1416 Voto all'estero: Un voto colmo di novità dal Latinoamerica

20060522 13:07:00 webmaster

INTERVISTA a Rodolfo Ricci (FILEF-FIEI) –

Di Martin. E. Iglesias, Presidente Osservatorio Latinoamericano – Selvas.org, il più noto sito web italiano sull’America Latina
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Gli italiani all’estero hanno risposto alle elezioni in maniera superiore alle aspettative, ma non bisogna generalizzare quando si parla di una comunità italiana nel mondo di quattro milioni di cittadini. Pochi in Italia hanno voluto vedere anche le difficoltà che ha accompagnato il voto all’estero.

Innanzitutto ci racconti brevemente la storia e obiettivi della Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione, che diffusione e valore ha tra i nostri connazionali

La FIEI è nata nel 1999 ed è stata promossa da due storiche organizzazioni dell’emigrazione Italiana, cioè la FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), fondata nel 1967 da Carlo Levi e l’Istituto Fernando Santi. Ad essa aderiscono diverse altre federazioni regionali in Italia e all’estero, complessivamente oltre 400 associazioni diffuse in tutti i principali paesi meta dei flussi di emigrazione italiana, dal Nord Europa, all’Australia, dal Canada all’America Latina, che sono impegnate sia sul versante degli italiani all’estero che su quello dell’immigrazione nel nostro paese. Gli organismi rappresentativi della FIEI vedono infatti al loro interno sia emigrati che immigrati e direi che l’obiettivo specifico per cui è nata, è proprio quello di saldare e far valere i diritti degli immigrati e degli emigrati come un unicum; noi crediamo che al di là dello svolgimento diacronico di questi fenomeni, c’è un’unità sostanziale e strutturale dei problemi che i migranti
hanno di fronte: i problemi del riconoscimento di pari diritti con i cittadini autoctoni, dell’integrazione paritaria nei luoghi di lavoro e nella società, sono più o meno gli stessi per un italiano in Svizzera o per un extracomunitario in Italia.….
Naturalmente, ci sono situazioni differenti da paese a paese; il multiculturalismo australiano o il modello di integrazione canadese continuano ad essere un esempio per molti altri paesi di immigrazione; mentre i modelli tedesco e svizzero e ancor più il nostro, sono modelli che riteniamo molto inadeguati e da superare rapidamente. Inoltre non si deve dimenticare che ci sono differenze di classe e di status consistenti all’interno delle stesse comunità di migranti: per esempio quando si parla di “italiani all’estero” si parla di un’entità molto astratta e generica; pur essendo tutti cittadini, vivono situazioni e condizioni di vita molto diverse sia tra i paesi di arrivo, che all’interno degli stessi paesi…

In questo senso, la FIEI intende rappresentare e rappresenta quella parte maggioritaria della popolazione migrante che vivendo, o meno, situazioni di disagio e marginalità, si batte tuttavia per la piena integrazione nei paesi di accoglienza come per il giusto riconoscimento dei diritti che l’Italia “deve” a coloro che hanno lasciato il suo territorio: tra questi c’è anche il diritto ad essere riconosciuti e valorizzati in quanto risorsa sociale, economica e politica “transnazionale” nell’epoca della globalizzazione: attraverso le comunità migranti è possibile immaginare modelli di cooperazione bilaterale o tra aree continentali (es. Europa/Mercosur) più democratica e anche più efficace. Come è possibile immaginare una crescita delle relazioni politiche tra paesi che siano improntate alla solidarietà e alla pace, alla redistribuzione delle risorse e delle ragioni di scambio….

– Avete avuto la posibilità di "tastare il polso" degli italiani all’estero in occasione della loro partecipazione alle loro prime elezioni… Relativamente al Latinoamerica, come hanno vissuto questo appuntamento con la nostra democrazia, ma anche la burocrazia esportata per l’occasione?

Anche qui, direi che bisogna evitare l’errore di generalizzare; ci sono settori della nostra emigrazione che sono, se così si può dire, attardate su una visione vecchia e nostalgica del rapporto con l’Italia. Ciò, per la verità, riguarda a mio parere, più alcuni leader di comunità che le masse dei nostri emigrati; tuttavia, in questa occasione, questi ambienti riconducibili alla destra hanno ricevuto uno scarso riconoscimento elettorale. Poi, ci sono ambiti che invece hanno reagito dimostrando particolare competenza e conoscenza della situazione politica del nostro paese ed hanno votato per la lista dell’Unione in modo consistente. Infine, un altro settore ha optato per le “liste indipendenti” di cui, la principale è l’AISA (Associazioni Italiane del
Sud America), dell’industriale argentino Luigi Pallaro, ha ottenuto un risultato molto significativo; in questo caso ha giocato a suo favore, la capacità di aggregare un numero importante di leader di comunità riconosciuti nei diversi paesi della ripartizione del Sud America, che avevano più o meno tutti la prerogativa di non essere prioritariamente schierati né a destra né a sinistra, anche perché, magari, erano stati trascurati dalle varie parti politiche…
Inoltre c’è da dire che, da quanto si è visto, l’investimento di questa lista nella campagna elettorale, è stato decisamente superiore alle altre.

Quanto al gradimento dell’occasione elettorale, io direi che la gente ha reagito con molto interesse, anche al di sopra delle aspettative, se si considerano le difficoltà oggettive, ma soprattutto la insufficiente azione di informazione istituzionale e il fatto che circa un milione di persone sono state escluse dal voto per il mancato aggiornamento degli elenchi elettorali, una responsabilità questa, a totale carico del Governo, del Ministero dell’Interno, degli Esteri ed evidentemente dello stesso Tremaglia.

– Quali sono stati i motivi di lamentela, se ce ne fossero stati, dei nostri connazionali con diritto di voto e quali, invece, i riconoscimenti per l’iniziativa?

Le lamentele riguardano il fatto che le indicazioni per il voto erano di difficile comprensione, che i plichi sono arrivati spesso in ritardo e in molti casi non sono affatto arrivati, che l’informazione istituzionale su liste e programmi è stata insufficiente, che in troppi sono rimasti di fatto esclusi dal voto.
Il riconoscimento riguarda essenzialmente il fatto che per la prima volta un numero comunque consistente di elettori (oltre il 42%) ha potuto esprimersi ed eleggere propri rappresentanti in Parlamento, cosa non da poco, se si pensa che per decenni, le nostre comunità all’estero (circa 4 milioni di persone con cittadinanza)
sono state quasi del tutto ignorate.

– E la scelta dei candidati delle circoscrizioni estere com’è stata definita?

Io penso che in Europa, in Australia e in Nord America, la definizione dei candidati è stata, almeno a sinistra, abbastanza soddisfacente, cioè ha tenuto conto in buona parte, del tessuto sociale e della società civile organizzata che ha effettivamente lavorato a favore dei nostri emigrati negli ultimi decenni.
Meno soddisfacente, dal mio punto di vista, in America Latina, dove credo sarebbe stata opportuna una maggiore presenza di figure più in sintonia con l’attuale quadro evolutivo di questo continente, un contesto che riguarda anche le nostre comunità le quali hanno subito in gran parte la stessa sorte dei cittadini autoctoni, alle prese con le diverse crisi economiche e sociali susseguitesi negli ultimi anni, e
che esprimono visioni e culture politiche spesso molto avanzate. Diverse candidature invece, mi pare rappresentino circoli abbastanza ristretti e fuori da questi processi.

– A questo proposito: quanto e in che modo hanno influito le cosiddette “corporazioni” d’italiani, o addirittura interessi imprenditoriali, nella scelta dei rappresentanti elettorali?

Credo che un problema sia stato, alla fonte, trovare un accordo tra gli otto partiti dell’Unione, ognuno dei quali rivendicava una propria visibilità; poi, come ho detto, c’è forse un deficit generale di conoscenza delle concrete dinamiche politico-sociali, almeno dell’America Latina. In tale contesto, alcuni hanno pensato che personaggi importanti sul piano imprenditoriale, potessero risultare decisivi. Io credo che l’esito del voto dimostri invece come il centrosinistra abbia acquisito i propri consensi contando essenzialmente sul patrimonio e sulla capacità di mobilitazione delle organizzazioni sociali e di servizio che sono attive sul campo da molti anni.
Per quanto riguarda invece le altre liste, è certo che le candidature siano state espresse in grande maggioranza proprio dal mondo dell’impresa o da quello che lei chiama dalle “corporazioni”.

– Per era pensabile, come qualcuno ha chiesto, che si tenessero, almeno per i candidati vicini all’Unione, le primarie anche tra i nostri connazionali all’estero?

Credo di sì; o quantomeno, credo che la discussione e il coinvolgimento delle aggregazioni di base, potesse essere decisamente più ampio. Una maggiore partecipazione nelle scelte avrebbe consentito una più efficace collaborazione e mobilitazione e, probabilmente, avrebbe anche consentito di eleggere qualche parlamentare della sinistra in più, anche se complessivamente si può essere soddisfatti dell’esito del voto.

– Ha influito, secondo lei, la storia attuale di rinnovamento democratico del continente latinoamericano, sul risultato del voto per Camera e Senato?

Sì, ne sono certo; dieci anni fa, il risultato conseguito dall’Unione, sarebbe stato molto improbabile; in questi ultimi anni, la partecipazione consapevole degli italiani alla vita politica dell’America Latina è andata via via crescendo e gli orientamenti verso le sinistre dei diversi paesi altrettanto; ciò è stato agevolato dalla forte presenza di oriundi italiani in importanti partiti come il PT brasiliano, i partiti socialisti o quelli che discendono dai movimenti rivoluzionari degli anni ’60 e ’70 come il MPP uruguayano, nei sindacati dei diversi paesi (CUT, CTA, PNCT, ecc.), in movimenti sociali come quello dei Sem Terra, negli stessi governi, dove, dal Venezuela all’Argentina, sono molti i ministri che portano cognomi italiani. Durante la campagna elettorale, moltissimi oriundi (che non avrebbero votato), hanno partecipato attivamente alla mobilitazione per l’Unione di
centrosinistra.
Nell’ottica latino-americana, quella del “cambio”, poter contribuire alla sconfitta di Berlusconi e delle destre in un paese importante come l’Italia, era un risultato per cui valeva la pena impegnarsi.

– Insomma gli italiani all’estero potrebbero portare una qualche novità politica e di idee all’interno dei Palazzi nostrani?
Oppure c’è una consapevolezza di non poter esportare verso l’Italia le peculiarità latinoamericane comprese le tante proposte democratiche innovative?

Ogni processo storico ha bisogno dei suoi tempi: cambiare una cultura politica spesso provinciale e allo stesso tempo italo-centrica come quella italiana, non è una cosa semplice. Dipende molto dai parlamentari eletti, dalle loro qualità e dalle loro capacità; dalla visibilità positiva che sapranno conquistarsi presso l’opinione pubblica “stanziale”. Ma io credo che sia possibile; anche perché molti temi e pratiche inaugurate in America Latina dopo il tragico periodo delle dittature cominciano ad affermarsi in molti luoghi d’Europa; il tema della partecipazione, del bilancio partecipato, per fare solo un esempio; quello dei gravi danni sociali ed ambientali indotti dalla globalizzazione neoliberista, per farne un altro; della oggettiva necessità di un nuovo rapporto nord-sud, della necessità del multipolarismo…; io penso che potenzialmente il rapporto tra America Latina ed Europa sia uno dei più fecondi. E in un certo senso, ciò che arriva da questo continente può essere visto come una sorta di regalo inatteso, del ritorno, rivitalizzato, di qualcosa che ci riguarda e che storicamente ci appartiene…che proviene in buona misura da due secoli di lotte sociali e di battaglie civili nate nel grembo stesso dell’Europa …
Penso che in questa direzione, ci sia molto da fare, ma ciò riguarda molto di più le organizzazioni che i singoli eletti. La sollecitazione verso un nuovo rapporto tra America Latina ed Europa è un compito
che ci possiamo dare per il futuro prossimo, per i prossimi 5 anni….

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Rodolfo Ricci è coordinatore nazionale della FILEF e Segretario generale della FIEI (Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione), collegata alla CGIL nazionale, che raccoglie oltre 400 associazioni federate in Italia e in tutti i paesi di emigrazione.
Dal 1986 al 2001 ha vissuto in Germania, lavorando nell’ambito di attività sociali, formative, di
sostegno scolastico a favore degli italiani e di altre collettività straniere emigrate in questo paese.
Dal 1989 al 2001 ha diretto il Centro di Formazione e Cultura della CGIL Germania a Francoforte sul Meno, realizzando azioni di formazione, orientamento e di creazione di impresa in ambito transnazionale che hanno avuto riconoscimenti ufficiali da parte di diverse istituzioni tedesche, italiane e comunitarie.
Dal 1997 al 2004 ha progettato e diretto per la FILEF interventi di ricerca, formazione, sviluppo locale e cooperazione in Brasile, Argentina, Uruguay, Canada, Australia, Belgio, Francia, Svizzera, Svezia e Gran Bretagna.

www.selvas.org

 

 

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