1475 CONFERENZA STAMPA: ANTICIPAZIONI DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2006

20060601 15:28:00 webmaster

Nelle pagine seguenti si riporta una parte della sintesi del Dossier, distribuita ai partecipanti

ROMA – Anche quest’anno hanno avuto notevole risonanza sulla stampa le anticipazioni del “Dossier Statistico Immigrazione 2006”, che sarà presentato il prossimo 25 ottobre, come di consuetudine, al teatro Orione. Si sono alternati nella presentazione il Coordinatore del Dossier, Franco Pittau, Mons. Vittorio Nozza della Caritas italiana, Jean Léonard Touadi, giornalista, Qui ci si limita a riportare un solo flash per ognuno degli interventi: Franco Pittau, Coordinatore del Dossier, p. Bruno Mioli della F. Migrantes, Fabio Sturani, Vice-Presidente dell’ANCI.

Per Franco Pittau ogni anno i flussi migratori in Italia sembrano mettere una marcia in più: Mons. Nozza fa presente che l’incongruenza tra quote di ingresso stabilite e reale fabbisogno di imprese e famiglie genera clandestinità. Touadi si fa voce dell’Africa quando dice: “Non è l’Europa ad essere sotto assedio, è il mio continente con le sue povertà, le sue guerre, le sue politiche di sfruttamento”. P. Mioli propone che, per dare collocazione logica a singoli provvedimenti da parte della nuova maggioranza, sarebbe opportuno anticipare di qualche mese il “Documento programmatico Triennale” che la legge sull’immigrazione tassativamente prescrive. Sturani, nella sua qualità di sindaco, insiste – oltre che sul voto amministrativo – sullo snellimento delle pratiche burocratiche, trasferendo ai Comuni competenze che ora sono riservate alle questure, come fino a qualche tempo fa alle questure era riservato perfino il rilascio della carta di identità.
Da parte di tutti si rileva la necessità di intensificare l’opera di informazione e sensibilizzazione della società italiana, la quale – voglia o non voglia – ha da confrontarsi sempre più da vicino col fatto migratorio, che non solo è irreversibile ma si presenta sempre più indispensabile per la vita non solo economica del Paese.
ANTICIPAZIONI DEL DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE CARITAS/MIGRANTES 2006

Queste anticipazioni sono finalizzate innanzi tutto a far prendere coscienza che, alla fine del 2005, la popolazione immigrata in Italia è arrivata a superare, seppure di poco, i 3 milioni di unità, tenuto conto dei 180.000 immigrati extracomunitari venuti per inserirsi da noi e dei nuovi nati in Italia da entrambi i genitori stranieri: ricordiamo che la stima del “Dossier” per la fine del 2004 era di 2.786.340 soggiornanti regolari. Utilizzando i dati messi a disposizione è stato ricostruito un quadro organico di quanto è avvenuto nello scorso anno.
Il 2005 è stato un anno molto interessante non solo per questo consistente aumento ma anche per il monitoraggio più preciso del mercato del lavoro, che ha evidenziato la persistente incongruenza tra quote stabilite e fabbisogno del mercato.

L’analisi dei visti d’ingresso non ha solo una rilevanza di natura quantitativa ma aiuta anche a porre fine ad una lettura banale del fenomeno migratorio, spesso ridotto alla mera funzione lavorativa dei nuovi venuti o addirittura, quando si identifica immigrazione e delinquenza, all’assolutizzazione del comportamento deviante di alcune loro frange. La realtà si colloca ben al di là di questo riduttivo inquadramento e ci presenta una molteplicità di vissuti e di condizioni, con significative differenze a seconda delle provenienze, e attraverso le sue indicazioni particolareggiate non solo aiuta a capire il presente e a ipotizzare il futuro, ma accredita anche il fenomeno migratorio come una tra le più significative espressioni della dimensione internazionale del mondo odierno.

Tra l’altro, la riflessione sui paesi di arrivo evidenzia che i flussi nel 2005 per quasi la metà hanno riguardato cittadini europei e per un altro quinto cittadini americani e questo va a temperamento delle paure di invasione da parte di gruppi non omogenei alla nostra civiltà.
La Romania si è confermata il primo paese per numero di visti ricevuti, più di 40.000 e in prevalenza per motivi di lavoro, con un protagonismo di questa nazionalità pari a uno ogni cinque ingressi. A seguire troviamo Albania, Stati Uniti, Marocco, Cina, Ucraina, India, Filippine e Iugoslavia, ma con motivi d’ingresso molto differenziati tra di loro. È indubbio che l’aumento che l’immigrazione sta attualmente conoscendo ha diverse marce in più rispetto alla pur consistente crescita registrata negli anni ’90.

L’insieme di questi dati porta a chiedersi se la rappresentazione dell’immigrazione, che sta alla base delle decisioni di politica migratoria, risponda in maniera adeguata alla realtà e solleva una serie di problemi normativi e amministrativi. Questa è la struttura delle anticipazioni del “Dossier”. Nel merito dei singoli punti si ritorna qui di seguito con il supporto dei dati.

Il mercato occupazionale nel 2005: la frattura tra mercato formale e mercato reale

Per il 2005 sono stati emanati tre decreti flussi: il primo ha previsto l’ingresso di 79.500 neocomunitari, il secondo l’ingresso di 79.500 extracomunitari (di cui 25.000 stagionali) e il terzo ha completato il contingente degli extracomunitari con altri 20.000 lavoratori stagionali.
Per i neocomunitari dell’Est Europa la quota stabilita di 79.500 ingressi è stata utilizzata, alla data di giugno 2005, da 44.096 persone, per il 60% maschi. Il gruppo prevalente è stato quello dei polacchi (24.149), seguiti da slovacchi (12.735), cechi (3.719) e ungheresi (1.968). Tra di essi i lavoratori non stagionali sono stati 11.737, per un terzo inseriti nel settore domestico; mentre i 32.359 stagionali si sono indirizzati per i quattro quinti in agricoltura e per il resto nel turismo.

Un discorso più articolato merita l’ingresso dei lavoratori extracomunitari, per i quali nel 2005 vi è stata la possibilità di 45.000 ingressi per lavoro stagionale e di 54.500 ingressi per lavoro non stagionale, questi ultimi così ripartiti: 20.800 unità di lavoro dipendente riservate a nazionalità predeterminate, 15.000 per collaboratori familiari e 15.000 per altri settori (dei quali solo 27.900 assegnati alle regioni), 2.500 a lavoratori autonomi, 1.000 a dirigenti e personale altamente qualificato e 200 a lavoratori di origine italiana.
A fine giugno 2005 (non è quindi escluso che successivamente i numeri siano aumentati) sono state conteggiate 123.567 domande presentate per lavoro non stagionale da parte di lavoratori extracomunitari, mentre per lavoro stagionale, alla stessa data, sono pervenute 37.837 domande. Complessivamente, a fronte di 99.500 posti previsti per gli extracomunitari per il 2005, le richieste sono state 161.404: i posti per lavoro stagionale sono stati sufficienti, mentre quelli per lavoro non stagionale sono risultati meno della metà di quelli richiesti.

È opportuno concentrarsi sulle domande per lavoro stabile, essendo quello più direttamente collegato con l’inserimento nel paese. Le 123.567 domande per posti non stagionali per il 44,2% (54.621) hanno riguardato collaboratori familiari, con punte superiori al 50% in diverse regioni (Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia, Toscana) e con valori pari o inferiori al 37% nelle Province di Trento e Bolzano, nel Friuli Venezia Giulia, in Lombardia, nelle Marche, nel Molise, nel Veneto e nella Valle d’Aosta. Si può dire che grosso modo il gruppo di regioni a minor fabbisogno di lavoro domestico riguarda quelle prevalentemente industrializzate.

È stato rilevato anche il fabbisogno della forza lavoro edile, che mediamente è pari al 17,2% delle domande pervenute (21.208), ha punte superiori al 20% in molte regioni del Nord e del Centro (Bolzano e Trento, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Marche, Molise) e valori più bassi nel Meridione, anche inferiori al 10% (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia).

Sulla base di queste rilevazioni è indubbia una frattura tra il mercato formale (quello programmato) e quello reale espresso dalle aziende e dalle famiglie (ed evidenziato dalle domande presentate). Le domande di lavoro non stagionale non soddisfatte sono state circa 100.000 (il 77% di quelle presentate) e, se è vero che si è trattato di persone già presenti in Italia, quella che chiamiamo programmazione si è chiusa nel 2005 con un bilancio di 100.000 irregolari e che sulla base di un criterio di valutazione così concreto si deve essere giustamente severi nei confronti della legge e della sua applicazione.

Per quanto riguarda le tendenze è bene tenere presente che le 123.567 domande registrate, rapportate alla popolazione straniera complessivamente soggiornante in Italia, incidono per il 4,4% ed evidenziano la tendenza a far venire in Italia un nuovo lavoratore stabile ogni 4 stranieri soggiornanti. L’Emilia Romagna è la regione che ha totalizzato il più alto numero di richieste di lavoratori extracomunitari (20.106, di cui l’84,3% rimasto insoddisfatto); mentre le regioni con il più cospicuo numero di immigrati (la Lombardia con 653.000 soggiornanti a inizio 2005 e il Lazio con 390.000 soggiornanti) rivelano, sulla base di queste registrazioni, una richiesta inferiore alla media (16.381 e 15.278 domande, pari rispettivamente a 1 nuovo lavoratore ogni 20 soggiornanti). Tenuto conto che queste regioni, e specialmente le province di Roma e di Milano, sono state le maggiori protagoniste nella regolarizzazione del 2002, non è agevole comprendere se il fabbisogno di manodopera immigrata sia effettivamente contenuto o si tratti solo di sfiducia e scarsa utilizzazione dei canali ufficiali, anche a causa dell’insufficiente disponibilità di posti da essi programmata.

Nella valutazione complessiva dei flussi bisogna anche tenere conto di una quota di altri 26.600 posti non assegnati alle regioni per soddisfare la richiesta delle aziende e delle famiglie e tenuti a disposizione dei paesi convenzionati, dei lavoratori autonomi, dei dirigenti e degli immigrati di origine italiana.

L’analisi fin qui condotta sulla base dei dati ufficiali va completata con un accenno a valutazioni di tipo diverso che sono state fatte sulla programmazione dei flussi. Un’indagine dell’editoriale “Stranieri in Italia”, condotta nel mese di marzo 2005 sui due terzi delle province italiane, calcolava che a quella data erano state presentate 258.000 domande che, rapportate alle province mancanti, raggiungevano quota 370.000; inoltre l’indagine ipotizzava che, attraverso le domande che sarebbero state presentate nei successivi mesi, il loro numero alla fine avrebbe potuto essere di 450.000, e quindi tre volte superiore ai posti disponibili. Significativamente venivano citati questi esempi: a Roma 40.000 mila domande per 2.400 posti, a Milano 18.500 per 1.200 posti, a Napoli 7.000 domande per 500 posti. Il decreto flussi evidenzierebbe così ancora una volta, senza la possibilità di venirne a capo, una rilevante sacca di irregolarità, poiché a detta degli operatori e degli studiosi del settore le domande presentate riguardano per la maggior parte persone già presenti in Italia e pronte, una volta accettata la loro domanda, a ritornare nel loro paese per ottenere il visto: perciò, ironicamente, è stato detto che più che di un decreto flussi si tratterebbe di un decreto che costringe al riflusso.

Probabilmente il numero effettivo delle domande presentate si colloca a metà tra quello rilevato a giugno 2005 dal Ministero del Lavoro e quello ipotizzato dall’editoriale “Stranieri in Italia”; se così non fosse diventerebbe arduo capire perché ad appena un anno di distanza, nel mese di marzo 2006, le domande presentate a seguito del nuovo decreto flussi per l’assunzione di lavoratori extracomunitari siano state ben 480.000. Fortunatamente il nuovo sistema di rilevazione messo a punto dal Ministero dell’Interno attraverso le Poste Italiane e gli Sportelli unici ha già reso possibile quantificare il numero totale delle domande e, quando sarà in grado di fornire le disaggregazioni per provincia, per categoria, per sesso e per provenienza, consentirà di conoscere meglio il mercato e le sue tendenze e di pervenire, finalmente, ad una capacità programmatoria più adeguata. Tracciati così i contorni del mercato formale e di quello reale, si può entrare nel merito dei flussi di ingresso in Italia, per lavoro o per altri motivi, che hanno portato la presenza straniera in Italia a superare i 3 milioni di unità all’inizio del 2006.

I visti per inserimento rilasciati nel 2005

Per la ricostruzione dei flussi del 2005 ci avvaliamo dell’archivio visti del Ministero degli Affari Esteri, che si caratterizza non solo per un’apprezzabile tempestività ma anche per un soddisfacente trattamento dei dati.
La concessione dei visti è regolamentata dalla convenzione di applicazione dell’Accordo di Schenghen, che prevede tre categorie fondamentali:
-visti Schenghen uniformi (VSU) con una validità massima di 90 giorni;
-visti a validità territoriale limitata (VTL) soggetti anche a restrizione territoriale oltre che temporale;
-visti nazionali (VN), previsti dall’art. 18 della Convenzione, con una validità superiore a 90 giorni.
Naturalmente, essendo qui trattata l’immigrazione d’inserimento, verranno presi in considerazione solo i visti nazionali, quelli la cui durata consente un vero e proprio inserimento nel paese, seppure di durata differenziata.

Nel 2005 sono stati rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane 224.080 visti per inserimento (appena un quinto di quelli complessivamente rilasciati), non solo per lavoro e ricongiungimento familiare ma anche per diversi altri motivi, da prendere in considerazione distintamente.

ITALIA. Visti per inserimento concessi nel 2005
Motivi rilascio Numero % sul totale Motivi rilascio Numero % sul totale
Diplomatico 1.234 0,6 Familiari al seguito 3.964 1,8
Lavoro subordinato 78.989 35,3 Studio – Scuole diverse 26.619 11,9
Lavoro autonomo 775 0,3 Studio – Università 5.072 2,3
Missione 7.019 3,1 Vacanze lavoro 358 0,2
Motivi religiosi 2.795 1,2 Altri motivi 2.910 1,3
Reingresso 3.446 1,5 Totale visti inserimento 224.080 100,0
Residenza elettiva 968 0,4
Rincong. familiare 89.931 40,1 Totale generale visti 1.076.080 –
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati del Ministero degli Affari Esteri

Motivi diplomatici (1.234). Per quanto i diplomatici siano una categoria del tutto particolare di immigrati, sono pur sempre chiamati a insediarsi nel paese per una certo periodo di tempo.

Lavoro autonomo (775). Il numero di questi visti è molto basso, addirittura inferiore alla quota stabilita per il 2005 (2.500), e attesta la scarsa predisposizione dell’Italia ad attirare investitori/imprenditori esteri, mentre gli immigrati stanno dimostrando da anni un’eccezionale propensione alla scelta imprenditoriale. Tra l’altro va osservato che, nel corso degli anni ’90, i permessi di soggiorno concessi per lavoro autonomo sono stati mediamente più elevati (circa 1.300 l’anno). Indichiamo i principali paesi di provenienza per lavoro autonomo nel 2005: 86 la Croazia, 61 visti Cuba, 50 il Kazakistan, 49 la Russia, 36 Taiwan, 34 il Pakistan, 26 il Giappone, 22 la Corea del Sud e 20 la Romania.

Lavoro subordinato (78.989). È il motivo più ricorrente dopo quello per motivi familiari, anche se è rimasto, seppur di poco, al di sotto della quota stabilita di 79.500 unità tra lavoro dipendente non stagionale e lavoro stagionale. In effetti, a volte la lentezza delle procedure fa sì che un certo numero di datori di lavoro rinunci all’impiego dei lavoratori stagionali inizialmente ipotizzato. Di questi visti 4.559 sono stati rilasciati a marittimi, 982 a lavoratori dello spettacolo e 977 a sportivi. Al numero complessivo citato si aggiungono altri 5.946 visti per lavoro dipendente di durata inferiore a tre mesi.

Missione (7.019). Beneficiari di questo visto sono gli stranieri che vengono per ragioni legate a funzioni politiche, governative o comunque di pubblica utilità. In questa sede sono stati presi in considerazione solo i visti superiori ai 90 giorni, altrimenti il loro numero complessivo sarebbe stato quasi tre volte superiore (21.000). Un quinto dei visti per missione viene rilasciato a statunitensi (5.020).

Motivi religiosi (2.795). I ministri di culto, appartenenti ad organizzazioni confessionali iscritti all’elenco tenuto dal Ministero dell’Interno, che hanno ottenuto questi visti di lunga durata, sono appena un terzo rispetto a quelli venuti con visti di durata inferiore ai 90 giorni (il totale dei due gruppi raggiunge le 7.058 unità). Anche negli anni ’90 la media dei permessi rilasciati per motivi religiosi è stata di circa 3.000 l’anno.
Reingresso (3.446). Questi visti vengono rilasciati non a persone venute ex novo dall’estero bensì a immigrati già soggiornanti, che si siano trovati incidentalmente sprovvisti del permesso di soggiorno e che pertanto necessitino di un visto per rientrare in Italia. Ritorna qui l’annoso problema delle lungaggini burocratiche che caratterizzano il rinnovo dei permessi di soggiorno, affrontato solo di recente con un’impostazione innovativa che coinvolge le poste italiane, i comuni e i patronati. Avviene di fatto che un consistente numero di immigrati, anziché ricevere un valido titolo di soggiorno, ottiene per lunghi periodi solo il ticket dell’avvenuta consegna dell’istanza di rinnovo: per loro il visto di reingresso è l’unica soluzione che consenta di lasciare temporaneamente l’Italia e poi di ritornarvi.

Residenza elettiva (968). Sono appena un migliaio queste persone, abbastanza agiate, venute a stabilirsi in Italia senza bisogno di lavorare. Il loro numero limitato ridimensiona la capacità di attrattiva del “bel paese” e induce a riflettere sull’immagine che l’Italia riesce a dare di se stessa e sulle condizioni burocratico-ambientali alle quali è soggetto il cittadino straniero che si inserisce in Italia. La tendenza al rilascio di questi visti risulta in forte calo: dall’archivio del Ministero dell’Interno si rileva che negli anni ’90 i permessi di soggiorno per residenza elettiva sono stati circa 3.000 l’anno e addirittura 4.000 nel 1990.

Ricongiungimento familiare e familiari al seguito (89.931 + 3.964). Questo è stato negli ultimi anni il motivo di maggiore ingresso in Italia e ciò mostra che l’immigrazione in Italia, anche se all’inizio vede come protagonisti uomini soli e donne sole, nel volgere di poche anni attira anche i familiari rimasti in patria per la comprensibile aspirazione alla ricomposizione dei nuclei. In realtà, unitamente a questa tipologia va anche considerata quella dei visti rilasciati per familiari al seguito (3.964 unità), che consente l’ingresso dei parenti (solo di quelli con i quali è possibile effettuare il ricongiungimento) contestualmente al titolare di un visto per motivi di lavoro (subordinato di durata non inferiore a 1 anno, autonomo non occasionale, studio o motivi religiosi) o al cittadino italiano o comunitario. Il numero più contenuto di questi visti conferma che si tratta di una modalità meno utilizzata, anche perché presuppone da parte del richiedente una relativa sicurezza/tranquillità circa le condizioni dell’inserimento, che al momento dell’arrivo difficilmente si possiedono. Va comunque sottolineato che essi contribuiscono ad aumentare l’importanza dei motivi familiari, uno tra i più significativi indicatori dell’insediamento strutturale degli immigrati.

Studio (26.619). Si tratta spesso di visti concessi per periodi superiori ai tre mesi; anzi non è raro che i permessi siano annuali e periodicamente rinnovabili. Per lo più si tratta di cittadini statunitensi iscritti alle numerose università americane presenti a Roma e in altre città italiane, ma vi sono anche altre persone che vengono per seguire corsi di perfezionamento (legati ad attività artistiche) o giovani interessati a conseguire un diploma presso le scuole secondarie italiane. Peraltro, sommando questi visti con quelli rilasciati per brevi periodi (inferiori ai 90 giorni) si arriva ad un numero pressoché doppio (41.093).

Studio presso le università italiane (5.072). Sono annualmente circa 5.000 gli studenti che si immatricolano presso le università italiane, mentre lo stock di tutti gli studenti stranieri iscritti alle università italiane è di circa 35.000 unità (l’1,9% della popolazione universitaria totale nell’anno accademico 2003-2004). Sempre nello stesso anno si sono laureati poco meno di 3.000 universitari stranieri (l’1,2% del totale). Queste cifre non sono lontanamente paragonabili a quelle della Germania, Gran Bretagna, Francia, a riprova dell’insufficiente grado di internazionalizzazione dell’Italia in questo ambito.

I continenti e i paesi protagonisti dei flussi nel 2005

I 224.080 visti rilasciati per inserimento nel 2005 sono stati così ripartiti per continenti di rilascio: Europa 44,5%, Asia 21,0%, America 18,1% e Africa 15,9%.

Il panorama rispetto agli inizi degli anni ’90 è notevolmente cambiato: l’Europa ha consolidato la sua preminenza (aumento di quattro punti percentuali e 100.000 nuovi ingressi, che lievitano ancor di più se si tiene conto dei neocomunitari); l’Asia si colloca saldamente al secondo posto (47.000 ingressi); seguono l’America (41.000) e l’Africa (36.000), continente questo che in tutti gli anni ’80 era stato invece il maggior protagonista dei flussi in ingresso.

La tipologia dei visti rilasciati vede al primo posto il ricongiungimento familiare (40,1%), seguito dal lavoro dipendente (35,2%) e dallo studio (14,2%).

ITALIA. I primi 12 paesi per numero e tipologia dei visti nel 2005
Paese Visti % lavoro % ric. fam. Paese Visti % lavoro % ric. fam.
Romania 42.322 80,4 16,0 India 7.222 24,2 58,0
Albania 23.530 21,9 63,5 Filippine 6.953 56,8 34,0
Stati Uniti 20.231 3,1 2,4 Iugoslavia 6.297 40,0 48,6
Marocco 17.343 27,4 68,0 Macedonia 5.429 27,7 68,5
Cina 13.621 20,9 68,6 Tunisia 4.977 39,9 47,4
Ucraina 7.925 39,7 47,8 Perù 4.557 30,4 62,8
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati del Ministero degli Affari Esteri

Il diverso andamento degli anni ’90

Nel passato il “Dossier” era solito analizzare congiuntamente i visti e i relativi permessi di soggiorno, monitorando così il flusso delle persone a partire dagli adempimenti iniziali svolti nel paese di origine per chiudere con la concessione dei permessi di soggiorno in Italia. Un simile confronto ha consentito di verificare quanti tra i visti rilasciati siano stati effettivamente utilizzati, di ricavare ulteriori disaggregazioni sui nuovi venuti (sesso, età, stato civile), di conoscere il flusso migratorio dei cittadini comunitari, specialmente quello proveniente dai nuovi paesi dell’Est, non desumibile dai visti ai quali i cittadini europei non sono soggetti. Questo incrocio, condotto dal “Dossier” per gli anni ’90, è diventato ultimamente impossibile per l’indisponibilità dei dati.

Nel decennio in questione sono stati concessi complessivamente 1.407.155 permessi di soggiorno in Italia, dei quali 917.056 sono risultati validi alla fine di ciascun anno (anche se non sono tutti legati a motivi di inserimento stabile), mentre altri 490.099 (pari al 34,8% del totale) sono stati di durata breve e sono scaduti prima della fine dell’anno.
I nuovi ingressi per lavoro sono stati 15.000 nel 1990 e tra i 19.000 e i 25.000 negli anni successivi, con un andamento discontinuo.
Invece i permessi per ricongiungimento familiare sono stati caratterizzati da una crescita costante: 10.000/11.000 nel triennio 1990-1992, 17.000/18.000 nel 1994-1996, 25.000 nel 1997 e quindi, con un aumento veramente notevole, più di 40.000 sia nel 1998 che nel 1999.

I permessi per residenza elettiva sono stati in media 3.000 l’anno e quelli per motivi religiosi si sono attestati sulle 4.000 unità. Più numerosi sono i permessi per studio (11.000 l’anno), dei quali però meno della metà riguarda la frequenza delle università italiane.
Se escludiamo i motivi di breve durata (salute, turismo e altri) e una metà circa di quanti sono giunti per asilo, motivi umanitari e studio, risulta che nel decennio 1990-1999 gli stranieri venuti per inserirsi nella società italiana sono stati 664.000: non si tiene qui conto dei permessi concessi ai regolarizzati nel 1990, nel 1996 e nel 1998, che ammontano all’incirca ai nuovi ingressi dell’intero decennio.

Gli anni ’90, anche tenuto conto che la prima legge organica sull’immigrazione si colloca alla fine di quel periodo, sono stati di grande vivacità perché hanno visto raddoppiare la popolazione immigrata. Tuttavia, se si attua un confronto con i ritmi che si riscontrano attualmente, la differenza è enorme e l’andamento precedente appare molto ridimensionato. I motivi di lavoro sono passati annualmente da 25.000 a più di 100.000, i ricongiungimenti familiari dalla media di 22.000 l’anno e da più di 40.000 alla fine degli anni ’90 agli odierni 90.000. Anche le nuove nascite da entrambi i genitori stranieri dalle 8.000 all’inizio degli anni ’90 e dalle 22.000 nel 1999 sono passate alle oltre 50.000: sono aumentate di poco solo le presenze per asilo e per motivi umanitari (dalle 12.000 unità degli anni ’90 alle attuali 15.000).

Calcolando nel complesso il ritmo d’aumento della popolazione immigrata, si va dalle 80.000 unità l’anno degli anni ’90 al ritmo attuale quattro volte più sostenuto, in linea con quelle tendenze ipotizzate da diversi demografi e studiosi dell’immigrazione.

Un futuro che si fa fatica ad inquadrare organicamente

Se depuriamo i 224.080 visti nazionali rilasciati nel 2005 da alcune tipologie che non prefigurano una permanenza stabile e teniamo conto anche dei lavoratori stagionali inclusi nel numero complessivo dei lavoratori, possiamo ipotizzare che l’immigrazione per inserimento sia stata nel 2005 di circa 180.000 unità.
Se poi facciamo riferimento al 2006 e teniamo conto che gli ingressi per lavoro sono aumentati (170.000 tra lavoratori fissi e stagionali), che i nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (48.384 nel 2005) possono aver raggiunto la quota di 55-60.000, che siano circa 15.000 i neocomunitari insediatisi in Italia, possiamo stimare che il ritmo d’aumento annuale della presenza di stranieri in Italia sia attualmente pari a circa 325.000, il che porta a ipotizzare più che un raddoppio della popolazione immigrata nel corso di 10 anni.
L’Italia, con sei milioni di immigrati, diventerà così il secondo paese di immigrazione in Europa dopo la Germania e uno dei più grandi del mondo.

A questo punto è doveroso chiedersi se la società italiana stia riuscendo ad inquadrare in maniera adeguata un fenomeno che si sta sviluppando a ritmi così sostenuti.
Neppure il recente dibattito politico sull’immigrazione è risultato soddisfacente, seppure i toni siano stati più contenuti rispetto alla competizione elettorale del 2001. Chiamare gli italiani a salvaguardare il loro lavoro e il loro benessere in contrapposizione a quello degli immigrati o a scegliere tra la sicurezza e la delinquenza significa non rendersi conto che i destini di tutti sono inestricabilmente congiunti. È vero, da una parte, che molte affermazioni vengono fatte per ragioni di schieramento e che, nonostante tutto, seppure a fatica sembra avanzare un senso di apertura favorito dall’interazione quotidiana nelle case, nelle aziende, nei cantieri, negli stessi ospedali e in qualunque altro luogo pubblico/privato di incontro, contatto, scambio.

Occorre però che questa mentalità approssimativa e ambigua venga con urgenza messa da parte per lasciare il posto ad una seria capacità di approfondimento che consenta di inquadrare e indirizzare il futuro in senso proficuo. A questo riguardo è doveroso ribadire con fermezza che alcune decisioni non vanno nell’indirizzo auspicabile. Il collegamento tra mercato occupazionale e normativa sull’immigrazione è stato ostacolato dall’avere indebitamente assolutizzato la chiamata nominativa dall’estero come unica modalità d’ingresso. Vent’anni di osservazione del fenomeno consentono di definire questa impostazione come velleitaria, inconcludente ed essa stessa causa dell’espansione della irregolarità, mentre urge la reintroduzione della possibilità di venire in Italia per la ricerca del posto di lavoro al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta. Tra l’altro questa possibilità, positivamente sperimentata in Italia e poi abbandonata, è stata praticata anche altrove per consentire l’ingresso dei neocomunitari subordinati: in Grecia avviene attraverso la formula della prestazione di garanzia e in Danimarca sotto forma di permesso per la ricerca del posto di lavoro.

L’estrema flessibilità attuale dei posti di lavoro mal si compone con la rigida normativa sul contratto di soggiorno, che per giunta mortifica la dignità delle persone implicate nella mobilità perché genera un penoso clima di angoscia esistenziale, aumenta a dismisura gli adempimenti burocratici (peraltro gestiti con difficoltà) e ritarda il processo di integrazione.
I problemi di gestione del mercato del lavoro non si esauriscono nelle quote e nei meccanismi di ingresso, bensì comportano un impegno ancora maggiore ad insediamento avvenuto. L’Italia da una parte vedrà aumentare il fabbisogno di personale per l’assistenza delle famiglie, degli anziani e dei malati, e dall’altra è chiamata a riqualificare il suo sistema produttivo in maniera più competitiva. Con l’immigrazione si deve riuscire a contemperare entrambe le esigenze, obiettivo dal quale si è lontani. Una visione d’insieme più organica impone anche di riflettere su diversi altri punti, al momento insoddisfacenti, quali la formazione all’estero, l’immigrazione qualificata, la formazione professionale, l’avvio di una progettazione a carattere innovativo, il maggiore coinvolgimento degli stessi immigrati e delle loro rappresentanze.

Anche le implicazioni societarie dell’immigrazione sono caratterizzate da vistose lacune. Si stenta a entrare nel merito dell’integrazione, parola chiave del futuro, precisandone doveri ma anche diritti, con adeguate e concrete misure di sostegno: a titolo esemplificativo, si può citare – fra le scelte recenti – l’incomprensibile esclusione dal bonus bebè degli immigrati, pure considerati un provvidenziale anche se temporaneo rimedio a livello demografico, e – tra quelle meno recenti – il loro limitato accesso all’assistenza sociale. Servono una nuova mentalità non discriminatoria e il coraggio di procedere alle riforme necessarie, tra le quali sicuramente vanno incluse il superamento dell’antiquata legge sulla cittadinanza e l’attribuzione del diritto di voto amministrativo, senza più considerare uno spauracchio questa conquista civile, altrove sperimentata positivamente da anni.

L’Italia è diventata un grande paese di immigrazione anche senza il supporto di un’adeguata politica di immigrazione. Gli immigrati, con la loro tenace voglia di riuscire, possono essere anche per noi una leva supplementare per lo sviluppo. La consistenza attuale del fenomeno, il ritmo di crescita, gli scenari ipotizzabili a breve e medio termine portano a concludere che la società italiana nel suo insieme deve superare gli indugi e adoperarsi per preparare una convivenza più fruttuosa e più serena: questo è l’auspicio di Caritas e Migrantes.

 

 

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