1956 RIFLESSIONI, ANNAMARIA RIVERA: FEMMINICIDIO, SESSISMO, RAZZISMO

20060901 12:41:00 webmaster

Conviene anzitutto sgomberare il campo del dibattito da una confusione niente affatto spontanea e innocente: la campagna propagandistica di stampo razzista che ha preso le mosse da alcuni episodi recenti di cronaca nera e’
cosa radicalmente diversa – e cosi’ va trattata – da una seria e pacata discussione sull’intollerabile escalation della violenza patriarcale contro le donne.
Del pari, nessun serio dibattito sulla riforma della cittadinanza o sui modelli d’integrazione e sulle loro eventuali derive puo’ muovere da quell’ordine di discorso. Come, fra gli altri, ha scritto efficacemente Alessandro Dal Lago in un editoriale su questo giornale ["Liberazione" – ndr], la campagna di sciocchezze, diffamazioni e volgarita’ razziste dopo i cosiddetti fatti di Brescia denota una logica da faida: la responsabilita’
individuale di un crimine commesso da un certo soggetto viene fatta ricadere come colpa collettiva sull’intero suo gruppo di appartenenza o addirittura sul sistema religioso cui si suppone egli aderisca.

ANNAMARIA RIVERA: FEMMINICIDIO, SESSISMO, RAZZISMO
[Dal quotidiano "Liberazione" del 29 agosto 2006. Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera@libero.it), antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all’Universita’ di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo
studio e la ricerca con l’impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l’analisi delle molteplici forme di razzismo, l’indagine sui nodi e i problemi della societa’ pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu’ recenti: (con Gallissot e Kilani), L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L’inquietudine
dell’Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli
postcoloniali e retoriche sull’alterita’, Dedalo, Bari 2005]

Conviene anzitutto sgomberare il campo del dibattito da una confusione niente affatto spontanea e innocente: la campagna propagandistica di stampo razzista che ha preso le mosse da alcuni episodi recenti di cronaca nera e’
cosa radicalmente diversa – e cosi’ va trattata – da una seria e pacata discussione sull’intollerabile escalation della violenza patriarcale contro le donne.
Del pari, nessun serio dibattito sulla riforma della cittadinanza o sui modelli d’integrazione e sulle loro eventuali derive puo’ muovere da quell’ordine di discorso. Come, fra gli altri, ha scritto efficacemente Alessandro Dal Lago in un editoriale su questo giornale ["Liberazione" – ndr], la campagna di sciocchezze, diffamazioni e volgarita’ razziste dopo i cosiddetti fatti di Brescia denota una logica da faida: la responsabilita’
individuale di un crimine commesso da un certo soggetto viene fatta ricadere come colpa collettiva sull’intero suo gruppo di appartenenza o addirittura sul sistema religioso cui si suppone egli aderisca.
Emblematica di questa strategia retorica – che si serve del dispositivo
dell’etnicizzazione del crimine individuale per gettare discredito
sull’intero mondo dell’immigrazione e, piu’ in generale, sul Nemico
musulmano – e’ una delle numerose pagine di cronaca che un giornale
indipendente ha dedicato alla tragica vicenda dell’assassinio per mano del
padre di Hina Saleem, la giovane pakistana di Brescia: una "finestra" a
centropagina spiegava ai lettori "cosa afferma il Corano" a proposito di
punizione delle donne. Per cogliere la logica aberrante che guida questo
dispositivo comunicativo basterebbe immaginare che putiferio solleverebbe
un’improbabile pagina dello stesso quotidiano che, dando conto alla stessa
maniera scandalistica dell’omicidio di una donna per mano del marito
italiano, presuntamente cattolico, dedicasse una finestra a "cosa afferma la
Bibbia", magari citandone i passi piu’ violentemente misogini. Come
suggerisce ironicamente qualcuno, forse bisognerebbe proporre ai media ed ai
politici una moratoria dei termini "religione", "cultura", "tradizione"…
Certo, essendo il razzismo un fenomeno a geometria variabile, si
troverebbero prontamente altri termini per dire i medesimi argomenti
standard – gli immigrati sono una minaccia per la nostra "civilta’",
societa’, economia, sistema di valori… – e dunque la moratoria sarebbe del
tutto vana.
Cio’ che e’ impressionante, infatti, e’ la ripetitivita’ dei dispositivi e
dei topoi che permettono la riproduzione del discorso razzista: la
generalizzazione arbitraria, il caso individuale elevato ad emblema ed
essenza di un’intera categoria di persone, la costruzione dell’idea di una
pericolosita’ ontologica dello Straniero, l’associazione fra immigrati e
ogni genere di mali e allarmi sociali. Basta ricordare che in un altro
agosto, quello del 1997, un’analoga campagna allarmistica assunse a pretesto
tre omicidi compiuti da altrettanti cittadini stranieri per scatenare
un’isterica offensiva contro la preannunciata legge organica
sull’immigrazione, che si andava profilando come alquanto avanzata rispetto
agli standard europei. La campagna non fu vana, se e’ vero che il testo di
legge subi’ una serie di modifiche peggiorative… Se non avessero la
memoria assai corta, i nostri giornalisti si sarebbero chiesti come mai in
agosto gli stranieri si dedichino alla pratica dell’omicidio e dello stupro:
chissa’, avrebbero scoperto una nuova sindrome patologica da canicola, che
colpisce coloro che sono privi di nazionalita’ italiana…
In assenza di stupri e di omicidi volontari compiuti da "extracomunitari",
si puo’ raschiare il barile delle notizie d’agenzia per tirarne fuori fatti
d’altro genere imputabili agli immigrati. E’ cio’ che fecero i media nel
dicembre del 2000 quando, assumendo a pretesto un incidente automobilistico
mortale provocato dalla guida maldestra di uno straniero e poi selezionando
accuratamente altri casi analoghi, inventarono il teorema degli immigrati
come responsabili della "piaga" degli incidenti stradali (e’ un costume che
appartiene alla loro "tradizione", che discende dalla loro "cultura", che e’
prescritto dalla loro religione?).
*
Al di la’ della manipolazione dei media, resta il tragico fatto di due
omicidi di donne per motivi che sembrano avere strettamente a che fare con
la cultura patriarcale; restano le cronache degli stupri di questa estate,
anch’essi propri di sistemi sessisti fondati sull’appropriazione delle
donne, di qualunque nazionalita’ e condizione sociale siano gli autori dei
crimini. La violenza, anche mortale, contro le donne davvero non ha confini:
ne’ di nazionalita’ e "colore", ne’ di status e classe. Non e’ forse un
cittadino italiano, stimato direttore artistico del teatro di Macerata,
colui che, neppure due mesi fa, dopo aver tentato di strangolare la moglie,
la getto’ ancora viva in un cassonetto dell’immondizia, impacchettata in un
sacco di plastica? Non si tratta, allora, di minimizzare o derubricare gli
assassinii di Hina Saleem e di Elena Lonati ne’ gli stupri compiuti da
immigrati, ma (come giustamente ha rimarcato Ida Dominijanni in un recente
articolo sul "Manifesto") di "drammatizzare quelli nostrani che la cronaca
gonfia e sgonfia nel giro di ventiquattr’ore".
Nel 2005 solo in Italia almeno un centinaio di donne sono state uccise per
mano di uomini per lo piu’ appartenenti alla loro cerchia (mariti, partner,
parenti, vicini…). E su scala mondiale v’e’ il dato agghiacciante
dell’omicidio come prima causa di morte delle donne. Ma quanti sono gli
uomini disposti a mettere radicalmente in discussione l’ordine ideologico,
culturale, economico, sociale, politico, fondato sul dominio maschile? E non
v’e’ forse il rischio che i "femminicidi" e gli stupri compiuti dagli Altri
assolvano la funzione di occultare o minimizzare l’ordine sessista che
governa anche le nostre societa’ generandovi discriminazioni e violenze?
*
Certo, il sessismo, le ideologie e le pratiche che da esso discendono non
possono essere rappresentati come una notte in cui tutte le vacche sono nere
(la nozione di patriarcato e’ stata spesso sottratta ad ogni dimensione
storica, anche in ambito femminista). Il dominio maschile si manifesta,
infatti, secondo forme, gradi, livelli diversi nel tempo e nello spazio,
secondo norme sociali e costumi differenziati. Che in alcuni paesi e in
alcuni ambienti permangano l’ideologia o la pratica del delitto d’onore e’
cosa ben nota. Ma che il modello liberale sia sufficiente a liberare le
donne e’ cosa discutibile.
E’ in questo quadro che andrebbero iscritti il dibattito sui cosiddetti
modelli d’integrazione e la critica del modello multiculturalista di stampo
anglosassone, intorno al quale fra gli specialisti continua una discussione
vecchia di decenni (Amartya Sen non fa che riprenderne alcuni termini). Ben
al di la’ della contrapposizione fra modelli idealtipici (quello
"multiculturalista" all’anglosassone versus quello "universalista" alla
francese), la realta’ ci mostra ogni giorno che il razzismo neocoloniale
verso popolazioni immigrate o d’origine immigrata produce nei paesi europei
effetti sociali comparabili in termini di discriminazione, segregazione,
ineguaglianza… Speriamo che il governo di centrosinistra non si lasci
abbindolare dalle sirene delle campagne allarmistiche e che comprenda
altresi’ (come auspica anche Dal Lago) che il tema della cittadinanza
sociale e politica puo’ essere efficacemente articolato e affrontato solo se
si abbandonano le retoriche dell’emergenza e dell’invasione.

 

 

1956-riflessioni-annamaria-rivera-femminicidio-sessismo-razzismo

2738

2006-1

Views: 7

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.