2042 BRASILE: La seconda volta di Lula

20060912 16:48:00 webmaster

Secondo i sondaggi Lula dovrebbe prevalere
al primo turno con oltre il 50 per cento dei voti

E’ già tutto deciso per l’elezione del prossimo presidente del Brasile? Secondo i sondaggi, pare proprio di sì. Luiz Inácio Lula da Silva (Pt), in carica dal 2003, dovrebbe prevalere fin dal primo turno, con poco più del 50 per cento dei voti. Piuttosto staccati appaiono i suoi principali sfidanti: l’ex governatore dello Stato di São Paulo, Geraldo Alckmin (Psdb) si attesterebbe fra il 25 e il 30 per cento e la senatrice alagoana Heloisa Helena (Psol) attorno al 10. Imbarazzante l’esito previsto per gli altri cinque candidati: nessuno di loro supererebbe la soglia dell’uno per cento. Ipotizzando un secondo turno fra Lula e Alckmin, i sondaggi sono altrettanto univoci: il primo vincerebbe nettamente, riportando circa il 55 per cento dei suffragi.

D’altra parte anche l’autorevole settimanale inglese `Economist`, in un suo recente articolo (significativamente intitolato: “Contentment and complacency”) aveva pronosticato la conferma del presidente in carica, evidenziando che le lacune dell’azione governativa in politica economica (tasso d’interesse ancora molto elevato e carico tributario giunto al 37 per cento del pil) e l’emergere degli scandali che hanno coinvolto principalmente il Pt non hanno inciso negativamente sulla sua figura, perché «il cittadino comune o ignora questi problemi, o non crede che i politici possano trovare una soluzione». A onor del vero va anche detto che l’Economist non tace gli aspetti positivi della presidenza Lula: 4,5 milioni di posti di lavoro creati (risultato inferiore rispetto a quanto promesso nel 2002, ma in ogni caso superiore a quello ottenuto da Cardoso, predecessore di Lula e appartenente allo stesso partito di Alckmin). Inoltre il settimanale britannico nota che il governo a guida petista, realizzando alcuni programmi sociali, è riuscito a conseguire il più elevato indice di consenso mai ottenuto da un esecutivo brasiliano. La rielezione, quindi, sarebbe frutto sia di atti di governo apprezzati in particolare dalle classi sociali meno abbienti, sia da una sorta di disincanto nei confronti di certi fenomeni (fra i quali la corruzione) che ormai avvincerebbe gran parte del corpo elettorale.

A ciò il reportage dell’Economist aggiunge un ritratto non certo lusinghiero dei due principali competitori di Lula. Circa Alckmin, il reportage nota che non basta essere un governatore popolare nel proprio Stato (ma semisconosciuto in gran parte del Paese) per poter sperare davvero di vincere un’elezione. Il presidente Lula con Fidel Castro in una foto di archivio
e. Se poi a ciò si aggiunge che proprio a São Paulo si è di recente scatenata un’ondata di violenza, provocata da un’organizzazione criminale che adotta ormai metodi simili a quelli della mafia, si può bene immaginare quanto sia difficile per il candidato socialdemocratico accreditarsi presso l’elettorato come presidente in grado di frenare, se non ridurre drasticamente, la violenza urbana. Come se ciò non bastasse, neppure la propaganda elettorale radiotelevisiva gratuita (iniziatasi il 15 agosto) gli ha consentito di recuperare lo svantaggio su Lula, che – non da oggi – tutti i sondaggi hanno sempre dato in testa nella corsa al Planalto (sede della presidenza della Repubblica brasiliana, ndr). Anzi, dalle apparizioni televisive di alcuni candidati governatori appartenenti alla stessa coalizione di Alckmin è sembrato chiaro un certo smarcamento da quello che, con il passare dei giorni, diventava uno scomodo compagno di squadra. Quanto a Heloisa Helena, la rivista inglese nota che è autrice di una proposta radicale: il dimezzamento del tasso d’interesse (da attuarsi entro il primo mese di governo), lasciando trasparire che proposte come questa possono essere avanzate proprio da chi sa di non poter aspirare al successo finale.

Secondo il dettato costituzionale le elezioni si tengono la prima domenica di ottobre, che quest’anno coincide con il primo giorno del mese. Saranno quasi 126 milioni i cittadini brasiliani chiamati a scegliere, con voto quasi totalmente elettronico, il capo dello Stato, il suo vice e i membri del Congresso: 513 deputati e 27 senatori su 81. Nello stesso giorno saranno eletti anche i nuovi governatori, vicegovernatori e deputati (in totale sono 1.024) dei 26 Stati e del Distretto federale. Se nessuna coppia di candidati alla presidenza e alla vicepresidenza otterrà la maggioranza assoluta dei voti validi, il 29, ovvero l’ultima domenica del mese, ci sarà il ballottaggio fra le due più votate.
Analoga situazione si avrà negli Stati in cui nessun candidato governatore dovesse raggiungere la medesima maggioranza. I sistemi elettorali sono due: maggioritario per l’elezione del capo dello Stato, dei governatori e dei senatori e proporzionale per i deputati federali e statuali.

Indipendente dal 1822, il Brasile divenne repubblica nel 1889 e da allora sono state diciannove le elezioni dirette del capo dello Stato. Con riferimento all’attuale fase costituzionale (iniziatasi nel 1985, al termine della dittatura militare) la prossima consultazione sarà la quinta e per la quinta volta Lula sarà fra i candidati al Planalto. Se il leader del Pt dovesse imporsi nuovamente, sarebbe il secondo capo di Stato rieletto nella storia del Brasile (il primo fu Fernando Henrique Cardoso, che prevalse nel 1994 e fu confermato nel 1998). Durante la fase della “Republica velha” (1891-1930), infatti, nessun presidente compì due mandati. Lo stesso accadde nel breve e travagliato periodo (1945-64) che seguì la dittatura di Getulio Vargas (1930-45) e precedette il ventennio dei governi militari (1964-85). Restaurata la democrazia, la Costituzione fissò in cinque anni la durata in carica di tutti i vertici del potere esecutivo, escludendo altresì la possibilità di rielezione. Ben presto, però, la classe politica ritenne di dover modificare questo assetto e fu così ridotta a quattro anni la durata in carica del presidente della Repubblica, dei governatori e dei sindaci. Infine, nel 1997 fu introdotta la possibilità di rielezione.

Dopo esser stato sconfitto da Fernando Collor de Mello nel 1989 e per due volte consecutive da Cardoso, quattro anni fa Lula s’impose sull’ex-ministro della Salute, José Serra (leader dell’alleanza fra Psdb e Pmdb), raggiungendo inoltre il 61,3 per cento dei voti al ballottaggio (risultato record nella storia elettorale brasiliana e uno dei più alti mai ottenuti al mondo in una libera elezione). Al primo turno l’ex leader sindacale capeggiò un cartello elettorale formato dal Pt, dal Pl del candidato vicepresidente José Alencar, dal PcdB e dal semisconosciuto Pmn. Al ballottaggio si aggiunsero il Psb e il trio Pps-Pdt-Ptb, che avevano rispettivamente sostenuto Anthony Garotinho e Ciro Gomes (ovvero i candidati preceduti da Serra al primo turno) e altri partiti minori. Occorre, però, osservare che, sotto il profilo strettamente numerico, nel 2002 l’elettorato riservò ai partiti favorevoli a Lula un trattamento molto differente, in termini di consensi. Alla Câmara – infatti – la maggioranza ottenne solo 220 seggi su 513, mentre al Senado, la situazione era ancor più delicata (30 su 81). A sua volta l’opposizione era capeggiata dai 71 eletti del Psdb e poteva contare anche su 134 deputati definibili di destra conservatrice (Pfl, Pp e Psl) e 9 di estrema destra. Divenne perciò decisivo il ruolo dei 74 deputati del Pmdb, tipico partito di correnti legate a capi locali spesso in lotta fra loro e fu proprio l’ala filogovernativa di questo partito a soccorrere, in più di un’occasione, il governo. A rimpinguare la maggioranza si provvide anche favorendo la «migrazione partitica» (ovvero il cambio di partito da parte degli eletti) e, da parte del Pt, anche erogando tangenti a parlamentari di partiti non governativi perché votassero a favore dell’esecutivo, come abbondantemente evidenziato dallo scandalo detto del mensalão.

Alle elezioni statuali del 2002 (si veda tabella in questa stessa pagina) il Pmdb prevalse nella importante regione Sud, ma fu il Psdb ad avere più governatori (sette, fra cui quelli di Minas Gerais e São Paulo, ovvero due dei centri nevralgici del Paese), mentre il Pfl dovette accontentarsi di soli tre governatori, anche se si confermò in un altro Stato rilevante, quello di Bahia (dove allungò la serie ininterrotta di successi iniziatasi nel 1990 con l’elezione di Antonio Carlos Magalhães, eterno demiurgo della politica locale). Il Pt non ebbe un gran risultato, con soli quattro governatori (nessuno nelle zone del Sud-Ovest e Sud, ovvero quelle dove ci sono gli Stati economicamente più avanzati) e altrettanti ne fece eleggere il Psb, che però prevalse a Rio. Nel 2002 i candidati alla presidenza della Repubblica furono sei, quest’anno sono otto, ma solo tre di loro guidano coalizioni (e quindi hanno maggiori possibilità di attrarre consensi). Come detto in precedenza, si sono ricandidati il 61enne pernambucano Luiz Inácio Lula da Silva e il suo vice, José Alencar (che quattro anni fa era esponente del Pl e oggi guida il Partido republicano brasileiro). La loro coalizione, denominata `A força do povo`, è formata anche dal Partido comunista do Brasil, mentre il Psb (Partido socialista brasileiro), già alleato quattro anni fa di Lula, pur non facendo parte organica di essa, si è espresso per la conferma degli attuali vertici dell’esecutivo.

Geraldo José Rodrigues Alckmin (nato nel 1952 in una località dello Stato di São Paulo) guida la `Coligação por um Brasil decente`, formata dal Partido da social democracia brasileira (Psdb), di cui è esponente di spicco e dal Partido da frente liberal (Pfl), che esprime il candidato alla vice-presidenza, José Jorge de Vasconcelos Lima. Infine c’è il Frente de esquerda, con alla testa la 43enne senatrice alagoana Heloísa Helena Lima de Moraes Carvalho e il suo vice, César Bejamin, entrambi esponenti del Psol (Partido socialismo e liberdade). A questa coalizione aderiscono pure il Pstu (Partido social trabalhista brasileiro) e il Pcb (Partido comunista brasileiro). Gli altri candidati sono l’ex-ministro dell’Educazione Cristovam Buarque (Partido democrático trabalhista) e l’imprenditore Luciano Bivar (Partido social liberal), entrambi nati a Refice, il paulista Rui Costa Pimenta (Partido da causa operária) e José Maria Eymael (Partido social democrata cristão). Infine c’è un candidato-fantasma o quasi, Ana Maria Teixeira Rangel, la quale ha iniziato tardi la campagna elettorale, a causa di una controversia con il Partido republicano progressista, per il quale concorre al Planalto.

Il formarsi delle coalizioni è stato condizionato, quest’anno, da due fattori. Il primo è l’interpretazione estensiva data dal Supremo tribunale elettorale alla «regola della verticalizzazione», ossia alla norma che obbliga i partiti a stipulare alleanze coerenti fra loro, sia a livello centrale sia a livello locale. Il tribunale, infatti, ha chiarito che se un partito presenta un candidato alla presidenza della Repubblica, nelle elezioni dei governatori può allearsi unicamente con i partiti che appoggiano il suo candidato presidente o, al massimo, con partiti che non aspirano al Planalto. Uno degli esiti di quest’interpretazione è stato che il Pmdb, ovvero il partito brasiliano più diviso al proprio interno, ma anche più radicato a livello territoriale (e maggiormente rappresentato nel Congresso) ha scelto di non concorrere per la presidenza della Repubblica, ma di puntare all’aumento del numero di Stati controllati e anche della propria rappresentanza parlamentare. Il secondo fattore che ha giocato un importante ruolo nel formarsi delle coalizioni, è stata l’entrata in vigore di una norma approvata nel 1995, ma finora non ancora operativa, secondo la quale possono concorrere all’attribuzione dei seggi al Congresso solo i partiti che abbiano ottenuto almeno il cinque per cento dei voti validi nell’elezione della Câmara (e in almeno nove Stati, con un minimo del due per cento in ciascuno di loro). Creato per combattere il fenomeno, piuttosto esteso in Brasile, delle formazioni del tutto irrilevanti elettoralmente ma tenute artificialmente in vita solo allo scopo di arricchirsi con la vendita ad altri partiti degli spazi di propaganda gratuita televisiva o radiofonica (che la legge elettorale prevede per tutti i competitori alle elezioni), lo sbarramento dovrebbe forse limitare la frammentazione partitica esistente in Brasile. L’importanza della clausola di sbarramento, poi, si può ben cogliere ricordando che il suo mancato raggiungimento comporterà l’impossibilità di accedere al finanziamento pubblico e la perdita del diritto agli spazi televisivi gratuiti in campagna elettorale.

Il Brasile, come è noto, è una repubblica presidenziale. Ciò vuol dire, fra l’altro, che il governo non deve chiedere la fiducia al parlamento per restare in carica, ma occorre pur sempre che ottenga le maggioranze necessarie per l’approvazione delle leggi, in particolare per le modifiche costituzionali che in Brasile, come in tutti gli stati di recente democrazia, sono numerose. Pertanto assume notevole importanza l’esito dell’elezione della Câmara e ciò è confermato dalle cronache politiche degli ultimi anni. Infatti, sia nell’epoca di Cardoso sia con Lula alla presidenza, il governo ha spesso faticato a mantenere coesa la propria maggioranza. In particolare ciò si è riscontrato nel corso dell’ultima legislatura, terminata con l’esecutivo privo di una vera e propria base parlamentare, anche a causa degli scandali verificatisi a partire dal 2005. Fra gli studiosi brasiliani, molti accusano apertamente il sistema proporzionale a lista aperta che caratterizza l’elezione della Câmara. Esso è, infatti, ritenuto incapace di rappresentare correttamente la volontà degli elettori poiché i seggi sono distribuiti non solo a un partito che li consegue per proprio conto, ma anche ad altri che – a livello di collegio – si siano collegati ad esso. A conferma di ciò uno studio pubblicato dopo le ultime elezioni evidenziò che, su 513 deputati, solo 33 furono eletti con i propri voti, mentre tutti gli altri ottennero il seggio in virtù dei collegamenti o del recupero dei resti. Circa l’altro ramo del Congresso, il Senado, la Costituzione prevede che si rinnovi per 2/3 in un’elezione e per 1/3 in quella successiva, in tal modo i senatori restano in carica otto anni (a differenza dei deputati, il cui mandato è di quattro). Poiché nel 2002 furono rinnovati 54 seggi, quest’anno saranno in palio soltanto 27, uno per Stato. Fra i senatori in scadenza di mandato tredici si presentano per la conferma, ma questo ramo del Congresso avrà sicuramente un certo tasso di rinnovamento perché ben 23 fra quanti hanno diritto a restare in carica fino al 2011 concorrono ad altre cariche in questa tornata elettorale e, pertanto, in ogni caso lasceranno il Senado.

Passando all’elezione dei governatori, si evidenzia il carattere eterogeneo di molte alleanze, alcune delle quali formate anche da dieci partiti (d’altronde le formazioni presenti a questa competizione sono ben 29). I minuscoli Psdc e Psol sono i soggetti politici con il maggior numero di candidati, presentandosi in pratica in tutti gli Stati. Il motivo è legato alla clausola di sbarramento, che si ritiene possa essere superata avendo più candidati e, quindi, più spazi di propaganda gratuita. Fra i partiti maggiori, il terzetto formato da Pt-Pcdb-Prb si presenta al completo (ovviamente accompagnato da altre formazioni) in nove Stati, fra i quali São Paulo, Paraná, Pernambuco, Distretto federale, Santa Catarina, Bahia e Minas Gerais (in questi ultimi due anche il Pmdb fa parte dell’alleanza). Tutti i candidati governatori sono petisti. Coalizioni ristrette invece ai soli Pt e PcdB nel Tocantins (dove c’è l’unico candidato comunista, Leomar Quintanilha) e nel Rio Grande do Sul, dove l’ex-governatore Olívio Dutra, sconfitto quattro anni fa, cerca una difficile rivincita. In altri otto Stati, fra cui quello di Rio de Janeiro; il Pt capeggia coalizioni più o meno eterogenee, ma accomunate dalla presenza del PcdB e dall’assenza del Prb. A Rio si presenta pure l’unico candidato governatore di quest’ultimo partito, il senatore e vescovo della Chiesa universale del regno di Dio, Marcelo Crivella. Si ritrova infine il binomio Pt-PcdB nelle coalizioni guidate dal Psb nel Rio Grande do Norte e Goiás, mentre in Ceará e Maranhão si forma di nuovo il terzetto Pt-PcdB-Prb a sostegno di candidati socialisti.

A loro volta Psdb e Pfl sono riusciti a riprodurre l’alleanza che sostiene Alckmin in undici Stati (in nove il candidato governatore è socialdemocratico, mentre in due è del Pfl). Fra i socialdemocratici si presentano il governatore uscente del Minas Gerais, Aecio Neves, e il già citato ex ministro della Salute, José Serra. Il Psdb ha poi propri candidati anche in altri otto Stati, dove però il Pfl non fa parte dell’alleanza. Va osservato che – non essendo riusciti a formare alleanze né con il Pfl né con il Pmdb – i socialdemocratici non si presentano in alcuni Stati importanti (per esempio Bahia), mentre corrono da soli in altri (Rio). Come detto in precedenza, il Pmdb ha deciso di non presentare un proprio esponente per la corsa al Planalto e di perseguire la strategia delle “mani libere” (ossia formare coalizioni con il Pt in alcuni Stati, con il Psdb e il Pfl in altri), al fine di ottenere un alto numero di governatori. Candidati del Pmdb guidano così coalizioni dove sono presenti anche il Pt e i suoi alleati in Roraima e Paraiba, mentre in Mato grosso do Sul e Santa Catarina sono Psdb e Pfl a comparire nel cartello elettorale capeggiato da un esponente del partito centrista. Alleanza incompleta in Rondonia (dove accanto al candidato del Pmdb c’è soltanto il Psdb, ma non il Pfl), mentre il contrario si verifica in Rio grande del Norte e Tocantins. Infine questo partito si presenta da solo o in alleanza con partiti minori in otto Stati, fra i quali ci sono alcuni dei più importanti: São Paulo (dove si candida uno degli uomini politici brasiliani dalla carriera più lunga, quell’Orestes Quercia che tentò anche l’elezione al Planalto nel 1994), Rio de Janeiro (qui il candidato è Sergio Cabral), Rio Grande del Sud e Paraná (dove Germano Antônio Rigotto e Roberto Requião, chiedono agli elettori di essere confermati). Caso a parte è l’Espirito Santo, dove il governatore uscente, Paulo César Hartung (Pmdb), ha nella propria alleanza Psdb e Pfl, ma gode di fatto anche dell’appoggio del Pt, che ufficialmente non ha aderito ad alcuna coalizione.

In esordio si è accennato ai sondaggi relativi alle presidenziali: è quindi opportuno concludere con qualche previsione demoscopica circa le elezioni statuali. Gli istituti specializzati rilevano la continuità delle scelte dell’elettorato, dato che ben 19 dei governatori in carica sarebbero confermati. Circa i singoli partiti il Pmdb, come largamente atteso, confermerebbe i suoi governatori nei tre Stati del Sud e si imporrebbe anche a Rio e in altri cinque Stati. Il Psdb, a sua volta, ha in Neves e Serra due vincitori quasi certi fin dal primo turno e quindi si assicurerebbe la conferma in due fra gli Stati più importanti del Paese, potendo così condizionare Lula, magari formando un fronte con i governatori del Pmdb più ostili al presidente. Inoltre i socialdemocratici hanno buone chance di successo al secondo turno in altri quattro Stati (Pará, Paraiba, Tocantins e Roraima). Il Pt è dato favorito soltanto in Sergipe, Acre e Piauí, mentre il Psb nel Ceará è l’unico partito che, secondo i sondaggi, ha ribaltato l’esito iniziale del voto, facendo quindi fruttare al massimo la partecipazione del proprio candidato, Cid Gomes, agli spazi di propaganda gratuita radiotelevisiva. Un altro dei maggiori partiti, il Pfl, appare in pratica certo di confermare Paulo Souto a Bahia, a cui potrebbero aggiungersi altri tre governatori, essendo in lizza con buone prospettive di successo in Pernambuco, Maranhão e nel Distretto federale.

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