1415 La valigia di cartone è rimasta in Italia

20060522 13:00:00 webmaster

di Tito Pulsinelli (da www.Selvas.org)

In queste settimane, gli emigrati hanno assunto un indiscutibile protagonismo e sono alla ribalta delle cronache negli Stati Uniti come in Italia.
Infatti le maggiori città nordamericane sono state teatro di proteste moltitudinarie contro il progetto di legge che vorrebbe trasformare 11 milioni di lavoratori stranieri in “delinquenti
sociali”. La volontà governativa statunitense di classificare il lavoro-nero come un delitto penale sanzionabile con la carcerazione, ha immediatamente prodotto l’insorgere delle organizzazioni della società civile, organizzazioni sindacali, religiose e sociali, che ha riportato alla memoria gli anni 70 e Martin Luther King. Per ora la legge è stata bloccata e, con essa, la criminalizzazione del lavoro salariato.

I fratelli (lontani) d’Italia, invece, alla prima occasione che è stata loro concessa, hanno provveduto a immettere un pò di buon senso nelle elezioni più mediatiche e provinciali che sia dato ricordare.
Quelli delle “valige di cartone”, dagli schermi delle loro televisioni satellitari, di internet, dalla stampa dei rispettivi Paesi di residenza, assistevano allibiti alla grande sagra paesana del « lesso di bimbo cinese », o dell’abolizione delle tasse sulla spazzatura… E si chiedevano se erano elezioni comunali o politiche.

Per gli italiani
che vivono in altre latitudini economiche ed etno-culturali, era raccapricciante udire politici che mentre esaltano l’era aurea della globalizzazione, invocano l’innalzamento di mura per recintare borghi e castelli, sotto lo stendardo delle “radici cristiane”. Trasmettevano, loro malgrado, la sensazione di una identità debole e vacillante.
Il problema è la crisi demografica, ma loro si abbarbicano pateticamente a Costantino, immemori della Grecia antica e altro. Il Colosseo è uno scenario dei tempi d’oro di Cinecittà?

“l’Italietta” scrutata da lontano
Visti con gli occhi della lontananza, lo spettacolo offerto dai politici nel Teatro “Porta a Porta” appartiene al genere del cabaret.
Agli occhi della identità-forte che ha resistito l’intemperie del vivere altrove e in minoranza, il chiacchiericcio meta-politico celebrato in TV, trasuda superficialità e un auto-compiaciuto provincialismo “eurocentrista”.
C’è di più, il linguaggio televisivo è affollato da troppi anglicismi.

Il ceto politico ha dimostrato che l’emigrazione italiana è oggetto di una radicale rimozione freudiana. L’affrettata ostentazione di modernità non può tollerare le immagini color seppia delle “valige di cartone”. Soprattutto i tempi in cui le rimesse monetarie estere apparivano tra le prime quattro voci delle entrate. Non si vuol ricordare questa parte del film, meglio tagliarla, non sia mai che il “terzo mondo” smetta di essere un luogo comune.

Questa rimozione è d’obbligo, si sono capovolti i ruoli, adesso si importa “mano d’opera” e si discrimina.
Due miti residuali vengono adottati trasversalmente: “italiani all’estero tutti fascisti” e quello degli “emigrati italiani hanno fatto tutti fortuna”.
Oggi che Berlusconi è un ex Presidente, persino Mirko Tremaglia s’è accorto a sue spese che è caduto il primo dei due miti. Con la sua lista è rimasto con un pugno di mosche:
l’emigrazione non è un feudo personale. Gli altri partiti di destra, in ordine sparso, hanno scoperto che l’emigrazione non è una loro riserva di caccia privatizzata.

L’altro mito dell’ “emigrato italiano, emigrato ricco” ha fatto sì che tra i candidati scelti dai partiti a Roma, abbondino notabili, imprenditori , classe medio alta. Assenti i ricercatori e tecnici dell’ultima emigrazione, ignorati gli impoveriti e i precarizzati della vecchia.
Si è ignorato che il ventennio ultraliberista ha portato al crack di un’Argentina dollarizzata e fedelissima alle encicliche del FMI, al collasso uruguayano e ad un diffuso riflusso generale che ha seriamente colpito persino i ceti medi e professionali. Gli italiani non sono stati risparmiati, non ne sono usciti indenni.
Molti hanno dovuto riprendere il cammino del ritorno, ed oggi fanno le code davanti alle Questure per i permessi di soggiorno dati con il contagoccie.

Le liste dell’Unione non rispecchiano questo
fenomeno, ed hanno visto tra gli eletti candidate/i ostili a quei governi sudamericani che hanno rinforzato le politiche sociali e il welfare – come il Venezuela – o applicano politiche più protezioniste, come Argentina e Uruguay-.

Maturità non corrisposta
Il voto estero ha semplicemente bocciato un governo dalla mimica fortemente ideologizzata – allo stile opusdeista del Partido Popular spagnolo – che soffiava sul fuoco della polarizzazione per camuffare gli interessi di un clan.
Forse gli emigrati non sono di sinistra, però hanno preferito votare quella parte che ha perlomeno una bozza di lavoro.
Premeva l’urgenza di cambiare il simbolo più visibile dell’Italia all’estero, in cui era sempre più imbarazzante identificarsi.

Questo, non altro, ha motivato la partecipazione al voto, perchè le relazioni concrete e materiali con le istituzioni italiane all’estero sono pessime. Tagli al
bilancio, ideologia dell’esportazione del “made in Italy”, inesistenza di legami con gli “italiani esportati”. Svilimento perverso della proiezione geopolitica a specie minore del commercio estero.

In Latinamerica, l’Italia ha una presenza complessiva inversamente proporzionale alla dimensione delle comunità di italos. Oltre la retorica di ogni 2 di giugno, la realtà è che per il rinnovo di un passaporto bisogna aspettare minimo sei mesi. Ci vogliono due anni per registrare un certificato di matrimonio o l’atto di nascita di un figlio. Bisogna aspettare fino a quattro anni per un certificato di cittadinanza. Per le eredità, meglio non parlare.
Non è un servizio da Stato risorgimentale, è peggio. L’orologio si è fermato su un tempo a-storico, anteriore alle reti aeree, telefoniche e informatiche.

La moderntà è rintracciabile solo nelle laute remunerazioni del personale addetto al lavoro consolare. Si va dai 25 mila euro mensili di un console generale ai
12 mila euro dell’incaricato all’ufficio notarile. Dai 10 mila euro del responsabile dello Stato Civile ai 9 mila euro dell’incaricato delle pensioni. In aggiunta, due mesi di ferie e viaggio pagato, più vari altri eccetera (1).
A fronte di tanta elevata qualificazione si eroga un servizio inaccetabile, dove il rapporto ora/prodotto è al di sotto di ogni livello di produttività.
Se è problema solo di regolamenti burocratici, che cosa si aspetta a cambiarli?

Il mondo dell’emigrazione è più complesso e raffinato di quanto comunemente si suppone. Nei nuovi movimenti sociali ci sono tanti dirigenti di origine italiana, nipoti e pronipoti di un’emigrazione cominciata con l’esilio dei Carbonari, proseguita con i garibaldini.
Nelle fila dei nuovi governi sudamericani ci sono vari ministri con ascendenza italiana che -se un giorno decidessero di richiedere il passaporto- scoprirebbero che è più efficiente la burocrazia dei
Paesi da loro diretti.
L’emigrazione è una risorsa strategica sottovalutata di cui si ignora persino l’esatta consistenza statistica. Il primo passo della geopolitica dell’Italia nel mondo, passa obligatoriamente per l’istaurazione di relazioni dignitose con la propria emigrazione, e nel rispetto dei loro diritti di cittadinanza.

(1) Dati dell’1 ottobre del 2005

http://www.selvas.org/newsAN0306.html#Anchor-Dei-49575

 

 

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