1460 VENEZUELA/AMERICA LATINA: "Pane e petrolio"

20060529 22:53:00 webmaster

di Maurizio Chierici (da l’Unità del 29 maggio 2006)

Gli sceicchi stanno arrivando: l´Opec si riunisce a Caracas per decidere di quanto «ribassare la produzione del greggio in modo da renderne stabile il valore di mercato». Traduzione: come mantenere i prezzi alti evitando la flessione che ha intristito i produttori vent´anni fa. I Paesi importatori devono rassegnarsi. E l´Europa si preoccupa per la proposta che il presidente Chavez rivolgerà agli ospiti: lasciar cadere il dollaro, da sempre moneta delle contrattazioni, per passare all´euro. Quindi barili più cari per il vecchio continente. Non passerà, ma il Venezuela ne è tentato per far dispetto a Bush.

Blindati nell´hotel Melia, principi sauditi, emiri del Golfo, ministri iraniani, iracheni, algerini, giacche blu mediterraneo di Gheddafi e il vice premier d´Indonesia incollato al telefono per sapere del terremoto, hanno invitato gli strateghi della loro sicurezza ad ispezionare l´ultimo piano del ministero del Petrolio.

M«inistero che si trova, guarda caso, nel palazzone della Pdvsa, compagnia che il governo Chavez ha completamente nazionalizzato limando le concessioni per nuovi giacimenti: in castigo le «sorelle» straniere e tasse di produzione al rialzo, scia di polemiche, rottura di contratti (Eni, per esempio) e malcontento.

Il tavolo ovale dell´incontro ha già i microfoni accesi. E i segugi sono tornati nelle suite dei loro principi con una notizia curiosa: sugli schermi degli ascensori il numero dei piani è accompagnato da un invito che non sfiora teste coronate e politici dell´Islam: «è nostro dovere approfondire la rivoluzione». Si accende e si spegne come un tormento. Per «approfondirla», Chavez sconvolge le regole del mercato. Vende petrolio a metà prezzo ai sindaci della sinistra nicaraguense, ai paesini dalle casse vuote sparsi nei Carabi e ai popoli diseredati di una certa Africa. Per non parlare di Cuba. Gli economisti protestano e protesta l´opposizione venezuelana per il prezzo «più basso del mondo» che l´automobilista di Caracas paga al distributore, costo al litro proporzionalmente riferito al potere d´acquisto medio degli abitanti: 0,06 centesimi. Perfino meno dello 0,27 dell´Arabia Saudita e di un´Italia fra le prime in classifica: 1,78. «Non può bruciare la ricchezza del Paese con iniziative personali che i cittadini non possono contrastare». Non possono perché, con operazione sciagurata, ancora si stracciano i capelli, l´opposizione non si è presentata alle elezioni denunciando gli imbrogli del voto elettronico «inventato per schedare chi non è d´accordo». Non importa gli inviti della commissione Carter e gli accertamenti degli osservatori europei: la scusa non stava in piedi. Ogni Paese civile vota o sta per votare così e nessuno ha paura. Ma fatti i conti, non sopportando la sconfitta annunciata, l´opposizione si è mascherata con una denuncia che nemmeno Washington ha accettato. Senza mezze parole ha accusato Carter «di essere un tonto al servizio di Castro e Chavez». Chavez che regna la solitudine dell´Aventino regalato: Parlamento tutto suo.

Il Venezuela sta diventando il laboratorio maleducato nel quale il mondo latino confronta due disegni di società la cui contraddizione è ormai esasperata. Succede in altri posti del mondo, mai, però, i protagonisti che vogliono aprire il beneficio delle ricchezze alle esigenze dei meno felici si misurano faccia a faccia con gli interessi concreti di chi non intende spogliarsi del privilegio. Vicinanza senza i carabineros di Pinochet o le guardie rosse del vecchio Kazakistan a determinare la novità del laboratorio maleducato. La sinistra e la Chiesa non si sono forse accorte dell´importanza dello scenario inedito da gestire e non alimentare con mormorii corsari. Restano forze di parte rifiutando la mediazione che potrebbe influire sulla cultura delle fazioni. Si procede nella routine del lessico col quale Chavez (lunghe omelie Tv) liquida chi non è d´accordo. Irresponsabili, egoisti, fascisti. Bush resta l´imperialista che minaccia le nuove democrazie per ingordigia di petrolio. Ne imita la voce e sorride con galanteria alle «minacce» di Condoleezza Rice: «Parla sempre di me, forse si sta innamorando…». In piazza Venezuela le parole affidano risvolti meno eleganti alla fantasia della folla. Rispettando la tradizione di ogni presidente del continente, parenti e amici fidati occupano le poltrone che servono. Il padre di Chavez fa il governatore di Barinas dove il presidente è nato. Fratello ambasciatore all´Avana, e il capitano dei guardaspalle – Alfonso Curzio, genitori di Sapri, provincia di Salerno – si ritrova maggiore e vice presidente della Bandes, banca di stato. Più o meno come nell´Argentina borghese di Kirchner: sorella ministro, moglie senatrice che decide per tutti. Dalla parte opposta i signori del vecchio potere hanno appoggiato ogni presidente (socialcristiano o socialdemocratico) ricavandone benefici che spiegano certe ricchezze. Attorno, il ceto medio speranzoso di diventare ceto forte ma precipitato nella crisi che l´urgenza sociale della realtà ha portato Chavez alla presidenza nel ‘98, anche con il loro voto. Pentimento fulmineo: il tenente colonnello non si adagia con le classi forti e comincia l´angoscia dell´ignoto appena rifiuta i parametri del passato. Si allontanano gli Stati Uniti dominanti e garanti del flusso di interessi che moltiplicano le case venezuelane a Miami. Giornali e Tv rispondono a Chavez col linguaggio di Chavez incupito dalla rabbia. Tutti. Ogni mattina diventa «l´abominevole uomo del continente». «Tragico idiota». «Né socialista, né nazionalista: solo fascista». Nell´ufficio sereno della Conferenza Episcopale, un monsignore parla di «regime e autocrazia» scegliendo con cura le parole. Tutti i libri delle librerie normali offrono saggi al vetriolo sull´uomo che «distrugge il Venezuela». In croce nei dibattiti Tv. Anche quando le immagini raccolgono calcio e spettacoli, nella striscia bassa dello schermo, corrono gli sfoghi di spettatori ignoti: «Chavez, traditore del popolo». «Chavez spende i nostri soldi». «Inchiesta su gasdotti e oleodotti programmati per attraversare il continente: gas boliviano e petrolio venezuelano destinato a nutrire Argentina, Brasile, Cile, Uruguay. Il 91 per cento ritiene le spese disastrose. L´8 per cento è d´accordo. L´un per cento non sa». Quale specialista ha condotto l´inchiesta? Quante persone interrogate? La striscia corre senza spiegare. Libertà di stampa western, perfino imbarazzante. Malgrado la pesantezza la polemica rimpicciolisce nel gallinaceo da condominio. Non ci si rende conto della partita simbolica in gioco. Stessi riti da una parte e dall´altra. Chavez organizza manovre popolari – militari e volontari – per resistere all´invasione americana, trapianto dell´eterna tensione con la quale da cinquant´anni Fidel mantiene i cubani coi nervi a fior di pelle. Contemporaneamente il Venezuela non se la sente di respingere «la tradizionale manovra strategica dei Paesi dei Carabi» sotto tutela Stati Uniti. Dei quali Caracas resta il fornitore principe. Ogni giorno l´85 per cento dei 3 milioni di barili pompati viaggia verso i porti dell´altra America e la previsioni d´incasso del 2006, sono 69,4 miliardi di dollari. Anche la definizione dei programmi suona ridondante come i discorsi del leader: missioni, non interventi. Ma le missioni funzionano. Missione miracolo per rimediare all´inefficienza dell´organizzazione sanitaria ereditata dalle democrazie dalle mani lunghe. Missione Robinson per alfabetizzare chi vive nelle favelas ma anche il 70 per cento dei boliviani che non sanno scrivere. Stanno partendo equipes cubane e venezuelane coi soldi del petrolio. Tremila ragazzi di La Paz completeranno gli studi in Venezuela. E dall´altipiano di Evo Morales scenderanno gasdotti e saliranno oleodotti, progetto gigantesco che il Venezuela propone e in gran parte finanzia con Brasile e Argentina, di riflesso il Cile interessato all´integrazione energetica. Che potrebbe cambiare entro il 2012 economia e cultura del continente. Sud che risorge, Nord umiliato. Si rassegnerà? Anche perché si parla di accompagnare con una ferrovia il cammino dei tubi. Non esistono strade ferrate che attraversino i confini. Non c´è ancora il treno nel Venezuela saudita, paradiso delle vecchie democrazie. Venezuela saudita che importa cose da mangiare il doppio della Colombia che ha il doppio dei suoi 26 milioni di abitanti. L´agricoltura del latifondo non ha mai prodotto niente. Far palare e viaggiare i popoli cinque secoli dopo la conquista, resta un´utopia: stanno provando a realizzarla col petrolio «salvato dalla speculazione internazionale». Meno Wall Street più opere sociali. Matti, oppure no? La gente ha fame. Due miliardi di dollari per le mense popolari: donne sole con figli, anziani come stracci. Populismo che stimola aggregazioni insospettate: 1670 portinaie si sono riunite attorno a un giornalino nel nuovo sindacato che pretende un minimo di diritti. Per il momento guadagnano 3 euro al mese più l´uso della stanza dietro lo sgabuzzino. Ed è popolazione quasi privilegiata perché integrata nell´urbanità: la disperazione delle favelas resta lontana. Le portinaie non vanno mai in pensione per non restare senza casa. Ore di riposo 9 al giorno, 365 giorni l´anno: appena il tempo per mangiare e dormire. Quanto può andare avanti una società che trova nelle portinaie redente il momento più felice di una disgregazione che asfissia gli aitanti dei barrios? E come evitare che i nuovi politici smarriscano l´equilibrio radicalizzando il rovesciamento dei privilegi, piccoli e immensi? Bisogna dire che nei sette anni di governo la «rivoluzione» avrebbe potuto fare di più e farlo prima. Distratta dalla burocrazia nei cui labirinti rispunta la corruzione. Insomma, ritardo paradossale ma rimediabile. Perfino nella comunicazione: due canali di stato offrono la noia dell´ufficialismo che rasenta la noia della Tv cubana. Ecco la cornice del laboratorio maleducato dove i signori del petrolio si riuniscono per decidere quale ottimismo alimenterà le Borse del mondo. Nessuna delle parti sembra rendersi conto del dramma nel quale è immersa. I nuovi politici non rinunciano alla baldanza di una maggioranza il cui appoggio continuerà ad allargarsi perché i diseredati raccolgono le prime risposte e mai volteranno le spalle a chi sta aprendo la speranza. Dalla parte dei «no» nessuno vuol rinunciare agli status di una casta la cui nobiltà è costruita sul denaro, cultura dell´impresa, colore della pelle bianco-emigrante. Che ha sofferto la sradicamento dal vecchio mondo, il sacrificio della conquista di un posto al sole: adesso arrivano profeti chiacchieroni con la pretesa di tagliare le unghie. Mai. Stamattina, mentre le polizie private dei principi del petrolio salgono e scendono su ascensori dove si accende l’invito ad approfondire la rivoluzione, la conferenza episcopale dei vescovi latino americani sottolinea l´urgenza di fare qualcosa e subito. Il Papa arriverà in Brasile nel 2007, quale America disastrata lo accoglierà ? Spiega il documento episcopale: il 44 per cento della popolazione latina vive nella povertà e nell´analfabetismo. Il 19 per cento spende meno di un dollaro al giorno. «Si stanno bruciando intere generazioni disilluse: violenza e disperazione, droga e criminalità, scorciatoie per sopravvivere». Il muro e le leggi Usa sulla politica dell´emigrazione non possono comprimere all´infinito il desiderio alla normalità dei diseredati. Bisogna risolvere il male inguaribile del continente: «la disuguaglianza». Si intravede la proposta di mediazione per evitare «reazioni incontrollate e rivoluzioni». Chissà se la Chiesa venezuelana ne è consapevole. La risposta di due ragazzi il cui destino è segnato dal nome, fa capire come sia meglio tornare ai santi del calendario per pacificare le folle latine orfane di miti incomprensibili. Su Globo Tv (proprietario il multimiliardario Gustavo Cisneros, televisioni e fabbriche tra Caracas e Stati Uniti: è appena uscita una biografia beatificata dalla prefazione dello scrittore Carlos Fuentes); su Globo Tv, uno studente dell’università autonoma accusa la polizia di Chavez di caricare con lacrimogeni la protesta di chi non ne accetta le decisioni del governo. Si chiama Nixon Moreno. Sotto la tenda di un cantiere, trasmissione fiume di «Alò Presidente», Chavez parla da quasi sette ore quando un ragazzo, camicia rossa, fa la domanda. Si chiama Stalin Gonzales. Provo a sapere di più: «Perché Stalin?. «Bisognerebbe chiederlo a mio padre, ma non si può. Era vecchio ed è morto. Aveva ormai 63 anni, bella età per chi lavora in campagna». Noi cultori del week end, a 63 anni partiamo con la racchetta da tennis imprecando per la benzina più cara. Noi appagati e stressati, non tutti ma tanti; loro in balia dei nostri bilanci. La differenza tra chi pompa e chi consuma benzina sta diventando questa.

mchierici2@libero.it

 

 

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