2065 Rapporto di Hrw: dal 2003 al 2005 rimpatriati 14.500 stranieri dal governo libico

20060915 12:21:00 webmaster

Dall’Italia 50 charter tra agosto 2003 e dicembre 2004 per rimandare indietro 5.688 persone. Per i migranti africani violenze anche in strada e nessuna possibilità di tutela istituzionale

ROMA – Abusi contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Dure accuse contro Libia e Italia, in un rapporto pubblicato ieri da Human Rights Watch (Hrw), il gruppo per i diritti umani con sede a New York. Dal 2003 al 2005, secondo dati ufficiali, risultano documentati all"incirca 14.500 rimpatri di stranieri da parte del governo libico, per lo più verso Paesi dell’Africa subsahariana. Oggi la maggior parte delle deportazioni avvengono a bordo di aerei ma inizialmente alcune espulsioni avvenivano via terra a bordo di autocarri o pullman attraverso il deserto, con notizie certe di almeno 146 morti durante i viaggi. Dal canto suo l´Italia nel 2004 ha effettuato migliaia di espulsioni verso la Libia in modo frettoloso e indiscriminato, senza permettere la possibilità di presentare richiesta d’asilo.

Una volta in Libia, il governo libico ha rimpatriato queste persone verso i loro Paesi d’origine, senza curarsi se costoro rischiavano persecuzioni o maltrattamenti. Tra l’agosto 2003 e il dicembre 2004, l´Italia ha affittato 50 aerei charter dalla Libia che sono serviti a rimpatriare 5.688 persone. Una pratica abbandonata, dopo la condanna delle espulsioni collettive in Libia, emessa il 10 maggio 2005 la Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Il governo libico afferma che la maggior parte dei deportati erano migranti spinti da motivi economici, per i quali il rimpatrio non comportava nessun rischio. Non era certo questo il caso del volo diretto ad Asmara (Eritrea) che nel 2004 venne dirottato dai suoi passeggeri e costretto ad atterrare in Sudan, dove l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) riconobbe loro lo status di rifugiati. La Libia non ha una legge sull’immigrazione, non ha sottoscritto la Convenzione sui rifugiati del 1951 e non collabora con l’Unhcr, sebbene questo abbia una sede a Tripoli. Durante l’intero processo di deportazione, dall’arresto sino al rimpatrio forzato, le persone non hanno alcuna opportunità di presentare domanda di asilo. Tuttavia il "Proclama costituzionale" della Libia del 1969 afferma che "l’estradizione di rifugiati politici è proibita”. La legge 20 del 1991, sul “rilancio della libertà”, afferma che la Libia “sostiene gli oppressi e i difensori in cammino verso la libertà e non abbandona i rifugiati sottraendosi alla loro protezione”. Sia la Convenzione contro la tortura sia la Convenzione africana dei rifugiati vietano alla Libia di mandare persone in Paesi dove sarebbero gravemente esposti al rischio di persecuzione o tortura.

Ma le violenze contro i migranti africani in Libia si registrano anche per strada. "Siamo neri – racconta un rifugiato romano proveniente dall’Eritrea a Redattore Sociale – e quando i libici ci vedono sanno che abbiamo in tasca i soldi per il viaggio verso l´Europa. A Tripoli un bambino mi ha chiesto i soldi minacciandomi con un coltello e ho dovuto pagare, perché dietro di lui c´era un gruppo di ragazzi più grandi e ho visto pestare altri africani per strada. La Libia per noi è una terra di nessuno, e se chiami la polizia per difenderti sarai arrestato e rimandato a casa". In realtà non molto tempo fa Qaddafi aveva aperto le proprie porte agli stranieri, invogliato dalla manodopera a basso costo e impegnato a promuovere il proprio ruolo di leader panafricano. Ma quei tempi sono soltanto un ricordo. Intorno al 2000 le tensioni sociali di un Paese con 1 milione di stranieri su 6milioni di popolazione, portarono al cambio di rotta. Nel settembre 2000 le sommosse anti stranieri esplosero a Zawiyah, nel nord-ovest del Paese, causando la morte di almeno 560 migranti. Negli stessi anni l´Europa iniziava a fare forti pressioni su Qaddafi per il controllo delle coste. Intanto aumentavano gli sbarchi, e le vittime: almeno 1.857 morti annegati nel Canale di Sicilia dal 1996 ad oggi, di cui 1.123 dispersi. (gdg)

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