1420 Italiani all’estero: Berlusconi ha compreso lo svantaggio competitivo

20060522 22:05:00 webmaster

Quando la storia vale più dei sondaggi
di Rodolfo Ricci (FIEI)

Le affermazioni di Berlusconi rilasciate in una intervista ad una emittente privata e riportate da diverse agenzie stampa, secondo le quali gli italiani all’estero non dovrebbero votare dal momento che non pagano le tasse, secondo il noto principio “no taxation, no rapresentation”, dà conto dei risultati dell’analisi del voto che il suo staff ha prodotto: non si tratta solo di un analisi per l’oggi, ma di una analisti prospettica, per il futuro.

Mettiamo da parte la mezza bugia che gli emigrati italiani non pagano le tasse: in realtà, milioni di loro pagano l’ICI, le tasse per lo smaltimento dei rifiuti, ecc., legate alle piccole proprietà immobiliari che in molti vantano nelle località di origine; mettiamo da parte il fatto che continuano a inviare in Italia miliardi di Euro all’anno (nel 2005 sono stati 5 miliardi le rimesse degli italiani all’estero) e che queste rimesse sono state decisive per circa un secolo per saldare o migliorare la bilancia dei pagamenti tra Italia ed estero; mettiamo infine da parte il fatto che l’indotto prodotto dai consumi di prodotti “made in Italy” degli italiani nel mondo (cittadini o oriundi) sono stati stimati dal suo stesso Governo in circa 60/70 miliardi di Euro/anno.
E quindi mettiamo tra parentesi il fatto che su una ipotetica bilancia, ciò che gli italiani all’estero “ritornano” all’Italia è decisamente superiore a ciò che dall’Italia li raggiunge in termini di assistenza, sussidi, investimenti compresi quelli che potrebbero ulteriormente potenziare la loro funzione di volano della nostra economia (cultura, promozione turistica, consumi, ecc., ecc.).
Non inveiamo sul fatto che la battuta di Berlusconi fa emergere d’acchito la deduzione per la quale allora, gli evasori italiani (che si rimangiano il 25% del reddito pubblico) non dovrebbero votare.
O che, al contrario, non dovrebbe esserci quindi alcun impedimento a concedere il voto agli immigrati che in Italia lavorano e pagano le tasse sul loro reddito.

La verità è che Berlusconi e il suo staff si sono resi conto di una cosa semplicissima e banale vista con occhi post elettorali: le tecniche di abbordaggio messe in atto attraverso le sue televisioni e la manipolazione culturale più che decennale che era risultata decisiva per orientare il voto degli italiani in Italia, non agiscono verso gli italiani all’estero; la banalità di questa conclusione, appare nella sua forte pregnanza se la leggiamo in prospettiva: in un paese “spaccato a metà”, la probabile permanenza di questa “anomalia”, crea ora forte preoccupazione a destra: si tratta di una sorta di spada di Damocle, di uno svantaggio competitivo permanente che pende sulla destra e che non può essere facilmente risolto.

E’ infatti molto probabile che nelle prossime consultazioni elettorali, questo dato di relativa maggiore autonomia di pensiero e di lettura dei fatti politici italiani sia destinato a perpetuarsi: gli italiani all’estero potrebbero risultare decisivi anche la prossima volta, quindi Berlusconi ha deciso di mettere in discussione non solo l’elezione di parlamentari dell’estero, ma lo stesso diritto di voto dall’estero.

Una ragione di più per chiedere una maggiore – e meno folclorica- attenzione del centrosinistra su questo versante.
E un esempio per riflettere meglio sull’analisi politica fondata sulla sondaggistica o su un’analisi fondata su dati storici: l’esito del voto degli italiani all’estero era facilmente prevedibile se solo si fosse prestata maggiore attenzione alla storia di questi italiani, che è in gran parte una storia di lavoro duro, di discriminazioni subite, di rivendicazione di diritti civili e sociali.
Anche questo può costituire materia di approfondimento a sinistra, magari da allargare allo scenario di vaste aree del nostro paese.

Rodolfo Ricci
(Segr. generale FIEI – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione)

 

 

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