1308 Made in Italy: VECCHI E NUOVI STEREOTIPI SU GLI ITALIANI ALL'ESTERO

20060504 15:09:00 webmaster

di William Amselmi (Edmonton-CANADA)

Il futuro è sempre stato il regno d’indovini, naviganti e poeti. Per noi, progenie della terra infirma, chiedersi cosa sarà del prossimo quinquennio in Italia sarebbe diletto da imbonitori televisivi. Smerciare sogni, ovviamente, non è lavoro da farsi se si vuole una qualsiasi parvenza di lettura critica a proposito delle recenti elezioni.

A prescindere da come il risultato sia stato immancabilmente contestato ( a ragione si è parlato di crisi pre-golpista – vedi i vari messaggi incrociati nei media come la cattura di Provenzano), e di come si sia finito per parlare di una spaccatura culturale e sociale tutta italiana quando è il sistema elettorale stesso ad esigere questo tipo di risultato, qui conta piuttosto dire altro a proposito di rappresentazioni mediatiche.
Conviene mettere in mostra come i vari media italiani hanno giocato con una visione molto particolare degli italiani all’estero. Il fatto stesso che l’elettore estero sia stato indicato come portatore di varie qualità – giovane, ben educato, critico – in contrappunto allo stereotipo di quello che si immaginava fosse l’elettore comune italico, ovvero patriotticamente destrorso, anziano, ignorante e legato all’Italia più da quattro spaghi che da radici autentiche, non ha fatto altro che costruire dal nulla un nuovo modello (o stereotipo) con tanto di posta elettronica e foto allegate come monili sull’albero natalizio di un buon Senato, di un “viva l’Italia, l’Italia che resiste” di degregoriana fama.
A guardarsi in giro, entrando e uscendo dalle varie comunità di origine italiana in Canada, si sarebbe più propensi a dire che l’immagine creata ad hoc – e quindi governabile – dell’elettore fuori dell’Italia, altro non è che bluff, atto scaramantico per via di sostenere un qualche seggio senatoriale.
La realtà è molto più complessa della riduzione ad uso e consumo dei media. Anzi, finisce per sovvertire esattamente quello che s’intendeva governare (leggi: manipolare). L’elettore italiano all’estero è una figura in via di composizione, che deriva più da vari strati d’immigrazione che da un aitante italiano di ritorno con 24ore al collo.
Si lasci perdere la globalizzazione, che serve solo a smerciare incombenze truffaldine di momentaneo impero. Ci si concentri piuttosto sul perché sia stato necessario con un colpo di spugna – meglio ancora, di un blackout (si rilegga Balestrini), o di un system crush Ballardiano– fare tabula rasa di un passato recente (dalla creazione dell’Italia come entità geo-politica), ed inventarsene uno tutto nuovo. Mi si perdoni, quindi, il momentaneo re-visionismo messo in gioco.
Eccolo l’italiano all’estero appena sfuggito dall’inquinamento mediatico berlusconiano. È uno di noi, non quella macchietta con scimmietta appresso, o peggio ancora quel soprano mancato (che parla come un cioccolataio, avrebbe detto una mia ex-professoressa con buona pace dell’anima sua). Eppure, questo essere uno di noi vuol dire anche non avere più storia (dell’emigrazione, o della vergogna poiché sembrano essere uno il rovescio della medaglia dell’altro). Vuole anzi dire sottrarre storia a chi, di fatto, di storia ne ha fatta e tanta, di generazione in generazione anche se sconosciuta ai più o ai media in questo caso. Ne abbiamo parlato di queste donne e uomini con la mia collega Lise Hogan, in un articolo dal titolo “L’emigrazione italiana in Canada nell’era globale tra aspetti culturali e risvolti economici”, apparso l’anno scorso di questi tempi per la rivista Memoria e Ricerca. Abbiamo cercato di dire, molto semplicemente, che la figura o stereotipo dell’emigrante italiano in Canada, per più generazioni, è stata vittima di una configurazione normativa che continua ancora oggi. Un essere oriundo, pasticciato, senza cultura se non quella di una superficiale nostalgia. Buono per vendere prodotti dal suono italiano, ma senza una propria base culturale. Un “surplus umano”, una specie di “eccesso di una società che lo rifiuta, e come paria – per quanto riguarda in ogni caso il trattamento di un nuovo processo di socializzazione nella società d’accoglienza”. Ovvero, che questi individui emigranti alla fine sono ai margini della società perché rifiuto, anzi doppio rifiuto: “di se stessi come agenti sociali in grado di incidere e trasformare la società…. e [quindi di] scomparsa di una cultura di continuità all’interno di processi migratori”.
E vedevamo in questo, nella mancanza di gestirsi culturalmente, il problema sia culturale che economico che da sempre affligge le varie comunità d’origine italiana. Volutamente ignorando – da parte di chi ha potere mediatico (mondo dell’informazione) a livello comunitario – gli artisti di origine italiana, poeti e pittori, cineasti ed attori, scrittori e educatori che hanno costruito una base identitaria sempre rimossa all’interno delle varie comunità, si finiva per beneficiare le varie relazioni di potere di controllo dell’Altro. Quel modello di multiculturalismo esportabile all’estero ma gestore di atroci banalità: cibo piccante, balletto folk; castigat ridendo mores.
Auspicavamo che le varie associazioni, anche queste da sempre presenti ma nella maggior parte dei casi inefficaci se non per quattro centimetri quadrati di sommo potere, si facessero portavoce, ne prendessero atto, diventassero responsabili del rimosso infine. Ma, è sempre più facile ignorare e farsi gli affari propri che investire nel passato affinché ci sia un futuro. Eccolo il risultato: una scimmietta ben educata da rimirare allo specchio, senza essere troppo spocchiosi, per altri fini. Il problema che rimane dopo queste elezioni è un problema d’identità. Hanno fatto bene i vari giornali italiani a buttare alle ortiche lo stereotipo destrorso dell’italiano all’estero. Di certo è un problema di rappresentazione. Per secoli ci si è nutriti in Italia della mammella hollywoodiana per quanto concerne l’immagine delle persone d’origine italiana. L’oriundo era paragonabile al cugino scemo, o al mafiosetto baffutino che faceva rientro con tanto di macchinone ad intasare l’unica strada cittadina senza marciapiede alcuno. Poi, improvvisamente, le elezioni et voilà: gli italiani all’estero, fuoriusciti eroi di mitica patria. Con che garbo e con che stile la riscoperta di un’esistenza centenaria, attraversata da molteplici strati di storia. Fatalmente, tutte le favole hanno un brutto fine. In questo caso la fine degli ‘oriundi’ coincide con il nuovo: tecnici, lettori, ricercatori e affini. Insomma, la crème de la crème costretta all’espatrio da una malevola congiuntura, e così nuovo stereotipo. Forse dovremmo dire: prototipo. Il risultato è lo stesso: il nuovo nega, scaccia, il vecchio e il gioco ricomincia da capo. In ogni caso il risultato è lo stesso. L’articolo dovrebbe finire qui. In un sospeso che lascia immaginare. Purtroppo è da riscrivere da capo…

 

 

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