1437 Un'Italia vulnerabile e immobile. L'Istat dice: 7,6 milioni di indigenti

20060524 13:41:00 webmaster

(da l’Unità del 24 maggio 2006)

L’Italia è uno dei paesi in Europa con il più alto livello di disuguaglianza tra "ricchi" e "poveri". E con minore "mobilità sociale". Il che significa che nel Belpaese, ancora oggi è difficile passare da una classe sociale all’ altra. Soprattutto per quanto riguarda il gentil sesso. Insomma se una donna nasce figlia di operaia è quasi certo che resterà tale. Specialmente se vive al Sud.

La fotografia del Belpaese scattata dal rapporto annuale 2006 dell’Istat (presentato a Montecitorio dal presidente dell’Istituto Biggeri, alla presenza del presidente della Camera Fausto Bertinotti) è quella di un Italia piuttosto immobile e arretrata, specialmente a confronto i paesi del Nord Europa (Norvegia, Paesi Bassi e Svezia). Mentre, magra consolazione, l´immobilismo sociale caratterizza anche Francia, Germania, Irlanda. Certo alcuni segnali di ripresa ci sono, seppure timidi: il pil è cresciuto dello 0,9% nel primo trimestre del 2006.

Ma andiamo con ordine. Se la povertà nel Belpaese è stabile da circa otto anni (7,6 milioni di persone indigenti), secondo i dati Istat, una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670. E ben un milione e mezzo di persone percepisce un reddito mensile basso, mediamente meno 783 euro, e vive in contesti familiari economicamente disagiati. Soprattutto al Sud: le famiglie che abitano nel Mezzogiorno percepiscono infatti circa 3/4 del reddito delle famiglie che vivono al Nord.

Per quanto riguarda l’indice di concentrazione dei redditi", lo 0,30 dell´Italia ci colloca tra le "maglie nere" del Vecchio Continente, insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia. Il mezzogiorno è il più fragile in questo contesto non solo rispetto al nord ma anche all’interno delle proprie regioni. I fattori individuali che influenzano la distribuzione dei redditi sono il livello di istruzione, il genere, l’età. Le famiglie del 20% più ricco detengono il 40% del reddito totale.

La situazione non è migliore sul versante redditi dei nuclei familiari. L´Istat sottolinea che nel 2003 il reddito medio per famiglia è stato di 24.950 euro, circa 2.079 euro al mese. Un reddito composto per il 43,1% da lavoro dipendente e per il 32,9% da trasferimenti pubblici (il 92% riguarda pensioni). Le famiglie che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo possono contare, in media, su entrate maggiori. Al sud, di solito, c’è una sola persona ad assicurare le entrate economiche per l´intera famiglia, mentre al nord due o più.

Le donne sono quelle che guadagnano meno. Il 28,2% del gentil sesso si posiziona nella fascia dei redditi più bassi contro il 12,3% degli uomini. Lo stesso vale per il 36% dei giovani con meno di 25 anni, il 32% di chi ha un basso titolo di studio, il 21% delle persone che lavorano nel settore privato. E infine, arlando i precarietà: il 40% dei lavoratori a tempo determinato.

Infine per l´Istat sono "povere" 2 milioni e 600mila famiglia: l’11,7% del totale per complessivi 7,6 milioni di poveri. Il dato ai riferisce alla povertà relativa (quella misurata sulla base dei consumi) che dal 1997 al 2004 è rimasta invariata. L’emergenza riguarda il Sud dove una famiglia su 4 è povera e dove le persone povere nell’ultimo anno, un record, sono aumentate di circa 900 mila persone interessando oltre 1.800.000 famiglie.

Infine i dati relativi all´occupazione. Tra il 1995 e il 2005 2,7 milioni di persone hanno trovato lavoro il che significa che in Italia 22.563.000 persone risultano occupate. Però la percentuale di occupati, pur crescendo dal 53% al 57,5% resta molto al di sotto della media europea del 2005 (64,6%). Inoltre se il tasso di disoccupazione nella media 2005 era del 7,7%, in calo rispetto al 9,1% del 2001, l’Istat segnala come questa riduzione sia stata possibile anche grazie alla crescita della popolazione inattiva dovuta alla rinuncia alla ricerca di occupazione soprattutto al Sud.

 

 

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