1529 EPIFANI: La prefazione al poema di Leo Zanier nel 60° della tragedia di Marcinelle

20060608 17:29:00 webmaster

Nel 1956, era l’8 agosto di cinquant’anni fa, nei profondi pozzi delle miniere di carbone di Marcinelle, le giovani vite di 262 minatori vengono stroncate da una miscela di incuria, di scarsa manutenzione, di rischi non sufficientemente calcolati, di fretta, di cottimo, di superficiale prevenzione.
Quante altre catastrofi, quante vittime del lavoro, sul lavoro, in catastrofi analoghe, anche più gravi, e in uno stillicidio continuo, nei cantieri e nelle fabbriche, durante i cento anni della CGIL che quest’anno celebriamo.

Ho scritto recentemente che, tra molte altre cose, il Novecento è stato anche il secolo del sindacato e del lavoro. Oggi sembrano prevalere ideologie e interessi che cercano di sostituire alla centralità del lavoro, la centralità del mercato o della finanza o di altro ancora. Il lavoro viene molto spesso considerato come una funzione residuale, dipendente, sbiadita. Dare una risposta diversa a questa rimozione del tema del lavoro è necessario, e per farlo, per ridare dignità al lavoro e al suo valore, occorre liberare il rapporto tra flessibilità e precarietà, occorre ridare al lavoro quel senso pieno di diritti, responsabilità, valori; ed è questa la grande questione aperta di fronte al movimento sindacale.

Dunque: centralità, dignità, valore, diritti, responsabilità e sicurezza del lavoro. Sicurezza: detta a proposito di Marcinelle, avendo presente queste vite stroncate, diventa un impegno ancora più solenne, per il quale ci dobbiamo impegnare tutti: in Italia, in Europa e nel Mondo.

In questa cantica, Zanier, sindacalista e poeta mai scisso, per dirci della centralità, della dignità e del valore del lavoro, risale quasi all’origine, ai pastori agli allevatori, che sono fieri di esserlo, fieri e riconosciuti nel loro ruolo da tutti i loro compaesani, che li aspettano, alla fine della stagione delle malghe: “con gratitudine / e rispetto per far loro festa / la più grande festa dell’anno assieme a loro: / forza e cultura e energia per tutti”
E, più avanti, parlando qui dei minatori riprende in modo forte il tema della fierezza e dell’orgoglio per quel loro lavoro rischioso: “anche sforzo comune / pieno di rischi e di tensione / e ricordarlo (…) significa anche orgoglio anche nostalgia: / era cavare energia per far girare il mondo”

Ma chi erano questi lavoratori, tanti italiani, e ognuno di loro? Come li vede e ce li rappresenta Zanier? Così lui li vede e tali in effetti erano: “emigrante giovane e sano / e minatore di profondità investito del ruolo lì per lì / senza formazione né formalità / ex soldati ritornati da ogni fronte / e da ogni guerra / magari partigiani disoccupati / non per caso che così imparano”…

E insieme a ciò che ci dice su quegli uomini, Zanier vuol dirci anche che l’energia che “fa girare il mondo”, se muta nel tempo: carbone, elettricità, atomo, è però ugualmente costellata di tragedie, appunto Marcinelle, e poi Vajont (ma anche Mattmark e Robiei) e la più vicina e la più spaventosa Cernobyl, e oggi il petrolio, con navi cisterna che scaricano tutto in mare; “per parlare solo di pace…” dice Zanier.
Catastrofi tremende, non isolate purtroppo, ma a cui fra le altre si aggiungono quelle prodotte dall’industria chimica, che segnano date tragiche nella storia del lavoro e delle popolazioni coinvolte per l’irresponsabilità di potentissime multinazionali, anche se poi sanzionate : Seveso in Italia, nel 1976, e la più tremenda Bhopal, in India, nel 1984.

Ma voglio tornare e chiudere con l’emigrazione, che era allora e in modo così massiccio italiana, e con l’immigrazione dei tanti che oggi arrivano e con fatica s’inseriscono, anche per una legislazione improvvida e discriminante, pure in Italia, e che sono tanta parte oramai dei lavoratori europei.
Ma noi questa forza e la necessaria solidarietà l’abbiamo capita e la pratichiamo. Scrivevo recentemente che i lavoratori immigrati danno forza al sindacato, e il sindacato rafforza la loro condizione. Quindi il sindacato è l’organizzazione che intercetta le loro domande e le fa vivere sia sul versante del lavoro che su quello dei profili della cittadinanza. Nel loro progressivo inserimento lavorativo, il sindacato e l’immigrazione si incontrano in modo stabile. Come avvenne nei decenni passati per tanti lavoratori italiani a New York , in Australia, in Germania, in Svizzera, in Belgio.

E nella relazione al nostro XV congresso, sottolineavo quanto miope sia non riconoscere il diritto di cittadinanza, dalla nascita, ai figli dei lavoratori migranti che nascono in Italia, e in ogni altro paese, sapendo che se le prime generazioni – com’è avvenuto anche per noi nel mondo – tendono a tornare nelle zone d’origine, le seconde e ancora di più le successive finiscono per restare là dove sono nate e dove da subito sarebbe giusto considerarle uguali nei diritti e nei doveri. Questa uguaglianza avrebbe dovuto affermarla il Trattato costituzionale europeo, risolvendo, una volta per tutte e in modo moderno, la vecchia questione del diritto alla cittadinanza. Ciò però non è stato, ancora, e così anche la cantica di Zanier si fa voce che ribadisce e rafforza questa esigenza.

Guglielmo Epifani
segretario generale della CGIL

 

 

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