1503 IRAQ: Un ritiro senza equivoci

20060606 14:35:00 webmaster

Gian Giacomo Migone

Il problema non è quello dei tempi, più o meno stretti, del ritiro dei nostri soldati dall´Iraq. Si tratta, invece, di non rafforzare uno degli stereotipi negativi che incombono sulla politica estera italiana, esponendo a ulteriori pericoli civili e militari.

Ricordate «la guerra continua» di badogliana memoria? Mussolini era stato arrestato, la rottura con l´alleato tedesco di fatto consumata ma, in attesa di negoziare la resa con gli Alleati e di salvare la pelle del re e degli alti comandi, la guerra doveva continuare. O meglio dovevano continuarla coloro che non avevano libertà di scelta perché i tedeschi se li trovavano di fronte.

Le analogie storiche vanno prese con le pinze, ma guai ai governanti che non sono consapevoli dei miti che la storia produce e che il tempo trasforma in stereotipi di cui è assai difficile liberarsi. Da qualche tempo circola un´ipotesi – per fortuna non avallata da alcun membro del nuovo governo (ha detto, anzi, D´Alema: «…ritirare le forze armate significa ritirare le forze armate!») – secondo cui l´attuale presenza militare italiana in Iraq, dopo il suo graduale ritiro, sarebbe sostituita da una presenza «a guida civile», ma protetta da un contingente armato di alcune centinaia di uomini (le cifre variano da 200 a 800). Finora solo il capo di stato maggiore dell´esercito, generale Cecchi, si è assunto – impropriamente, perché si tratta di decisioni di stretta competenza parlamentare governativa – la responsabilità di formulare pubblicamente questa linea di condotta che trae origine dalla nota intenzione del governo degli Stati Uniti di dislocare diciotto Provincial Reconstruction Teams in più zone, di cui quella di Nassiriya continuerebbe a essere assegnata all´Italia.

È evidente come una simile ipotesi, da cui il governo in carica finora ha preso prudentemente le distanze, configurerebbe il più consolidato degli stereotipi che da quasi un secolo segnano la politica estera italiana: quello di non riuscire a formulare decisioni nette e durature in materia di guerra e di pace, di compiere atti diversamente spiegabili in sedi diverse. In questo caso, per Washington «la guerra continua»; per la platea di casa continuerebbe pure, ma senza italiani, se non per difendere una missione civile. Si rischierebbe di ricalcare gli equivoci originari di un intervento definito umanitario, ma non distinguibile come tale in una situazione di occupazione militarmente contrastata, con tutte le conseguenze che ne derivano per la sicurezza di militari e civili impegnati sul campo. Come ha affermato Fabio Mini, già comandante militare della presenza della Nato in Bosnia, «una missione armata che non chiarisce scopo e limiti di tempo rischia di sconfinare nella prevaricazione».

Non si tratta, ovviamente, di autoassolversi da ogni responsabilità per le sofferenze di un paese che non può nemmeno per un istante essere abbandonato o trattato secondo la logica del tanto peggio, tanto meglio. Piuttosto, ha osservato D´Alema (La Stampa, 27 maggio): «Molti paesi sono in Iraq senza contingenti militari. Ci sono diverse modalità di presenza, stiamo studiando quelle effettivamente compatibili con il ritiro delle forze armate». Sono infinite le necessità morali e materiali di uno Stato e di un popolo ancora martoriato dalla guerra, dalle scuole ai medicinali, cui far fronte senza una presenza militare. Per essere chiari: dalla zona protetta di Baghdad (la cosiddetta zona verde) o dall´Italia. Esiste pure la evidente urgenza di formare quadri civili, militari e, soprattutto, di polizia irachena adatti a una situazione infestata da ogni forma di terrorismo e di violenza. Il modo in cui ciò viene fatto chiama in causa valori democratici spesso invocati, non sempre rispettati nemmeno da chi li professa con maggiore insistenza e pretende di insegnarli. Da parte sua, l´Italia dispone dei carabinieri, particolarmente adatti allo scopo, e ospita sul proprio territorio lo Staff College delle Nazioni Unite, che potrebbe vestirne il momento formativo che deve precedere e accompagnare quello addestrativo.

Meglio sarebbe se tutto ciò venisse chiarito dal governo prima degli incontri imminenti di Parisi e D´Alema con i loro omologhi americani Rumsfeld e Rice. Auguriamoci che il ritiro umbro porti consiglio.

g.gmigone@libero.it

 

 

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