2111 IMMIGRAZIONE: La newsletter della UIL

20060922 15:09:00 webmaster

Flussi – bis:Il decreto arriva in Parlamento
Inizia l’esame delle commissioni di Camera e Senato. Si avvicina la pubblicazione, ma i nulla-osta arriveranno tardissimo

Roma, 18 settembre – Dopo lo stop imposto dalle vacanze estive, il decreto flussi bis arriva finalmente in Parlamento.
Questa settimana lo schema licenziato dal governo, che ha già ottenuto il parere positivo della Conferenza Unificata, sarà al vaglio delle commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato. Inizia Palazzo Madama, che esaminerà il testo a partire da domani (mentre scriviamo non è stato ancora designato un relatore), mentre Montecitorio lo ha messo in calendario mercoledì 20, affidandolo all’ on. Sesa Amici (Ulivo).

Entro la fine del mese lo schema di decreto dovrebbe tornare alla presidenza del Consiglio, presumibilmente accompagnato dai pareri positivi delle commissioni parlamentari, per la firma finale e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ma a differenza di quelli che lo hanno preceduto, questo decreto percorre la sua strada in sordina, dal momento che entrando in vigore non darà il via ad alcuna corsa alle quote. I giochi, per ora, sono fatti. Lo schema di decreto fissa infatti la data dello scorso 21 luglio come termine ultimo per la validità delle domande, autorizzando un numero di ingressi (350mila) congruo ad accogliere tutte quelle che, presentate fino a quel giorno, sono rimaste fuori dal decreto da 170mila ingressi pubblicato a marzo scorso. Solo se il governo, nella stesura finale del decreto bis, farà "cadere" la data-limite, chi ha trovato solo oggi un datore di lavoro pronto ad assumerlo avrà qualche speranza di mettersi in tasca un permesso di soggiorno. Comunque vada, per chi spera di lavorare regolarmente grazie al decreto bis si annunciano tempi d’attesa lunghissimi. Gli sportelli Unici di tutta Italia sono ancora in alto mare con le pratiche dei primi 170mila ingressi, e difficilmente riusciranno a rilasciare tutti i nulla-osta entro la fine dell’anno. Gli altri 350mila resteranno in coda per molti mesi.

Cassazione
Clandestini indigenti? No all’espulsione
Sentenza: non può essere condannato chi non rispetta un ordine di allontamento perchè non ha i mezzi per lasciare l’Italia.

Roma, 18 settembre (Adnkronos) – Gli immigrati clandestini indigenti che non hanno i mezzi per rientrare in patria non possono essere condannati se non lasciano l’Italia dopo l’ordine di allentamento del questore. È la tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione nella sentenza 30774 depositata ieri. I giudici hanno così respinto un ricorso della Procura della Corte di Appello di Roma contro l’assoluzione accordata dal tribunale della Capitale a una cittadina romena, Malina A.N., sorpresa ancora in Italia dalle forze dell’ordine dopo un’espulsione. Secondo i giudici di Roma, che avevano assolto la donna "perché il fatto non sussiste" , questa non aveva lasciato l’Italia perché "sprovvista del denaro occorrente al rimpatrio, circostanza plausibile essendo emerso che alloggiava presso uno scalo ferroviario". Una tesi non condivisa dal procuratore generale della Corte dìAppello, secondo il quale il "mero disagio economico dipendente dall’ingresso nello Stato, senza disporre di mezzi e dalla mancanza di occupazione connessa alla situazione di clandestinità volontariamente posta in essere" non è un "motivo di giustificazione che deve avere le "connotazioni di necessità inevitabile". Ma la Cassazione ha dato ragione a Malina, giudicando infondato il ricorso della Pg della Corte d’Appello. I giudici hanno fatto riferimento a una sentenza della Corte Costituzionale, secondo la quale la giustificazione al mancato allontanamento "non può essere costituita dal mero disagio economico di regola sottostante al fenomeno migratorio, ma ben può essere integrata da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio". In questa condizione di "assoluta impossidenza" si trovava Malina, come dimostrano "le accertate condizioni di estrema precarietà abitativa". La sentenza è stata criticata aspramente dal senatore di An Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all’Interno con delega all’Immigrazione. "La decisione della Cassazione – ha detto Mantovano – si inserisce in un solco consolidato di provvedimenti giudiziari che, da quando è in vigore la Fini Bossi, provano in vario modo a disapplicarla, se non a sabotarla apertamente". Dura anche la reazione della Lega Nord, che per bocca del senatore Ettore Piravano denuncia "l’assurdo legislativo applicato da questi signori con l’ermellino". Se l’indigenza giustifica la disobbedienza, commenta Pirovano "allora io dico che sono giustificati anche i reati commessi dagli italiani indigenti. Se uno ruba in un supermercato oppure ruba una bicicletta o un motorino, perché non se li può permettere – continua -, è considerato esente dal rispettare sia il codice civile o il codice penale. Questo dovrebbe valere per tutti gli esseri umani residenti sul territorio nazionale".

Il ministro Ferrero: "Allo studio permessi di lavoro temporanei"
"Italia propone un nuovo modello diverso da quello della Francia e Gran Bretagna"
New York, 16 settembre – Attraverso una serie di provvedimenti sull’immigrazione, l’Italia sta preparando un nuovo modello di integrazione, diverso da quelli tentati in Francia – con l’assimilazione – e in Gran Bretagna – con il dialogo tra le autorità e le comunità -, che non hanno dato risultati soddisfacenti. Lo ha spiegato ieri a New York, intervenendo al "Dialogo ad alto livello su migrazioni e sviluppo", Paolo Ferrero, il ministro della Solidarietà Sociale. Ferrero ha anche sottolineato l’importanza della "due giorni", che si è conclusa ieri, sull’immigrazione, dove per la prima volta la questione "non è stata trattata come un problema minore, nazionale e di ordine pubblico, ma come un grande tema della nostra epoca". In un incontro con i giornalisti italiani, Ferrero ha spiegato che il modello italiano ricorda forse un po’ quello olandese, con la volontà di "abbassare i muri", riconoscendo agli immigrati "i diritti civili, le loro appartenenze culturali" , ma tentando nel contempo di "evitare le costruzione di comunità chiuse", che non di rado vengono purtroppo da loro ritenute "necessarie per difendersi". Rispetto all’Olanda, l’Italia presenta una serie di forze, secondo il ministro: la presenza delle Chiese, soprattutto quella cattolica particolarmente molto attiva, e quella dei sindacati, che almeno nel nord dell’Italia "rappresentano uno dei maggiori fattori di integrazione". Tra i provvedimenti che il governo italiano sta preparando, Ferrero ha citato in particolare quello che modificherà le modalità di ingresso, per arginare l’attuale flusso di immigrazione clandestina e fare in modo che "i primi incontri degli immigrati con la realtà italiana sia con la società civile e non con la malavita", come oggigiorno spesso succede. E’ allo studio, per esempio, la possibilità di fornire permessi di lavoro temporanei (con uno sponsor che garantisce e solo se la persona è in grado di sostenere le spese) oltre a quella di organizzare corsi di formazione nei paesi di provenienza degli emigrati, come per esempio l’Egitto. Tra i problemi da risolvere in Italia Ferrero ha citato quello della pubblica istruzione per i figli degli immigrati clandestini, e la possibilità di accedere al sistema sanitario, molto difficile in particolare per le donne immigrate che spesso non parlano una sola parola di italiano. Il ministro ha poi ricordato che il governo ha recentemente varato un ddl sulla cittadinanza italiana, proponendo che si possa acquisire dopo cinque seguendo "un percorso e superando un esame con cerimonia", un po’ come succede negli Stati Uniti. "Dobbiamo chiedere loro di condividere con noi punti fondamentali come la democrazia e la libertà dell’individuo", ha precisato Ferrero. Il ministro, infine, non ha voluto troppo sbilanciarsi sui numeri giudicando che il momento è prematuro, ma ha riconosciuto che "l’elemento quota non penso sia eliminabile" nella politica dell’immigrazione. Attualmente gli illegali sarebbero 700mila circa in Italia, ai quali occorre aggiungere circa 300mila persone entrate legalmente tra il 2001 – quando ci fu una grossa sanatoria – e il 2006. Almeno a prima vista, quindi, i bisogni potrebbero essere stimati in circa 200mila persone l’anno, ma si tratta di una cifra tutta da verificare.
Liguria
Al via la nuova legge sull’immigrazione
La giunta regionale approva le nuove norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale. Stranieri coinvolti nella programmazione degli interventi che li riguardano
Genova, 18 settembre – Coinvolgere i residenti stranieri nella programmazione delle politiche che li riguardano direttamente, sostenere con un fondo di garanzia quelli che cercano un alloggio o vogliono avviare un’impresa, favorire la comprensione reciproca inserendo mediatori culturali in scuole e ospedali e organizzando corsi di italiano per adulti. Sono tra gli obiettivi principali del disegno di legge "Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati" approvato stamattina dalla Giunta regionale ligure su proposta dell’assessore regionale, alla Immigrazione e alle Politiche del Lavoro, Enrico Vesco. Dopo Emilia Romagna e Friuli la Liguria è la terza regione italiana a presentare una legge quadro sull’immigrazione con l’obiettivo di assumere un ruolo di regia e di governo del fenomeno sul fronte delle politiche abitative, dell’istruzione, della sanità e dei servizi sociali per immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. "Con questa legge – spiega l’assessore, Enrico Vesco – vogliamo intervenire, nell’ambito delle competenze regionali, per affrontare le problematiche che derivano dalla presenza sul territorio di cittadini stranieri, cercando di rimuovere gli ostacoli soprattutto per quanto riguarda gli alloggi, la lingua, l’integrazione sociale nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana". Vista la trasversalità della materia gli interventi riguardano più settori e saranno programmati coinvolgendo le associazioni e i soggetti che già lavorano a fianco degli immigrati. "A questo proposito – continua Vesco – la legge prevede la costituzione della prima consulta regionale composta dai rappresentanti degli immigrati, delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, dei direttori dei dipartimenti regionali per una programmazione dei flussi che tenga conto sia delle esigenze di mercato, sia delle problematiche burocratiche connesse ai visti d’ingresso, per evitare vessazioni e favoritismi e per l’emersione dell’immigrazione clandestina". "Si tratta – conclude Vesco – di una legge importante con cui la Giunta regionale,per la prima volta si assume un ruolo di guida e di regia del settore".

Conferenza di Genova
Amato: "L’integrazione è contaminazione"
Il min. dell’Interno: "L’ alternativa è la torre di Babele". Rilanciata la proposta di creare liste di collocamento presso i consolati
GENOVA – "L’integrazione non è assimilazione ma contaminazione. L´alternativa è la torre di Babele, ognuno con le proprie scuole e i propri quartieri". Così il ministro dell´Interno, Giuliano Amato, che è intervenuto oggi alla Conferenza sull’immigrazione promossa dalla Regione Liguria e dalla Commissione Europea a Palazzo Ducale a Genova.
Il ministro ha ribadito l´importanza della riforma della legge sulla cittadinanza: "Sappiamo bene che non basta per una piena integrazione, ma è un passo che aiuta. Tra l´altro – ha sottolineato – i cinque anni indicati dalla legge sono di residenza legale, un requisito più stringente del semplice soggiorno". Amato ha poi affermato la necessità di riformare la legge Bossi-Fini, con l´intento di governare meglio l´immigrazione legale per scoraggiare la clandestinità. A questo proposito, Amato ha prospettato ancora una volta l´istituzione di una sorta di uffici di Collocamento presso i nostri consolati: "Bisogna rafforzare – ha spiegato – la cooperazione con il ministero degli esteri, le associazioni di volontariato, le organizzazioni non governative per mettere in piedi nei consolati liste di persone che desiderano venire a lavorare in Italia. Alla compilazione delle liste si potranno affiancare corsi di formazione. Le persone che verranno in Italia potranno così imparare come si svolgono certe mansioni nel nostro paese". Il datore di lavoro italiano, dunque, potrà rivolgersi a queste liste per assumere i lavoratori di cui ha bisogno. Ma potrà anche, ha sempre spiegato Amato, rivolgersi "alla sua associazione di settore o a una istituzione che fa da sponsor e fa entrare in Italia l´immigrato" con un permesso per la ricerca di lavoro. Un canale in più che permette al datore di lavoro di conoscere l´immigrato prima di assumerlo. "I paesi che ci mandano immigrati legali – ha concluso il ministro dell’Interno – dovrebbero avere con noi un accordo per la riammissione sul loro territorio degli immigrati illegali. Su questo ci dovrà aiutare l’Unione Europea".

Il ministro Pollastrini: ok al permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri sfruttati

Roma, 15 settembre – Il prossimo consiglio dei ministri esaminerà un provvedimento che permetterà la regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri che denunceranno episodi di sfruttamento e di oppressione che riguardino sia stranieri sia italiani. Lo ha annunciato il ministro dei Diritti e delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini ad un incontro della campagna europea ‘For diversisty agains discrimination’. Si tratta di un provvedimento presentato dal ministro dell’Interno Giuliano Amato che la collega Pollastrini ha detto di "condividere". "E’ un atto semplice e concreto – ha precisato – che si può fare anche in presenza della legge Bossi-Fini. Questo prevede la regolarizzazione di tutti quei lavoratori stranieri che si faranno portavoce delle condizioni di oppressione e sfruttamento, a partire dalle donne che sono sfruttate, ricattate fino alla minaccia di morte". L’obiettivo della modifica della legge sull’immigrazione che verrà presentata al Cdm è di garantire, con la concessione di un permesso di soggiorno, una tutela agli immigrati che denunciano casi di sfruttamento come quello dei lavoratori stagionali in Puglia. L’ipotesi studiata da Amato prevede la modifica dell’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che, attualmente, già prevede una speciale tutela, con la concessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, "per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale". Ma si tratta di un riconoscimento legato solo ad alcuni casi, per la "particolare gravità ed attualità del pericolo", recita la norma, per l’incolumità dello straniero e "alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’ organizzazione criminale". L’obiettivo di Amato, sarebbe quello di estendere la tipologia di questi reati, per garantire una maggiore e più ampia tutela agli immigrati clandestini sfruttati.

Regione Lazio: ok a corsi di formazione all’estero

Roma, 13 settembre – Interventi formativi rivolti a cittadini extracomunitari che aspirano a fare ingresso in Italia sono stati approvati oggi in Giunta regionale del Lazio. La deliberazione proposta dall’assessore alle Politiche sociali, Alessandra Mandarelli, di concerto con l’assessore all’Istruzione, diritto allo studio e formazione, Silvia Costa, ha permesso lo stanziamento regionale di 64.290 euro che vanno ad aggiungersi al finanziamento del ministero della Solidarietà sociale di 428.600 euro per totale di oltre 492 mila euro. "I programmi formativi – ha spiegato l’assessore Mandarelli – vanno incontro alle disposizioni del Testo unico nazionale sull’immigrazione e realizzano concretamente uno degli obiettivi di legge: formare gli stranieri prima del loro avvento in Italia. I corsi saranno indirizzati ai cittadini di Romania, Marocco e Ucraina che prima di fare il loro ingresso nella nostra regione, desiderano seguire percorsi di formazione nei settori dell’assistenza e della cura domiciliare, dell’edilizia e della ristorazione". "Una formazione fuori dal nostro Paese – ha affermato l’assessore Costa – che darà una garanzia ulteriore ai datori di lavoro e agli imprenditori laziali. E inoltre darà la possibilità agli immigrati di arrivare nella nostra regione conoscendo la nostra lingua e alcune importanti nozioni in materia di tutela e sicurezza sul lavoro, oltre che sull’educazione civica".
"Siamo in linea – ha detto l’assessore Mandarelli – con i principi della nuova proposta di legge regionale sull’immigrazione che fa dell’integrazione sociale degli stranieri il suo cardine. Per questo è estremamente rilevante che entrino nel nostro Paese avendo delle nozioni della nostra lingua, oltre che della nostra cultura". I Paesi e i settori sono stati scelti in base alle rilevazioni Excelsior di Unioncamere e in base alla consistenza dei flussi migratori e in base ai rapporti bilaterali avviati tra il nostro Paese e queste nazioni. I soggetti formatori dovranno avere: esperienza educativa con gli immigrati nei settori di assistenza, edilizia e ristorazione; legami con strutture amministrative o organizzazioni formative e non, nel Paese in cui si candidano a realizzare l’intervento; risorse umane adeguate e docenza qualificata; capacità tecniche ed organizzative da dimostrare al momento della candidatura.
"Sono previsti inoltre – hanno concluso gli assessori regionali – tavoli interassessorili operativi con il compito di predisporre rapporti semestrali, gestire e controllare interventi posti in essere, realizzare un report finale".

Stranieri in patria, detenuti in casa
Vita vissuta di chi aspetta il permesso di soggiorno. Camilita e gli altri. L’impossibilità di una vita normale e dignitosa, condizionati dal «cedolino», assurda e vergognosa striscia di carta sgualcita da cui dipende tutto. Possibile che non ci sia rimedio?
Maria de Lourdes Jesus – Il Manifesto

Roma, 15 settembre – Anche quest’anno la circolare che autorizza gli immigrati in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno a recarsi nei loro paesi di origine per le vacanze estive è arrivata all’ultimo momento. Decisamente troppo tardi, per alcuni. Penso per esempio a Camilita, una donna capoverdiana che vive in Italia da più di vent’anni, coraggiosa e grande lavoratrice. Quando mi ha chiamata al telefono ho cominciato a sudare freddo, prima ancora di sapere di cosa si trattasse. Non mi chiama mai, e quando lo fa è perché si trova veramente nei guai. Ogni volta mette a dura prova il mio stato d’animo, le mie energie e tutte le mie capacità di individuare i canali e le persone giuste per risolvere i problemi sempre più difficili che la condizione d’immigrato c’impone oggi. Camilita è sposata con tre figli, due minori nati a Roma e un maggiore arrivato da Capo Verde all’età di 10 anni, che gli ha già dato un nipote. L’ultima volta che mi ha telefonato si trattava di un problema che riguardava suo figlio maggiore, Luis, di 24 anni, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Luis aveva ricevuto l’invito al matrimonio del suo più caro amico d’infanzia, emigrato in Olanda. Pensando che all’interno dell’Unione europea si potesse circolare con il cedolino (la ricevuta che attesta che sei in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno) il ragazzo è partito tranquillamente e per risparmiare ha deciso di viaggiare in pullman. Arrivato alla frontiera con la Francia il bus viene fermato per il controllo documenti e il viaggio di Luis finisce in un centro di permanenza locale. Con l’aiuto di un avvocato, Luis, spaventato a morte, torna a Roma, ma le disgrazie non si fermano qui. Arrivato a Fiumicino viene trattenuto una notte, senza un vero motivo, e il giorno dopo viene accompagnato in Questura dove gentilmente gli consegnano il foglio di via che lo «invita» a lasciare l’Italia. Chiamiamo subito un avvocato abituato a trattare questi casi difficili (costo 1.500 euro, che Camilita sta ancora pagando a rate). L’avvocato inoltra subito la domanda al Tar per la revoca del foglio di via, ma da allora sono passati più di tre mesi e ancora il problema non si risolve.
Il ragazzo ha ripreso a lavorare, ma il datore di lavoro non lo vuole mettere in regola. Luis è anche un ragazzo-padre e deve mantenere anche il figlio, non può permettersi di rifiutare un lavoro solo perché è in nero… Spera di trovare prima o poi un impiego regolare, e in attesa svolge i lavori che trova. Con Camilita ci conosciamo da sempre, siamo della stessa isola, S. Nicolau, dove siamo vicine di casa. La sua famiglia abita subito sopra di noi, a Vila da Ribeira Brava, e dalle nostre case dominiamo dall’alto tutta la valle che ospita il centro storico della città (almeno fino a quando un ingombrante albergo per turisti non ci ha oscurato completamente il panorama). Se ci serviva qualcosa siamo sempre state abituate a parlarci dalle nostre terrazze e anche qui manteniamo questo rapporto. Qui però ci tocca risolvere soprattutto problemi creati da una legge che non tiene in nessuna considerazione le esigenze più elementari delle persone e la loro dignità.
Così, quando ho sentito la voce di Camilita al telefono mi sono chiesta: oddio, che sarà successo stavolta? In realtà aveva ricevuto una brutta notizia: il padre stava morendo e la madre chiamava tutti i figli al suo capezzale. Camilita era disperata: doveva partire subito per Capo Verde, ma non aveva ancora ottenuto risposta alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, inoltrata da più di un anno. Era andata dal commissariato, dove le avevano chiesto di farsi spedire un certificato medico che attestasse lo stato di salute del padre. Allora ha chiamato la madre, ma il medico era in visita fuori città. Camilita è sempre più angosciata dal terrore di non arrivare in tempo. Vuole vedere suo padre prima che muoia. Mi richiama disperata, per sapere se sono riuscita nel frattempo a trovare qualcuno che potesse sbloccare la situazione attaverso la Questura. Malgrado vari tentativi, non sono riuscita a parlare con nessuno. L’unica possibilità rimasta è quella di contattare qualche politico che possa intervenire direttamente, ma ci vorrebbe ancora un giorno. Camilita non ce la fa ad aspettare e parte con la figlia più piccola. Ho telefonato il giorno dopo a casa di Camilita a Capo Verde, per sapere se era arrivata e come stava il padre. Non c’è stato bisogno di dire nulla, per capire cosa era successo. Come ho avuto la linea, ho sentito un pianto in coro che mi annunciava la morte di Gno João, il padre di Camilita. In famiglia la stavano attendendo per il funerale. Lei si trovava ancora all’isola di Sal, in attesa del volo che l’avrebbe portata a S. Nicolau, per l’ultimo saluto al padre. Questo di Camilita è uno dei drammi umani che si consumano da anni, qui nella civilissima Italia, sotto gli occhi di tutti. Nessuno fa niente per cambiare questa umiliazione continua, degna di una vera schiavitù, che anche gli immigrati regolarmente residenti sono costretti a subire. La loro vita, la loro sicurezza, il loro progetto di vita è legato a questo «benedetto» permesso di soggiorno, che a sua volta dipende da un lavoro regolare in un mercato che privilegia il nero. Questa situazione attribuisce di fatto ai datori di lavoro un potere assoluto. I lavoratori sono così costretti ad accettare qualunque condizione contrattuale pur di ottenere quel «salvacondotto» che ti permette di avere una vita «regolare», di poter finalmente viaggiare e programmare le tue vacanze, la partecipazione al matrimonio del tuo miglior amico o al funerale di tuo padre…La circolare che concede la licenza per andare con il cedolino in ferie (a luglio e a dicembre), come ogni anno è uscita all’ultimo momento, troppo tardi perché Camilita potesse arrivare in tempo. Nessun problema invece per i fratelli arrivati da Lisbona e Parigi, dove semplicemente il ridicolo cedolino non esiste.
Questa strisciolina di carta strappata dal foglio del permesso di soggiorno, per di più, ha fortissime limitazioni: puoi uscire e rientrare soltanto dalle frontiere italiane e da quelle del tuo paese, perché il cedolino viene riconosciuto soltanto in Italia. Se non trovi un volo diretto non puoi partire, perché non ti è permesso fare scalo in nessun altro paese. Tutti i capoverdiani, e tutti gli altri immigrati che non hanno il volo diretto, non potranno mai andare in vacanza nel proprio paese e tanto meno partire nei casi di emergenza. Per di più, nei periodi di ferie è difficile trovare posto e per prenotare prima devi conoscere già la data dell’entrata in vigore di quella circolare. Inoltre, quando arrivi nel tuo paese non parli volentieri del cedolino, perché indica una condizione di trattamento piuttosto umiliante, soprattutto se sei emigrato da tanti anni. Quelli che hanno avuto successo, che hanno riscattato il proprio status sociale, sono in possesso della cittadinanza o di un permesso di soggiorno attestato da una tessera, come tutti quelli che arrivano dal Portogallo o dalla Francia, un documento dignitoso che tengono inserito nel portafoglio insieme alla carta di credito. Fa chic. All’aeroporto di Sal, dove arrivano i voli internazionali, siamo solo noi emigrati in Italia a fare la brutta figura. Insieme a tutti gli italiani… Al controllo dei passaporti i funzionari non sono a conoscenza dell’esistenza di questo cedolino. Sei tu, rosso di vergogna sotto agli sguardi di tutti gli altri che passano, a dover giustificare questa striscetta di carta che dopo una settimana nel portafoglio è già lisa e malandata, tenuta insieme con il nastro adesivo…Almeno prima, quando si rinnovava il permesso direttamente in Questura, c’era la possibilità di ottenere nello stesso giorno un visto di reingresso, e si poteva partire senza problemi. Ora si aspetta anche più di un anno, senza che venga concesso il permesso di soggiorno. Le persone restano in uno stato di sequestro, perché non lo si può definire diversamente, privi dei più elementari diritti fondamentali sanciti dall’Onu e dalla Costituzione italiana, che prevede la libera circolazione per tutti quelli che non hanno compiuto reati. Vi sembra questo il modo di trattare persone che vivono regolarmente in questo paese, che lavorano e contribuiscono alla sua ricchezza, che hanno sempre rispettato le leggi e la cultura di chi li ospita? Viene da pensare che c’è veramente qualcosa che non va, non solo nella testa dei governanti ma anche nella società civile, se ancora si tollera che tutto ciò avvenga nel 2006. Non stiamo parlando di «clandestini», o di persone che hanno commesso reati: parliamo di persone rintracciabili giorno e notte, poiché sono regolarmente residenti e da anni sono ormai cittadini di questo paese. Hanno figli che frequentano le scuole italiane e buona parte di loro pensano, mangiano e si esprimono in italiano, si dichiarano italiani e come tali vogliono essere trattati. Sono cittadini italiani a tutti gli effetti, anche se molti sono ancora legati al permesso di soggiorno che li fa sentire stranieri nel proprio paese. Che tipo di risentimento possono coltivare i ragazzi nel loro intimo verso la società italiana, vedendo come vengono trattate le famiglie? I loro genitori sono stati molto calmi e tolleranti, perché si sentono ancora, almeno in parte, stranieri. Ma loro, i figli, sapranno essere altrettanto pazienti? Vorrei qui fare un appello al ministro dell’interno Giuliano Amato e al ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero perché siano veramente coraggiosi. Prendano in considerazione questa situazione che ho appena descritta. Fate qualcosa perché gli immigrati si possano sentire a ragione riconoscenti verso questo paese. Risolvete in modo definitivo questo incubo del rinnovo del permesso di soggiorno, che impedisce ad intere famiglie di avere una vita serena, di poter sognare un futuro migliore almeno per i loro figli. Stiamo parlando di persone potenzialmente pronte ad integrarsi in questa società. Create voi le condizioni perché questo progetto si realizzi in tempi brevi. Non ci vuole molto, basta la volontà politica. Gli italiani sono nella strangrande maggioranza disponibili, lo dicono i sondaggi. È la classe dirigente che finora non ha saputo cogliere questa opportunità di ridare dignità e restituire una immagine positiva al mondo dell’immigrazione. L’Italia può trarre solo dei vantaggi da una politica che riconosca negli immigrati dei cittadini di questo paese. Chi ha conquistato dei diritti sa come valorizzarli, sa come difenderli, sa essere riconoscente e può rappresentare un esempio di buona condotta per tutti coloro che arriveranno in futuro.

«Troppi stranieri». Fuga dalla scuola pubblica
I genitori: l’insegnamento privato dà garanzie. I presidi degli istituti pubblici: cambiano perché vogliono classi selezionate
di Annachiara Sacchi – ViviMilano.it
Fuga di alunni dalle scuole pubbliche: «Troppi stranieri, bullismo e insegnanti che cambiano in continuazione». Il mondo dell’istruzione milanese s’interroga sul boom degli istituti privati: fino al 10 per cento di iscritti in più in un anno, liste d’attesa, aule che scoppiano. I genitori temono che le scuole statali «offrano scarsa protezione dei figli e bassa qualità dell’insegnamento». Aggiungono i presidi: «La didattica non c’entra, le famiglie scappano quando vedono classi con oltre la metà di alunni extracomunitari». In alcune aule «sette studenti su dieci sono figli di stranieri». Scuola privata, le ragioni di un successo: «Merito dell’attenzione all’insegnamento e alla persona, di un percorso educativo sicuro condiviso da mamme e papà», spiegano i responsabili di istituti religiosi e non, che hanno rette d’iscrizione fino a ottomila euro all’anno.
«Le scuole statali? Troppi stranieri, episodi di bullismo, insegnanti che cambiano in continuazione. I genitori hanno paura che i figli siano poco protetti e seguiti». Ecco perché molte famiglie, soprattutto alle medie, scelgono l’istruzione privata. Sono i presidi delle statali a dare questa spiegazione. E dicono: «Noi ce la mettiamo tutta, ma certi genitori, quando vedono classi con oltre la metà di alunni extracomunitari, scappano». Scuola privata, le ragioni di un boom. Iscritti cresciuti fino al 10 per cento, liste di attesa, aule che scoppiano. «Merito dell’attenzione all’insegnamento e alla persona, di un percorso educativo sicuro condiviso da mamme e papà» spiegano i responsabili di istituti religiosi e non (rette fino a ottomila euro all’anno). «Razionalità e cuore», sintetizza Laura Catalucci, insegnante di latino e greco al collegio San Carlo (dopo un’intera carriera nella scuola pubblica).
Ma i colleghi degli istituti statali — elementari e medie alle prese con nomine di supplenti, insegnanti di sostegno in arrivo, facilitatori linguistici promessi e non ancora in organico — smentiscono: «I motivi sono altri». Francesca Lavizzari, preside dell’istituto comprensivo Cavalieri di via Anco Marzio, spiega: «Non è la qualità della scuola a fare la differenza, non nascondiamoci dietro a questo paravento. Noi abbiamo insegnanti bravissimi, preparati e attenti». E allora qual è il problema? «In una scuola privata l’utenza è più selezionata. La ragione è questa. Punto. Del resto Milano è la città che ha più stranieri in Italia, 35 mila. Alcune classi hanno fino al 70 per cento di alunni non italiani. Mi chiedo se, in questi casi, si debba parlare di integrazione o di scuole ghetto». Anche i 10.300 disabili che studiano a Milano spaventano: «Abbiamo programmi fantastici per loro — continua la preside — ma alcune famiglie, se c’è un disabile in classe, temono che i figli rimangano indietro con il programma».
Il problema, ammettono tutti, è la scuola media. Fascia d’età difficile, docenti «che non hanno avuto una specifica formazione in ambito pedagogico e che faticano a trovare un approccio educativo consono a tutti i ragazzi», modalità di apprendimento variate rispetto a non molti anni fa. «È più elevato il numero di alunni con difficoltà relazionali — continua Giorgio Galanti, preside dell’istituto comprensivo di piazza Axum, in tutto 800 studenti — e comportamenti disturbati. Alcuni genitori, in tale situazione, credono di proteggere i figli iscrivendoli a una scuola privata, ogni giorno vediamo nei loro occhi la paura dello straniero, notiamo il timore che i loro ragazzi non abbiano un’istruzione adeguata».
Altra questione, gli alunni rom, circa 500 nelle elementari e medie statali di Milano. «Le scuole private — continua Galanti — parlano tanto di accoglienza nei loro programmi. Perché non aprono le porte ai piccoli nomadi?». Sicurezza, ascolto, programmi seguiti alla lettera, niente scioperi nè professori in congedo. Sono questi elementi, spiegano i genitori, a fare la differenza in una scuola privata. Claudia Geraldini, i figli alla «Vittoria Colonna» di via Conservatorio, aggiunge: «Alla pubblica, purtroppo, ho riscontrato continui problemi organizzativi. Io sono sempre stata a favore dell’istruzione statale, ma dove sono ora mi sento ascoltata, ho avuto subito un riscontro alle mie richieste». Conferma Paola Barbieri, mamma di due bambini: «Ci sentiamo più protetti». Ma «la realtà è questa, non possiamo nasconderla». La pensa così Giovanna Filipcic, un figlio alle medie e uno alle superiori statali: «Non vedo perché i ragazzi debbano essere protetti da un mondo che va accettato e condiviso».

di Srabani Roy da IPS Notizie.it
DIRITTI-LIBIA: I migranti coinvolti in un circolo vizioso di deportazioni

NEW YORK, 14 settembre 2006 (IPS) – Secondo un rapporto di Human Rights Watch (HRW) pubblicato martedì scorso, il governo della Libia sottopone regolarmente i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati – in particolare quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana – a gravi abusi dei diritti umani, che includono percosse, arresti arbitrari, rimpatri coatti e, in certi casi, la tortura.
Il documento di 135 pagine, “Arginare il flusso: abusi contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati”, è il terzo di una serie di rapporti di HRW sui diritti e le condizioni umane, civili e politiche in Libia. Lo studio, condotto tra aprile e maggio 2005, si basa essenzialmente sulle interviste a 56 migranti, così come a funzionari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), sia in Libia che in Italia. Il gruppo ha scoperto che tra il 2003 e il 2005, il governo libanese ha arrestato arbitrariamente stranieri senza documenti, maltrattandoli mentre erano detenuti, e costringendoli a tornare nei loro paesi d’origine, dove rischiavano di essere perseguitati o torturati. Durante questo periodo, secondo i dati ufficiali del governo del Libano menzionati nel rapporto, sarebbero stati rimpatriati circa 145.000 stranieri.
“Abbiamo individuato un problema gravissimo”, ha detto all’IPS Sarah Leah Whitson, direttrice esecutiva della divisione di HRW per Medio Oriente e Nord Africa a New York. “Moltissime persone con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato questo”.
La ricerca dedica inoltre un’ampia sezione alla posizione di Unione europea (Ue) e Italia riguardo agli stranieri senza documenti che dalla Libia varcano i loro confini: HRW ha scoperto che nel loro sforzo per arrestare il flusso di rifugiati e immigrati senza documenti, sia l’Ue che l’Italia hanno sistematicamente rinviato questi migranti in Libia, che a sua volta sembra li abbia rispediti in alcuni casi ai loro paesi d’origine, dove corrono il rischio di abusi e persecuzioni. “L’Unione europea sta lavorando con la Libia per fermare queste persone prima che raggiungano l’Europa, invece di aiutarle a trovare la protezione di cui hanno bisogno”, ha sostenuto Bill Frelick, direttore delle politiche per i rifugiati di HRW. Il problema è particolarmente grave in Italia, che vede i maggiori flussi di migranti provenienti dalla Libia. Human Rights Watch ha registrato che l’Italia, tra il 2004 e il 2005, avrebbe rispedito circa 3.000 stranieri in Libia. Secondo il rapporto, il “governo italiano attua una politica di detenzione coatta per i richiedenti asilo e i migranti senza documenti, ed è coinvolta in espulsioni collettive verso la Libia, in violazione degli obblighi di asilo e di rispetto dei diritti umani dell’Italia”. Il problema principale, tuttavia, è che la Libia non ha al momento una legge sull’asilo, e non è firmataria della Convenzione internazionale del 1951 sullo status dei rifugiati. Lo studio riferisce che negli ultimi dieci anni, centinaia di migliaia di persone sarebbero arrivate in Libia dall’Africa sub-sahariana. Secondo le statistiche governative, in Libia nel 2005 c’erano più di 1,2 milioni di stranieri senza documenti. Il governo stima che ogni anno entrano nel paese tra i 75.000 e i 100.000 stranieri legali e illegali. Molti di essi hanno lasciato il proprio paese per ragioni economiche, ma quanto più l’Africa sub-sahariana rimane impantanata nel conflitto, tante più sono le persone che partono per sfuggire alla persecuzione o alla guerra. “La Libia deve fare di più”, commenta Whitson. “Il problema peggiorerà. Tutti si aspettano che l’afflusso dall’Africa sub-sahariana aumenterà”. Una volta raggiunta la Libia, i migranti devono affrontare più stretti controlli d’immigrazione, detenzioni e deportazioni, sostiene HRW. I migranti intervistati da HRW hanno riferito un problema persistente di abusi fisici al momento dell’arresto. Gli stranieri hanno anche parlato di abusi da parte delle forze di sicurezza e delle deplorevoli condizioni dei centri di detenzione. In tre casi, i testimoni hanno raccontato a HRW che gli abusi fisici, come le percosse, hanno provocato la morte di uno degli stranieri. I tre intervistati hanno poi spiegato a HRW come i funzionari della sicurezza minacciassero le detenute donne di violenza sessuale. Hanno poi riferito che, in quanto stranieri senza documenti in Libia, non possono avere accesso all’assistenza legale e ricevono solo informazioni limitate sull’eventuale deportazione. Molti stranieri non sono consapevoli dei loro diritti o dei procedimenti necessari per presentare richiesta d’asilo. “Il governo libanese dice di non deportare rifugiati”, dice Frelick. “Ma senza una legge o una procedura sull’asilo, come può un individuo che teme la persecuzione presentare una richiesta?”. Il rapporto cita episodi di violenza da parte della polizia e violazioni nei regolari processi, come la tortura o processi ingiusti. Molte delle persone intervistate da HRW non sapevano nemmeno della presenza di un Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) con sede a Tripoli: un ufficio, sostiene il documento, che non ha tuttavia nessun rapporto di lavoro formale con il governo libanese. Molti stranieri che entrano in Libia da sud-est, dal Ciad o dal Sudan, se catturati, vengono tenuti nel centro di detenzione di Kufra. Secondo HRW, i detenuti intervistati qui hanno riferito ripetutamente di episodi di abusi da parte delle guardie e delle misere condizioni del centro. Parlando con diversi rifugiati, che in seguito hanno ricevuto asilo in Italia, questi avrebbero raccontato di come “le guardie malmenassero regolarmente i detenuti”, si legge nel rapporto di HRW. In un caso, le guardie avrebbero “percosso [un rifugiato eritreo] ripetutamente con fili elettrici e una frusta”. Il governo libanese sembra abbia riferito che gli arresti di stranieri senza documenti sono necessari per mantenere la legge e l’ordine. I funzionari hanno poi commentato a HRW che la Libia non offre asilo perché altrimenti gli stranieri affluirebbero “come locuste”. Nonostante HRW non abbia avuto accesso a uno dei principali centri di detenzione, sull’isola di Lampedusa in Italia, alcuni testimoni hanno descritto analoghe condizioni di scarsa igiene e di abusi da parte delle guardie.
L’Italia dovrebbe attenersi alle leggi e ai requisiti sui diritti umani sia internazionali che europei. Secondo HRW, l’Italia dovrebbe garantire una “certa tutela” nel caso di espulsione di un individuo dal paese. Ciò dovrebbe prevedere l’accesso all’UNHCR, sostegno legale, interpreti adeguati e un giudice che confermi l’ordine di espulsione. Tuttavia, lo studio sostiene che molte delle persone espulse da Lampedusa non hanno accesso a questi diritti. Quest’anno, il governo italiano ha cominciato a consentire l’accesso delle organizzazioni internazionali al centro di Lampedusa. Con il governo di Romano Prodi, l’Italia ha garantito che non saranno più predisposte espulsioni di massa verso paesi che non hanno firmato la Convezione di Ginevra, tra cui la Libia. “Siamo sicuri che non li deporteranno”, osserva Whitson, evidentemente entusiasta di questa “mossa positiva” del governo italiano.
Manpower, previsioni di netta crescita dell’occupazione nel 2006, grazie agli stranieri

(AGI) – Milano, 12 set. – Migliora nel complesso il livello di fiducia dei datori di lavoro italiani che si dichiarano pronti a nuove assunzioni anche per il quarto trimestre 2006. E’ quanto emerge dalle Previsioni Manpower sull’Occupazione, indagine condotta da uno dei principali datori di lavoro al mondo su un campione rappresentativo di oltre 1.000 datori di lavoro italiani per individuare il trend dell’occupazione nel periodo tra ottobre e dicembre 2006. A livello nazionale, al netto delle variazioni stagionali, la Previsione Netta sull’Occupazione si attesta a +5%, in crescita di cinque punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2006 e di 4 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Si tratta del piu’ alto livello di fiducia espresso dai datori di lavoro italiani dall’avvio della ricerca nel terzo trimestre 2003. Si prevede, dunque, un diffuso incremento delle assunzioni, eccezion fatta per il Centro Italia. "Pur se con alcune eccezioni, la nostra indagine mostra che il livello di fiducia dei datori di lavoro italiani e’ in miglioramento anche nell’ultimo trimestre 2006, proseguendo il trend positivo delle dinamiche occupazionali avviato nel secondo trimestre e nonostante il clima di attesa per conoscere i provvedimenti di stimolo alla crescita che verranno inclusi nella prossima finanziaria" commenta Stefano Scabbio, Amministratore Delegato di Manpower Italia. "Il valore della Previsione Netta sull’Occupazione e’ infatti il piu’ alto mai registrato dall’inizio della rilevazione nel nostro Paese nel 2003, mentre il tasso di disoccupazione e’ ai minimi dal 1992, dato questo che puo’ essere attribuito alla crescita dei lavoratori stranieri in Italia. Segnali incoraggianti per le nuove assunzioni provengono da tutte le regioni italiane ad eccezione del Centro Italia. Se invece prendiamo in esame i principali settori economici, i comparti della Produzione elettricita’, gas e acqua e dei Servizi finanziari e assicurativi registrano il livello di fiducia piu’ elevato". Su base geografica, si prevedono nuove assunzioni nel Nord Est, nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno. Con una Previsione Netta sull’Occupazione pari a +6%, il Nord Ovest e il Sud Italia registrano il maggior livello di ottimismo. I datori di lavoro del Centro sono i piu’ pessimisti, facendo registrare una Previsione Netta sull’Occupazione pari a -2%, in flessione di 3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1 punto percentuale rispetto allo scorso anno.

 

 

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