1662 Uno sguardo sul mondo. Parla Giulietto Chiesa

20060624 09:50:00 webmaster

intervista a cura di
Angelo D’Addesio

Iniziamo dagli avvenimenti di recente data. Lei ha scritto che in Ucraina Yushenko ha perso perché non era rivoluzionario per niente. In Kirghizistan Felix Kulov e Kurmanbek Bakiev (il primo ex alleato e poi fatto incarcerare dal deposto presidente Akaiev), rispettivamente primo ministro e presidente, sono bersaglio di proteste immani. Cosa significa ciò? Che nell’ex URSS chi si professa rivoluzionario e democratico in fondo ha sempre un sangue sovietico che lo coinvolge e diventa ben presto un piccolo dittatore viziato?

Non ho scritto che Yushenko ha perso perché non era rivoluzionario. La “rivoluzione arancione” altro non era che vernice per imbiancare un sepolcro. Yushenko era ed è parte dell’oligarchia che ha gestito il passaggio al capitalismo selvaggio in Ucraina. Ha semplicemente cavalcato male una genuina protesta popolare contro la corruzione, mescolata a un odio diffuso antirusso, nelle regioni occidentali dell’Ucraina. Yushenko non ha portato più democrazia, né benessere. Non poteva reggere con il solo aiuto occidentale, che c’è stato e massiccio.

Lei ha parlato chiaro contro tutte le opinioni di osservatori internazionali, dicendo che Lukashenko ha vinto perché ha reale consenso popolare. Non è strano però che chi ha consenso popolare senta il bisogno di chiudere domini internet, giornali, di arrestare leader dell’opposizione o di movimenti universitari? È convinto che non sia una semi-dittatura?

Non è affatto strano per chi si è formato nel regime sovietico. È una semi dittatura, come lo è in Russia quella di Putin (che pure è considerato, anzi era, amico dell’Occidente). Lukashenko ha consenso perché ha rifiutato il passaggio al capitalismo come è avvenuto in Russia e Ucraina. I bielorussi non sono né ciechi né scemi. Vedono quello che è successo nei paesi vicini, e non lo gradiscono per sé. Parlo della grande massa popolare, che vota Lukashenko. Non degli intellettuali che vanno a prendere le borse di studio a Washington e Cambridge o nelle università polacche ed “europee” in generale. Loro vorrebbero fare come a Mosca. Per loro andrebbe bene così. Ma per un operaio bielorusso, che ha l’assistenza sanitaria gratuita, la scuola (buona) gratis, una pensione decente, i costi dell’affitto irrisori, il modello Kiev o Mosca non va nient’affatto bene. Certo, Lukashenko non sa gestire l’informazione e reprime i dissidenti (che sono una minoranza). Fa male, malissimo. Bisogna solo riconoscere, però, che l’Occidente ha mezzi molto accattivanti, e molto ingannevoli, per convincere che è migliore. Se apri la via alla penetrazione delle cosiddette organizzazioni non governative, cariche di milioni di dollari o di euro, provenienti da fondazioni straricche, dovresti avere altrettanti mezzi per contrastare la loro azione propagandistica. Lukashenko non ha né i milioni di dollari, né i quadri politici e culturali per difendersi. Chiude e spranga le porte. Fa male? Per non farlo bisognerebbe che la sovversione dall’esterno cessasse e i cittadini bielorussi fossero messi in grado di non subire martellamenti propagandistici da un parte e dall’altra. Sfortunatamente in Europa c’è un sacco di gente che invece vuole dettare ai bielorussi come dovranno vivere nei prossimi decenni. Esattamente come fu fatto con i russi, che ora, in maggioranza, soffrono di nostalgia.

Torniamo nel cuore dell’Europa. In Germania fra centro-destra e sinistra è stato pareggio. In Italia idem. Come vede la situazione francese? Le destra di Chirac è in crisi disastrosa, ma la sinistra anche lì vive di invidie e divisioni. È una sindrome europea, quella della divisione per l’Italia?

Io penso che la democrazia occidentale sia in preda a una crisi epocale. Quella europea non lo è meno. La globalizzazione porta al potere le tecnocrazie, che sono al servizio delle multinazionali e che impongono scelte antipopolari. Ma il sistema dell’informazione comunicazione impedisce alle grandi masse di orientarsi. Il “centrismo” degli elettorati non è un effetto naturale, è il risultato della manipolazione delle menti.

Capitolo Medio Oriente. Fra crisi nucleare di Teheran, guerra pseudo-civile in Iraq e vittoria di Hamas in Palestina, è pensabile che gli USA potranno preparare una futura mobilitazione contro i cosiddetti “Stati canaglia” oppure si tratterà ad oltranza?

Gli Stati Uniti si stanno preparando ad attaccare militarmente l’Iran e lo faranno presto, se non saranno impediti dalla comunità internazionale. Ma il vero nemico che gli USA stanno prendendo in considerazione è la Cina. A questo è finalizzato il loro impressionante riarmo in corso.

Quale il ruolo dell’Europa ed in particolare dell’Italia nelle triplici questioni sopra ricordate? Ed in particolare può dirci quali dovrebbero essere tre punti fermi nella politica estera del prossimo governo?

L’Europa può, se vuole, influire sulle scelte americane, per moderarle. Il problema è che l’Europa si fa trascinare dagli USA invece di frenarli. Il prossimo governo italiano dovrebbe decidere il ritiro immediato dall’Iraq, e dovrebbe dichiarare in anticipo che, in caso di attacco militare all’Iran, l’Italia non accetterà in alcun modo di farsi coinvolgere. In campo europeo il governo italiano dovrebbe promuovere un dibattito molto ampio sul ruolo mondiale di pace e di dialogo, con Cina, India, America latina, Africa, per una strategia pacifica e comune per l’uso delle risorse del pianeta.

Una provocazione, per passare ad un altro lato del mondo. Meglio l’imperialismo USA con privatizzazioni, mezzi aiuti ai gruppi ribelli (tipo paramilitari AUC in Colombia, che in cambio del disarmo ora sono arruolati a fianco del presidente Uribe), boicottaggi di candidati scomodi oppure il populismo incoerente, amico del popolo, ma avido di petrolio e giochi finanziari che ha preso piede in Venezuela, Brasile, Bolivia, forse Perù?

Non condivido per niente il giudizio sul presunto “populismo incoerente” di personaggi come Chavez, in Venezuela, e di Evo Morales in Bolivia. L’America Latina sta cominciando una nuova fase democratica, che avrà pure errori, ma che rappresenta un balzo avanti di emancipazione dei popoli. Il fatto che vogliano gestire le loro ricchezze lo trovo non solo naturale, ma giusto. Quanto alla coerenza, e alla lungimiranza, bisognerebbe vedere quanta ne hanno e ne hanno avuto le grandi compagnie petrolifere, che hanno depredato per decenni questi paesi senza nemmeno curarsi di distribuire decentemente una piccola parte dei profitti ai loro abitanti.

A novembre le elezioni di mid-term (quelle a metà del mandato presidenziale per Congresso e Senato USA) diranno la definitiva verità sulla fine dell’epoca Bush, che oggi ha una popolarità vicina al 30%. A suo parere gli americani hanno ancora paura di cambiare oppure sceglierebbero partito democratico già adesso, magari con la Clinton vincente sulla Rice?

Gli americani non scelsero Bush, ma Al Gore nel 2000 e non scelsero Bush ma Kerry nel 2004. In entrambi i casi le elezioni sono state falsificate. Noi non lo sappiamo perché il sistema dei media lo tace. Questo prova ancora che la democrazia occidentale è ormai una finzione.

Mi regali un’ultima considerazione sulla sinistra italiana. Tre decisioni immediate dei 100 giorni del governo Prodi ed una considerazione sul ruolo di D’Alema.

D’Alema, dovrebbe, a mio modesto avviso, andare in pensione. Non perché è vecchio, ma perché ne ha già fatte abbastanza. Tre decisioni? Prima abolire la legge Gasparri e avviare da subito una profonda riforma del sistema radiotelevisivo italiano, pubblico e privato, istituendo un Consiglio nazionale audiovisivo sottratto alla lottizzazione partitica. Abolire la commissione parlamentare di vigilanza, e stabilire tetti invaliacabili per la pubblicità televisiva.

Secondo abolire tutte le leggi ad personam introdotte dal governo e dal Parlamento berlusconiani. A cominciare da quella del falso in bilancio.

Terzo. abolire la legge che ha introdotto il precariato generalizzato e diffuso. Ne aggiungo una quarta: riformare la giustizia italiana. Non quella per i ricchi, quella dei dieci milioni di italiani che non hanno giustizia perché i processi che li riguardano non vanno mai in porto.

20 maggio 2006

Giulietto Chiesa è nato ad Acqui Terme (Al) il 4 settembre 1940. Giornalista dal 1979, quando entrò a l’Unità come redattore ordinario. In precedenza aveva compiuto una lunga esperienza politica, prima come dirigente studentesco universitario. Dal 1 ottobre 1980 al 1 settembre 1990 corrispondente da Mosca per La Stampa.

Attualmente collabora stabilmente o saltuariamente anche con altri giornali russi: Literaturnaja Gazeta, Delovoi Vtornik , Moskovskie Novosti. Sono usciti recentemente altri suoi lavori. Per i tipi di Einaudi è stato pubblicato G8-Genova, la cronaca degli avvenimenti del luglio 2001. Per i tipi della Guerini e associati è uscito il libro Afghanistan anno zero, scritto con il giornalista e disegnatore satirico Vauro, con prefazione di Gino Strada, il chirurgo italiano fondatore di Emergency. Quest’ultima opera è rimasta per un anno in vetta alle classifiche, avendo superato 115 mila copie vendute. Nell’ottobre 2004 ha pubblicato per le edizioni Piemme, insieme al vignettista Vauro, I peggiori Crimini del Comunismo, una denuncia satirica che svela il passato ‘rosso’ di alcuni degli uomini più vicini all’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

 

 

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