1502 Marco Follini pronto all´ultimo strappo, ma senza sbattere la porta

20060606 14:32:00 webmaster

di Federica Fantozzi (l’Unità)

Una grande stanza bianca al settimo piano di un palazzo in Via Bissolati. Scrivania di vetro, ampie finestre, pochi libri. Luminoso arredamento minimal e segretarie. Da alcuni mesi è questo il buen retiro di Marco Follini, sempre più impegnato nella sua Fondazione Formiche. Nella stanza accanto scrive il suo ex portavoce Paolo Messa, che insieme al fedelissimo Michele Guerrero cura l´omonima rivista. Editoriali per dire "no" al referendum, interventi di Agnese Moro e Mino Martinazzoli e del costituzionalista ulivista Stefano Ceccanti. Un´oasi di pace. Fuori, il mondo politico aspetta le scelte dell´ex segretario dell´Udc.

«Medita» dicono gli amici. «È tentato» sussurrano le voci. L´avellinese Rotondi, leader della piccolissima ma accogliente Dc, gli spalanca le braccia. Lui tace. Il democristianese prevede passi felpati, aborrisce il rumore di porte sbattute. Intanto a via Due Macelli mette piede sempre più di rado. Nelle riunioni di partito mette a verbale sempre più spesso il suo dissenso che si traduce in fatti: il concorso all´elezione di Napolitano, la posizione controcorrente sulla devolution. I suoi hanno il dente avvelenato con Marco l´Alieno: «Dove pensa di andare? Se varca il confine finirà per essere il Fisichella democristiano». Maligna allusione al professore fondatore di AN, approdato con sofferenza nella Margherita dopo una progressiva rottura con Fini, bersagliato dal Secolo perché «non ha ottenuto nemmeno un sottosegretariato».

Il confine, ovviamente, è tracciato dal bipolarismo che l´Harry Potter centrista così definiva: «Non è il mondo di Heidi ma neppure può esserlo di Rambo». Lo è stato nello scorso quinquennio, e Follini ne ha sofferto. Intimamente, nel vedere un centrodestra talmente stralunato da considerare eversivi i connotati di un moderato anziché le alabardate xenofobe della Lega. Apertamente, aprendo nella corazza sfolgorante del Cavaliere Antipolitico l´ulcera dell´estenuante «verifica» (seguito, di malavoglia, da Fini). Fino a ritirare la delegazione dal governo, costringendo Berlusconi ad aprire formalmente la crisi che si sarebbe conclusa con il Berlusconi-Bis in cui Follini non entrò.

Altri tempi. A Palazzo Chigi ora siede Prodi, a via Due Macelli il ciociaro Lorenzo Cesa, amico di Follini, ma fedele a Casini. Già: l´amicizia, categoria democristiana per eccellenza e parte non trascurabile della parabola folliniana. Si conoscono da trent´anni Pier Ferdinando e Marco. Anche le pietre hanno sentito la leggenda per cui, entrambi allievi di Bisaglia, venivano dal maestro indicati come «il bello» l´uno e «l´intelligente» l´altro. In uno scatto degli anni ‘70 di Umberto Cicconi, fotografo personale di Craxi, Follini post-adolescente è identico al sé adulto: fronte stempiata, pullover, sguardo serio dietro occhialoni dalla spessa montatura nera. «Ho confessato a mia moglie che a 14 anni ero già democristiano. Lei mi ha guardato come un marziano». Trent´anni fa era un pulcino dc, un virgulto di periferia. Un «pollo da batteria» moroteo che giocava ai giochi dei grandi. «Giovani strani, vestiti da vecchi, completi pesanti, cravatte malscelte, lenti bifocali e montature terribili», li fulmina Marco Damilano in «Democristiani Immaginari». Follini 50enne ha perso i capelli, rimpicciolito gli occhiali, indossa cravatte più belle. Da quando ha lasciato la segreteria lo si è visto con una sbarazzina, azzurra con le coccinelle, regalo della figlia Claudia e (forse) simbolo di un futuro più leggero. Ancora lo lega a Casini un rapporto da amici-nemici iniziato nelle stanze della politica. Nel ‘77 Follini, in corsa come delegato dei giovani della Balena Bianca, trovò a sbarrargli la strada il bolognese Pierferdi che scrisse a Piccoli e Bisaglia: «La candidatura di Marco è politicamente debole. Occorre approfondire la discussione». Lo salvò Moro, che leggeva il talento dietro i suoi discorsi in politichese puro. Finì con il ticket: Follini alla guida e Casini vice.

Nell´Udc è sempre stato il contrario. Follini eletto segretario nel 2002 su richiesta dell´amico, acclamato al bis nel 2005, poi la rentrée in prima linea del quasi ex presidente della Camera mai allontanatosi da dietro le quinte. Entrambi vogliono il «bipolarismo mite» ma a dividerli c´è Berlusconi. Follini, nell´aula di Montecitorio, disegnò il suo centrodestra «deberlusconizzato», sfidò «il monarca» davanti alle telecamere: «Non sei il candidato migliore», invocò primarie che non vedono la luce. Casini gioca una partita per sfinimento: non rompe e non si spezza, si accontenta del ruolo di delfino in pectore, il suo momento verrà. Finisce male. Con l´Udc «defollinizzata» e Casini a far sue le parole d´ordine dell´Alieno come «la CdL non sua una monarchia». Follini lascia il posto a Cesa in un´affollata direzione, nel sotterraneo dell´Hotel Minerva a due passi dal Pantheon. Il suo j´accuse contro i ministri «opachi» lascia sangue a terra: Giovanardi, Buttiglione, Baccini reagiscono con sprezzo.

Dall´ottobre 2005 Follini è un uomo libero. Libero di vagheggiare la sua Terra di Mezzo, che la realpolitik chiama neo-centrismo e che attira accuse di collaborazionismo. «Sono più libero ma a volte mi sento un po´ più solo» confessa lui, e nessuno sa dove finisca il piano politico e cominci quello umano. Due mesi dopo nasce Formiche, battezzata al Teatro Sala Umberto da Maurizio Costanzo. Vuole dei giovani, il sociologo Giuliano da Empoli e il regista Edoardo Garrone. Tema sul futuro: «Voglia di vincere, paura di cambiare». Cesa, negli incarichi di partito, ha azzerato i folliniani. L´Udc alle Politiche fa il 6,7% e non serba gratitudine a chi l´ha schiodata dal 3,2 del 2001. Follini sa che nella giungla le rendite di posizione e di immagine vanno capitalizzate presto. Deve decidere cosa farà da grande, non è facile. Si è sempre detto alternativo al centrosinistra, ed ha agito con coerenza. A differenza di Tabacci, altra monade, non ha né coltiva un rapporto con Prodi. Il gruppo con Rotondi e l´autonomista Lombardo potrebbe rivelarsi una palude di sabbie mobili.

Il Partito Democratico è una prospettiva lontana. Con Casini il solco è un burrone, anche linguistico. Follini centellina proposizioni tipo «la legge elettorale non può essere un prezzo che si paga né una trappola» o «al centrosinistra va offerta una possibilità e non riservato un raggiro» o, sul referendum, «spiace che l´Udc scelga la linea del sì ancorché mite e gentile». Casini gli chiede brutale se cerchi «pretesti» per uscire, e glieli toglie. Harry Potter può ripartire da due punti fermi: l´intramontabile passione «fredda» per la politica e l´idea di una sua formazione. La sede c´è già, spaziosa.

 

 

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