1318 Gli italiani all’estero nel Governo Prodi?

20060505 16:53:00 webmaster

Eletti il Presidente del Senato e quello della Camera, il prossimo 8 maggio (giorno dedicato a San Vittore il Moro, martire) si eleggerà il Presidente della Repubblica, che darà l’incarico di formare il Governo a Romano Prodi, che ha detto di essere pronto. Ne siamo certi, perché tali e tanti rallentamenti ad arte sono stati frapposti sulla sua strada, che ha certamente avuto il tempo di scegliere le persone più adatte a guidare i vari dicasteri.
Dal nostro osservatorio italiano all’estero viene legittimo chiedersi: che fare dell’idea di avere un Ministro senza portafoglio degli italiani nel mondo?

La chiave della mia domanda sta proprio in questo: senza portafoglio, un ministro senza ministero, sia pure con un dipartimento. Un ministro che deve ricorrere a finanziamenti esterni per realizzare iniziative di vario tipo. È anche importante chiedersi se vogliamo un Ministro soltanto per gli italiani nel mondo oppure un Ministro per le politiche migratorie. Quest’ultimo in grado di applicare all’onda umana, che vuole entrare legalmente in Italia, le politiche più valide a loro tempo applicate agli emigrati italiani in tutto mondo. Come si fa presto a dimenticare che all’inizio degli anni ’90 ci fu un Ministro per gli Italiani all’estero e l’Immigrazione, Margherita Boniver, socialista allora a sinistra, che riuscì a far approvare la legge sul riassetto della cittadinanza, la N. 91 del 1992, e s’impegnò a fondo per tentare di risolvere il problema della massiccia immigrazione illegale dai Balcani. Sono passati quindici anni, il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero ha avuto le successive esperienze di altri due ministri per gli italiani all’estero: Berlinguer nel 1994 e Tremaglia dal 2001 al 2006. Abbiamo visto come un Ministro che, pur essendo collegato alla Presidenza del Consiglio, sceglie di insediarsi all’interno del Ministero degli Esteri, si trova in situazioni non sempre semplici e chiare. Al Ministro senza portafoglio vengono attribuite dal Presidente del Consiglio un certo numero di deleghe: se esse sono troppo poche o poco importanti, la sua figura ne esce – per così dire – ridimensionata e limitata nei poteri e negli scopi di intervento. Se esse sono troppo ampie rischiano di sovrapporsi a quelle da sempre esercitate dal Ministero degli Esteri e ne conseguono immediati conflitti e contraddizioni. Facciamo un esempio: se la gestione della rete consolare venisse affidata al Ministro per gli Italiani nel Mondo, la carriera dei funzionari del MAE passerebbe dal controllo di un dicastero, che esiste da sempre in qualsiasi governo democratico, ad un Ministro il cui incarico potrebbe non esistere più in un successivo governo. D’altro canto, il Ministro per gli italiani nel mondo potrebbe essere la figura più adatta per superare le discrepanze fra le singole politiche regionali nei confronti dell’emigrazione, che ancora persistono, malgrado i ripetuti appelli della Conferenza Stato Regioni Province Autonome CGIE a trovare una sofferta unitarietà. È chiaro che le Regioni – giustamente – si sentono ai sensi della Costituzione sovrane in materia di emigrazione. Ma è altrettanto vero che la Costituzione italiana conferisce allo Stato un potere di controllo che potrebbe portare ad una maggiore omogeneità nella definizione della natura e compiti delle Consulte, degli interventi a favore dei corregionali all’estero e dei rientri. Ho fatto soltanto qualche esempio.
Ecco dunque che diventa assolutamente necessario aprire un dibattito serio sui pro e i contro della nomina di un Ministro per gli italiani nel mondo o dell’istituzione di un Ministero per le politiche migratorie o nella decisione di affidare l’incarico ad un sottosegretario con delega all’emigrazione.
Tutte e tre le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi. Tutte e tre le soluzioni aprono la strada a grandi successi e possibili trappole. Un solo requisito è imprescindibile. La persona che si vedrà affidare l’incarico deve essere qualcuno che abbia profonda conoscenza del mondo dell’emigrazione, qualcuno con cui si possa dialogare concretamente, qualcuno che riesca a portare a sintesi le richieste e le proposte di tutti i livelli di rappresentanza degli italiani all’estero: Com.It.Es., CGIE, parlamentari eletti all’estero. Il lavoro che lo attende non sarà facile, richiederà infinita pazienza, capacità di ascolto e coraggio di porsi super partes, evitando conflittualità di mera matrice partitica.
I risultati del voto all’estero hanno finalmente messo sotto le luci del palcoscenico le comunità italiane nel mondo, nel bene e nel male. Ne sono nate violente reazioni, che riciclano antichi dubbi e resistenze dure a morire contro la partecipazione diretta degli italiani fuori dai confini alla gestione della democrazia italiana. Si ricomincia a parlare di representation without taxation, senza rendersi conto che gli italiani all’estero pagano tasse su tutto ciò che possiedono o guadagnano in Italia, pur continuando a vivere all’estero e ricevendo servizi dai paesi di residenza, ai quali pure pagano le tasse. Si ricomincia a parlare di inopportuna concessione del potere di decidere leggi che hanno effetti prima di tutto sugli italiani in Italia da parte dei parlamentari degli italiani all’estero. Si ricomincia – in parole povere – a creare un clima di caccia alle streghe, che potrebbe avere gravissime conseguenze, se ridotto a slogan più o meno xenofobi, lanciati contro connazionali trattati come stranieri. Le paure sottese a queste reazioni illogiche possono essere superate soltanto se si apre un grande dialogo approfondito, coordinato dal Ministro (o sottosegretario) dell’emigrazione o, preferibilmente, dell’emigrazione e dell’immigrazione. Noi siamo pronti a fare la nostra parte.

Silvana Mangione (CdP del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero)

 

 

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