1316 Il Corriere della Sera e l'informazione dall'estero

20060505 16:38:00 webmaster

Notizie "senza parole"
Giovanna Vitrano – Analista ed esperta di Bolivia, fondatrice dell’Osservatorio Informativo Indipendente Selvas.org

5 maggio 2006 – Questa volta devo scrivere in prima persona, mi corre l’obbligo di scrivere in prima persona. Perché se prima sentivo "solo" come dovere quello di riportare notizie, analisi e fatti dalla Bolivia dopo
lunghe e, spesso, estenuanti ricerche di conferme e approfonditi controlli, oggi sento questo come un obbligo nei confronti di tutte le persone che seguono le vicende latinoamericane attraverso l’Osservatorio Selvas.org di
cui sono (scusate) sempre più orgogliosa.

E’ una premessa indispensabile per rendere ancora più chiaro lo sgomento che mi è salito come una nausea quando, il 4 maggio mattina, ho aperto il Corriere della Sera che, a pagina 19, titolava "Il gas Boliviano divide l’America Latina", un bel titolo d’apertura a quattro colonne sotto un grafico che esplicava l’infezione della "Onda rossa" che sta colpendo il subcontinente.
Immediatamente ho pensato che mi ero persa delle notizie, che non avevo ben capito cosa stava succedendo e così, preoccupata, ho iniziato a leggere l’articolo di Rocco Cotroneo da Rio de Janeiro.

(… … …) "Meeting convocato d’urgenza dopo la decisione boliviana di nazionalizzare i giacimenti di gas e annullare i contratti esistenti tra lo Stato e le imprese straniere". Ma quando mai! Morales non avrebbe mai
potuto annullare contratti esistenti per il semplice fatto che i contratti con tutte le multinazionali petrolifere sono stati annullati con la Legge sugli Idrocarburi di Carlos Mesa (maggio 2005), presidente che aveva decretato 180 giorni di tempo per la negoziazione di nuovi contratti a rischio compartito. Questi contratti non sono mai stati firmati. In Bolivia non ci sono, ad oggi, contratti firmati. Morales, quindi, non ha annullato niente.
Continuo a leggere. (… … …) "(la Petrobras – la petrolifera brasiliana) Come società quotata a Wall Street ha però deciso di ricorrere contro gli espropri in sede internazionale". Allo stato delle cose, risulta dai documenti che è la Bolivia ad avere citato Petrobras e Repsol (quest’ultima, spagnola, è già corsa ai ripari) perché avevano indicato alla borsa newyorkese come parte del loro attivo in bilancio il valore degli idrocarburi ancora nel sottosuolo boliviano.
In tutto questo gridare al fuoco al fuoco, leggo "Anche l’altro paese con forti interessi in Bolivia, la Spagna della Repsol YPF, ha reagito pacatamente". Ma come, fino al rigo precedente erano tutti pronti a saltare
alla gola dell’indio presidente, e adesso hanno reazioni pacate? E comunque anche questa affermazione non ha basi provate: i titoli dei giornali spagnoli di questi giorni sono stati piuttosto perentori e il presidente di
Repsol si è perfino detto "costernato". Ricordo che non è stato annullato alcun contratto e che alle multinazionali viene concesso un nuovo periodo di 180 giorni per firmare i nuovi contratti.

Torno alla mia lettura. "In ambienti boliviani ostili al governo è circolata ieri una ricostruzione secondo la quale tecnici della venezuelana Pdvsa (la petrolifera statale del paese bolivariano) si trovano già in Bolivia, pronti a prendere il posto dei brasiliani della Petrobras e
garantire know-how e funzionamento degli impianti nazionalizzati se gli ex proprietari dovessero andarsene". Questo è veramente il massimo. Il presidente Chavez, che in questo articolo diventa "l’ambiente ostile al governo" ha dichiarato che saranno a disposizione della Bolivia le figure professionali che potrebbero essere utili alla YPFB (la petrolifera statale boliviana) a mettere in funzione la sua macchina amministrativa nel minor tempo possibile. In Bolivia, in questo momento, circolano tanti venezuelani, sì, ma sono centinaia di insegnanti mobilitati nel paese di Morales per la Mission Robinson, il piano per abbattere l’analfabetismo in 30 mesi. E poi il governo di La Paz ha nazionalizzato gli idrocarburi, non
ha certo sequestrato gli impianti che, e questo viene ripetuto continuamente dal 1° maggio, sono di proprietà delle multinazionali e non c’è nessuno che li vuole sequestrare. Non ci sono ex proprietari, dunque, ma proprietari a tutti gli effetti.
Ancora bla bla bla bla sulle mire economiche di Hugo Chavez (mai negate da nessuno), fino alla dichiarazione che il presidente venezuelano "minaccia di rompere con tutti i vicini che alla suggestione della Unidad bolivariana preferiscono trattati concreti di libero scambio con gli Stati Uniti". E allora quello che è accaduto in Ecuador? Il governo ha dovuto fare marcia
indietro perché alla notizia della firma del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti è scoppiata quasi la rivoluzione; il Guatemala è in fermento per lo stesso motivo, il Perù di Toledo (il presidente ancora in
carica perché a Lima si continua con i ballottaggi) ha firmato solo la carta di intenti e il prossimo presidente, forse Ollanta Humala, ha fatto del "no al TLC" uno slogan elettorale.
E l’UruguayS proprio qualche giorno fa il presidente Tabarè Vazquez, a domanda diretta, rispondeva che "per una possibile firma al Tlc bisogna rifletterci ancora a lungo, molto a lungo".

Non ho parole
E poi il vero passaggio chiave di tutto l’articolo: "Aprirsi agli Stati Uniti, piuttosto che ai vicini, è molto conveniente per le piccole economie, che hanno interesse a esportare nel più grande mercato del mondo e poco da perdere aprendo le proprie frontiere". Su questa affermazione non ho davvero parole. Ma il signor Cotroneo, ha mai letto un accordo TLC? E’ mai andato a guardare quali sono i prodotti esportabili negli Stati Uniti e quelli importabili nei paesi latinoamericani?
Faccio un piccolo riassunto: con questi accordi gli Stati Uniti possono esportare nei paesi firmatari tutto quello che vogliono senza pagare le tasse, possono esportare anche le industrie che andrebbero a saccheggiare i
prodotti grezzi del Latinoamerica, prodotti che verrebbero riportati in patria, raffinati e rivenduti con il marchio "Made in Usa" ai Latini.
Questi, poi, potrebbero esportare solo un certo tipo di stoffe e qualche altra produzione artigianale. Tutto qui. E poi sul fatto che "hanno poco da perdere" vorrei dettagliarvi. L’America Latina è ricca di ogni ben di Dio,
dal petrolio al tungsteno, al silicio, allo zinco, al rame, al ferro all’acqua.

Persino l’onda rossa, con tutte le faccine dei presidenti di sinistra a fare sfoggio sul grafico. Be’, c’è da capirli questi andini. Prima hanno avuto (e alcuni hanno ancora) le dittature militari, poi hanno avuto i governi di destra. Infine, visto che tutti i governi di matrice
neoliberista, ma solo pro statunitense, non hanno fato altro che affamarli, hanno deciso, ultima ratio, di cambiare un po’ le carte in tavola.
Questa è storia, signor Cotroneo. Il mio è un duro lavoro, ogni giorno, è soffrire le briglie di un senso morale che non mi permette di pubblicare o diffondere notizie che non siano verificate fino in fondo. E la mia è
onestà, una liberatrice onestà che mi permette, quando non ho chiara una situazione, di rivolgermi ad altri, di "passare il pezzo" a chi ne sa più di me e consultare esperti.
In più io lavoro gratis, signor Cotroneo. Lei è giustamente pagato per fare informazione (e non operazioni politiche!). Fortunatamente il suo senso morale non è sensibile quanto il mio.
A voi che avete avuto la pazienza di leggermi, porgo le mie scuse per questo lunghissimo sfogo. E se avete voglia di saperne di più, di farvi un’idea sul tipo di informazione che si fa in Italia sull’America Latina,
vi invito a leggere l’articolo di Gennaro Carotenuto
(www.gennarocarotenuto.it) su quanto ha scritto La Repubblica a firma di Omero Ciai, altra firma illustre alla quale più volte noi dell’Osservatorio Selvas.org abbiamo espresso, attraverso il direttore del quotidiano, tutte le nostre perplessità.
Ma quello che adesso, oggi, mi fa più male e il non sapere cosa rispondere alla domanda che mi è sorta alla fine dell’articolo: e ora, che cosa posso leggere per essere informata, ad esempio, sui fatti di cronaca nazionale?

http://www.selvas.org

 

 

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