottocento. Ma arrivano gli immigrati. Masse anarchiche e socialiste con problemi sociali che inquietano e favoriscono l´avvicinamento tra Chiesa e borghesia. Liberali incapaci di creare una politica a tutela dei propri interessi, come è successo nell´altra America e in Europa, mentre la Chiesa si prodiga per avvicinare l´esercito con l´impegno di evangelizzarlo. E vi riesce. Questa la chiave di tutti i golpe militari del Novecento. Spiega lo scontro tra Peron e la Chiesa nel ´55 e l´appoggio dei vescovi alla dittatura militare del 1976. Dopo il messaggio di Pio XII, Natale ´44, la Chiesa universale rinuncia all´integralismo per dialogare con le democrazie pluraliste. Ma la Chiesa argentina non rinuncia. Nei vent´anni che seguono il golpe, i presidenti della commissione episcopale, cardinale Caggiano e l´arcivesco Tortolo, restano portavoci dell´egemonia. Entrambi pastori dei fedeli e, nello stesso tempo, vicari generali delle forze armate. I militari golpisti non hanno fatto nulla di più che dare pratica agli appelli che questa Chiesa rivolgeva agli argentini. Si opponeva una minoranza ecclesiale repressa perché obbediente ai principi del Concilio Vaticano II. Ma la dittatura non sopportava digressioni. Per dare un esempio: ha assassinato il vescovo Enrique Angeletti e Carlos Ponce de Leon, mettendo in scena falsi incidenti stradali. Tanti preti e laici sono stati sequestrati, torturati, assassinati».
Quali sacerdoti, vescovi o cardinali hanno seguito il Vangelo di Massera, titolo di un capitolo del suo libro?
«Poco prima del golpe il presidente della commissione episcopale, monsignor Adolfo Tortolo, paragona la crisi argentina alla crisi che tormentava la Spagna alla vigilia della guerra civile del ´36. Esalta le forze armate, la loro forza profonda così preziosa nelle avversità. Quasi descrive i metodi da usare per contenere la sovversione e ristabilire la normalità. E il vice presidente della commissione episcopale, cardinale Raul Primatesta, aggiunge: "Non sono un profeta del castigo, ma giudico la situazione molto grave e molto seria. Non possiamo accontentarci di buone parole, bisogna mettersi all´opera. Può essere che il rimedio sia duro perché la mano sinistra di Dio si dice paterna, ma può diventare pesante". Il cardinale è morto l´altro ieri, primo maggio, a 87 anni. Per "aver servito la sua Chiesa con grande generosità e impegno" (parole del necrologio del cardinale Bergoglio) viene confermato per quattro volte presidente della commissione episcopale, esercita per trent´anni un´influenza senza limiti sulla gerarchia cattolica e nella vita istituzionale del paese. Si è opposto con tenacia ad ogni critica sulla collaborazione tra sacerdoti e vescovi e militari assassini. E ogni volta che le Madri di Piazza di Maggio hanno chiesto di incontrarlo per intercedere la sua collaborazione nel fare luce sui figli, mariti e nipoti spariti, il cardinale ha sempre fatto sapere: "Non vivo nel passato, non ho niente da dire a riguardo". E non le ha ricevute.
«Una delle prime cose fatte dalla Chiesa dopo il golpe – continua Verbitsky – è stata la consegna ai servizi segreti militari degli indirizzi di professori e studenti che frequentavano collegi privati di proprietà di religiosi. Molti di loro sono spariti».
E la burocrazia della Chiesa romana come ha reagito?
«Con lo stesso doppio gioco della Chiesa argentina. Per dare un esempio: nel 1970 Paolo VI riceve le credenziali del nuovo ambasciatore di Buenos Aires. Durante l´udienza pubblica il papa lo avverte che il Vaticano aspetta spiegazioni sugli assassini di alcuni sacerdoti e laici. Ma nell´udienza privata Paolo VI dice all´ambasciatore di non preoccuparsi e comunica parole di elogio per il dittatore Videla».
Bisogna dire che Paolo VI era stremato. Stava per morire: morirà qualche settimana dopo. Le sue parole ricalcano i documenti con i quali la diplomazia vaticana lo teneva informato…
«Il nunzio, monsignor Pio Laghi (oggi cardinale), aveva invitato Patricia Derian, segretaria per i diritti umani della commissione di Carter, presidente Usa, a non far pressioni sul governo argentino per non scatenare un´oppressione più radicale. I militari sapevano di aver commesso delitti e violazioni e non era il caso di spargere sale sulle loro ferite. In fondo Videla era cattolico osservante. Stava dando ordine al paese tirandolo fuori dal caos».
Come ha reagito la Chiesa argentina ai documenti de «L´isola del silenzio»?
«Il cardinale Bergoglio, al tempo provinciale dei gesuiti, oggi presidente della Commissione Episcopale, ha risposto attraverso il portavoce, sacerdote Guillermo Marcò. Ha tentato di squalificare la mia persona dichiarando che avevo intenzione di danneggiarlo nelle settimane del Conclave nel quale figurava tra i papabili (danneggiarlo perché il libro raccoglie storia e testimonianze su due gesuiti, Yorio e Jalics, che Bergoglio avrebbe "abbandonato" permettendo la persecuzione dei militari). Cosa che è cronologicamente impossibile, dato che il libro è frutto di anni di indagini ed è stato consegnato sei mesi prima dell´aggravarsi delle condizioni di Gianni Paolo II. Per screditare l´inchiesta si dice che il prete Orlando Yorio non poteva confermare in quanto morto; invece era vivo, nel 1999, quando ho pubblicato la prima intervista nella quale – lui vittima – accusava Bergoglio. Non ha smentito. Al contrario, mi ha inviato poche righe che si aprono con la parola "Grazie". Un sacerdote vicino a Bergoglio mi ha rimproverato: "Il cardinale è sempre stato molto stimato…". Ho risposto: quando ho trovato questi documenti cosa dovevo fare? Stracciarli o fingere di non averli visti?».
(1 – continua)
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