20060717 10:57:00 webmaster
ROMA – In vista della sua visita ufficiale a Berlino, prevista per mercoledì, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rilasciato una ampia intervista all’edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Lei è il primo Presidente della Repubblica Italiana che è stato comunista. Come succede che un giovane, di estrazione borghese, si avvicina, nei primi anni ’40 del secolo scorso al PCI?
Verso la fine del fascismo, molti della mia generazione si orientarono verso il PCI. La molla fu piuttosto morale e sociale, che non ideologica. Entrai nel PCI senza sapere molto di marxismo, senza conoscere i suoi testi sacri. Vedevamo allora nel PCI la forza che conduceva la lotta contro il fascismo nel modo più organizzato e conseguente. La forza che pagò il prezzo più alto in termini di condannati e di vittime e che diede poi il maggior contributo alla Resistenza anti-nazista. Nello stesso tempo il PCI era il più vicino al popolo e ai suoi problemi. Si prenda ad esempio la mia città natale Napoli, o il Sud nel suo insieme, che soffrivano di enorme arretratezza – in quella realtà il PCI ci apparve portatore di progresso.
Il centro-sinistra ha vinto le elezioni in aprile di stretta misura. L’Italia è un paese profondamente diviso?
Per quanto riguarda il risultato elettorale, vi è davvero una divisione del paese in due metà quasi uguali. Ma vi è dell’altro : il nostro paese ha scelto dal 1993 un sistema maggioritario e una legge elettorale che conducono ad un netto bipolarismo. Finora non siamo però riusciti ad evitare che con il bipolarismo si verifichi una guerra quotidiana e che i due schieramenti non possano per niente dialogare l’uno con l’altro. Questo bisogna purtroppo ammetterlo. Ma che anche il popolo sia ugualmente diviso in due schieramenti inconciliabili non mi sembra sostenibile.
Il governo Prodi sta mettendo in opera una serie di riforme tese a ridurre drasticamente vecchi privilegi di alcuni gruppi e che mirano alla liberalizzazione dell’Italia corporativa. In Germania molti cittadini si sono opposti a riforme simili. Come si reagirà in Italia?
Sono convinto che la grande maggioranza dei cittadini italiani veda la necessità di introdurre un processo di liberalizzazioni e anche di privatizzazioni. Nel passato ci fu troppa invadenza dello Stato nell’economia, e la maggior parte dei cittadini sa che questo non poteva reggere. Naturalmente, con le recenti riforme, vengono colpiti interessi di gruppi più o meno piccoli, ma ben organizzati, che naturalmente vogliono difendere alcuni dei loro privilegi. Le riforme necessarie riguardano anche lo stato sociale e quindi le vaste masse dei lavoratori. Molti, a tale riguardo, non hanno ancora ben compreso che ci sono conquiste non da cancellare ma da rivedere se non si vuole retrocedere nel contesto europeo e nella competizione globale. Il timore di simili riforme esiste anche in altri luoghi in Europa: anche per questo in Francia il progetto di costituzione europea è stato respinto. Tutti noi dobbiamo però imparare che senza cambiamenti siamo condannati al declino.
L’Italia vuole, già quest’anno, ritirare le sue truppe dall’Iraq. Lei e’ a favore di un ulteriore impegno dell’Italia in Iraq?
La maggioranza di governo cerca una via che consenta all’Italia di prendere parte alla stabilizzazione e alla ricostruzione dell’Iraq, senza alcuna sua presenza militare. Gli Stati Uniti e l’ONU sono interessati alla prosecuzione del nostro impegno in Afghanistan.
Tuttavia il Governo Prodi, per il mantenimento dell’impegno in Afghanistan, dipende da settori della coalizione di centro-destra all’opposizione, perché alcune parti della coalizione di governo – in particolare i comunisti e i verdi – negano il loro appoggio.
Anche in un sistema politico bipolare, vi possono essere delle questioni su cui si realizza una convergenza di entrambi gli schieramenti. Questo vale come regola in particolare nel campo della politica internazionale. Trovo molto positivo che su questioni di tale importanza si verifichi un consenso trasversale. Una cosa tuttavia è chiara : se la maggioranza di governo non fosse coesa sulla questione della prosecuzione e del finanziamento della missione afgana e dovesse dipendere da voti decisivi dell’opposizione, ciò sarebbe un grave segno di debolezza del centro-sinistra. E ciò avrebbe delle conseguenze.
Quale significato hanno oggi per Lei delle buone relazioni con l’America?
L’amicizia con gli USA è stata sempre uno dei pilastri della politica estera italiana. Fin dagli anni ’70 anche il più grande partito di opposizione, il partito comunista, lo aveva riconosciuto. Trent’anni dopo vi sono alcuni piccoli gruppi che mostrano ostilità verso gli Stati Uniti e la NATO …
Il Partito della Rifondazione Comunista è pur sempre la terza forza della coalizione di governo …
… ma come detto sono solo piccoli gruppi su posizioni anacronistiche, prive di realismo e con scarso seguito.
Gli italiani che per lungo tempo sono stati fautori entusiasti del processo di unificazione europea oggi sono diventati euroscettici. Perché?
E’ della più grande importanza scoprire i motivi di disincanto. Finché l’Europa ha significato più crescita e più benessere, il processo di integrazione ha raccolto un consenso molto vasto. Ma nel momento in cui sono subentrate l’insicurezza e la paura, la fiducia nell’Europa si è affievolita. Ciò deve essere superato, e pertanto è necessario uscire dal vicolo cieco in cui è caduto il trattato costituzionale.
Nel suo primo discorso da Presidente, Lei ha detto che l’Europa è per gli italiani una seconda patria. Ciò non è esagerato?
Credo di no. In Italia questo sentimento rimane molto forte e, se vedo bene, in Germania non è diverso …
… però in Francia…
Certo, lì, il progetto europeo è più controverso. Ma Germania e Italia sono le colonne di questa visione dell’Europa. E non si dovrebbe perdere di vista che anche stati membri più giovani dell’Unione, come per esempio la Spagna, hanno sviluppato un forte senso dell’Europa.
In Polonia sono al governo i nazionalisti fratelli Kaczynski, in Slovacchia è al potere una coalizione di socialdemocratici ed estremisti di destra. Lo sviluppo dei paesi dell’Est dell’Unione dà adito a preoccupazione?
Per rimanere all’esempio della Polonia: penso che presenti aspetti paradossali. La Polonia fu il primo paese ex comunista a voler entrare nell’UE. Per alcuni anni è stata governata da personalità come il primo ministro Mazowiecki e il ministro degli esteri Geremek, che sono convinti europeisti. Poi subentrò un cambiamento che si può vedere anche in nuovi stati membri dell’est. Se riesco ad interpretare bene, esiste lì il timore di diventare membri di seconda classe. Inoltre, in questi paesi, che solo ora hanno raggiunto una vera indipendenza, emerge il timore di dover rinunciare ad importanti parti della sovranità nazionale. Bisogna ricordare a questi paesi che hanno aderito liberamente all’UE e che quest’adesione presuppone la cessione di un certo grado di sovranità.
Quale contributo può dare l’Italia per il rilancio del progetto europeo?
L’Italia può agire soltanto insieme ad altri – prima di tutti la Germania, che è alla vigilia di una presidenza UE straordinariamente importante. L’Italia può contribuire affinché si trovi una soluzione sulla questione costituzionale accettabile anche per stati come la Francia e i Paesi Bassi. Sarà importante concentrarsi sulle parti propriamente costituzionali del Trattato del 2004.
In Germania si parla molto di patriottismo costituzionale. Basta quel tipo di patriottismo?
Credo che durante le settimane del mondiale si sia manifestato in Germania un patriottismo non solo costituzionale. In esso vi era di più, e ciò va bene.
Fino a che punto Lei conosce la Germania?
Conosco abbastanza bene il paese. E’ un paese con una straordinaria produttività e una grande forza culturale, oltre che un motore dell’integrazione europea. Ammiro la naturalezza con cui il sistema politico tedesco è riuscito a superare gravi prove. Dopo le barbarie del nazionalsocialismo è rifiorita la vita democratica, e il paese ha sempre evitato l’estremismo sia di destra che di sinistra. Il fatto che in Germania i partiti siano in concorrenza fra loro, ma siano anche capaci di collaborazione, mi sembra esemplare. Ho seguito con grande interesse l’evoluzione della SPD. Ammetto di invidiare la Germania per questa esperienza e auspico che l’Italia possa evolversi in modo analogo.
Alcuni in Germania si chiedono timorosamente se il paese è realmente riuscito a superare il suo passato.
Penso che i tedeschi si siano confrontati in modo serio e conseguente con il proprio passato nazionalsocialista. La Germania si è completamente liberata dall’idea fuorviante dell’Europa tedesca e ha raggiunto una piena maturità civile. Penso anche che discussioni aperte per esempio su posizioni revisionistiche siano fruttuose, poiché aiutano a rafforzare la consapevolezza democratica.
Lei aveva un buon rapporto con Willy Brandt?
Sì. Cominciai molto presto a spendermi affinché il PCI – il più grande partito comunista dell’Occidente – si trasformasse in senso socialdemocratico. E questo sforzo trovò grande sostegno da parte di Willy Brandt, con il quale il PCI aveva contatti sin dall’epoca della Ostpolitik. Spesso mi sono consultato con lui su come rimuovere gli ostacoli per l’ingresso del PCI nell’Internazionale socialista.
Il politologo torinese Gian Enrico Rusconi ha recentemente detto che i due paesi, in fondo, ancora non si conoscono.
In un certo senso, è vero. Circolano ancora vecchi luoghi comuni e pregiudizi tra italiani e tedeschi.
Del tipo dei tedeschi eterni "mangiapatate"?
Sì. Oppure si ricordi quella vecchia prima pagina dello Spiegel, del piatto di spaghetti con la pistola. Oppure, italiano uguale a pizza. Dovremmo cominciare a superare questi luoghi comuni e non dimenticare che i due paesi hanno molto in comune. Ambedue sono veramente riusciti a rialzarsi dalle rovine del nazifascismo. E ambedue hanno preso la strada giusta: quella europea. Il leader tedesco Adenauer e il Presidente del Consiglio italiano De Gasperi, già all’inizio degli anni ’50, hanno portato i loro popoli su quella strada. E da allora i due popoli hanno camminato affiancati.
L’hanno spesso chiamata "il Principe Rosso". Si vede così?
Nelle mie vene non vi è una goccia di sangue blu. Mio padre proveniva da una famiglia contadina, mia madre da una famiglia di professionisti. Questa denominazione mi venne forse data perché in anni giovanili assomigliavo un po’ al giovane Re Umberto II. E forse alcuni pensano di vedere qualcosa di aristocratico nel mio comportamento. Ma il mio vuole essere solo uno stile semplice e sobrio.
(“Frankfurter Allgemeine” del 16 luglio 2006)
1772-intervista-del-presidente-della-repubblica-giorgio-napolitano-al-frankfurter-allgemeine
2554
2006-2
Views: 2
Lascia un commento