1970 ANN JONES: COSA ACCADE IN AFGHANISTAN

20060904 15:19:00 webmaster

Vi ricordate di quando il pacifico, democratico, ricostruito Afghanistan era il modello pubblicitario su cui si doveva rifare l’Iraq? Nell’agosto 2002, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld parlava del nuovo Afghanistan come di una "straordinaria vittoria" ed un "modello di successo per cio’ che potrebbe accadere in Iraq". Come tutti ormai sanno, il modello in Iraq non sta funzionando. Percio’, non dovremmo sorprenderci nel sapere che non sta funzionando neppure in Afghanistan.
La storia del successo afgano e’ sempre stata piu’ una favola che un fatto. Ora, mentre l’amministrazione Bush passa il "peacekeeping" alle forze Nato, l’Afghanistan e’ la scena della piu’ vasta operazione militare nella storia del trattato del nordatlantico.

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Ann
Jones. Ann Jones, giornalista e fotografa, ha passato la maggior parte degli
ultimi quattro anni in Afghanistan; attivista per i diritti umani, lavora
nel paese con le agenzie internazionali e insegna inglese ai docenti del
liceo di Kabul; scrive delle sue esperienze in Afghanistan per "Nation
Magazine" ed e’ stato pubblicato di recente il suo libro: Kabul in inverno:
vita senza pace in Afghanistan, Metropolitan Books, 2006)]

Vi ricordate di quando il pacifico, democratico, ricostruito Afghanistan era
il modello pubblicitario su cui si doveva rifare l’Iraq? Nell’agosto 2002,
il segretario alla difesa Donald Rumsfeld parlava del nuovo Afghanistan come
di una "straordinaria vittoria" ed un "modello di successo per cio’ che
potrebbe accadere in Iraq". Come tutti ormai sanno, il modello in Iraq non
sta funzionando. Percio’, non dovremmo sorprenderci nel sapere che non sta
funzionando neppure in Afghanistan.
La storia del successo afgano e’ sempre stata piu’ una favola che un fatto.
Ora, mentre l’amministrazione Bush passa il "peacekeeping" alle forze Nato,
l’Afghanistan e’ la scena della piu’ vasta operazione militare nella storia
del trattato del nordatlantico.
Le mie mail di oggi riportano l’appello di una chirurga americana che lavora
a Kabul: la sua squadra medica d’emergenza non riesce a trattare neanche la
meta’ dei civili feriti che le vengono inviati dalle province in cui si
combatte, a sud e a est. Truppe statunitensi, britanniche e canadesi si
trovano in guerra contro i combattenti talebani, mentre sconcertati
comandanti Nato si stanno gia’ chiedendo cos’e’ che e’ andato male.
La risposta sta in un triplice fallimento: niente pace, niente democrazia e
niente ricostruzione.
*
L’amministrazione Bush ha fatto politicamente le cose a rovescio. Dopo aver
spinto i talebani a suon di bombe nelle periferie, nel 2001, ha messo in
piedi un governo senza siglare una pace, uno scenario che piu’ tardi si
sarebbe ripetuto in Iraq. Invece di premere per negoziati di pace fra i
partiti afgani rivali, i vittoriosi americani hanno dato il potere agli
islamisti ed ai comandanti delle milizie che erano servite a sostituire i
soldati Usa nella guerra contro l’Unione Sovietica degli anni ’80. Poi
l’amministrazione Bush ha messo in scena elezioni per questi candidati, ed
ha proclamato che i risultati erano la democrazia.
Ha anche confinato la International Security Assistance Force (Isaf),
composta largamente da truppe europee, alla capitale, creando cosi’ un’oasi
di sicurezza per il governo, mentre sguinzagliava i signori della guerra di
sua scelta alla ricerca di Osama bin Laden nel resto del paese.
Ad est e sud, che e’ come dire in meta’ del paese, i talebani non hanno mai
smesso di combattere. Oggi, rimpolpate dall’arrivo di combattenti importati
da al-Qaida (detti arabi-afgani) e con l’ausilio di nuove tecniche apprese
dall’insorgenza irachena (le bombe sulle strade o quelle suicide), le forze
talebane sono piu’ forti di quando gli Usa le "sconfissero" nel 2001.
*
Secondo la Commissione indipendente afgana per i diritti umani, la
maggioranza degli afgani avrebbero visto con favore un processo di amnistia
e riconciliazione, e persino il presidente Karzai ha di recente chiesto
all’amministrazione Bush di cambiare metodo, e di smettere di uccidere
afgani. Ma le politiche riaffermate a Kabul dalla segretaria di stato
Condoleeza Rice chiedono di combattere sino all’eliminazione dell’ultimo
talebano.
Com’era da aspettarsi, l’opinione pubblica ha cominciato ad avversare con
forza un governo centrale largamente privo di potere, tenuto sotto scorta
nella capitale da forze armate straniere. L’insicurezza che la maggior parte
degli afgani subiscono, l’assenza di pace, e’ abbastanza per aver fatto loro
perdere fiducia nel presidente Karzai, spesso definito sarcasticamente "il
sindaco di Kabul" o "l’assistente dell’ambasciatore americano".
Storicamente, gli afgani hanno scelto e seguito leader forti: da chi guida
si aspettano sicurezza, lavoro, o almeno che faccia qualcosa. Il governo
Karzai, costretto a seguire un’agenda al servizio degli Usa, si trova spesso
in difficolta’ nel difendere gli interessi afgani, e non ha dato nulla al
cittadino medio che vive ancora in una poverta’ abissale. Nel 2004,
doverosamente gli afgani votarono per Karzai, quale strumento delle promesse
americane. Nel 2005, quando si tennero le elezioni parlamentari, gli
elettori indicarono che ne avevano abbastanza degli stessi candidati,
comandanti di milizie ed estremisti islamisti, e delle stesse vuote
promesse.
*
La parte piu’ triste della storia sta qui: nonostante la finta pace e la
democrazia da burletta vantate dell’amministrazione Bush, quest’ultima
avrebbe potuto fare dell’Afghanistan un successo solo se avesse portato a
compimento la terza e piu’ grande promessa, quella di ricostruire un paese
bombardato.
La maggioranza degli afgani, dopo la dispersione dei talebani, era piena di
speranza e desiderosa di mettersi al lavoro. I benefici tangibili della
ricostruzione (impieghi, case, scuole, assistenza sanitaria) avrebbero
potuto indurli a sostenere il governo e a trasformare una democrazia
illusoria in qualcosa di piu’ reale. Ma la ricostruzione non e’ avvenuta.
Quando le forze Nato si sono mosse quest’estate nelle province del sud, per
"mantenere la pace e continuare lo sviluppo", il generale David Richards,
comandante britannico dell’operazione, sembra essere rimasto scioccato nello
scoprire che nessuno sviluppo, o ben poco, era mai cominciato. Di questo
fallimento, i primi responsabili sono gli Usa. Fino a quest’ultimo anno, la
coalizione guidata dagli americani ha assunto per se’ sola il compito di
ristabilire condizioni di sicurezza fuori Kabul, ma non vi ha impiegato sul
terreno un solo uomo. Come risultato, i volontari di associazioni umanitarie
(internazionali e afgane) hanno perso la vita, pressoche’ tutte le ong si
sono ritirate all’interno di Kabul o, come Medici senza frontiere, hanno
lasciato il paese. I mercenari, ancora presenti nel paese, si trovano
regolarmente coinvolti in progetti relativi alla "sicurezza", cosi’ che il
denaro degli aiuti umanitari, come sta accadendo anche in Iraq, finisce nel
budget militare.
Una recente testimonianza dell’Ispettore generale per la ricostruzione
dell’Iraq ha rivelato come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo
internazionale (Usaid) manipoli i propri conti per nascondere i mastodontici
costi che i problemi di sicurezza aggiungono ai progetti d’aiuto (si arriva
a maggiorazioni del 418%). E’ ragionevole pensare che se ascoltassimo
l’Ispettore responsabile per l’Afghanistan ci racconterebbe le medesime
storie: le ditte sotto contratto per l’Usaid sono le stesse. Senza pace non
puo’ esserci sicurezza, e senza sicurezza non c’e’ ricostruzione.
Ma c’e’ di piu’. Per capire il fallimento, e la frode, di tali progetti di
ricostruzione, bisogna dare un’occhiata allo specifico sistema con cui gli
Usa forniscono aiuto per lo sviluppo a livello internazionale. Durante gli
ultimi cinque anni gli Usa e molti altri donatori hanno mandato miliardi di
dollari in Afghanistan, eppure gli afgani continuano a chiedere: Dove sono
finiti i soldi? Chi paga le tasse in America dovrebbe fare la stessa
domanda. La risposta ufficiale e’ che i fondi inviati dai donatori si
perdono nella corruzione afgana. Ma gli afgani equivoci, abituati alle
bustarelle da due soldi, stanno imparando come la corruzione ad alto livello
funzioni benissimo per i padroni del mondo.
*
Un rapporto del giugno 2005, molto circostanziato, di Action Aid (ong con
sede centrale a Johannesburg in Sudafrica, assai rispettata) ci aiuta a far
chiarezza su come funzioni questo mondo. Il rapporto ha studiato gli aiuti
allo sviluppo forniti da tutti i paesi sul globo ed ha scoperto che solo una
piccola parte di essi (forse tocca il 40%) e’ concreta. Il resto e’ "aiuto
fantasma", il che significa che i soldi non arriveranno mai ai paesi a cui
sono destinati.
Parte di questi soldi non esistono proprio, se non come voce in bilancio,
come quando i paesi contabilizzano la cancellazione del debito o i costi di
costruzione di una bella nuova ambasciata nella colonna degli aiuti. Molti
di questi soldi non lasceranno mai la propria casa: i mandati di pagamento
per gli "esperti" americani sotto contratto dall’Usaid, per esempio, vanno
direttamente dall’agenzia alle banche Usa, senza mai passare per i "paesi
che devono essere ricostruiti". Molto altro denaro, conclude il rapporto, e’
buttato via in "assistenza tecnica superpagata e inefficace" (come gli
"esperti" di cui sopra, per dire).
Ed un’altra bella fetta di soldi e’ legata alla nazione donatrice, il che
vuol dire che chi la riceve e’ obbligato ad usare il denaro per comprare
prodotti del paese donatore: soprattutto quando le stesse merci potrebbe
trovarle a prezzo assai piu’ basso in casa propria.
Gli Usa sono ai piu’ alti livelli nella classifica dei "donatori fantasma",
solo la Francia qualche volta li supera. Il 47% dell’aiuto americano allo
sviluppo va alla "superpagata assistenza tecnica"; solo il 4% dell’aiuto
svedese lo fa, e il 2% dell’aiuto lussemburghese o irlandese. E per quanto
riguarda il dover acquistare prodotti del paese donatore, ne’ la Svezia, ne’
la Norvegia, ne’ l’Irlanda o il Regno Unito lo fanno. Il 70% del denaro
americano legato agli aiuti ha questa clausola, di doverci comperare roba
americana, soprattutto sistemi d’arma. Considerate queste pratiche, Action
Aid calcola che 86 centesimi su ogni dollaro siano "aiuto fantasma".
Secondo gli standard fissati anni orsono dall’Onu e ai quali ha aderito
praticamente ogni nazione del mondo, un paese ricco dovrebbe dare lo 0,7%
del suo introito nazionale annuale a quelli poveri. Solo i paesi scandinavi,
l’Olanda ed il Lussemburgo (con lo 0,65%) si avvicinano alla percentuale;
all’altro capo della fila, ci sono gli Usa con lo 0,02%: 8 dollari l’anno a
persona dal "paese piu’ ricco del mondo" (a confronto, pensate che la Svezia
ne da’ 193, la Norvegia 304 e il Lussemburgo 357). Il presidente Bush si
vanta di aver mandato miliardi di dollari in Afghanistan, ma in effetti
avremmo ottenuto un miglior risultato passando in giro un cappello.
*
L’amministrazione Usa spesso deliberatamente rappresenta in modo falso il
suo programma di aiuti ad uso delle popolazioni. Lo scorso anno, per
esempio, mentre il presidente Bush mandava sua moglie a Kabul per poche ore,
il tempo di fare qualche fotografia pubblicitaria, il "New York Times"
riportava che la missione di costei era "la promessa di un impegno a lungo
termine per l’istruzione di donne e bambini". Nel suo discorso di Kabul, la
signora Bush disse che gli Usa avrebbero fornito 17,7 milioni di dollari in
piu’ per sostenere l’istruzione in Afghanistan.
Quello che e’ accaduto e’ che il fondo in questione e’ stato usato per
costruire un’universita’ privata, l’Universita’ americana dell’Afghanistan,
diretta alle elite afgane e statunitensi, e a cui si accede a pagamento: il
fatto che un’universita’ privata venga finanziata dai soldi delle tasse
pubbliche e costruita dal corpo dei genieri dell’esercito Usa e’ un’altra
delle peculiarita’ degli aiuti in stile Bush.
Ashraf Ghani, l’ex ministro delle finanze afgane, e presidente
dell’Universita’ di Kabul, si e’ lamentato: "Non si puo’ continuare a
sostenere l’istruzione privata ed ignorare quella pubblica".
*
Tipicamente, gli Usa preferiscono canalizzare il danaro degli aiuti
umanitari verso appaltatori statunitensi. L’assistenza umanitaria Usa e’
sempre piu’ privatizzata, ed e’ ormai solo un meccanismo per trasferire i
dollari delle tasse ai forzieri di ditte americane selezionate, ed alle
tasche di chi i soldi li ha gia’. Nel 2001 Andrew Natsios, l’allora
direttore di Usaid, cito’ i fondi per l’assistenza all’estero come "uno
strumento politico chiave", disegnato per aiutare gli altri paesi a
"diventare migliori mercati per l’esportazione statunitense". Per garantire
che tale missione vada a buon fine, il Dipartimento di Stato ha di recente
assunto la direzione di quelle che prima, almeno formalmente, erano agenzie
umanitarie semi-autonome. E poiche’ lo scopo dell’aiuto americano e’ quello
di rendere il mondo sicuro per gli affari americani, Usaid si serve di una
lista di ditte "favorite" (che puo’ leggermente mutare a seconda dei
risultati elettorali) a cui chiede di sottoporre progetti, e talvolta
interpella un solo appaltatore, la stessa efficiente procedura che ha reso
l’Halliburton cosi’ fortunata in Iraq.
Le ditte preselezionate stipulano un contratto con l’Usaid, detto Iqc
(ovvero "per quantita’ indefinite"). Le ditte presentano informazioni vaghe
su cosa potrebbero fare in aree non meglio specificate, riservandosi le
definizioni per un successivo contratto. La ditta di volta in volta scelta
verra’ invitata a materializzare le sue speculazioni tramite il formato Rfp
(ovvero "richiesta di proposte"), e poi inviata in un paese straniero a
cercare di rendere reale qualsiasi tipo di lavoro sognato da teorici di
Washington, assolutamente non oberati dalla conoscenza di prima mano dello
sfortunato paese in questione.
I criteri con cui si scelgono gli appaltatori ha poco o niente a che fare
con le condizioni del paese che li riceve, e non sono esattamente cio’ che
chiamereste campioni di trasparenza.
*
Prendete il caso della strada maestra Kabul-Kandahar, che il sito dell’Usaid
propaganda con orgoglio come un successo. In cinque anni e’ la sola strada
che sia mai stata finita, il che supera almeno di un punto il record
dell’amministrazione Bush nella costruzione di sistemi idrici o fognari
(nessuno).
Nel marzo 2005, la superstrada in questione apparve sul giornale "Kabul
Weekly" sotto il titolo: "Milioni buttati via per strade di seconda mano".
Il giornalista afgano Mirwais Harooni racconto’ che sebbene ditte
internazionali si fossero offerte per ricostruire la strada al prezzo di 250
dollari al chilometro, gli statunitensi del Louis Berger Group avevano
ottenuto il lavoro al prezzo di 700 dollari al chilometro (ce ne sono 389).
Perche’? La risposta standard americana e’ che gli americani lavorano
meglio, sebbene non sia il caso della ditta Berger che all’epoca era gia’ in
ritardo su un altro contratto di 665 milioni di dollari per costruire scuole
in Afganistan. La Berger subappalto’ la costruzione della stretta strada a
due corsie, priva di guard-rail, a ditte turche ed indiane, al costo finale
di un milione di dollari a miglio: e chiunque ci viaggi oggi puo’ constatare
che sta gia’ cadendo a pezzi.
L’ex ministro della pianificazione Ramazan Bashardost fece notare che in
materia di strade i talebani avevano fatto un miglior lavoro, ed anche lui
pose la fatidica domanda: "Dove sono finiti i soldi?". Oggi, con una mossa
che certamente fara’ crollare gli indici di gradimento di Karzai, e
danneggera’ ulteriormente le truppe Usa e Nato presenti nell’area,
l’amministrazione Bush sta facendo pressione sul governo afgano affinche’
questo "dono del popolo degli Stati Uniti" (cosi’ venne definita la strada)
sia trasformato in una strada a pagamento: 20 dollari a guidatore per un
permesso di transito valido un mese. In questo modo, dicono gli esperti
americani fornitori di superpagata assistenza tecnica, l’Afghanistan
potrebbe avere un introito annuo di 30 milioni di dollari dai suoi cittadini
immiseriti e alleggerire finalmente il "peso" dell’aiuto che grava sugli
Usa.
*
C’e’ da stupirsi se l’aiuto straniero sembra all’afgano ordinario qualcosa
di cui sono gli stranieri a godere?
Ad una estremita’ dell’infame superstrada, a Kabul, gli afgani si lamentano
dei fantasiosi ristoranti dove questi esperti ed altri forestieri si
riuniscono per bere alcolici, divertirsi e piombare nudi nelle piscine.
Obiettano alla presenza di bordelli in citta’ (otto nel 2005), bordelli in
cui donne afgane vengono trafficate per servire ai "bisogni" degli
stranieri. Si lamentano del fatto che la capitale e’ ancora un ammasso di
rovine, che molte persone vivano ancora sotto le tende, che in migliaia non
trovano lavoro, che i bambini sono denutriti, che le scuole e gli ospedali
sono sovraffollati, che donne in burqa stracciati mendicano nelle strade e
finiscono per prostituirsi, che i bambini vengono rapiti e venduti in
schiavitu’, o assassinati per ricavarne organi da trapianto. Si chiedono
dove sia finito il denaro degli aiuti promessi e cosa questo governo
fantoccio possa fare per migliorare le cose.
All’altra estremita’ della strada c’e’ Kandahar, la citta’ natale del
presidente Karzai. Nelle provincie del sud (Kandahar, Helmand, Zabul e
Uruzgan) si stima che il comandante talebano Mullah Dadullah abbia piu’ di
12.000 uomini armati e squadre di suicidi pronti a farsi saltare in aria con
bombe. Tendono agguati alle truppe Nato arrivate di fresco. Il comandante
britannico Richards ha di recente dato il suo avviso: "Dobbiamo capire che
in effetti qui possiamo fallire".
Gli Usa attaccano i talebani come fecero nel 2001, con i bombardamenti
aerei. Il "Times" di Londra riporta che solo nel maggio scorso ce ne sono
stati 750; ogni giorno ci sono notizie di vittime prodotte dai combattimenti
fra Nato e talebani, e di vittime che erano "sospetti" talebani o semplici
civili, uccisi dai bombardamenti americani a largo raggio.
Nel frattempo, i talebani prendono il controllo dei villaggi. Uccidono gli
insegnanti e fanno saltare per aria le scuole. Le squadre antidroga guidate
dagli Usa pure prendono il controllo di villaggi e distruggono le
coltivazioni di papavero da oppio di contadini in miseria.
Presi, come al solito, nel mezzo di due fazioni in guerra, gli afgani del
sud e dell’est hanno da tempo cessato di chiedersi dove sono finiti i soldi.
Si chiedono invece chi sia a governare. E che fine ha fatto la pace.

 

 

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