1330 GIORGIO NAPOLITANO: Storia di un riformista dal Pci al Quirinale

20060510 13:43:00 webmaster

Giovanni Visone (da l’Unitá)

E’ il primo presidente della Repubblica ad aver servito ai tavoli di una festa dell´Unità. Ancora l´anno scorso, a Roma. Il primo a potersi fregiare di una targa ricordo della sua sezione per i 50 anni di iscrizione al «Partito». Pci, Pds, infine Ds: un percorso senza strappi, abiure o colpi di spugna. Giorgio Napolitano non ha mai rinnegato di essere stato comunista e salirà sul Colle senza rinnegare un solo giorno della sua storia. «Dal Pci al Socialismo europeo», come recita il titolo della sue recente autobiografia.

Ma di tutto questo nessuno, perfino nell´Italia piagata dai postumi del berlusconismo, osa fargliene una colpa. E proprio per questo Berlusconi è finito all´angolo, carico di livore, cane da guardia del centrodestra nell´opporsi senza spiegazioni allo stesso uomo cui tese la mano dodici anni fa nell´aula del Parlamento: forse il suo unico atto di stima verso un ex comunista. Ipocrita allora o opportunista adesso?

A lungo Napolitano è stato il ministro degli esteri "ombra" del Pci, tessendo la rete dei rapporti diplomatici con i governi occidentali e con le forze socialdemocratiche, dal primo incontro fra Berlinguer e Willy Brandt all´ingresso del Pds nell´Internazionale e nel partito del socialismo europeo. Minoranza sospetta del comunismo italiano, a lungo, nell´ostinazione di un´eresia riformista, finché nel 2001 al congresso di Pesaro Piero Fassino lo ha indicato come il «compagno che aveva avuto ragione prima». Prima della caduta del muro, ma anche prima che si sgretolasse la convinzione che la "differenza", etica e politica, del Partito comunista italiano sarebbe stata la sua salvezza.

Il nuovo presidente, però, non è un profeta. E non ha mai amato le fughe in avanti: nel 1956 non ha condannato pubblicamente l´invasione sovietica dell´Ungheria, il che avrebbe significato porsi fuori dal partito. Salvo, dagli anni ´70, appoggiare con convinzione l´affrancamento del Pci da Mosca. Senza nulla omettere, ma ammettendo i propri errori. Il giorno prima della sua elezione, intervistato dal Tg1, si è descritto così: «Nel vecchio Pci si sono confrontate posizioni diverse e quelle che ho via via cercato di esprimere e di sostenere erano quelle che volevano una evoluzione profonda di quel partito, l’apertura verso l’occidente e verso l’Europa e l’impegno conseguente per una dialettica democratica che conducesse all’alternanza nel governo del paese. Questo significa nella sostanza la linea che ho seguito e il rifiuto di ogni massimalismo ed estremismo». Una linea che gli ha permesso di lasciare senza rimpianti il Pci per il nuovo partito perché lì stava l´orizzonte riformista ancora da conquistare e lì, nel socialismo europeo, un approdo.

Nel 1996 Napolitano è il primo ministro dell´interno ex comunista a violare il fortino democristiano del Viminale. Ancora prima è presidente della Camera durante la tempesta di Tangentopoli, dal 1992 al 1994. Un uomo delle istituzioni troppo lontano dal popolo? A chi, forse conoscendolo poco, glielo rimprovera, lui replica risalendo alle radici di un binomio inscindibile fatto di fedeltà alla Repubblica e militanza politica: «Tanto per cominciare – racconta in un colloquio con l´Unità – quando mi sono avvicinato e iscritto al Pci, a Napoli nell´ormai lontano 1945, fui spinto, ben più che da qualsiasi scelta ideologica, da un senso di rivolta morale. Uscivamo da una guerra distruttiva, eravamo nel pieno di una occupazione militare». Lì, «tra antiche miserie e nuove speranze, la mia formazione politica è avvenuta a contatto con il mondo delle fabbriche, delle sezioni, dei quartieri, dei paesi della provincia, tra la gente del popolo. Tanti volti, tante voci sono rimasti nel mio ricordo, facendo per 43 anni il parlamentare di Napoli: 38 anni alla Camera e 5 al Parlamento europeo. E certamente non avrei potuto superare i momenti duri e amari, né affrontare tutti i pesi del lavoro politico e i sacrifici imposti anche alla mia famiglia, se non avessi mantenuto e rinnovato un legame umano e non solo aridamente politico, se non avessi ricevuto affetto e sostegno in un compito sentito come irrinunciabile».

Segretario delle federazioni comuniste di Napoli e Caserta, partenopeo nella discendenza politica da Giorgio Amendola e nelle liste per le elezioni politiche, Napolitano è però anche profondamente legato a Roma. «La cosa che ci ha sempre commosso di lui è il modo in cui ha partecipato in tutti questi anni alla vita di base del partito – racconta Fabio Nicolucci, segretario della sezione Centro Storico alla quale il nuovo presidente della Repubblica è iscritto – Ricordo, ad esempio, il congresso di Pesaro, quando lui e il figlio, si divisero, uno per Fassino e l´altro per Morando, scherzando con gli iscritti sulla spaccatura in famiglia: Giorgio Napolitano scavalcato a destra!. Quando è stato nominato senatore a vita ha risposto ad un nostro telegramma con una lettera scritta a mano. Così, proprio grazie al rispetto per i militanti di base, Napolitano si è guadagnato una stima e un affetto unici».

Ma come parlerà agli italiani il nuovo presidente della Repubblica? «Per essere popolari e non apparire freddi, distaccati, algidi, non si deve per forza fare concessioni alla demagogia», spiega. E in queste parole sta tutto il suo stile: misurato, razionale, convincente. Mai fazioso. «Mi è capitato di dire qualche volta che non c´è niente di più facile che prendere applausi, di sollecitare consensi alzando i toni del discorso e sfuggendo al dovere della verità e del rigore. Certo, per non aver ceduto alla demagogia posso aver pagato il prezzo di non essere circondato da entusiasmi, ma francamente non ne sono pentito».

I detrattori ricordano malignamente la somiglianza di Napolitano con Umberto II, il re di Maggio, simbolo di un´aristocratica rassegnazione. Chi lo apprezza invece non ha dubbi: sarà un presidente riformista e popolare proprio grazie al suo stile antidemagogico, così lontano dalla politica di oggi. E sarà amato proprio perché un uomo di parte. Senza ombre. Quello che Berlusconi non ha voluto o potuto capire.

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NAPOLITANO: IPSE DIXIT, 20 ANNI DI DICHIARAZIONI DI UN RIFORMISTA A OLTRANZA
ROMA (Ansa)- Ecco una scelta delle dichiarazioni e delle prese di posizione più significative di Giorgio Napolitano negli ultimi anni.
– "Siamo fuori dalla tradizione del comunismo", 1988.
– "Pci e Psi sono oggi meno lontani dalle ragioni delle vecchie contrapposizioni ideologiche e politiche e addirittura dalle ragioni della scissione del ’21”, 1989.
– "Sono da 45 anni un comunista italiano, non mi sono mai pentito di esserlo e non rinnegherò me stesso lavorando a una nuova formazione politica", replica a Pietro Ingrao, 1990.
– "La sinistra deve lavorare a una ricongiunzione degli ideali liberali, democratici e socialisti", 1990.
– "Mi considero un comunista italiano che ha fatto la sua parte in quanto tale ma che, a partire dal momento in cui si costituirà il nuovo partito, sarà un democratico di sinistra e non più un comunista". 1991, alla vigilia del congresso di nascita del Pds.
– "E’ pura e semplice irresponsabilità quella di Forza Italia, che presenta vaghe ricette liberistiche per risolvere i problemi dell’occupazione", 1994, commentando il primo programma elettorale di FI.
– "Su Craxi serve una riflessione equilibrata su tutta la sua vicenda, senza che vi siano sovrapposizioni strumentali", 2000, dopo la morte dell’ex segretario socialista.
– "Mettere quasi sotto accusa la cultura laica è una cosa che non condivido, non sono affatto convinto che il valore della solidarietà sia estraneo alla storia della sinistra e sia quasi mutuato dal mondo cattolico", 2000, in occasione del Giubileo.
– "Un episodio francamente penoso", 2002, a commento dell’attacco di Nanni Moretti ai leader della sinistra a Piazza Navona.
– "Lo slogan ‘no alla guerra senza se e senza ma’ è pura propaganda. I Ds, come tutte le forze socialiste e riformiste europee, hanno il dovere di reagire fermamente all’antiamericanismo", 2003, in occasione delle manifestazioni contro la guerra in Iraq.
– "La sinistra non deve parteggiare per uno dei soggetti, dando l’impressione di avere dei punti di riferimento", 2006, in occasione delle polemiche sul caso Unipol-Bnl.

 

 

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