1538 DINO NARDI; REFERENDUM SULLA DEVOLUTION: LE RAGIONI DI UN NO !

20060609 12:41:00 webmaster

In questi giorni, per la quinta volta dall’entrata in vigore in Italia della legge sul voto all’estero (2001), noi italiani che viviamo fuori dei confini nazionali siamo chiamati a votare per corrispondenza sul referendum confermativo (in questo caso non necessita alcun quorum!) concernente le “Modifiche alla II Parte della Costituzione” meglio noto come il referendum sulla “devolution” imposto dalla maggioranza di centrodestra della scorsa legislatura. Da parte mia, dopo aver cercato di capirne di più di questo argomento, importantissimo ma certamente non semplice per i non addetti ai lavori, sono arrivato alla conclusione che voterò NO al quesito referendario.

Senza entrare nel merito delle singole modifiche previste dalla devolution, che i media ci ricordano ormai quotidianamente e sulle quali è difficile essere d’accordo, voterò NO soprattutto perché non si può prendere alla leggera qualsiasi modifica di una legge fondamentale per un Paese quale è sicuramente la Costituzione. La mia decisione di votare NO è stata, peraltro, rafforzata dalla lettura di un saggio intitolato “No alla controriforma costituzionale del centro-destra” che, in proposito, ha scritto il costituzionalista Pietro Ciarlo. Di questo saggio, che sollecito tutti a leggere per saperne di più sulla devolution, citerò solo, per ragioni di spazio, il capitolo “Le origini della Costituzione e della modifica del centro-destra: due storie diverse”. Ecco cosa scrive Pietro Ciarlo: << La Costituzione del 1948 simboleggia la vittoria della democrazia contro la dittatura, la sconfitta della monarchia e l’avvento della Repubblica, la fine della guerra e la stipulazione di un grande patto condiviso tra le forze politiche della resistenza e della liberazione. È proprio la sua essenza di patto condiviso che ha consentito alla Carta fondamentale di porre le basi per l’uscita dell’Italia dalle macerie della guerra e di avviare la ricostruzione non solo economica, ma anche morale e culturale del Paese. I democristiani, i comunisti, i socialisti, i liberali riuscirono a trovare, nel corso della redazione del testo costituzionale, un vero e proprio spirito costituente, che consentì loro di elaborare una Costituzione con alla base principi e valori comuni: l’eguaglianza sostanziale e i diritti sociali, la tutela dei diritti di libertà, la laicità dello Stato, l’equilibrio e il bilanciamento tra i poteri. È per questo che quando si leggono gli articoli della Costituzione italiana si prova un sentimento di identificazione, di riconoscimento, la percezione che si è di fronte non al testo di una parte politica contro le altre, ma alla Costituzione di tutti. La revisione costituzionale del centro-destra non ha nulla dello spirito costituente descritto. La sua origine non è il frutto di un accordo tra la maggioranza e l’opposizione, ma l’esito di un baratto tra i partiti della maggioranza nell’ambito del quale la Costituzione è stata letteralmente venduta a pezzi. Per potersi garantire la Presidenza del Consiglio fino alla fine della legislatura e l’approvazione delle ben note leggi ad personam, Berlusconi non ha esitato a concedere, sotto forma di modifiche al testo costituzionale, una sorta di dittatura del premier ad Alleanza nazionale e la devolution alla Lega Nord. Il testo della riforma, scritto nel chiuso di una baita alpina dai cosiddetti saggi di Lorenzago (alcuni pretesi esperti di diritto costituzionale del centro-destra), è stato presentato in Parlamento sotto forma di disegno di legge del Governo e approvato coi soli voti della maggioranza. Esattamente il contrario di un patto condiviso, anzi un modo per trasformare la Costituzione di tutti nella Costituzione di pochi, un modo per distruggere l’idea stessa di Costituzione. È nata così questa riforma confusa, pasticciata, di difficile lettura e incredibile complessità. Intendiamo metterne in evidenza gli aspetti più contraddittori e pericolosi, destinati a creare indesiderabili concentrazioni di potere, ma soprattutto una devastante paralisi istituzionale. Il progetto del testo di revisione nasce, dunque, fuori dal Parlamento, senza un reale confronto tra la maggioranza e l’opposizione, perseguendo una logica di emarginazione delle assemblee parlamentari e con esse, inevitabilmente, dell’opposizione e delle autonomie territoriali. Certamente, vi è sempre il momento dell’iniziativa: nell’Assemblea Costituente ad Egidio Tosato fu affidato il compito di redigere lo schema generale della Costituzione, ma in quanto mandatario sia della maggioranza che dell’opposizione. Sia dalla sua genesi politica, che dal metodo, dunque, l’attuale revisione si caratterizza per una sua vocazione extraparlamentare, per la sua nascita fuori dal Parlamento. La riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, sul finire della XIII legislatura, viene richiamata da alcuni quale precedente che giustifica il modo di procedere della destra, ma le due situazioni sono radicalmente diverse. Anche nel 2001, infatti, vi fu una votazione finale da parte della sola maggioranza di centrosinistra, ma tale votazione aveva ad oggetto un testo che rappresentava il risultato di un lungo lavoro di colloquio tra la maggioranza stessa e l’opposizione, già a partire dalla Commissione bicamerale D’Alema. Solo al momento dell’approvazione finale, in vista delle imminenti elezioni politiche, il centro-destra, allora opposizione, si chiamò strumentalmente fuori. Peraltro, non si possono dimenticare i rapporti intessuti con le Regioni e gli enti locali che si espressero unanimemente a favore della riforma, mentre a questa di oggi sono nettamente contrari: quasi tutti i Consigli regionali hanno richiesto l’indizione del referendum perché si possa dire NO >>. Come non condividere il pensiero del professor Ciarlo? Tuttavia, anche se voterò NO, sono anch’io dell’avviso, come molti costituzionalisti ed esperti della materia, che la Costituzione italiana del 1948 vada, quantomeno, rinfrescata nella sua II Parte, ma attraverso una riforma il più possibile condivisa dal Paese e dal Parlamento e non da maggioranze parlamentari, più o meno risicate, di questa o quella legislatura in cui l’una fa e l’altra disfà. Una necessità quella di una riforma condivisa che, peraltro, oggi, a ridosso del referendum, sembra trovare consensi non solo nel centrosinistra ma nello stesso centrodestra. Peccato che quest’ultimo non sia giunto a questa determinazione prima di decidere di… mandare alcuni suoi rappresentanti in quella baita di montagna a Lorenzago, nel bellunese, per avere l’ispirazione riformatrice che partorì, poi, questa devolution che, magari, dopo il 26 giugno, il solito ex ministro Calderoli definirà, anch’essa, come l’ennesima “porcata” lasciataci in eredità dal governo Berlusconi!

Dino Nardi
Zurigo, 8 giugno 2006

 

 

1538-dino-nardi-referendum-sulla-devolution-le-ragioni-di-un-no

2323

2006-2

Views: 7

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.