1311 I «latinos» bloccano gli Stati uniti

20060503 11:09:00 webmaster

Da Los Angeles a San Diego, in tutti gli Stati Uniti oltre un milione di immigrati, la gran parte ispanici, sono scesi in piazza il primo maggio contro la legge sull’immigrazione. Inceppando la macchina produttiva Usa e mettendo in crisi il governo Bush
di Franco Pantarelli – New York

(da il Manifesto del 3.05.06)

Le cifre ufficiali parlano di più di un milione, ma sono sicuramente errate per difetto. Primo, perché vengono dalle stime fatte dalle polizie delle varie città in cui i cortei del «giorno senza immigrati» si sono svolti. Secondo, perché non c’è stato un vero conteggio a livello nazionale: l’indicazione di più di un milione viene semplicemente da una serie di telefonate che l’Associated Press si è presa la briga di fare alle polizie di alcune città, ma non tutte. Una cosa è certa: che lunedì la maggior parte delle città americane sono state invase da enormi manifestazioni di gente festosa che ballava, cantava (anche l’ormai famoso inno americano tradotto in spagnolo che ha fatto arrabbiare George Bush), agitava le bandiere, portava in braccio i propri bambini, il tutto rivendicando i propri diritti e la voglia di lottare per essi, tutte cose che per la prima volta nella sua storia hanno reso questo Paese in sintonia con il resto del mondo. Come si sa, infatti, il Primo Maggio da queste parti è un giorno qualsiasi, nonostante proprio qui abbia trovato ispirazione: l’eccidio di lavoratori a Chicago nel 1886, seguito dal processo farsa ai loro sindacalisti, condannati a morte e impiccati alcuni mesi dopo.
La concentrazione più grossa c’è stata come al solito a Los Angeles, dove si sono contate – secondo la polizia – almeno 400 mila persone, seguita da Chicago (300 mila), New York (100 mila), Santa Fé (50 mila), Houston (30 mila). Non ci sono cifre su quanti fossero i manifestanti a Washington, ma erano abbastanza numerosi da indurre Scott McClellan, il portavoce (in partenza) della Casa Bianca, a ricordare che «il presidente non approva». Forse però più che la «guerra dei numeri» contava la faccia che avevano i luoghi dove il lavoro – precario e mal pagato – degli immigrati «illegali» si svolge normalmente: gli alberghi con i loro sguatteri e addetti alle pulizie in gran parte immigrati; le aziende agricole dove ogni giorno sono loro a spaccarsi la schiena; le industrie della carne che contano sugli impacchettatori venuti dal sud; i porti dove le operazioni di carico e scarico si fanno in spagnolo; l’edilizia; i supermercati, per non parlare delle scuole, che in alcune zone sono frequentate per la gran parte da figli di immigrati. In tutti quei luoghi il «giorno senza emigrati» era palpabile: seri problemi negli alberghi sono stati segnalati praticamente dovunque, sia nelle grandi che nelle piccole città; la Tyson Foods, una delle maggiori industrie della carne, ha avuto una produzione ridotta in tutto il suo centinaio di stabilimenti ed è stata costretta a chiederne una dozzina, mentre una delle sue concorrenti, la Perdue, ha dovuto chiudere 8 dei suoi 14 stabilimenti e i 29 di un’altra concorrente, la Chipotle Mexican Grill, sono stati chiusi tutti. Tutti chiusi anche quelli della Goya, un’altra industria alimentare, ma in questo caso c’era un distinguo: essendo questa la maggiore industria alimentare posseduta da immigrati ispanici, lo ha fatto «per solidarietà», come hanno detto i suoi dirigenti. I due porti più trafficati del Paese, quelli di Los Angeles e Long Beach, hanno registrato un’astensione dal lavoro del 90 per cento, mentre i palazzi in costruzione sono stati disertati dalla metà degli operai. Nelle scuole uno su quattro ragazzi ha rinunciato alle lezioni per marciare.
Non sono mancate neanche le provocazioni. A Denver, un gruppo di persone gridava al corteo che passava: «Siamo stufi di avervi fra noi». Non se li filava nessuno. A Charlotte, nel North Carolina, alcuni vendevano (a 5 dollari l’uno) dei mattoni come simbolo del muro che gli «anti» vogliono veder costruire alla frontiera fra Stati Uniti e Messico. «Mi dispiace, non ho spicci», dicevano allegri i manifestanti. Un po’ peggio è andata a Seattle, dove un furgoncino è stato lanciato contro il corteo. Per fortuna, feriti solo leggeri e nessuna reazione violenta.
Se e quando il Senato – che sta discutendo la legge sull’emigrazione – «sentirà il fiato» di questo Primo Maggio non è chiaro, perché molti repubblicani devono la loro fortuna alla politica reazionaria anti immigrati. «Non siete più silenziosi, non siete più invisibili. Continuiamo così», ha invece incalzato l’attrice Susan Sarandon, intervenuta alla manifestazione di New York .

 

 

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