2031 BADANTI IMMIGRATE: Il lavoro di cura? Da qualificare. Indagine dell'Irs di Milano

20060910 15:38:00 webmaster

Lavorano in nero o con contratti di 25 ore, non hanno tempo libero, vorrebbero cambiare lavoro e non frequentano corsi di formazione. La ricerca verrà presenatata il 20 settembre a Milano

MILANO – Se potessero scegliere, farebbero un altro lavoro. Ma data la difficoltà nel trovarne uno, continuano a lavorare come badanti, in nero o con contratti di 25 ore a settimana, senza giorni di malattia né di riposo retribuiti. E scarsa voglia di frequentare corsi di formazione per qualificare il loro lavoro. Analizza e descrive il fenomeno delle badanti, la ricerca "Qualificare il lavoro privato di cura”, svolta nell’ambito del progetto Equal da un gruppo di lavoro dell"Istituto per la ricerca sociale (Irs) di Milano e che sarà presentata il 20 settembre nel capoluogo lombardo.

L’obiettivo dell’indagine, basata su 354 interviste a badanti che vivono in provincia di Brescia e Milano, è di verificare se le assistenti familiari hanno intenzione di qualificare il proprio intervento, formarsi ed emergere dal mercato irregolare.

Scarsa disponibilità a qualificarsi. Secondo la ricerca, tra le assistenti domestiche prevale l’idea che per il lavoro di cura non siano necessarie specifiche competenze, perché sarebbe un’attività legata ai normali comportamenti quotidiani della ‘donna di casa’. Le badanti pensano che per svolgere il lavoro di assistenza a domicilio sia sufficiente la naturale predisposizione femminile nella cura. L’interesse a partecipare a corsi di formazione risulta circoscritto: solo un’assistente familiare su tre ne ha frequentati da quando è in Italia e il più delle volte non legati all’ambito della cura. La disponibilità a qualificarsi nel settore dell’assistenza domiciliare è presa in considerazione solo in poco più della metà dei casi. La condizione economica influenza la mancata partecipazione delle assistenti familiari a generici corsi di formazione e la loro propensione ad una riqualificazione professionale specifica in materia di lavoro di cura. L’impossibilità di avere tempo libero rinunciando allo stipendio o di contribuire alla spesa di un eventuale corso, sono risultate comuni alla maggioranza delle assistenti familiari, ad eccezione delle sud-americane, che per quasi il 32% sono interessate a partecipare a corsi, anche senza un rimborso, contro il 14,5% della media del campione.

Segregazione occupazionale. Il 50% delle badanti vorrebbe fare un altro lavoro, ma fatica a trovarlo. L’impiego come assistenti domestiche risulta essere nel 24,8% dei casi l’unico effettivamente accessibile a donne immigrate, con titoli di studio quasi mai riconosciuti nel nostro Paese e nel 21% il più facile da trovare. I tentativi di ricerca di lavori alternativi, compiuti dal 47% delle assistenti familiari, hanno dato prevalentemente un esito negativo e quelle poche che avrebbero trovato un altro lavoro non hanno potuto accettarlo perché avrebbero guadagnato meno o perso l’alloggio. La maggioranza delle badanti continua a lavorare più per “rassegnazione” che per reale convinzione, spinta dallo spirito di sacrificio nei confronti di figli e famiglie rimaste nel paese d’origine. Inoltre prevale una percezione distorta dei possibili sbocchi occupazionali alternativi al mercato della cura. Ad esempio, non vengono presi in considerazione il mercato alberghiero e della ristorazione, settori dove esistono possibilità di impiega, ma prevale l’orientamento verso settori più saturi.

Lavoro nero e grigio. L’assenza di un regolare contratto, che secondo le stime dei ricercatori riguarda il 20% delle assistenti familiari con permesso di soggiorno, è dettata da interessi economici convergenti tra assistenti familiari e datore di lavoro. Ciò è anche alla base della bassa propensione a regolarizzarsi. Emerge, inoltre, una consistente zona grigia tra regolarità e irregolarità lavorativa: le ore dichiarate sul contratto di lavoro (per i due terzi di chi ne ha uno) sono inferiori al numero di ore reali. Questo dimostra che esistono‘forme di nero parziale’. L’effettiva applicazione dei diritti dei lavoratori risulta problematica: in almeno 1 caso su 3 si è dimostrato del tutto non rispettato il contratto di lavoro, sia dal punto di vista della possibilità di usufruire di giorni di permesso e riposo pagati, sia di permessi orari. Inoltre, 1 badante su 3 non gode di giorni di malattia retribuiti. Sud-americane e asiatiche, più giovani e intenzionate ad un ricongiungimento familiare in Italia: sono queste le assistenti familiari maggiormente propense a formarsi e a qualificarsi come tali.

Tre profili. In base al Paese di provenienza sono stati definiti tre profili di badanti: dell’Est Europa, asiatiche, africane e sudamericane e italiane. Le lavoratrici che vengono dall’Est Europa in genere coabitano con la persona da accudire, hanno un progetto migratorio di breve periodo (circa 1/3 intenderebbe trattenersi in Italia solo 2 o 3 anni), sono senza corsi formativi alle spalle e con scarsa propensione a seguirne in futuro. Il 67% di loro non ha fatto alcun tentativo di ricerca di lavori alternativi perché continuerà a lavorare nel breve-medio periodo come badante, anche se preferirebbe farlo per meno ore al giorno. Il secondo profilo include asiatiche, africane e sud-americane. Si tratta di donne con progetti migratori di lungo periodo (quasi il 44% vuole rimanere per sempre in Italia), che progettano il ricongiungimento familiare, più propense ad innalzare le proprie competenze nel lavoro di cura e che spesso hanno già seguito corsi di formazione in Italia (oltre il 40%). In questo caso la variabile discriminante è il titolo di studio: più è alto, più si aspirerebbe a cercare lavoro in ambiti diversi da quello familiare, in ospedale o casa di riposo. l terzo profilo riguarda le assistenti familiari italiane. Sono solo il 3% del totale, ma in lieve aumento. Si tratta delle lavoratrici con titolo di studio più basso, che lavorano in media per 4 o 5 ore al giorno, con poche esperienze formative pregresse. Il lavoro di ‘badantato’ è per queste lavoratrici l’’ultima spiaggia”, dal momento che circa il 90% dice di aver tentato la ricerca di lavori alternativi, ma con scarso successo.

Coabitazione. Nel 70% dei casi le assistenti familiari coabitano con la persona da accudire e hanno un carico di lavoro pesante. Quelle che lavorano per il maggior numero di ore al giorno sono le europee dell’Est che spesso convivono con il datore di lavoro. Le altre tendono ad avere una residenza indipendente e a lavorare meno ore. Secondo la ricerca, ci sono diversi segnali che dimostrano che sta diminuendo la disponibilità alla co-residenzialità. Ciò può essere letto come un indicatore di integrazione sociale delle assistenti familiari, che acquisiscono progressivamente una propria autonomia abitativa. Inoltre, può essere questo uno dei motivi per cui si registra da più parti una ripresa di domande di ricovero in strutture residenziali per anziani, con relativo allungamento delle liste d’attesa. (sp)

www.redattoresociale.it

 

 

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