1604 NOTIZIE DA FOCUS IMMIGRAZIONE DELLA UIL

20060616 13:30:00 webmaster

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie

Rapporto Onu: 191 milioni di immigrati nel mondo
Il 3% della popolazione mondiale, l’anno scorso hanno spedito a casa 232 miliardi di dollari. Kofi Annan: "Portano sviluppo sia nei paesi di origine che in quelli di destinazione"

NEW YORK, 8 giugno – L’anno scorso 191 milioni di persone, il 3% della popolazione mondiale, vivevano fuori dal loro Paese d’origine, per lo più in Europa (64 milioni), Asia (53 milioni) e Nord america 45 milioni). E se è nei Paesi industrializzati che si conta il maggior numero di immigrati (115 milioni), ormai i flussi dal sud al nord del mondo crescono di pari passo con quelli sud-sud. Sono alcuni dei dati dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulle migrazioni internazionali, presentato ieri dal segretario generale Kofi Aennan in vista di un forum dedicato all’immigrazione che impegnerà l’ prossima Assemblea Generale tra il 14 e il 16 settembre. Il rapporto evidenzia che gli immigrati accettano i lavori snobbati dagli autoctoni, stimolano la domanda e migliorano la performance economica dei Paesi ospitanti, dando aria ai sistemi pensionistici di quelli che hanno la popolazione più anziana. Intanto però spediscono anche soldi nei Paesi d’origine e quando vi fanno ritorno fanno investimenti e avviano attività produttive. L’Onu calcola che le rimesse inviate dai migranti alle famiglie rimaste nel paese di origine sono passate dai 102 miliardi di dollari del 1995 a circa 232 miliardi di dollari nel 2005, 167 dei quali destinati a Paesi in via di sviluppo. "Il rapporto evidenzia come la migrazione internazionale, supportata da politiche eque, possa essere altamente positiva per lo sviluppo sia dei paesi di origine che per quelli di destinazione", ha detto Kofi Annan, che ha definito il rapporto "una road map per una nuova era di mobilita". Il segretario generale ha proposto all’Assemblea di aiutare i governi a perseguire un approccio integrato a livello nazionale e internazionale incrociando i temi della migrazione e dello sviluppo. Il rapporto riconosce i diritti dei governi a decidere chi può entrare nel loro territori ma incoraggia la cooperazione internazionale per migliorare lo stato economico e sociale dei migranti.
"Spetta ai governi decidere i flussi migratori", ha concluso Annan, "A noi, come comunità internazionale spetta il compito di concentrarci sulla sicurezza e la qualità dell’esperienza migratoria sia in partenza che in arrivo e su quel che può essere fatto per massimizzare i suoi benefici sullo sviluppo".

Ocse: Italia seconda solo agli Usa per crescita immigrati
La maggior parte degli stranieri residenti tende a fermarsi a lungo in Italia
PARIGI, 8 giugno – L’ immigrazione è in crescita nei 30 paesi dell’ Ocse, dove nel 2004 fra i 3 e i 3,5 milioni di immigrati sono diventati residenti stabili: tra il 2003 e il 2004, l’ Italia è diventata con un aumento del 28% il secondo paese, dopo gli Stati Uniti (+34%), ad aver accolto più immigrati in questo periodo, seguita dalla Gran Bretagna (+24%). L’ Ocse pubblica oggi il nuovo rapporto sulle ‘Prospettive delle migrazioni internazionali’ – presentato a Parigi nella sede dell’organizzazione – che fornisce le statistiche dei flussi migratori, esamina la situazione del lavoro e traccia delle tendenze maggiori. In particolare: sempre più donne lasciano il proprio paese d’origine (ma solo il 60% delle immigrate tra i 15 e i 65 anni ha un lavoro, più spesso degli uomini non qualificato); le regioni del mondo che si abbandonano di più sono i paesi dell’est europeo (Russia e Ucraina in testa), America del Sud e Cina; gli immigrati rappresentano più del 10% della popolazione totale in diversi paesi dell’ Ocse. Con 2 milioni 400 mila stranieri nel 2004, l’Italia resta la meta privilegiata di albanesi, marocchini e soprattutto rumeni. Secondo l’Ocse la maggior parte di questi immigrati tende a fermarsi a lungo nel nostro paese. Molti sono quelli che vi fondano una famiglia: è infatti aumentato del 42% il numero di bambini stranieri – di genitori entrambi stranieri – nati in Italia. Il numero di immigrati in situazione irregolare tende invece a diminuire in Italia. Circa 320 mila nuovi permessi di soggiorno sono stati assegnati per la prima volta nel 2004, mentre sono in tutto 650 mila quelli assegnati dal 2002. Meno clandestini arrivano sulle coste meridionali della penisola: nel 2004 sono stati 14 mila, 10 mila di meno rispetto al 2002. D’altronde la maggior parte degli stranieri che si installano in Italia svolge un’attività regolare (spesso stagionale). Molti sono quelli che si mettono in proprio (+18%), mentre solo il settore dei lavori domestici continua ad attirare gli irregolari (nonostante le regolarizzazioni del 2002). Le ragioni per partire possono essere molteplici, ma sono in tutto il mondo le stesse. Anche se la mobilità degli studenti è in crescita (per i quali le mete privilegiate sono Francia, Germania, Australia, Nuova Zelanda e Giappone), per molti il lavoro resta il motivo principale per lasciare il proprio paese.

Immigrazione
Sondaggio Ap-Ipsos: per gli italiani gli immigrati sono gran lavoratori
Il risultato di una ricerca condotta a livello mondiale

NEW YORK, 6 giugno – Gli italiani considerano i cittadini immigrati dei gran lavoratori. E’ quanto emerge da un sondaggio Ap-Ipsos condotto fra il 1 e il 22 maggio in otto Paesi occidentali su un campione di 1.000 adulti per nazione.Il sondaggio conferma che in Italia la tendenza generale tende a evidenziare un atteggiamento verso l’immigrazione più favorevole oggi che non nei decenni scorsi. Per il 45% del campione italiano, dice il sondaggio, gli immigrati rappresentano una presenza positiva e hanno una buona influenza sulla situazione. Quasi equivalente, il 40%, la percentuale di chi la pensa esattamente al contrario. Solo per il 10%, inoltre, gli immigrati migliorano la comunità in cui vengono a vivere mentre il 22% tende a pensare che creino nuovi problemi. Sul fronte del lavoro il 40% pensa che gli immigrati lavorino più duramente degli italiani mentre il 45% pensa che lavorino almeno quanto i cittadini del paese.Molti italiani infine (il 41%) ritengono che gli immigrati siano più coinvolti degli ‘indigeni’ in attività criminose mentre solo il 14% pensa il contrario.
I risultati del sondaggio negli altri Paesi
GRAN BRETAGNA
Per il 48% dei britannici l’immigrazione ha una influenza positiva sul Paese contro il 43% che pensa il contrario. Il 25% dei sudditi di Sua Maestà ritiene inoltre che gli immigrati hanno maggiore tendenza alla criminalità degli autoctoni contro il 9% che pensa il contrario. Infine il 56% della popolazione ritiene che gli immigrati lavorino di più mentre il 44% pensa che non vi sia differenza.
FRANCIA
Un quarto dei francesi ritiene che gli immigrati siano più facilmente a rischio di attività criminali mentre per il 70% non riscontra una differenza rilevante. Il 50% della popolazione non pensa che gli immigrati lavorino di più degli autoctoni contro il 40% che afferma il contrario. Per quanto riguarda l’influenza, i più giovani e gli adulti con un alto livello di istruzione hanno la tendenza a definirla positiva.
GERMANIA
Più di un terzo dei tedeschi, il 35%, pensa che gli immigrati sono più proni alle attività criminali rispetto alla popolazione autoctona. Il 54% dei tedeschi ritiene inoltre che non lavorino di più del resto della popolazione. Per quanto riguarda l’influenza, per la popolazione giovane e con un alto livello di istruzione, è positiva.
SPAGNA
Gli immigrati hanno maggiore tendenza alle attività criminali rispetto alla popolazione locale per 4 su 10 spagnoli. La stessa percentuale pensa che lavorano di più degli spagnoli mentre circa il 50% ritiene che non vi sia differenza.
STATI UNITI
Il 52% degli americani ha una opinione positiva dell’influenza degli immigrati sul Paese contro il 46%. La popolazione più anziana ha tendenza a ritenere che gli immigrati siano più a rischio di farsi coinvolgere in attività criminali.Per due terzi della popolazione gli stranieri non lavorano più duramente del resto della popolazione.
CANADA
Il 75% dei canadesi ha un’opionione favorevole dell’influenza degli immigrati contro il 25%. Tre quarti della popolazione non pensa che gli immigrati abbiano maggiorre tendenza alla criminalità. Il 43% contro il 7% pensa che gli stranieri lavorano di più dei canadesi di nascita.
AUSTRALIA
Il 54% degli australiani ritiene positiva l’influenza degli immigrati sul loro Paese contro il 40% che sostiene il contrario. Secondo il 22% degli interpellati inoltre, gli immingrati sono più facilmente coinvolti in attività criminali contro l’8% che ritiene il contrario. Il 41% pensa infine che gli stranieri lavorino più duramente degli australiani mentre il 50% non ritiene che vi sia differenza.

Sul secondo decreto flussi, l’ombra di una ingiusta sanatoria
Riflessioni controcorrente su di una probabile nuova governance dell’immigrazione
Tirana, 2 giugno- Caro Dipartimento Politiche Migratorie della UIL, ho visto l’impegno che state mettendo nelle trattative Sindacato-Regioni e ho salutato con gioia le nuove aperture del dicastero Affari Sociali su clandestini, regolarizzazioni, CPT, asilo, quote, revisione della legge B/F.
Permettetemi alcune osservazioni personali (che voi potrete estendere negli incontri ufficiali) dal mio osservatorio albanese:
1) la regolarizzazione di tutti i richiedenti 2006 (di difficile accertamento sul vero possesso di lavoro, datore, alloggio, legalita’ della domanda) rischia di premiare chi e’ partito consapevole di violare la legge e di contare sulle sanatorie, sfiduciando chi aspetta di uscire in regola (perche’ non ci saranno nuove entrate), rendendo vana ogni forma di governo delle migrazioni nei Paesi di origine. Gli albanesi mi rimproverano tutti i giorni questa ingiustizia e ricorrono alle agenzie private che chiedono 2.500-3.000 euro per contratti benevoli o fasulli e "permessi" di 3-6 mesi, avvisando del rischio personale di successiva clandestinita’. Bisogna puntare sul metodo della domanda-offerta programmata, regionale, libera dalle quote e dai limiti temporali, operando selezioni e formazione mirata in Patria, o non usciremo mai dalla spirale: piu’ le regole e le speranze migratorie sono labili e piu’ aumenteranno le fughe caotiche per mare e per terra. Questo sistema potrebbe valere anche per le richieste di asilo o di aiuto umanitario (con piani sociali definiti) che, nel tempo, renda vano il ricorso ai Cpt o ai C.di Identificazione (vere speculazioni economiche sul bisogno immediato);
2) proporre il permesso di 6 mesi per ricerca lavoro (per altro gia’ sperimentato male nel 2003 dalla IOM-MdL italiano) e’ una pazzia: tutti chiederebbero di entrare e poi si perderebbero nel sommerso, perche’ gli uffici Impiego e le Questure non sono in grado di monitorare se non adottando il collare magnetico! Dove andranno i richiedenti, da amici e parenti? Come si sostengono se non trovano subito occupazione? Chi li indirizza? Chi li fa ritornare in caso di insuccesso (tutto da accertare) e a quali costi?
3) La questione legale sollevata da Pisanu, per quanto garantista, e’ fondata: l’ Europa non puo’ accettare maglie larghe in Italia sulle opportunita’ di ingresso per lavoro, sia perche’ sono necessarie normative omogenee e convergenti (gia’ richieste dal Consiglio agli stati membri), sia perche’ e’ notorio che il nostro e’ un Paese di transito per africani, medio orientali ed asiatici diretti in centro Europa. Riusciremo a controllare il flusso?
Piu’ che magnanimità, dunque, serve razionalita’ e chiarezza di prospettive: i diritti-doveri umani valgono per chi emigra, ma anche per quelli che decidono di restare e lottare per lo sviluppo dei loro Paesi poveri (e per questi facciamo poco), per chi deve o vuole ritornare a casa, per quanti vogliono formarsi da noi, per i cervelli rubati al sottosviluppo e per i laureati che non intendono risarcire il privilegio ricevuto. Il lavoro e’ immenso, se lo si guarda dalle due sponde.
Mime Ruffato Coordinatore Interreg Svilma di Veneto Lavoro – Tirana (Albania)
Nuove normative in Ue
Francia: in arrivo la sanatoria limitata
Il ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy ha annunciato che non espellerà dal Paese gli studenti figli di immigrati in situazione irregolare e i loro genitori.
PARIGI, 7 giugno – Mentre la socialista Segolene Royal va a pescare nell’ elettorato popolare, di destra, con le sue proposte contro la delinquenza giovanile e contro la legge Aubry sulle 35 ore, il campione della destra, Nicolas Sarkozy, interviene su una questione su cui la sinistra è sensibile, annunciando che non espellerà dalla Francia gli studenti figli di immigrati in situazione irregolare e i loro genitori. Ma – avverte il ministro dell’ interno – non si tratta di una regolarizzazione di massa, ma di interventi caso per caso. I prefetti potranno concedere il soggiorno a quelle famiglie di bambini nati in Francia o arrivati "in tenera età" e che non parlano la lingua del loro paese d’ origine. Sarkozy, presentando al Senato il suo progetto di legge sull’ immigrazione – "che deve essere scelta e non subita" – già passato nell’ altro ramo del Parlamento, ha escluso una regolarizzazione sistematica dei clandestini, per evitare – ha detto – che sia sufficiente "entrare illegalmente in Francia e di mandare a scuola un figlio" per avere il permesso di soggiorno. Quella degli studenti, figli di immigrati illegali, è una "questione difficile", ha sottolineato il ministro, e che richiede "una risposta equilibrata". "Non dobbiamo incoraggiare le filiere d’ immigrazione irregolare – ha aggiunto – ma c’ è un dovere d’ umanità". Il ministro ha quindi chiesto ai prefetti di non procedere, prima della fine della scuola, cioé il 30 giugno, all’ allontanamento degli stranieri che hanno figli studenti. Da una parte, queste le indicazioni di Sarkozy, i prefetti potranno proporre alle famiglie interessate "un aiuto al ritorno volontario" nel proprio paese, cioé una somma di 3.500 euro a coppia e 1.000 euro a figlio", dall’ altra potranno "considerare di rilasciare un permesso di soggiorno a certe famiglie immigrate in situazione irregolare per questioni umanitarie". Secondo il ministero dell’ interno, le famiglie interessate da questa regolarizzazione potrebbero essere 720, cioé complessivamente circa 2.500 persone. Una cifra giudicata insufficiente dalle associazioni umanitarie e dalla Rete educazione senza frontiere, secondo le quali la misura annunciata dal ministro non riguarda che il 2% degli studenti senza documenti. Ma resta un gesto, quello di Sarkozy, "umanitario", come l’ ha definito, fatto anche per compensare la sua immagine di primo poliziotto di Francia – come ministro dell’ interno – e di inflessibile custode della sicurezza pubblica.
Temi sui quali è intervenuta, provocando forti polemiche soprattutto a sinistra, anche Segolene Royal, che ha invocato "un pugno di ferro". Sarkozy e Royal aspirano tutti e due ad essere investiti dai loro rispettivi partiti – Ump e socialisti – per le elezioni presidenziali del prossimo anno e vanno a caccia di tutti i potenziali elettori, a destra e a sinistra. I due continuano a godere della fiducia dei francesi ed arrivano testa a testa ormai da mesi nei sondaggi. L’ ultimo, realizzato dall’ istituto Ifop per Paris Match, mostra la parlamentare socialista vincente contro il ministro: 51% a 48%.

Rinnovi alle Poste
Pronti i moduli per le domande
Ma gli uffici postali non possono ancora distribuirli. Manca solo il via libera del Viminale
ROMA, 5 giugno – Tutto pronto per trasferire i rinnovi dei permessi di soggiorno dalle Questure agli uffici postali. Poste Italiane sta inviando a tutti i suoi sportelli i moduli a lettura ottica necessari per presentare le domande e si attende solo il via libera del Viminale (un decreto? una circolare?) per partire. Inutile precipitarsi negli uffici postali per sapere di più. Gli impiegati non sono ancora autorizzati a distribuire i moduli e non hanno altre informazioni rispetto a quelle pubblicate finora. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, facciamo un piccolo riassunto. Un accordo siglato ormai diversi mesi fa tra Ministero dell’Interno e Poste Italiane prevede di spostare dalla Questura all’ ufficio postale la presentazione della domanda di rinnovo. Questa andrà compilata su moduli a lettura ottica, inserita in una busta prestampata simile a quelle dei flussi 2006, e quindi spedita per assicurata. Poste invierà i dati contenuti nella domanda al Ministero dell’Interno, che a sua volta sarà collegato telematicamente con la Questura competente. Questa verificherà se chi ha presentato domanda ha diritto al rinnovo e quindi lo convocherà per il rilascio del permesso. Eventuali integrazioni alla domanda andranno presentate ancora attraverso gli uffici postali. Solo in alcune città, grazie a un altro accordo stretto tra Ministero dell’Interno e Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), le domande non si presenteranno alle Poste, ma presso gli sportelli del Comune. I dubbi sulla procedura sollevati da alcuni Comuni coinvolti potrebbero però allungare i tempi per la partenza di questa sperimentazione. II nuovo servizio, come è stato confermato da due decreti emanati il mese scorso, costerà a chi presenta domanda una settantina di euro: 30 andranno a Poste Italiane, 14,62 serviranno per il bollo da allegare alla domanda, altri 27,50 per la stampa del nuovo permesso di soggiorno elettronico, che entro l’anno dovrebbe sostituire i fogli azzurri gelosamente custoditi da tre milioni di stranieri in Italia. La data di partenza del nuovo sistema era prevista inizialmente per l’8 maggio, poi è stata spostata al 22 e quindi rinviata ulteriormente, a quanto pare perché Poste non era ancora in grado di assicurare il servizio. Insieme alla stampa dei moduli, un’ulteriore conferma che la partenza sia imminente arriva da Messina, dove sarà attivo uno dei cinque centri servizi di Poste Italiane che digitalizzeranno le domande. "Fino al mese scorso non avevamo più notizie sulla partenza di Eli 2 [così Poste ha chiamato il nuovo servizio n.d.r.], tanto che avevamo anche presentato un documento di protesta all’azienda. Adesso però pare che tutto sia sbloccato" dice Gisella Schillaci, segretario provinciale dell’SLP, il sindacato dei lavoratori postali della Cisl. "Sono stati individuati e attrezzati i locali – spiega la sindacalista – e c’è una graduatoria dei cento lavoratori che vi saranno impiegati, tutti provenienti da lavorazioni che l’azienda stava dismettendo e che quindi rischiavano di finire in mobilità. Potremmo partire già nei prossimi giorni".

La scuola pubblica non favorisce l’apprendimento delle lingue straniere
Un’indagine del Censis rivela l’insoddisfazione degli italiani rispetto alla formazione linguistica promossa dalla nostra scuola
Lo studio, condotto dal Censis, è stato realizzato nell’ambito del progetto Let it Fly ed è stato finanziato dal Fondo Sociale Europeo. Le rilevazioni del Censis, ad un’analisi immediata, sembrano positivil. Il 66,2 per cento degli italiani sostiene, infatti, di conoscere le lingue, una percentuale sensibilmente più alta di quella attesa. Di fronte alla domanda sulla effettiva capacità di usare la lingua straniera conosciuta, però, la sicurezza si dissolve. Il 50,1 per cento degli intervistati, infatti, definisce solo “scolastico” il proprio grado di preparazione, appena il 23,9 per cento lo giudica “buono” e un esiguo 7,1 per cento lo valuta come “molto buono”. Relativamente alla distribuzione nazionale del dato, il Centro dell’Italia rientra nella media (66,9 per cento), il Sud e le Isole si attestano invece al di sotto della media nazionale (63 per cento), mentre le regioni del Nord-Ovest (67,5 per cento) e del Nord-Est (69,3 per cento) si collocano a livelli leggermente più alti. La stragrande maggioranza degli intervistati dichiara di conoscere l’inglese (53,5 per cento), seguito dal francese (37,1 per cento), dal tedesco (4 per cento) e dallo spagnolo (2,8 per cento). Per quanto concerne la nostra lingua, è la quinta "straniera" parlata in Italia (2,1 per cento) poiché utilizzata dai cittadini stranieri che risiedono nel nostro Paese o dalle persone appartenenti a minoranze linguistiche. Il 33,8 per cento delle persone intervistate ha dichiarato di non sapere parlare alcuna lingua straniera. Per quanto riguarda il numero di lingue conosciute, in Italia, il 42,1 per cento ne parla solo una; il 18,9 per cento due. Il 4,2 per cento della popolazione nazionale parla tre lingue. Nel Centro Italia si rileva comunque l’1,7 per cento di persone che conoscono ben quattro lingue. In generale è nelle fasce della popolazione più giovane ed erudita che si registra la quota più elevata di persone che dichiarano di conoscere almeno una lingua, mentre via via che si sale con l’età, l’analfabetismo linguistico cresce. Chi è responsabile di questa situazione? Oltre la metà della popolazione intervistata punta il dito contro la scuola pubblica, dal momento che rappresenta il principale e spesso esclusivo canale di formazione linguistica. Secondo l’opinione del 55,9 per cento della popolazione italiana, infatti, lo studio delle lingue a scuola è ritenuto scarso o gravemente insufficiente, risulta adeguato solo secondo il 32,6 per cento del campione. L’indagine Censis rileva dati piuttosto scoraggianti anche sulla futura diffusione delle lingue straniere in Italia. Nonostante il 68 per cento degli intervistati si mostri convinto dell’importanza delle lingue per promuovere il proprio successo lavorativo, non manifesta una forte motivazione a imparare una lingua straniera in futuro. Più della metà della popolazione non ha alcuna intenzione di farlo.
di Alessandra Muschella

Tratto da Gente Veneta , no.23 del 2006
"Diamo agli immigrati cittadinanza e voto"
di Patrizia Caiffa

Tra gli stranieri in Italia è boom di nuovi nati (55-60.000 nascite sono stimate per il 2006) ma sono «incomprensibilmente esclusi dal bonus bebè». Il ritmo d’aumento annuale, su 3 milioni di presenze attuali, è di circa 325.000 l’anno, tanto che l’Italia, tra 10 anni, con 6 milioni d’immigrati, diventerà il secondo Paese di immigrazione in Europa dopo la Germania. Eppure il meccanismo d’ingresso a chiamata nominativa dall’estero è «velleitario, inconcludente ed esso stesso causa dell’espansione dell’irregolarità». Per questo Caritas e Migrantes chiedono con urgenza «la reintroduzione della possibilità di venire in Italia per la ricerca del posto di lavoro, al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta», come pure «il superamento dell’antiquata legge sulla cittadinanza e l’attribuzione del diritto di voto amministrativo». Dati e richieste sono contenuti nelle anticipazioni del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes 2006, presentato nei giorni scorsi a Roma. Mons. Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana ha citato le proiezioni di Eurostat sulla popolazione europea nel 2050. Dagli attuali 456.815.000 di abitanti, ha ricordato mons. Nozza, nel 2050 si avrà una diminuzione di 7 milioni di unità «che sarebbe di 58 milioni se non entrassero nuovi immigrati». Una diminuzione che «si verificherà in buona misura in Italia, dove la popolazione scenderà da 57.888.000 a 52.709.000».
Nel 2005 ingressi al 44% di europei. In Italia i flussi del 2005 hanno riguardato, per il 44,5%, cittadini europei (la Romania è il primo Paese con 42.322 visti) e per un altro quinto cittadini americani, questo «a temperare le paure di invasione da parte di gruppi non omogenei alla nostra civiltà», commentano i curatori del Dossier. L’Asia (47.000) e l’America (41.000) sono infatti i continenti con più nuovi ingressi dopo l’Europa, mentre l’Africa con 36.000 visti nel 2005 è diventata minore protagonista dei flussi rispetto agli anni ’80. Dopo la Romania si collocano l’Albania (25.530 visti), gli Stati Uniti (20.231), il Marocco (17.343) e la Cina (13.621). Caritas e Migrantes lamentano «una indubbia frattura tra il mercato formale e quello reale espresso dalle aziende e dalle famiglie» e giudicano ironicamente il decreto flussi «un decreto che costringe al riflusso», visto che «le domande presentate riguardano per la maggior parte persone già presenti in Italia e pronte, una volta accettata la loro domanda, a ritornare nel loro Paese per ottenere il visto». Tra i motivi di ingresso, su un milione di visti rilasciati nel 2005, di cui oltre la metà per turismo, 224.000 sono visti per inserimento, non solo per lavoro e ricongiungimento familiare (89.931 più 3.964 per familiari al seguito), ma anche per studio (26.619) e motivi religiosi (2.795). I 5000 visti richiesti da ragazzi stranieri per studiare nelle università italiane nel 2005 dimostrano invece «l’insufficiente grado di internazionalizzazione dell’Italia in quest’ambito», con cifre di gran lunga inferiori a quelle di Germania, Gran Bretagna e Francia. Il baby boom straniero. Le nuove nascite da genitori stranieri sono passate dalle 8.000 all’inizio degli anni ’90 alle 22.000 del 1999 fino alle 48.384 nel 2005. Caritas e Migrantes stimano per l’anno in corso 55-60.000 nascite ma denunciano anche «l’incomprensibile esclusione dal bonus bebè degli immigrati», nonostante siano considerati «un provvidenziale anche se temporaneo rimedio a livello demografico».
Cittadinanza e voto. Tra le decisioni politiche che «non vanno nell’indirizzo auspicabile» i curatori del Dossier citano «l’aver indebitamente assolutizzato la chiamata nominativa dall’estero come unica modalità d’ingresso. Vent’anni di osservazione del fenomeno – commentano – consentono di definire questa impostazione come velleitaria, inconcludente ed essa stessa causa dell’espansione dell’irregolarità, mentre urge la reintroduzione della possibilità di venire in Italia per la ricerca del posto di lavoro al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta». Anche perché «l’estrema flessibilità attuale dei posti di lavoro mal si compone con la rigida normativa sul contratto di soggiorno». Caritas e Migrantes invocano «una nuova mentalità non discriminatoria e il coraggio di procedere alle riforme necessarie, tra le quali sicuramente vanno incluse il superamento dell’antiquata legge sulla cittadinanza e l’attribuzione del diritto di voto amministrativo, senza più considerare uno spauracchio questa conquista civile, altrove sperimentata positivamente da anni».

da Stranieri in Italia.it
Il sottosegretario Lucidi: "Superiamo i Cpt"
"Il governo ha in mente di varare una nuova disciplina globale dell’immigrazione che superi la Bossi-Fini"
Roma, 13 giugno – "L’obiettivo politico" che tutto il centrosinistra si è dato è "il superamento dei Centri di permanenza temporanea". Lo ha detto il sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi intervenendo questa mattina al programma di Radio 24 ‘Viva voce’, sottolineando che "in questi anni abbiamo assistito ad una degenerazione funzionale e strutturale dei Centri". Tre i punti su cui, secondo Lucidi, bisogna concentrare l’attenzione: "Ridurre il bacino d’utenza, ridurre la durata del trattamento, favorire una permanenza umana". Punti che saranno approfonditi dalla Commissione varata nei giorni scorsi che a sua volta "lavorerà per fare delle proposte che ci consentano un ragionamento ai fini di un intervento normativo nella prospettiva del superamento che ci siamo posti come obiettivo". Il sottosegretario all’Interno ha ricordato che la Commissione nei prossimi mesi si occuperà di visitare i centri di permanenza presenti sul territorio italiano per verificare le condizioni di vita che ci sono all’interno e avanzare delle proposte. Spetterà poi al governo valutarle e scegliere le più adeguate. Resta comunque la necessità, ha sottolineato ancora Lucidi, che i Centri "diventino luoghi più aperti sia alla partecipazione esterna sia alla visibilità". Il sottosegretario ha anche ribadito che il governo ha in mente di varare una nuova disciplina globale dell’immigrazione che superi la Bossi-Fini. "Dobbiamo predisporre una normativa – ha spiegato – che tenga conto che non si tratta più di un fenomeno emergenziale bensì strutturale, e preso atto che la Bossi-Fini ha concentrato tutto l’intervento sull’immigrazione in una logica restrittiva e repressiva, che ha considerato gli immigrati solo come forza lavoro e ha concentrato il suo impegno sull’esclusione e non sull’inclusione". Come esempi il sottosegretario ha citato l’assenza di leggi sul voto amministrativo agli immigrati, sul diritto d’asilo e sulla revisione della cittadinanza."Per governare l’immigrazione – ha concluso Lucidi – noi ci proponiamo di fare una legislazione in cui diventi positivo per l’immigrato entrare nella legalità e rimanere in Italia nella legalità".

Centri di permanenza temporanea
Immigrazione: ecco come funzionano le 18 strutture presenti in Italia
da Aduc.it

Roma, 5 giugno – Strumenti indispensabili o lager? Vanno chiusi o trasformati? I cpt, centri di permanenza temporanei, istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano, modificata poi dalla Bossi-Fini due anni fa, tornano al centro delle polemiche, dopo la rivolta scoppiata sabato scorso nella struttura di Torino, dopo che uno degli ospiti aveva cercato di aprirsi un varco nella recinzione e fuggire. In grado di accoglierre 2.552 persone, i centri disclocati lungo la penisola, preposti ad ospitare gli immigrati clandestini, trovati o arrivati illegalmente nel nostro Paese, e trattenuti perche’ privi del permesso di soggiorno, sono in tutto 18. La mappa geografica che segna la loro suddivisione, per citta’ e numero di posti disponibili, puo’ essere cosi’ sintetizzata: Torino (78); Milano (140); Roma (300); Napoli (54); Caltanissetta (96); Agrigento (110); Lampedusa (190); Ragusa (60); Pordenone (180); Bologna (95); Modena (60); Brindisi (180); Catanzaro (75); S. Foca (Lecce), (180); Otranto (75); Crotone (129). Le ultime strutture nate sono: Bari (300) e Gradisca D’Isonzo (Go), (250). Se non e’ possibile accertare l’identita’ di uno straniero, questo viene trattenuto nei cpt fino ad un massimo di 60 giorni (prima della legge Bossi-Fini erano 30). Quanto ai ricorsi la legge del 2004 ne ha affidato la competenza ai giudici di pace, il cui bilancio a due anni dal via all’ applicazione della normativa non sembra roseo. Al punto che anche loro ne chiedono una revisione. Nei Cpt i clandestini vengono raccolti in stato di o ”trattenimento” e non di detenzione. La mancanza del permesso di soggiorno risulta infatti essere un illecito amministrativo e non e’ qualificabile come reato. In tal senso, l’iter previsto dal legislatore per l’espulsione di un clandestino prevede che il questore comunichi al prefetto il fermo dello straniero senza permesso di soggiorno; che il prefetto emetta il provvedimento di espulsione, che viene notificato dal questore al soggetto interessato. Quest’ultimo puo’ opporre ricorso rivolgendosi al giudice di pace, chiamato a decidere entro 20 giorni. Se non e’ possibile arrivare a scoprire l’identita’ dello straniero, il clandestino viene trattenuto nel Cpt fino quando la Questura non vi risale, entro un massimo di 60 giorni; il trattenimento rappresenta una limitazione alla liberta’ personale e necessita di una convalida dell’autorita’ giudiziaria. Quindi, il prefetto chiede la convalida del trattenimento al giudice territorialmente competente e quest’ultimo e’ tenuto ad ascoltare lo straniero interessato e a confermare il provvedimento nelle 48 ore successive. La spesa e’ ingente e pochi sono risultati. E’ questo che segnalano i Giudici di Pace che in questi anni si sono occupati dei ricorsi degli immigrati. ”Alla luce della nostra esperienza possiamo affermare con certezza di avere serie perplessita’ sulla normativa vigente”, ha dichiarato all’ADNKRONOS Gabriele Longo, Segretario Generale dell’Unione Nazionale dei Giudici di Pace, commentando le polemiche seguite al caso di Torino. ”Non siamo convinti -ha spiegato- dell’intero funzionamento della normativa: e’ simbolico il fatto che gran parte dei provvedimenti e dei ricorsi riguardino immigrati clandestini che risiedono, illegalmente, ormai da anni in Italia”. Insomma, l’ impressione dominante e’ che ”l’intero apparato, cosi’ come strutturato, sia di dubbia utilita’ anche in virtu’ delle spese accessorie che i procedimenti comportano: dai costi di cancelleria, a quelli dei pubblici ufficiali, fino agli avvocati difensori dei clandestini”. ”Il provvedimento di convalida e il ricorso -ha spiegato- richiedono assistenza legale, o attraverso un avvocato d’ufficio o di uno di fiducia, e l’utilizzo di un interprete della lingua madre dello straniero; quindi, dopo che il clandestino impugna il ricorso, s’instaura un vero e proprio contraddittorio che si conclude con una nostra pronuncia sul ricorso”. Sulla possibilita’ che la normativa vigente subisca delle modifiche, o che venga completamente riformata, Longo, a nome della sua categoria, ha sottolineato di ”non rivendicare alcuna competenza sui ricorsi dei clandestini”.”Se quindi il legislatore decidesse di far fronte alle problematiche annesse, attribuendo la competenza al giudice togato, da parte nostra non ci sarebbe alcuna obiezione”, ha sottolineato come per altro ”la mole di lavoro, sia per la convalida che per il ricorso, sia costantemente aumentata rispetto a quella che aveva il giudice civile”. ”Inoltre – ha osservato – i Giudici di pace che si occupano di tali questioni sono un manipolo ancora piu’ ridotto rispetto all’organico normale; a queste problematiche vanno ad aggiungersi quelle strutturali: basti pensare che la sede romana dell’ufficio per i clandestini dista dalla normale sede dei gdp, e che risulta priva dei piu’ basilari mezzi organizzativi”. ”Cosi’ come sono strutturati i centri -ha proseguito- non rispondono alle esigenze reali; sarebbe quindi necessario realizzare un loro ampliamento, in modo da facilitare la permanenza degli immigrati. Inoltre bisogna riflettere sull’aspetto del rimpatrio dei clandestini: in diversi casi, l’Italia non ha vicino ai suoi confini le nazioni da cui sono immigrati gli stranieri; viene cosi’ a concretizzarsi un ulteriore problema reale, quello di avere la piena disponibilita’ di un vettore, che accompagni gli stranieri nei loro paesi d’origine piu’ lontani, e con una frequenza tale da velocizzarne il deflusso”. ”I Cpt non sono delle carceri, ma luoghi che devono offrire un’accoglienza civile, con strutture necessarie non alla sopravvivenza, quanto alla permanenza dei clandestini. Non so, se quanto successo nel centro di Torino – conclude – sia riconducibile ad un vero e proprio sentimento di rivolta e alla voglia di fuga, o quanto invece sia legato alle basse condizioni di sopravvivenza dei clandestini al suo interno. Pur coscienti della finalita’ della normativa, individuabile nella sicurezza per tutti i cittadini, e’ necessario comunque garantire ai clandestini la massima tutela delle liberta’ personali e dell’umanita”’.

Ma come parli quando parli straniero? Gli italiani studiano le lingue straniere ma di parlarle…
Lingue: gli italiani le studiano ma oltre la metà non le sa parlare
di Rosaria Amato (Repubblica.it, 30 Maggio 2006)

Conoscono le lingue, ma non le parlano. Sembra questo il risultato di un’indagine che il Censis ha presentato nei giorni scorsi a Roma, realizzata per il progetto Let it Fly, finanziata dal Fondo Sociale Europeo. Le rilevazioni del Censis sembrerebbero infatti a prima vista positivi: il 66,2% degli italiani sostiene infatti di conoscere le lingue, una percentuale certo più alta di quella che ci si potrebbe aspettare. Ma poi, alla domanda sulla effettiva capacità di usare la lingua straniera conosciuta, la sicurezza scompare: infatti ben il 50,1% degli intervistati ritiene scolastico il proprio grado di preparazione, solo il 23,9% giudica il proprio livello buono e solo il 7,1% lo valuta come molto buono.
Il Sud sotto la media nazionale. Al Centro (66,9%) il dato sulla conoscenza delle lingue è allineato con quello nazionale, al Sud e nelle Isole scende sotto la media nazionale (63%), per confermarsi invece a livelli più alti nelle regioni del Nord-Ovest (67,5%) e del Nord-Est (69,3%).
In testa l’inglese. Non sorprende il fatto che la maggior parte degli intervistati dichiari di conoscere l’inglese (53,5%), in particolare al Centro (57,2%) e al Sud (54,7%), seguito dal francese (37,1%), molto apprezzato nelle regioni del Nord-Ovest (43%), dal tedesco (4%) e dallo spagnolo (2,8%), in misura molto esigua.
Una curiosità: l’italiano è la quinta lingua ”straniera” parlata in Italia (2,1%) poiché utilizzata dai cittadini stranieri che risiedono nel nostro Paese o dalle persone appartenenti a minoranze linguistiche.
Un terzo non parla alcuna lingua straniera. Il 33,8% delle persone intervistate ha dichiarato di non sapere parlare alcuna lingua straniera (nel Sud e nelle Isole la percentuale è del 37% mentre nel Nord-Est è del 30,7%).
Meno del 20% parla due lingue. Per quanto riguarda il numero di lingue conosciute, in Italia, il 42,1% ne parla solo una; il 18,9% degli abitanti parla due lingue, nel Nord-Est è il 24,2% e nel Nord-Ovest il 19%. E a fronte di un 4,2% nazionale di persone che parlano tre lingue, nel Nord-Ovest sono il 6%. Nel Centro si rileva però un 1,7% di persone che conoscono quattro lingue, oltre alla lingua madre, contro l’1% della media nazionale. In generale è nelle fasce della popolazione più giovane e istruita che si registra la quota più elevata di persone (91,4%) che dichiarano di conoscere almeno una lingua, mentre più si sale con l’età, maggiore è l’analfabetismo linguistico: il 56,5% dei pensionati e il 52,3% delle casalinghe, infatti, non conosce nessuna lingua.
La scuola sotto accusa. A dimostrare ancora di più che la preparazione linguistica di quel 66,2% degli italiani che dichiara di conoscere le lingue è piuttosto relativa, c’è il giudizio dato sulla preparazione fornita dalla scuola pubblica, che rappresenta il principale e spesso unico canale di formazione linguistica. Ebbene, secondo l’opinione del 55,9% della popolazione italiana lo studio delle lingue a scuola è ritenuto scarso o gravemente insufficiente, mentre è adeguato secondo il 32,6% del campione. E infatti quando si tratta di dover valutare il proprio livello di conoscenza, almeno della prima lingua straniera, la situazione cambia decisamente. Ben il 50,1% degli intervistati infatti ritiene "scolastico" il suo grado di preparazione linguistica, soprattutto al Sud e nelle Isole (53%), e il 19% lo valuta "di base", in particolare nel Nord-Est (21,8%). Solo il 23,9% giudica il proprio livello "buono" e il 7,1% "molto buono".
Uso ”sporadico”. E, poiché in realtà gli italiani non conoscono le lingue straniere, le usano poco. Il 56,9% di coloro che parlano una lingua straniera sfrutta tale conoscenza per "fare viaggi all’estero", e il 35,4% per "relazionarsi con amici e parenti". Solo il 28,5% degli italiani sfrutta la conoscenza delle lingue per leggere libri/quotidiani/riviste o guardare dei film (26,5%); mentre il 25,9% è facilitato nell’uso di Internet. L’ambito lavorativo non sembra conciliarsi con l’utilizzo delle lingue, poiché riguarda solo una minoranza di persone (28,6%).
Tra il dire e il fare… L’indagine Censis rileva dati piuttosto scoraggianti anche sulla futura diffusione delle lingue straniere in Italia. Infatti nonostante il 68% degli intervistati sia convinto dell’importanza delle lingue per migliorare il proprio successo lavorativo, sia in termini di ricerca del lavoro che di possibilità di carriera, non c’è una forte motivazione a imparare una lingua straniera in futuro. Oltre la metà (52,9%) della popolazione infatti non ha alcuna intenzione di farlo, il 25,2% probabilmente non lo farà, mentre solo il 4% è spinto da una forte motivazione e il 17,9% forse lo farà.

 

 

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