1372 Perù, la nazionalizzazione secondo Ollanta Humala

20060517 11:18:00 webmaster

Esclusiva italiana

Un comizio alla periferia di Arequipa, tra gli applausi che la "base" tributa al candidato dell’ "Unión por el
Perú" (Upp). L’incontro ravvicinato con uno dei personaggi
politici più discussi del panorama continentale. Due domande al volo e due risposte, chiare, per i lettori di Selvas.org.

Dall’inviata Diletta Varlese, per Selvas.org
12 maggio 2006.

Perù, Arequipa, sud-est della cordigliera andina. In uno spiazzo c’è un camioncino, di quelli con le sponde ribaltabili. Due altoparalti e tre luci ne fanno un improbabile palco attorno al quale
si affanna un gruppo di uomini con i soliti denti incastonati
d’argento e la t-shirt rossa con su scritto "Amor por el Perù", lo
slogan dell’ Unión por el Perú’ (Upp), il partito di Humala.

«El comandate va a llegar en un ratito», fra poco "il
comandante"(Humala) arriverà, ripetono al microfono per calmare la
folla che si accalca attorno, riempiendo quello spiazzo in cui si
muovono, di norma, cani randagi tra i cumuli di immondizia, bambini
sporchi di pochi vestiti, donne con qualche dente su un largo
sorriso, trecce lunghe e nasi aquilini che adesso fanno la spola tra
impossibili baracchini che friggono "fideos y chicharon", pasta
scotta e salsiccia, un pasto che costa appena un sol (circa 25
centesimi di euro).

Aspettano, aspettiamo, il "comandante", Ollanta Humala, uno dei
due candidati alla Presidenza della Repubblica peruviana che terrà
proprio qui il suo comizio. Fa uno strano effetto pensare che uno dei
protagonisti della cronaca dell’intero Latinoamerica salirà su quel
camioncino sgangherato, mentre l’aria si impregna di fumo acre e del
cattivo odore dei rifiuti, ma sappiamo che è proprio in questi
quartieri peruviani che Humala ha la sua base elettorale, proprio in
posti come questo, lontani dal "paseo" del centro cittadino, lontani
dai ristoranti per i turisti o dai lustrini delle vetrine alla moda.
E’ qui che va forte "il comandate", cosi detto per via della sua
vita da militare. Si fa chiamare esattamente come Hugo Chavez, ma
senza sventolare un basco rosso.

Eccolo. Applausi, urla, la folla ondeggia. Inizia il comizio, il
candidato sbandiera il programma di nazionalizzazione, ma senza
disdegnare l’apporto che possono dare le compagnie multinazionali,
proponendo accordi che comportino maggiori profitti per il Perù.
Chiede rispetto della sovranità, Ollanta Humala, ammorbidendo dunque
i suoi discorsi più radicali di qualche settimana fa. Sicuramente un
modo per allargare il consenso, conquistando così anche la fiducia
della classe media, preoccupata che una possibile "cacciata" delle
imprese straniere causerebbe la perdita degli investimenti stranieri
con la conseguente chiusura di uffici, fabbriche, industrie una delle
accuse più forti mosse dall’altro candidato, Alan Garcia,
dell’Apra (Alianza Popular Revolucionaria Americana).

Ma qui, in questa piazza, ogni volta che il comandante pronuncia la
parola "nazionalizzazione" vengono giù lunghissimi scrosci
d’applausi. E Humala questa parola la dice davvero molto spesso.
Non vogliamo fare propaganda, qui non ci interessa il suo discorso
alla piazza. Preferiamo riportare quello che ha detto al nostro
registratore, lontano dagli altoparlanti, lontano dalle luci e dagli
occhi sgranati della sua gente.
Un brevissimo incontro, giusto il tempo di porgergli due domande,
secche ma chiarificatrici sui temi portanti della sua campagna
elettorale.

Cosa intende esattamente per "nazionalizzazione"?
«Nazionalizzazione vuole dire far partecipare lo stato alle attività
strategiche. Per partecipare lo stato deve partire da un principio
basilare che è quello secondo il quale le risorse naturali del paese,
tanto quando sono ancora nel sottosuolo che quando vengono estratte,
sono di proprietà dello stato peruviano, che rappresenta il popolo
peruviano. Qui sta la differenza tra il mio programma e quello dei
neoliberali che danno un significato giuridico al concetto che le
risorse naturali del paese sono dei peruviani quando restano nel
sottosuolo, mentre quando escono sono di chi li ha estratti. E quello
che si vuole fare è semplicemente nazionalizzare le risorse del
paese. Come direS le danno una caramella che si chiama petrolio, ed
è sua finchè è incartata, ma se lei la scarta, diventa mia».

In Europa la parola "nazionalismo" fa molta paura, ma qui la si
intende in modo diverso. Può spiegarlo Lei ai nostri lettori europei?

«In Europa si e’ vissuta l’amara esperienza delle estremizzazioni
del nazionalismo che crearono una grande alleanza di grandi capitali,
trasformandosi in imperialismi, che poi si chiamarono fascismo e
nazismo, e che terminarono in una catastrofe, una guerra mondiale che
nessuno vuole ripetere. Nel nostro caso, il nostro nazionalismo è la
lotta per l’indipendenza reale del nostro paese. Se ci riferiamo al
contesto europeo, direi che la richiesta di nazionalismo in Perù
somiglia alla richiesta di quei popoli che furono soggiogati dai
diversi tipi di imperialismo e che dovevano decidere tra l’essere
colonie di questi imperi, o lottare per la propria indipendenza e la
propria sovranità. Questo è il nostro
nazionalismo. Il nazionalismo in Perù chiede il recupero della
sovranità delle risorse naturali, ed il recupero della capacità
dello Stato di mettere in atto politiche a favore dell’educazione,
della salute, della sicurezza e della qualità di vita per tutti i
peruviani».
Il 4 giugno, data delle elezioni, non è lontano. E noi saremo qui per
vedere come si concluderà questo lungo, estenuante, periodo
elettorale in Perù».

…E in un bar al centro di Arequipa, la classe media svela il volto
intimo del Perù a due settimane dalle elezioni.

Siamo in un bar come ce ne sono tanti, con la gente che si trova in
un qualunque bar alle 8 della mattina.

Accanto alla nostra tazza di caffé tre uomini, ben vestiti, esponenti
di quella che possiamo chiamare classe media, chiacchierano
animatamente sulla "segunda vuelta", la seconda tornata elettorale
peruviana. "Io non voto per certa gente, capite?", dice uno dei
tre apostrofando pesantemente uno dei candidati, Alan Garcia, ex-
presidente dal 1985 al 1990, appartenente all’APRA, il partito
politico più antico in Perù.
Questo primo interlocutore, capiamo dai suoi discorsi, ha una piccola
azienda. "Forse sarà una scommessa, ma voterò Humala",
aggiunge. Gli fa eco l’uomo seduto al tavolo accanto, un
dermatologo: "Gli Stati Uniti hanno sempre voluto alla presidenza il
candidato che gli ha fatto più comodo, e Alan Garcia è il loro
protetto".
A far da cornice a questi discorsi, i titoli dei giornali che
gridavano allo
Scandalo contro la sospensione del visto d’ingresso negli States a
Ollanta Humala.
Commentando il fatto con i primi due, un terzo uomo prosegue:
"Vedrete che questa mossa porterà più voti a Ollanta perché la
gente sente puzza di bruciato quando gli Stati Uniti si
intromettonoS alla gente non piace".
Ricapitoliamo. Mentre prendevamo il caffé, abbiamo sentito il parere
di un medico, di un agente turistico e di un impresario. Magari non
rappresenteranno tutti i 18 milioni di elettori, ma certamente, visto
che non sapevano di essere "ascoltati" da orecchie interessate,
possono essere considerati esempio del pensiero di una classe sociale
che certamente non rappresenta lo zoccolo duro di Ollanta "el
comandante".
Humala parla di nazionalizzazione, dice di non voler scendere a
compromessi con
le multinazionali, di non volere un TLC così come proposto dagli
Stati Uniti, lo stesso che il presidente Toledo ha accettato. Humala
guarda con simpatia a Chavez e Morales e dichiara, facendo eco ai due
colleghi, di volere restituire tutte le ricchezze del territorio
peruviano ai peruviani. Chiede di poter finalmente esercitare la
sovranità dello stato sulle sue risorse, senza doverle svendere al
primo offerente. Uno dei suoi slogan, infatti, recita "la costa, la
sierra y la selva no se vende" (la costa, la montagna e il bosco non
sono in vendita).

In un paese dove, come ci dice l’analista Raul Winer, "l’unico
capitale che conta è quello straniero, non le risorse, non la forza
lavoro, non la produzione nazionale", è ovvio che il programma di
Humala scateni il panico, almeno a detta dei quotidiani, del 95% dei
quotidiani.
Ma a sentire quello che dice la stampa da queste parti si corre il
rischio di commettere errori madornali. Ad esempio, a detta della
stampa, Alan Garcia avrebbe già vinto, e la casse media proverebbe
"odio", testuali parole, nei confronti di Ollanta Humala e delle sue
idee alternative che "vogliono destabilizzare l’ordine neoliberale
delle cose".

Noi però abbiamo ascoltato parole diverse, in un caffé come tanti,
in una cittadina di provincia come Arequipa, tra le strade in cui si
muove la gente comune, là dove si ascolta una storia diversa. (d.v.)

————
Associazione Culturale SELVAS.org
Osservatorio Informativo Indipendente
sulla Regione Andina e il continente Latinoamericano
ITALIA

http://www.selvas.org

 

 

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