1364 Gas boliviano: Vade retro nazionalizzazione!

20060515 19:26:00 webmaster

di Tito Pulsinelli, selvas.org

La nazionalizzazione del gas boliviano è stata come una sassata nella piccionaia, e sulle due sponde atlantiche c’è stata unanimità nella condanna del nuovo fantasma che si aggirerebbe in Sudamerica. Si scrive populismo, ma si legge gas.

Dal Partido Popular a Zapatero, fino al vitalizio ministro degli esteri europeo Solana; dalla destra oligarchica e razzista del Brasile fino al ministro Celso Amorin e un settore del PT, è stato un coro urbi et orbi contro la “antimoderna” nazionalizzazione.

Si va dalle minacce militari esplicite dei settori del sub-imperialismo brasiliano al ventilato ritiro dell’ambasciatore da La Paz.
Madrid e Brasilia difendono unilateralmente gli interessi smodati delle multinazionali Petrobras e Repsol, mentre una decina di movimenti (tra cui i Sem Terra) applaudono il “significato emancipatorio della decisione del governo di Evo Morales”.

Eppure solo il 37% delle azioni di Petrobras appartengono allo Stato brasiliano, il 49% è in mano statunitense e l’11% è dei prestanome brasiliani. Pensandoci bene, più che gli interessi nazionali, stanno difendendo le ragioni della Borsa di New York.
La metà del gas che importa il Brasile proviene dalla Bolivia, mentre Petrobras concorre a determinare il 20% del PIL boliviano.
Si va verso negoziati senza esclusione di colpi proibiti, preparati da una campagna internazionale che mette in discussione la legalità, e persino la liceità della nazionalizzazione come “concetto”.

L’Arabia Saudita ha nazionalizzato nel 1972 gli idrocarburi, e le multinazionali straniere devono quindi associarsi alla statale ARAMCO. Nel 1951 l’Iran crea la NIOC e pone il limite del 25% alla partecipazione azionaria straniera. E’ statale la compagnia KPC del Kuwait, come pure la ADNOC degli Emirati Arabi.
Idem la NNPC in Nigeria e la NOC in Libia, come PDVSA in Venezuela e PEMEX in Messico. Fino all’invasione, era statale anche la INOR in Iraq. Wladimir Putin ha riportato la Yukos e le riserve energetiche russe sotto il controllo dello Stato.
L’insieme di queste compagnie controlla l’80% delle riserve mondiali (1), e stanno al di fuori del “libero mercato”.

In sostanza, la rivitalizzata YPFB boliviana si trova in buona e poderosa compagnia, ed ha tutte le ragioni giuridiche e morali di incrementare l’esiguo gestito fiscale pagato dalle compagnie petrolifere. La Repsol e Petrobras devono semplicemente scordarsi di poter continuare a pagare il prezzo più basso del mercato: il 18%.
Questa è un’altra epoca storica e il neocolonialismo sta tramontando. Secondo uno studio di Intermon-Oxfam, la Repsol per ogni dollaro investito ne ha guadagnati ben 10, quando in questo settore un moltiplicatore di 1 a 5 è considerato ottimo.

Nel 2005, la Repsol ha ottenuto degli utili netti di 3,12 milioni di euro, cioè superiori del 29,4% rispetto al 2004. Mentre lo Stato boliviano, a causa della liberalizzazione estremamente generosa con le compagnie petrolifere, nel decennio 1996-2006 ha visto sfumarsi ben 3,15 miliardi di dollari.

Dietro il gran polverone sollevato contro il decreto del 1 maggio, concretamente si vogliono incassare 300 milioni di dollari aggiuntivi, per arrivare così ad un totale di 780 milioni annuali (2). Senza di questi, è impossibile qualsiasi politica sociale che possa strappare la Bolivia dal penultimo posto delle condizioni di vita nella graduatoria continentale.

A Brasilia fanno la voce grossa, la destra picchia i pugni sul tavolo delle trattative , anche perchè puntano a dissuadere Evo Morales a rinviare l’imminente riforma agraria. Le grande estensioni di produzione di soya nella regione di Santa Cruz appartengono a “terratenientes” brasiliani.
Inoltre, il governo di Lula è rimasto in debito con i contadini perchè non ha messo mano alla questione agraria, e ora rischia un possibile effetto-contagio proveniente dalla Bolivia.

Arrivati a questo punto, l’Argentina rimane l’unico Paese latinoamericano a contare con giacimenti di idrocarburi integralmente privatizzati, finiti letteralmente nelle cassaforti di Petrobras e della Repsol. Contabilizzati come capitale privato a Wall Street. Lo Stato argentino è “esterno” a questo business e non ne riceve alcun beneficio. Fino a quando?

Il governo brasiliano deve configurare una nuova politica regionale –oltre naturalmente a improcrastinabili riforme interne- perchè il Mercosur comincia a diventare un abito troppo stretto, sempre più inadatto a camuffare lo storico sub-imperialimo carioca.
La mossa inattesa di Evo Morales ha scombinato lo scachiere regionale ed ha assestato il colpo finale al sogno dei fondamentalisti di Washington: l’accaparramento delle risorse energetiche controllate da un monopolio privato mondiale, é ormai un miraggio.

(1) Wilson García Mérida (Datos & Análisis)
(2) Alvaro Linares, vicepresidente boliviano.

 

 

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