2075 GIULIANA SGRENA: IRAQ, LA TRAGEDIA QUOTIDIANA

20060917 15:23:00 webmaster

Tutti gli occhi sono puntati sul Libano, l’Iraq non fa piu’ notizia. Nonostante il massacro di cento persone al giorno, secondo la stima delle Nazioni Unite. Cosi’ e’ stato anche il 13 settembre, 32 vittime di autobombe e mortai.Ma la scoperta piu’ raccapricciante era avvenuta nella notte con il ritrovamento di 65 cadaveri che portavano segni di torture praticate prima del colpo di arma da fuoco mortale. La guerra sporca degli squadroni della morte non ha piu’ quartiere: una quarantina di cadaveri sono stati trovati in quartieri sunniti, una ventina in quelli sciiti e altri 5 galleggiavano sul Tigri all’altezza di Suwayrah, a 40 chilometri a sud di Baghdad.

La guerra civile che sta dissanguando il
paese da tempo ha come effetto la pulizia etnica: nella capitale i sunniti
occupano la parte occidentale del Tigri e gli sciiti quella orientale, dove
erano gia’ prevalenti, le zone miste stanno scomparendo. Proprio mentre
l’Alleanza unita irachena (il blocco confessionale sciita) sta forzando i
tempi in parlamento (con una legge la cui discussione e’ stata rinviata al
19 settembre) per arrivare alla formazione di una regione autonoma sciita
nel sud del paese. Che faccia da contraltare al Kurdistan iracheno che ormai
da tempo sembra essersi staccato – anche se non formalmente, ma in Iraq
esiste forse una legalita’? – dall’Iraq.
In Kurdistan – meno penalizzato dalla guerra e favorito se cosi’ si puo’
dire dall’occupazione – arrivano investimenti dall’estero e sebbene lo
status di Kirkuk non sia ancora stato stabilito, i kurdi stanno gia’
sfruttando il petrolio dei suoi giacimenti vendendolo anche all’estero. Del
resto persino durante l’embargo, ai tempi di Saddam, le maggiori entrate del
Kurdistan autonomo provenivano dai dazi fatti pagare sul contrabbando
dell’oro nero verso la Turchia. Il Kurdistan va per la sua strada e il sud
sciita si sta sempre piu’ iranizzando, nonostante l’occupazione. E non a
caso la "guida suprema" iraniana Ali’ Khamenei ha approfittato della visita
del premier iracheno Nuri al Maliki per garantire il sostegno iraniano ma
sottolineando che l’occupazione deve finire. Lo sostengono anche gli
iracheni e un gruppo di avvocati, per raccogliere il sentimento popolare
ostile all’occupazione, ha promosso una petizione per il ritiro delle truppe
straniere che pero’ ha trovato l’appoggio di soli 104 deputati (su un totale
di 275), soprattutto sunniti. Quindi per poter arrivare a una discussione in
parlamento e a una sua approvazione la petizione ha ancora molta strada da
fare. Anche perche’ la maggioranza dei deputati dell’Alleanza unita
irachena, i cui leader hanno passato l’esilio a Tehran, non l’hanno
sottoscritta. Nonostante il premier Maliki in questi giorni a Tehran abbia
firmato accordi in vari campi con il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad.
Nuri al Maliki si trova stretto tra gli americani e gli iraniani. Gli Usa
gli permettono di rimanere al potere e nello stesso tempo lo rendono inviso
alla popolazione sciita bombardando il quartiere Sadr city per dare la
caccia ai miliziani di al Mahdi, l’"esercito" del radicale Muqtada al Sadr.
Gli iraniani, che stanno mettendo le mani sull’Iraq, lo tengono buono mentre
stanno fomentando le ali piu’ estreme dello sciismo. Alcuni osservatori
ritengono che la fazione di Muqtada al Sadr si candiderebbe a giocare il
ruolo simile a quello che Hezbollah ha giocato in Libano. La debolezza di al
Maliki e del suo governo e’ evidente. Ultimamente sono corse voci di un
tentato golpe a Baghdad, il primo tentativo sarebbe fallito ma i suoi
fautori (l’ala dura sciita) non sarebbero intenzionati a desistere.
Probabilmente anche la guerra sporca degli squadroni della morte non e’
estranea al precipitare della situazione. Registrata anche dal rapporto del
Government accountability office (Gao) Usa pubblicato nel quinto
anniversario dell’11 settembre, che sottolinea il peggioramento delle
relazioni (un eufemismo!) tra gruppi etnici e religiosi e l’indebolimento
del senso di identita’ del popolo iracheno. Ma il rapporto non parla della
divisione dell’Iraq sponsorizzata dagli Stati Uniti fin dal 1991 con la
creazione delle no-fly zone.
Il Gao, che cita il Pentagono, riferisce che gli attacchi contro le forze
della coalizione e le forze irachene sono aumentate del 23% dal 2004 al 2005
e che il numero degli attacchi da gennaio a luglio del 2006 sono aumentati
del 57% rispetto allo stesso periodo del 2005. Mentre un grafico del
rapporto e’ ancora piu’ esplicito: gli attacchi sono saliti da 100 nel
maggio del 2003 (era l’inizio della resistenza all’occupazione, ndr) ai
circa 4.500 del luglio 2006, contro le truppe di occupazione, le forze
irachene e i civili. Ma il rapporto non prende in considerazione il maggior
fallimento degli Stati Uniti in Iraq: il potere conquistato dagli iraniani.

ww.ilmanifesto.it

 

 

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